LA PERMANENTE VALIDITA' DEL MANDATO MISSIONARIO
Redemptoris Missio


INTRODUZIONE

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1. La missione di Cristo redentore, affidata alla chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. Al termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d'insieme all'umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio. E' lo Spirito che spinge ad annunziare le grandi opere di Dio: "Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo!" (1Cor 9,16).

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A nome di tutta la chiesa, sento imperioso il dovere di ripetere questo grido di san Paolo. Già dall'inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell'urgenza di tale attività, a cui dedico la presente enciclica.

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Il concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la vita e l'attività della chiesa secondo le necessità del mondo contemporaneo: ne ha sottolineato la "missionarietà", fondandola dinamicamente sulla stessa missione trinitaria. L'impulso missionario, quindi, appartiene all'intima natura della vita cristiana e ispira anche l'ecumenismo: "Che tutti siano una cosa sola..., perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21).

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2. Molti sono già stati i frutti missionari del concilio: si sono moltiplicate le chiese locali fornite di propri vescovi, clero e personale apostolico; si verifica un più profondo inserimento delle comunità cristiane nella vita dei popoli; la comunione fra le chiese porta a un vivace scambio di beni spirituali e di doni; l'impegno evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita ecclesiale; le chiese particolari si aprono all'incontro, al dialogo e alla collaborazione con i membri di altre chiese cristiane e religioni. Soprattutto si sta affermando una coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali.

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Tuttavia, in questa "nuova primavera" del cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa, che questo documento vuol contribuire a superare: la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del concilio e del magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede.

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A venticinque anni dalla conclusione del concilio e dalla pubblicazione del decreto sull'attività missionaria Ad gentes, a quindici anni dall'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del pontefice Paolo VI di v. m., desidero invitare la chiesa a un rinnovato impegno missionario, continuando il magistero dei miei predecessori a tale riguardo. Il presente documento ha una finalità interna: il rinnovamento della fede e della vita cristiana. La missione, infatti, rinnova la chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale.

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Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno, il quale conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza. "Cristo redentore - ho scritto nella prima enciclica - rivela pienamente l'uomo a se stesso... L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo... deve avvicinarsi a Cristo... La redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all'uomo la dignità e il senso della sua esistenza nel mondo".

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Né mancano altre motivazioni e finalità: rispondere alle molte richieste per un documento di questo genere; dissipare dubbi e ambiguità circa la missione ad gentes , confermando nel loro impegno i benemeriti fratelli e sorelle dediti all'attività missionaria e tutti coloro che li aiutano; promuovere le vocazioni missionarie; incoraggiare i teologi ad approfondire ed esporre sistematicamente i vari aspetti della missione; rilanciare la missione in senso specifico, impegnando le chiese particolari, specie quelle giovani, a mandare e ricevere missionari; assicurare i non cristiani e, in particolare, le autorità dei paesi verso cui si rivolge l'attività missionaria, che questa ha un unico fine: servire l'uomo rivelandogli l'amore di Dio, che si è manifestato in Gesù Cristo.

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3. Popoli tutti, aprite le porte a Cristo! Il suo vangelo nulla toglie alla libertà dell'uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c'è di buono in ogni religione. Accogliendo Cristo, voi vi aprite alla parola definitiva di Dio, a colui nel quale Dio si è fatto pienamente conoscere e ci ha indicato la via per arrivare a lui. Il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della chiesa è in continuo aumento, anzi dalla fine del concilio è quasi raddoppiato. Per questa umanità immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato il suo Figlio, è evidente l'urgenza della missione.

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D'altra parte, in questo campo il nostro tempo offre nuove occasioni alla chiesa: il crollo di ideologie e di sistemi politici oppressivi; l'apertura delle frontiere e il formarsi di un mondo più unito grazie all'incremento delle comunicazioni; l'affermarsi tra i popoli di quei valori evangelici, che Gesù ha incarnato nella sua vita (pace, giustizia, fraternità, dedizione ai più piccoli); un tipo di sviluppo economico e tecnico senz'anima, che pur sollecita a ricercare la verità su Dio, sull'uomo, sul significato della vita. Dio apre alla chiesa gli orizzonti di un'umanità più preparata alla semina evangelica. Sento venuto il momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione e per la missione ad gentes. Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli.

Capitolo Primo GESU' CRISTO UNICO SALVATORE

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4. "Il compito fondamentale della chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra - ricordavo nella prima enciclica programmatica - è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo". La missione universale della chiesa nasce dalla fede in Gesù Cristo, come si dichiara nella professione della fede trinitaria: "Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli... Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo". Nell'evento della redenzione è la salvezza di tutti, "perché ognuno è stato compreso nel mistero della redenzione e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero". Soltanto nella fede si comprende e si fonda la missione.

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Eppure, anche a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche, alcuni si chiedono: E' ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione?

"Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 14,6)


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5. Risalendo alle origini della chiesa, troviamo chiaramente affermato che Cristo è l'unico salvatore di tutti, colui che solo è in grado di rivelare Dio e di condurre a Dio. Alle autorità religiose giudaiche che interrogano gli apostoli in merito alla guarigione dello storpio, da lui operata, Pietro risponde: "Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo... In nessun altro c'è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,10.12). Quest'affermazione, rivolta al sinedrio, ha un valore universale, poiché per tutti - giudei e gentili - la salvezza non può venire che da Gesù Cristo.

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L'universalità di questa salvezza in Cristo è affermata in tutto il Nuovo Testamento. San Paolo riconosce in Cristo risorto il Signore: "In realtà - scrive - anche se ci sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene, e noi siamo per lui; e c'è un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui" (1Cor 8,5-6). L'unico Dio e l'unico Signore sono affermati in contrasto con la moltitudine di "dèi" e "signori" che il popolo ammetteva. Paolo reagisce contro il politeismo dell'ambiente religioso del suo tempo e pone in rilievo la caratteristica della fede cristiana: fede in un solo Dio e in un solo Signore, inviato da Dio.

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Nel Vangelo di san Giovanni questa universalità salvifica di Cristo comprende gli aspetti della sua missione di grazia, di verità e di rivelazione: "Il Verbo è la luce vera, che illumina ogni uomo" (cf. Gv 1,9). E ancora: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18; cf. Mt 11,27). La rivelazione di Dio si fa definitiva e completa a opera del suo Figlio unigenito: "Dio, che nei tempi antichi aveva già parlato molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo" (Eb 1,1-2; cf. Gv 14,6). In questa Parola definitiva della sua rivelazione, Dio si è fatto conoscere nel modo più pieno: egli ha detto all'umanità chi è. E questa autorivelazione definitiva di Dio è il motivo fondamentale per cui la chiesa è per sua natura missionaria. Essa non può non proclamare il vangelo, cioè la pienezza della verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso.

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Cristo è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini: "Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità" (1Tm 2,5-7; cf. Eb 4,14-16). Gli uomini, quindi, non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l'azione dello Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall'essere di ostacolo al cammino verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso, e di ciò Cristo ha piena coscienza. Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari.

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6. E' contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo. San Giovanni afferma chiaramente che il Verbo, che "era in principio presso Dio", è lo stesso che "si fece carne" (Gv 1,2.14): Gesù è il Verbo incarnato, persona una e indivisibile. Non si può separare Gesù da Cristo, né parlare di un "Gesù della storia", che sarebbe diverso dal "Cristo della fede". La chiesa conosce e confessa Gesù come "il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16): Cristo non è altro che Gesù di Nazaret, e questi è il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti. In Cristo "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9) e "dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto" (Gv 1,16). "Il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre" (Gv 1,18), è "il Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione... Piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, pacificando col sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (Col 1,13-14.19-20). E' proprio questa singolarità unica di Cristo che a lui conferisce un significato assoluto e universale, per cui, mentre è nella storia, è il centro e il fine della stessa storia: "Io sono l'Alfa e l'Omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine" (Ap 22,13).

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Se, dunque, è lecito e utile considerare i vari aspetti del mistero di Cristo, non bisogna mai perdere di vista la sua unità. Mentre andiamo scoprendo e valorizzando i doni di ogni genere, soprattutto le ricchezze spirituali, che Dio ha elargito a ogni popolo, non possiamo disgiungerli da Gesù Cristo, il quale sta al centro del piano divino di salvezza. Come "con l'incarnazione il Figlio di Dio s'è unito in un certo modo ad ogni uomo", così "dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale". Il disegno divino è "di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (Ef 1,10).

La fede in Cristo è una proposta alla libertà dell'uomo

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7. L'urgenza dell'attività missionaria emerge dalla radicale novità di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e all'uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione integrale in conformità a Cristo. Tutto il Nuovo Testamento è un inno alla vita nuova per colui che crede in Cristo e vive nella sua chiesa. La salvezza in Cristo, testimoniata e annunziata dalla chiesa, è autocomunicazione di Dio: "E' l'amore che non soltanto crea il bene, ma fa partecipare alla vita stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo. Infatti, colui che ama, desidera donare se stesso". Dio offre all'uomo questa novità di vita. "Si può rifiutare Cristo e tutto ciò che egli ha portato nella storia dell'uomo? Certamente si può. L'uomo è libero. L'uomo può dire a Dio: no. L'uomo può dire a Cristo: no. Ma rimane la domanda fondamentale: E' lecito farlo? e in nome di che cosa è lecito?".

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8. Nel mondo moderno c'è la tendenza a ridurre l'uomo alla sola dimensione orizzontale. Ma che cosa diventa l'uomo senza apertura verso l'Assoluto? La risposta sta nell'esperienza di ogni uomo, ma è anche inscritta nella storia dell'umanità col sangue versato in nome di ideologie e da regimi politici, che hanno voluto costruire un' "umanità nuova" senza Dio. Del resto, a quanti sono preoccupati di salvare la libertà di coscienza, risponde il concilio Vaticano II: "La persona umana ha il diritto alla libertà religiosa... Tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la coscienza, né sia impedito, entro certi limiti, di agire in conformità a essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata".

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L'annunzio e la testimonianza di Cristo, quando sono fatti in modo rispettoso delle coscienze, non violano la libertà. La fede esige la libera adesione dell'uomo, ma deve essere proposta, poiché "le moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo, nel quale crediamo che tutta l'umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull'uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità... Per questo la chiesa mantiene il suo slancio missionario e vuole, altresì, intensificarlo nel nostro momento storico". Bisogna dire anche, però, sempre col concilio, che "a motivo della loro dignità tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotati cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. Essi sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e a ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze".

La chiesa segno e strumento di salvezza

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9. Prima beneficiaria della salvezza è la chiesa: il Cristo se l'è acquistata col suo sangue (cf. At 20,28) e l'ha fatta sua collaboratrice nell'opera della salvezza universale. Infatti, Cristo vive in essa; è il suo sposo; opera la sua crescita; compie la sua missione per mezzo di essa. Il concilio ha ampiamente richiamato il ruolo della chiesa per la salvezza dell'umanità. Mentre riconosce che Dio ama tutti gli uomini e accorda loro la possibilità della salvezza (cf. 1Tm 2,4), la chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico mediatore e che essa stessa è posta come sacramento universale di salvezza: "Tutti gli uomini, quindi, sono chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio..., e a essa in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia tutti gli uomini universalmente chiamati a salvezza dalla grazia di Dio". E' necessario tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della chiesa in ordine a tale salvezza. Ambedue favoriscono la comprensione dell 'unico mistero salvifico , sì da poter sperimentare la misericordia di Dio e la nostra responsabilità. La salvezza, che è sempre dono dello Spirito, esige la collaborazione dell'uomo per salvare sia se stesso che gli altri. Così ha voluto Dio, e per questo ha stabilito e coinvolto la chiesa nel piano della salvezza: "Questo popolo messianico - dice il concilio - costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto quale strumento della redenzione di tutti e, come luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo".

La salvezza è offerta a tutti gli uomini

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10. L'universalità della salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella chiesa. Se è destinata a tutti, la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di tutti. Ma è evidente che, oggi come in passato, molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del vangelo, di entrare nella chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione. Per questo il concilio, dopo aver affermato la centralità del mistero pasquale, afferma: "E ciò non vale solo per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti, e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò, dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale".

"Noi non possiamo tacere" (At 4,20)

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11. Che dire allora delle obiezioni, già ricordate, in merito alla missione ad gentes ? Nel rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità, dobbiamo anzitutto affermare con semplicità la nostra fede in Cristo, unico salvatore dell'uomo, fede che abbiamo ricevuto come dono dall'alto senza nostro merito. Noi diciamo con Paolo: "Io non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1,16). I martiri cristiani di tutti i tempi - anche del nostro - hanno dato e continuano a dare la vita per testimoniare agli uomini questa fede, convinti che ogni uomo ha bisogno di Gesù Cristo, il quale ha sconfitto il peccato e la morte e ha riconciliato gli uomini con Dio. Cristo si è proclamato Figlio di Dio, intimamente unito al Padre e, come tale, è stato riconosciuto dai discepoli, confermando le sue parole con i miracoli e la risurrezione da morte. La chiesa offre agli uomini il vangelo, documento profetico, rispondente alle esigenze e aspirazioni del cuore umano: esso è sempre "buona novella". La chiesa non può fare a meno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare, con la croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini.

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All'interrogativo: perché la missione? noi rispondiamo con la fede e con l'esperienza della chiesa che aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte. Cristo è veramente "la nostra pace" (Ef 2,14), e "l'amore di Cristo ci spinge" (2Cor 5,14), dando senso e gioia alla nostra vita. La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una "graduale secolarizzazione della salvezza", per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi, invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina.

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Perché la missione? Perché a noi, come a san Paolo, "è stata concessa la grazia di annunciare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ef 3,8). La novità di vita in lui è la "buona novella" per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati. Tutti di fatto la cercano, anche se a volte in modo confuso, e hanno il diritto di conoscere il valore di tale dono e di accedervi. La chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per essere comunicata a tutti gli uomini. Ecco perché la missione, oltre che dal mandato formale del Signore, deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio in noi. Coloro che sono incorporati nella chiesa cattolica devono sentirsi dei privilegiati, e per ciò stesso maggiormente impegnati a testimoniare la fede e la vita cristiana come servizio ai fratelli e doverosa risposta a Dio, memori che "la loro eccellente condizione non è da ascrivere ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, lungi dal salvarsi, saranno più severamente giudicati".

Capitolo II: IL REGNO DI DIO

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12. "Dio, ricco di misericordia, è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l'ha manifestato e fatto conoscere". Questo scrivevo all'inizio dell'enciclica Dives in misericordia , mostrando come il Cristo è la rivelazione e l'incarnazione della misericordia del Padre. La salvezza consiste nel credere e accogliere il mistero del Padre e del suo amore, che si manifesta e si dona in Gesù mediante lo Spirito. Così si compie il regno di Dio, preparato già dall'antica alleanza, attuato da Cristo e in Cristo, annunciato a tutte le genti dalla chiesa, che opera e prega affinché si realizzi in modo perfetto e definitivo.

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L'Antico Testamento attesta che Dio si è scelto e formato un popolo, per rivelare e attuare il suo disegno d'amore. Ma, nello stesso tempo, Dio è creatore e padre di tutti gli uomini, di tutti si prende cura, a tutti estende la sua benedizione (cf. Gn 12,3) e con tutti ha stretto un'alleanza (Gn 9,1-17). Israele fa l'esperienza di un Dio personale e salvatore (cf. Dt 4,37; 7,6-8; Is 43,1-7), del quale diventa il testimone e il portavoce in mezzo alle nazioni. Nel corso della sua storia Israele prende coscienza che la sua elezione ha un significato universale (cf., ad esempio, Is 2,2-5; 25,6-8; 60,1-6; Ger 3,17; 16,19-21).

Cristo rende presente il Regno

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13. Gesù di Nazaret porta a compimento il disegno di Dio. Dopo aver ricevuto lo Spirito Santo nel battesimo, egli manifesta la sua vocazione messianica: percorre la Galilea "predicando il vangelo di Dio e dicendo: "Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo"" (Mc 1,14-15; cf. Mt 4,17; Lc 4,43). La proclamazione e l'instaurazione del regno di Dio sono l'oggetto della sua missione: "E' per questo che sono stato inviato" (Lc 4,43). Ma c'è di più: Gesù è lui stesso la "buona novella", come afferma già all'inizio della missione nella sinagoga del suo paese, applicando a sé le parole di Isaia sull'Unto, inviato dallo Spirito del Signore (cf. Lc 4,14-21). Essendo la "buona novella", in Cristo c'è identità tra messaggio e messaggero, tra il dire, l'agire e l'essere. La sua forza, il segreto dell'efficacia della sua azione sta nella totale identificazione col messaggio che annunzia: egli proclama la "buona novella" non solo con quello che dice o fa, ma con quello che è.

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Il ministero di Gesù è descritto nel contesto dei viaggi nella sua terra. L'orizzonte della missione prima della pasqua è centrato su Israele; tuttavia, Gesù offre un elemento nuovo di importanza capitale. La realtà escatologica non è rinviata a una fine remota del mondo, ma si fa vicina e comincia ad attuarsi. Il regno di Dio si avvicina (cf. Mc 1,15), si prega perché venga (cf. Mt 6,10), la fede lo scorge già operante nei segni, quali i miracoli (cf. Mt 11,4-5), gli esorcismi (cf. Mt 12,25-28), la scelta dei Dodici (cf. Mc 3,13-19), l'annuncio della buona novella ai poveri (cf. Lc 4,18). Negli incontri di Gesù con i pagani è chiaro che l'accesso al Regno avviene mediante la fede e la conversione (cf. Mc 1,15), non per semplice appartenenza etnica.

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Il regno che Gesù inaugura è il regno di Dio: Gesù stesso rivela chi è questo Dio, che chiama col termine familiare di "abbà", Padre (Mc 14,36). Il Dio, rivelato soprattutto nelle parabole (cf. Lc 15,3-32; Mt 20,1-16), è sensibile alle necessità e alle sofferenze di ogni uomo: è un Padre amoroso e pieno di compassione, che perdona e dà gratuitamente le grazie richieste. San Giovanni ci dice che "Dio è amore" (1Gv 4,8.16). Ogni uomo, perciò, è invitato a "convertirsi" e a "credere" all'amore misericordioso di Dio per lui: il Regno crescerà nella misura in cui ogni uomo imparerà a rivolgersi a Dio nell'intimità della preghiera come a un Padre (cf. Lc 11,2; Mt 23,9) e si sforzerà di compiere la sua volontà (cf. Mt 7,21).

Caratteristiche ed esigenze del Regno

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14. Gesù rivela progressivamente le caratteristiche ed esigenze del Regno mediante le sue parole, le sue opere e la sua persona. Il regno di Dio è destinato a tutti gli uomini, essendo tutti chiamati a esserne membri. Per sottolineare questo aspetto, Gesù si è avvicinato soprattutto a quelli che erano ai margini della società, dando ad essi la preferenza, quando annunziava la "buona novella". All'inizio del suo ministero egli proclama di essere stato mandato per annunziare ai poveri il lieto messaggio (cf. Lc 4,18). A tutte le vittime del rifiuto e del disprezzo dichiara: "Beati voi poveri" (Lc 6,20); inoltre, a questi emarginati fa già vivere un'esperienza di liberazione stando con loro, andando a mangiare con loro (cf. Lc 5,30; 15,2), trattandoli come uguali e amici (cf. Lc 7,34), facendoli sentire amati da Dio e rivelando così la sua immensa tenerezza verso i bisognosi e i peccatori (cf. Lc 15,1-32).

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La liberazione e la salvezza, portate dal regno di Dio, raggiungono la persona umana nelle sue dimensioni sia fisiche che spirituali. Due gesti caratterizzano la missione di Gesù: il guarire e il perdonare. Le molteplici guarigioni dimostrano la sua grande compassione di fronte alle miserie umane; ma significano pure che nel Regno non vi saranno più né malattie né sofferenze e che la sua missione mira fin dall'inizio a liberare le persone da esse. Nella prospettiva di Gesù le guarigioni sono anche segno della salvezza spirituale, cioè della liberazione dal peccato. Compiendo gesti di guarigione, Gesù invita alla fede, alla conversione, al desiderio di perdono (cf. Lc 5,24). Ricevuta la fede, la guarigione spinge a proseguire più lontano: introduce nella salvezza (cf. Lc 18,42-43). I gesti di liberazione dalla possessione del demonio, male supremo e simbolo del peccato e della ribellione contro Dio, sono segni che "il Regno di Dio è giunto fra voi" (Mt 12,28).

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15. Il Regno mira a trasformare i rapporti tra gli uomini e si attua progressivamente, man mano che essi imparano ad amarsi, a perdonarsi, a servirsi a vicenda. Gesù riprende tutta la Legge, incentrandola sul comandamento dell'amore (cf. Mt 22,34-40; Lc 10,25-28). Prima di lasciare i suoi, dà loro un "comandamento nuovo": "Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato" (Gv 13,34; cf. 15,12). L'amore, con cui Gesù ha amato il mondo, trova l'espressione più alta nel dono della sua vita per gli uomni (cf. Gv 15,13), che manifesta l'amore che il Padre ha per il mondo (cf. Gv 3,16). Perciò, la natura del Regno è la comunione di tutti gli esseri umani tra di loro e con Dio. Il Regno riguarda tutti: le persone, la società, il mondo intero. Lavorare per il Regno vuol dire riconoscere e favorire il dinamismo divino, che è presente nella storia umana e la trasforma. Costruire il Regno vuol dire lavorare per la liberazione dal male in tutte le sue forme. In sintesi, il regno di Dio è la manifestazione e l'attuazione del suo disegno di salvezza in tutta la sua pienezza.

Nel Risorto il regno di Dio si compie ed è proclamato

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16. Risuscitando Gesù dai morti, Dio ha vinto la morte e in lui ha inaugurato definitivamente il suo Regno. Durante la vita terrena Gesù è il profeta del Regno e, dopo la sua passione, risurrezione e ascensione al cielo, partecipa della potenza di Dio e del suo dominio sul mondo (cf. Mt 28,18; At 2,36; cf. Ef 1,18-21). La risurrezione conferisce una portata universale al messaggio di Cristo, alla sua azione e a tutta la sua missione. I discepoli avvertono che il Regno è già presente nella persona di Gesù e viene a poco a poco instaurato nell'uomo e nel mondo mediante un misterioso legame con lui.

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Dopo la risurrezione, infatti, essi predicavano il Regno annunziando Gesù morto e risorto. Filippo in Samaria "recava la buona novella del Regno di Dio e del nome di Gesù Cristo" (At 8,12). Paolo a Roma "annunziava il Regno di Dio e insegnava le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo" (cf. At 28,31). Anche i primi cristiani annunziavano "il Regno di Cristo e di Dio" (Ef 5,5; cf. Ap 11,15; 12,10), oppure "il Regno eterno del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo" (2Pt 1,11). E' sull'annunzio di Gesù Cristo, con cui il Regno si identifica, che è incentrata la predicazione della chiesa primitiva. Come allora, oggi bisogna unire l'annunzio del regno di Dio( il contenuto del kèrygma di Gesù) e la proclamazione dell'evento Gesù Cristo (che è il kèrygma degli apostoli). I due annunzi si completano e si illuminano a vicenda.

Il Regno in rapporto a Cristo e alla chiesa

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17. Oggi si parla molto del Regno, ma non sempre in consonanza col sentire ecclesiale. Ci sono, infatti, concezioni della salvezza e della missione che si possono chiamare "antropocentriche" nel senso riduttivo del termine, in quanto sono incentrate sui bisogni terreni dell'uomo. In questa visione il Regno tende a diventare una realtà del tutto umana e secolarizzata, in cui ciò che conta sono i programmi e le lotte per la liberazione socio-economica, politica e anche culturale, ma in un orizzonte chiuso al trascendente. Senza negare che anche a questo livello ci siano valori da promuovere, tuttavia tale concezione rimane nei confini di un regno dell'uomo decurtato delle sue autentiche e profonde dimensioni, e si traduce facilmente in una delle ideologie di progresso puramente terreno. Il regno di Dio, invece, "non è di questo mondo..., non è di quaggiù" (cf. Gv 18,36). Ci sono, poi, concezioni che di proposito pongono l'accento sul Regno e si qualificano come "regno-centriche", le quali dànno risalto all'immagine di una chiesa che non pensa a se stessa, ma è tutta occupata a testimoniare e a servire il Regno. E' una "chiesa per gli altri", si dice, come Cristo è l'"uomo per gli altri". Si descrive il compito della chiesa come se debba procedere in una duplice direzione: da un lato, promuovere i cosiddetti "valori del Regno", quali la pace, la giustizia, la libertà, la fraternità; dall'altro, favorire il dialogo fra i popoli, le culture, le religioni, affinché in un vicendevole arricchimento aiutino il mondo a rinnovarsi e a camminare sempre più verso il Regno.

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Accanto ad aspetti positivi, queste concezioni ne rivelano spesso di negativi. Anzitutto, passano sotto silenzio Cristo: il Regno, di cui parlano, si fonda su un "teocentrismo", perché - dicono - Cristo non può essere compreso da chi non ha la fede cristiana, mentre popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare nell'unica realtà divina, quale che sia il suo nome. Per lo stesso motivo esse privilegiano il mistero della creazione, che si riflette nella diversità delle culture e credenze, ma tacciono sul mistero della redenzione. Inoltre, il Regno, quale essi lo intendono, finisce con l'emarginare o sottovalutare la chiesa, per reazione a un supposto "ecclesiocentrismo" del passato e perché considerano la chiesa stessa solo un segno, non privo peraltro di ambiguità.

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18. Ora, non è questo il regno di Dio, quale conosciamo dalla rivelazione: esso non può essere disgiunto né da Cristo né dalla chiesa. Come si è detto, Cristo non soltanto ha annunziato il Regno, ma in lui il Regno stesso si è fatto presente e si è compiuto. E non solo mediante le sue parole e le sue opere: "Innanzitutto, il Regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, il quale è venuto "a servire e a dare la sua vita in riscatto per molti" (Mc 10,45)". Il regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzitutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazaret, immagine del Dio invisibile. Se si distacca il Regno da Gesù, non si ha più il regno di Dio da lui rivelato, e si finisce per distorcere sia il senso del Regno, che rischia di trasformarsi in un obiettivo puramente umano o ideologico, sia l'identità di Cristo, che non appare più il Signore, a cui tutto deve esser sottomesso (cf. 1Cor 15,27).

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Parimenti, non si può disgiungere il Regno dalla chiesa. Certo, questa non è fine a se stessa, essendo ordinata al regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento. Ma, mentre si distingue dal Cristo e dal Regno, la chiesa è indissolubilmente unita a entrambi. Cristo ha dotato la chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza; lo Spirito Santo dimora in essa, la vivifica con i suoi doni e carismi, la santifica, guida e rinnova continuamente. Ne deriva una relazione singolare e unica, che, pur non escludendo l'opera di Cristo e dello Spirito fuori dei confini visibili della chiesa, conferisce a essa un ruolo specifico e necessario. Di qui anche lo speciale legame della chiesa col regno di Dio e di Cristo, che essa ha "la missione di annunziare e di instaurare in tutte le genti".

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19. E' in questa visione d'insieme che si comprende la realtà del Regno. Certo, esso esige la promozione dei beni umani e dei valori che si possono ben dire "evangelici", perché sono intimamente legati alla "buona novella". Ma questa promozione, che pure sta a cuore alla chiesa, non deve essere distaccata né contrapposta agli altri suoi compiti fondamentali, come l'annunzio del Cristo e del suo vangelo, la fondazione e lo sviluppo di comunità che attuano tra gli uomini l'immagine viva del Regno. Non si tema di cadere con ciò in una forma di "ecclesiocentrismo". Paolo VI, che ha affermato l'esistenza di "un legame profondo tra il Cristo, la chiesa e l'evangelizzazione", ha pure detto che la chiesa "non è fine a se stessa, ma fervidamente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo, e tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini".

La chiesa a servizio del Regno


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20. La chiesa è effettivamente e concretamente a servizio del Regno. Lo è, anzitutto, con l'annunzio che chiama alla conversione: è, questo, il primo e fondamentale servizio alla venuta del Regno nelle singole persone e nella società umana. La salvezza escatologica inizia già ora nella novità di vita in Cristo: "A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome" (Gv 1,12). La chiesa, poi, serve il Regno fondando comunità e istituendo chiese particolari e portandole alla maturazione della fede e della carità nell'apertura verso gli altri, nel servizio alla persona e alla società, nella comprensione e stima delle istituzioni umane.

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La chiesa, inoltre, serve il Regno diffondendo nel mondo i "valori evangelici", che del Regno sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio. E' vero, dunque, che la realtà incipiente del Regno può trovarsi anche al di là dei confini della chiesa nell'umanità intera, in quanto questa viva i "valori evangelici" e si apra all'azione dello Spirito che spira dove e come vuole (cf. Gv 3,8); ma bisogna subito aggiungere che tale dimensione temporale del Regno è incompleta se non è coordinata col regno di Cristo, presente nella chiesa e proteso alla pienezza escatologica.

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Le molteplici prospettive del regno di Dio non indeboliscono i fondamenti e le finalità dell'attività missionaria, ma piuttosto li fortificano e allargano. La chiesa è sacramento di salvezza per tutta l'umanità, e la sua azione non si restringe a coloro che ne accettano il messaggio. Essa è forza dinamica nel cammino dell'umanità verso il regno escatologico, è segno e promotrice dei valori evangelici tra gli uomini. A questo itinerario di conversione al progetto di Dio la chiesa contribuisce con la sua testimonianza e con le sue attività, quali il dialogo, la promozione umana, l'impegno per la giustizia e la pace, l'educazione e la cura degli infermi, l'assistenza ai poveri e ai piccoli, tenendo sempre ferma la priorità delle realtà trascendenti e spirituali, premesse della salvezza escatologica.

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La chiesa, infine, serve il Regno anche con la sua intercessione, essendo esso per sua natura dono e opera di Dio, come ricordano la parabole evangeliche e la preghiera stessa insegnataci da Gesù. Noi dobbiamo chiederlo, accoglierlo, farlo crescere in noi; ma dobbiamo anche cooperare perché sia accolto e cresca tra gli uomini, fino a quando Cristo "consegnerà il Regno a Dio Padre" e "Dio sarà tutto in tutti" (cf. 1Cor 15,24.28).

Capitolo III: LO SPIRITO SANTO PROTAGONISTA DELLA MISSIONE

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21. "Al culmine della missione messianica di Gesù, lo Spirito Santo diventa presente nel mistero pasquale in tutta la sua soggettività divina, come colui che deve ora continuare l'opera salvifica, radicata nel sacrificio della croce. Senza dubbio quest'opera viene affidata da Gesù a uomini: agli apostoli, alla chiesa. Tuttavia, in questi uomini e per mezzo di essi, lo Spirito Santo rimane il trascendente soggetto protagonista della realizzazione di tale opera nello spirito dell'uomo e nella storia del mondo". Lo Spirito Santo invero è il protagonista di tutta la missione ecclesiale: la sua opera rifulge eminentemente nella missione ad gentes , come appare nella chiesa primitiva per la conversione di Cornelio (cf. At 10), per le decisioni circa i problemi emergenti (cf. At 15), per la scelta dei territori e dei popoli (cf. At 16,6ss). Lo Spirito opera per mezzo degli apostoli, ma nello stesso tempo opera anche negli uditori: "Mediante la sua azione, la buona novella prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito Santo che dà la vita".

L'invio "fino agli estremi confini della terra" (At 1,8)


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22. Tutti gli evangelisti, quando narrano l'incontro del Risorto con gli apostoli, concludono col mandato missionario: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,18-20; cf. Mc 16,15-18; Lc 24,46-49; Gv 20,21-23). Questo invio è invio nello Spirito, come appare chiaramente nel testo di san Giovanni: Cristo manda i suoi nel mondo, come il Padre ha mandato lui, e per questo dona loro lo Spirito. A sua volta, Luca collega strettamente la testimonianza che gli apostoli dovranno rendere a Cristo con l'azione dello Spirito, che li metterà in grado di attuare il mandato ricevuto.

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23. Le varie forme del "mandato missionario" contengono punti in comune e accenti caratteristici; due elementi, però, si ritrovano in tutte le versioni. Anzitutto, la dimensione universale del compito affidato agli apostoli: "tutte le nazioni" (Mt 28,19); "in tutto il mondo, ad ogni creatura" (Mc 16,15); "tutte le genti" (Lc 24,47); "fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). In secondo luogo, l'assicurazione data loro dal Signore che in questo compito non rimarranno soli, ma riceveranno la forza e i mezzi per svolgere la loro missione. E' in ciò la presenza e la potenza dello Spirito e l'assistenza di Gesù: "Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro" (Mc 16,20).

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Quanto alle differenze di accento nel mandato, Marco presenta la missione come proclamazione, o kérygma : "Proclamate il vangelo" (Mc 16,15). Scopo dell'evangelista è di condurre i lettori a ripetere la confessione di Pietro: "Tu sei il Cristo" (Mc 8,29) e a dire, come il centurione romano dinanzi a Gesù morto in croce: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio" (Mc 15,39). In Matteo l'accento missionario è posto sulla fondazione della chiesa e sul suo insegnamento (cf. Mt 28,19-20; 16,18); in lui, dunque, il mandato evidenzia che la proclamazione del vangelo dev'essere completata da una specifica catechesi di ordine ecclesiale e sacramentale. In Luca la missione è presentata come testimonianza (cf. Lc 24,48; At 1,8), che verte soprattutto sulla risurrezione (cf. At 1,22). Il missionario è invitato a credere alla potenza trasformatrice del vangelo e ad annunziare ciò che Luca illustra bene, cioè la conversione all'amore e alla misericordia di Dio, l'esperienza di una liberazione integrale fino alla radice di ogni male, il peccato.

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Giovanni è il solo a parlare esplicitamente di "mandato" - parola che equivale a "missione" - collegando direttamente la missione che Gesù affida ai suoi discepoli con quella che egli stesso ha ricevuto dal Padre: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi" (Gv 20,21). Gesù dice rivolto al Padre: "Come tu mi hai mandato nel mondo anch'io li ho mandati nel mondo" (Gv 17,18). Tutto il senso missionario del Vangelo di Giovanni si trova espresso nella "preghiera sacerdotale": la vita eterna è che "conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17,3). Scopo ultimo della missione è di far partecipare della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il mondo conosca e creda (cf. Gv 17,21-23). E', questo, un significativo testo missionario, il quale fa capire che si è missionari prima di tutto per ciò che si è, come chiesa che vive profondamente l'unità nell'amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa.

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I quattro Vangeli, dunque, nell'unità fondamentale della stessa missione, attestano un certo pluralismo, che riflette esperienze e situazioni diverse nelle prime comunità cristiane. Esso è anche frutto della spinta dinamica dello stesso Spirito; invita a essere attenti ai diversi carismi missionari e alle diverse condizioni ambientali e umane. Tutti gli evangelisti, però, sottolineano che la missione dei discepoli è collaborazione con quella di Cristo: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). La missione, pertanto, non si fonda sulle capacità umane, ma sulla potenza del Risorto.

Lo Spirito guida la missione

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24. La missione della chiesa, come quella di Gesù, è opera di Dio o- come spesso dice Luca - opera dello Spirito. Dopo la risurrezione e l'ascensione di Gesù gli apostoli vivono un'esperienza forte che li trasforma: la pentecoste. La venuta dello Spirito Santo fa di essi dei testimoni e dei profeti (cf. At 1,8; 2,17-18), infondendo in loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima. Lo Spirito dà loro la capacità di testimoniare Gesù con "franchezza". Quando gli evangelizzatori escono da Gerusalemme, lo Spirito assume ancor più la funzione di "guida" nella scelta sia delle persone, sia delle vie della missione. La sua azione si manifesta specialmente nell'impulso dato alla missione che di fatto, secondo le parole di Cristo, si allarga da Gerusalemme a tutta la Giudea e Samaria e fino agli estremi confini della terra.

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Gli Atti riportano sei sintesi dei "discorsi missionari" che sono rivolti ai giudei agli inizi della chiesa (cf. At 2,22-39; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-43; 13,16-41). Questi discorsi-modello, pronunciati da Pietro e da Paolo, annunziano Gesù, invitano a "convertirsi", cioè ad accogliere Gesù nella fede e a lasciarsi trasformare in lui dallo Spirito. Paolo e Barnaba sono spinti dallo Spirito verso i pagani (cf. At 13,46-48), il che non avviene senza tensioni e problemi. Come devono vivere la loro fede in Gesù i pagani convertiti? Sono essi vincolati alla tradizione del giudaismo e alla legge della circoncisione? Nel primo concilio, che riunisce a Gerusalemme intorno agli apostoli i membri di diverse chiese, viene presa una decisione riconosciuta come derivante dallo Spirito: non è necessario che il gentile si sottometta alla legge giudaica per diventare cristiano (cf. At 15,5.11.28). Da quel momento la chiesa apre le sue porte e diventa la casa in cui tutti possono entrare e sentirsi a proprio agio, conservando la propria cultura e le proprie tradizioni, purché non siano in contrasto col vangelo.

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25. I missionari hanno proceduto lungo questa linea, tenendo ben presenti le attese e speranze, le angosce e sofferenze, la cultura dei popoli per annunziare loro la salvezza in Cristo. I discorsi di Listra e di Atene (cf. At 14,15-17; 17,22-31) sono riconosciuti come modelli per l'evangelizzazione dei pagani: in essi Paolo "entra in dialogo" con i valori culturali e religiosi dei diversi popoli. Agli abitanti della Licaonia, che praticavano una religione cosmica, egli ricorda esperienze religiose che si riferiscono al cosmo: con i greci discute di filosofia e cita i loro poeti (cf. At 17,18.26-28). Il Dio che vuol rivelare è già presente nella loro vita: è lui infatti, che li ha creati e dirige misteriosamente i popoli e la storia; tuttavia, per riconoscere il vero Dio, bisogna che abbandonino i falsi dèi che essi stessi hanno fabbricato e si aprano a colui che Dio ha inviato per colmare la loro ignoranza e soddisfare l'attesa del loro cuore. Sono discorsi che offrono un esempio di inculturazione del vangelo.

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Sotto la spinta dello Spirito, la fede cristiana si apre decisamente alle "genti", e la testimonianza del Cristo si allarga ai centri più importanti del Mediterraneo orientale per arrivare poi a Roma e all'estremo occidente. E' lo Spirito che spinge ad andare sempre oltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là delle barriere etniche e religiose, per una missione veramente universale.

Lo Spirito rende missionaria tutta la chiesa

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26. Lo Spirito spinge il gruppo dei credenti a "fare comunità", ad essere chiesa. Dopo il primo annunzio di Pietro, il giorno di pentecoste e le conversioni che ne seguirono, si forma la prima comunità (cf. At 2,42-47; 4,32-35). Uno degli scopi centrali della missione, infatti, è di riunire il popolo nell'ascolto del vangelo, nella comunione fraterna, nella preghiera e nell'eucaristia. Vivere la "comunione fraterna" ( koinonيa ) significa avere "un cuor solo e un'anima sola" (At 4,32), instaurando una comunione sotto tutti gli aspetti: umano, spirituale e materiale. Difatti, la vera comunità cristiana è impegnata anche a distribuire i beni terreni, affinché non ci siano indigenti e tutti possano avere accesso a quei beni "secondo le necessità" (At 2,45; 4,35). Le prime comunità, in cui regnavano "la letizia e la semplicità di cuore" (At 2,46), erano dinamicamente aperte e missionarie: "Godevano la stima di tutto il popolo" (At 2,47). Prima ancora di essere azione, la missione è testimonianza e irradiazione.

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27. Gli Atti indicano che la missione, indirizzata prima a Israele e poi alle genti, si sviluppa a molteplici livelli. C'è, innanzitutto, il gruppo dei Dodici che, come un unico corpo guidato da Pietro, proclama la buona novella. C'è, poi, la comunità dei credenti che, col suo modo di vivere e di operare, rende testimonianza al Signore e converte i pagani (cf. At 2,46-47). Ci sono, ancora, gli inviati speciali, destinati ad annunziare il vangelo. Così la comunità cristiana di Antiochia invia i suoi membri in missione: dopo aver digiunato, pregato e celebrato l'eucaristia, essa avverte che lo Spirito ha scelto Paolo e Barnaba per essere inviati (cf. At 13,1-4). Alle sue origini, dunque, la missione è vista come un impegno comunitario e una responsabilità della chiesa locale, che ha bisogno appunto di "missionari" per spingersi verso nuove frontiere. Accanto a quelli inviati ce n'erano altri che testimoniavano spontaneamente la novità che aveva trasformato la loro vita e collegavano poi le comunità in formazione alla chiesa apostolica. La lettura degli Atti ci fa capire che all'inizio della chiesa la missione ad gentes , pur avendo anche missionari "a vita" che vi si dedicavano per una speciale vocazione, era di fatto considerata come il frutto normale della vita cristiana, l'impegno per ogni credente mediante la testimonianza personale e l'annunzio esplicito, quando possibile.

Lo Spirito è presente e operante in ogni tempo e luogo

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28. Lo Spirito si manifesta in maniera particolare nella chiesa e nei suoi membri; tuttavia, la sua presenza e azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo. Il concilio Vaticano II ricorda l'opera dello Spirito nel cuore di ogni uomo mediante i "semi del Verbo", nelle iniziative anche religiose, negli sforzi dell'attività umana tesi alla verità, al bene, a Dio. Lo Spirito offre all'uomo "luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione"; mediante lo Spirito "l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e gustare il mistero del piano divino"; anzi, "dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale". In ogni caso la chiesa sa che l'uomo, "sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente al problema della religione", e "avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte". Lo Spirito, dunque, è all'origine stessa della domanda esistenziale e religiosa dell'uomo, la quale nasce non soltanto da situazioni contingenti, ma dalla struttura stessa del suo essere.

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La presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni. Lo Spirito, infatti, sta all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell'umanità in cammino: "Con mirabile provvidenza egli dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra". Il Cristo risorto "opera nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra". E' ancora lo Spirito che sparge i "semi del Verbo", presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo.

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29. Così lo Spirito, che "soffia dove vuole" (Gv 3,8) e "operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato", che "riempie l'universo abbracciando ogni cosa e conosce ogni voce" (Sap 1,7), ci induce ad allargare lo sguardo per considerare la sua azione presente in ogni tempo e in ogni luogo. E' un richiamo che io stesso ho fatto ripetutamente e che mi ha guidato negli incontri con i popoli più diversi. Il rapporto della chiesa con le altre religioni è dettato da un duplice rispetto: "Rispetto per l'uomo nella sua ricerca di risposte alle domande più profonde della vita e rispetto per l'azione dello Spirito nell'uomo". L'incontro inter-religioso di Assisi, esclusa ogni equivoca interpretazione, ha voluto ribadire la mia convinzione che "ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo, il quale è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo".

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Questo Spirito è lo stesso che ha operato nell'incarnazione, nella vita, morte e risurrezione di Gesù e opera nella chiesa. Non è, dunque, alternativo a Cristo, né riempie una specie di vuoto, come talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il Logos. Quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica e non può non avere riferimento a Cristo, Verbo fatto carne per l'azione dello Spirito, "per operare lui, l'Uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale".

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L'azione universale dello Spirito non va poi separata dall'azione peculiare che egli svolge nel corpo di Cristo ch'è la chiesa. Infatti, è sempre lo Spirito che agisce sia quando vivifica la chiesa e la spinge ad annunziare il Cristo, sia quando semina e sviluppa i suoi doni in tutti gli uomini e i popoli, guidando la chiesa a scoprirli, promuoverli e recepirli mediante il dialogo. Qualsiasi presenza dello Spirito va accolta con stima e gratitudine, ma il discernerla spetta alla chiesa, alla quale Cristo ha dato il suo Spirito per guidarla alla verità tutta intera (cf. Gv 16,13).

L'attività missionaria è solo agli inizi

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30. Il nostro tempo, con l'umanità in movimento e in ricerca, esige un rinnovato impulso nell'attività missionaria della chiesa. Gli orizzonti e le possibilità della missione si allargano, e noi cristiani siamo sollecitati al coraggio apostolico, fondato sulla fiducia nello Spirito. E' lui il protagonista della missione! Sono numerose nella storia dell'umanità le svolte epocali che stimolano il dinamismo missionario, e la chiesa, guidata dallo Spirito, vi ha sempre risposto con generosità e lungimiranza. Né i frutti sono mancati. Da poco è stato celebrato il millennio dell'evangelizzazione della Rus' e dei popoli slavi, mentre si sta per celebrare il cinquecentesimo anniversario dell'evangelizzazione delle Americhe. Parimenti, sono stati di recente commemorati i centenari delle prime missioni in diversi paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'Oceania. Oggi la chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes , sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l'annunzio di Cristo. Oggi a tutti i cristiani, alle chiese particolari e alla chiesa universale sono richiesti lo stesso coraggio che mosse i missionari del passato e la stessa disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito.

Capitolo IV: GLI IMMENSI ORIZZONTI DELLA MISSIONE AD GENTES


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31. Il Signore Gesù inviò i suoi apostoli a tutte le persone, a tutti i popoli e a tutti i luoghi della terra. Negli apostoli la chiesa ricevette una missione universale, che non ha confini e riguarda la salvezza nella sua integrità, secondo quella pienezza di vita che Cristo è venuto a portare (cf. Gv 10,10): essa fu "inviata a rivelare e a comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutti i popoli della terra". Tale missione è unica, avendo la stessa origine e finalità; ma all'interno di essa si danno compiti e attività diverse. Anzitutto, c'è l'attività missionaria, che chiamiamo "missione ad gentes " in riferimento al decreto conciliare: si tratta di un'attività primaria della chiesa, essenziale e mai conclusa. Infatti, la chiesa "non può sottrarsi alla missione permanente di portare il vangelo a quanti - sono milioni e milioni di uomini e donne - ancora non conoscono Cristo, redentore dell'uomo. E' questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente affida alla sua chiesa".

Un quadro religioso complesso e in movimento

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32. Oggi ci si trova di fronte a una situazione religiosa assai diversificata e cangiante: i popoli sono in movimento; realtà sociali e religiose, che un tempo erano chiare e definite, oggi evolvono in situazioni complesse. Basti pensare ad alcuni fenomeni, come l'urbanesimo, le migrazioni di massa, il movimento dei profughi, la scristianizzazione di paesi di antica cristianità, l'influsso emergente del vangelo e dei suoi valori in paesi a grandissima maggioranza non cristiana, il pullulare di messianismi e di sètte religiose. E' un rivolgimento di situazioni religiose e sociali che rende difficile applicare in concreto certe distinzioni e categorie ecclesiali, a cui si era abituati. Già prima del concilio si diceva di alcune metropoli o terre cristiane che erano diventate "paesi di missione", né la situazione è certo migliorata negli anni successivi. D'altra parte, l'opera missionaria ha prodotto abbondanti frutti in tutte le parti del mondo, per cui esistono chiese impiantate, a volte tanto solide e mature da ben provvedere ai bisogni delle proprie comunità e inviare anche personale per l'evangelizzazione in altre chiese e territori. Di qui il contrasto con aree di antica cristianità, che è necessario rievangelizzare. Alcuni, pertanto, si chiedono se sia ancora il caso di parlare di attività missionaria specifica o di ambiti precisi di essa, o se non si debba ammettere che esiste un'unica situazione missionaria, per cui non c'è che un'unica missione, dappertutto eguale.

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La difficoltà di interpretare questa realtà complessa e mutevole in ordine al mandato di evangelizzazione si manifesta già nel "vocabolario missionario": ad esempio, c'è una certa esitazione a usare i termini "missioni" e "missionari", giudicati superati e carichi di risonanze storiche negative; si preferisce usare il sostantivo "missione" al singolare e l'aggettivo "missionario" per qualificare ogni attività della chiesa. Questo travaglio denota un cambiamento reale, che ha aspetti positivi. Il cosiddetto rientro o "rimpatrio" delle missioni nella missione della chiesa, il confluire della missiologia nell'ecclesiologia e l'inserimento di entrambe nel disegno trinitario di salvezza, hanno dato un respiro nuovo alla stessa attività missionaria, concepita non già come un compito ai margini della chiesa, ma inserito nel cuore della sua vita, quale impegno fondamentale di tutto il popolo di Dio. Occorre, però, guardarsi dal rischio di livellare situazioni molto diverse e di ridurre, se non far scomparire, la missione e i missionari ad gentes. Dire che tutta la chiesa è missionaria non esclude che esista una specifica missione ad gentes , come dire che tutti i cattolici debbono essere missionari non esclude, anzi richiede che ci siano i "missionari ad gentes e a vita" per vocazione specifica.

La missione "ad gentes" conserva il suo valore

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33. Le differenze nell'attività all'interno dell'unica missione della chiesa nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si svolge. Guardando al mondo d'oggi dal punto di vista dell'evangelizzazione, si possono distinguere tre situazioni. Anzitutto, quella a cui si rivolge l'attività missionaria della chiesa: popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo vangelo non sono conosciuti, o in cui mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter incarnare la fede nel proprio ambiente e annunziarla ad altri gruppi. E', questa, propriamente, la missione ad gentes.

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Ci sono, poi, comunità cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita, irradiano la testimonianza del vangelo nel loro ambiente e sentono l'impegno della missione universale. In esse si svolge l'attività o cura pastorale della chiesa. Esiste, infine, una situazione intermedia, specie nei paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa, conducendo un'esistenza lontana da Cristo e dal suo vangelo. In questo caso c'è bisogno di una "nuova evangelizzazione", o "ri-evangelizzazione".

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34. L'attività missionaria specifica, o missione ad gentes , ha come destinatari "i popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo", "coloro che sono lontani da Cristo", tra i quali la chiesa "non ha ancora messo radici" e la cui cultura non è stata ancora influenzata dal vangelo. Essa si distingue dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge a gruppi e ad ambienti non cristiani per l'assenza o insufficienza dell'annunzio evangelico e della presenza ecclesiale. Pertanto, si caratterizza come opera di annunzio del Cristo e del suo vangelo, di edificazione della chiesa locale, di promozione dei valori del Regno. La peculiarità di questa missione ad gentes deriva dal fatto che si rivolge ai non cristiani. Occorre, perciò, evitare che tale "compito più specificamente missionario, che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua chiesa", subisca un appiattimento nella missione globale di tutto il popolo di Dio e, quindi, sia trascurato o dimenticato.

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D'altronde, i confini fra cura pastorale dei fedeli, nuova evangelizzazione e attività missionaria specifica non sono nettamente definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o compartimenti stagni. Bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l'annunzio e per la fondazione di nuove chiese presso popoli o gruppi umani, in cui ancora non esistono, poiché questo è il compito della chiesa che è inviata a tutti i popoli, fino agli ultimi confini della terra. Senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare. E' da notare, altresì, una reale e crescente interdipendenza tra le varie attività salvifiche della chiesa: ciascuna influisce sull'altra, la stimola e l'aiuta. Il dinamismo missionario crea scambio tra le chiese e orienta verso il mondo esterno, con influssi positivi in tutti i sensi. Le chiese di antica cristianità, ad esempio, alle prese col drammatico compito della nuova evangelizzazione, comprendono meglio che non possono essere missionarie verso i non cristiani di altri paesi e continenti, se non si preoccupano seriamente dei non cristiani in casa propria: la missionarietà ad intra è segno credibile e stimolo per quella ad extra , e viceversa.

A tutti i popoli, nonostante le difficoltà


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35. La missione ad gentes ha davanti a sé un compito immane che non è per nulla in via di estinzione. Essa, anzi, sia dal punto di vista numerico per l'aumento demografico, sia dal punto di vista socio-culturale per il sorgere di nuove relazioni, contatti e il variare delle situazioni, sembra destinata ad avere orizzonti ancora più vasti. Il compito di annunziare Gesù Cristo presso tutti i popoli appare immenso e sproporzionato rispetto alle forze umane della chiesa. Le difficoltà sembrano insormontabili e potrebbero scoraggiare, se si trattasse di un'opera soltanto umana. In alcuni paesi è proibito l'ingresso dei missionari; in altri è vietata non solo l'evangelizzazione, ma anche la conversione e persino il culto cristiano. Altrove gli ostacoli sono di natura culturale: la trasmissione del messaggio evangelico appare irrilevante o incomprensibile, e la conversione è vista come l'abbandono del proprio popolo e della propria cultura.

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36. Né mancano le difficoltà interne al popolo di Dio, le quali anzi sono le più dolorose. Già il mio predecessore Paolo VI indicava in primo luogo "la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro; essa si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza". Grandi ostacoli alla missionarietà della chiesa sono anche le divisioni passate e presenti tra i cristiani, la scristianizzazione in paesi cristiani, la diminuzione delle vocazioni all'apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e di comunità cristiane, che non seguono nella loro vita il modello di Cristo. Ma una delle ragioni più gravi dello scarso interesse per l'impegno missionario è la mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che "una religione vale l'altra". Possiamo aggiungere- come diceva lo stesso pontefice - che ci sono anche "alibi che possono sviare dall'evangelizzazione. I più insidiosi sono certamente quelli, per i quali si pretende di trovare appoggio nel tale o tal altro insegnamento del concilio".

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Al riguardo, raccomando vivamente ai teologi e ai professionisti della stampa cristiana di intensificare il proprio servizio alla missione, per trovare il senso profondo del loro importante lavoro lungo la retta via del sentire con la chiesa. Le difficoltà interne ed esterne non debbono renderci pessimisti o inattivi. Ciò che conta - qui come in ogni settore della vita cristiana - è la fiducia che viene dalla fede, cioè dalla certezza che non siamo noi i protagonisti della missione, ma Gesù Cristo e il suo Spirito. Noi siamo soltanto collaboratori e, quando abbiamo fatto tutto quello che ci è possibile, dobbiamo dire: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,10).

Ambiti della missione "ad gentes"

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37. La missione ad gentes , in forza del mandato universale di Cristo, non ha confini. Si possono, tuttavia, delineare vari ambiti in cui essa si attua, in modo da avere il quadro reale della situazione.

a ) Ambiti territoriali. L'attività missionaria è stata normalmente definita in rapporto a territori precisi. Il concilio Vaticano II ha riconosciuto la dimensione territoriale della missione ad gentes , anche oggi importante al fine di determinare responsabilità, competenze e limiti geografici d'azione. E' vero che a una missione universale deve corrispondere una prospettiva universale: la chiesa, infatti, non può accettare che confini geografici e impedimenti politici ostacolino la sua presenza missionaria. Ma è anche vero che l'attività missionaria ad gentes , essendo diversa dalla cura pastorale dei fedeli e dalla nuova evangelizzazione dei non praticanti, si esercita in territori e presso gruppi umani ben delimitati. Il moltiplicarsi delle giovani chiese nei tempi recenti non deve illudere. Nei territori affidati a queste chiese, specie in Asia, ma anche in Africa e in America Latina e Oceania, ci sono vaste zone non evangelizzate: interi popoli e aree culturali di grande importanza in non poche nazioni non sono ancora raggiunte dall'annunzio evangelico e dalla presenza della chiesa locale. Anche in paesi tradizionalmente cristiani ci sono regioni affidate al regime speciale della missione ad gentes con gruppi e aree non evangelizzate. Si impone, quindi, anche in questi paesi non solo una nuova evangelizzazione, ma in certi casi una prima evangelizzazione.

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Le situazioni, però, non sono omogenee. Pur riconoscendo che le affermazioni circa la responsabilità missionaria della chiesa non sono credibili se non sono autenticate da un serio impegno di nuova evangelizzazione nei paesi di antica cristianità, non pare giusto equiparare la situazione di un popolo che non ha mai conosciuto Gesù Cristo con quella di un altro che l'ha conosciuto, accettato e poi rifiutato, pur continuando a vivere in una cultura che ha assorbito in gran parte i princيpi e i valori evangelici. Sono due condizioni, in rapporto alla fede, sostanzialmente diverse. Pertanto, il criterio geografico, anche se non molto preciso e sempre provvisorio, vale ancora per indicare le frontiere verso cui deve rivolgersi l'attività missionaria. Ci sono paesi e aree geografiche e culturali in cui mancano comunità cristiane autoctone; altrove queste sono talmente piccole, da non essere un segno chiaro di presenza cristiana; oppure queste comunità mancano di dinamismo per evangelizzare le loro società o appartengono a popolazioni minoritarie, non inserite nella cultura nazionale dominante. Nel continente asiatico, in particolare, verso cui dovrebbe orientarsi principalmente la missione ad gentes , i cristiani sono una piccola minoranza, anche se a volte vi si verificano significativi movimenti di conversione ed esemplari modi di presenza cristiana.

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b ) Mondi e fenomeni sociali nuovi. Le rapide e profonde trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in particolare il sud, influiscono fortemente sul quadro missionario: dove prima c'erano situazioni umane e sociali stabili, oggi tutto è in movimento. Si pensi, ad esempio, all'urbanizzazione e al massiccio incremento delle città, soprattutto dove più forte è la pressione demografica. Già ora in non pochi paesi più della metà della popolazione vive in alcune megalopoli, dove i problemi dell'uomo spesso peggiorano anche per l'anonimato in cui si sentono immerse le moltitudini.

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Nei tempi moderni l'attività missionaria si è svolta soprattutto in regioni isolate, lontane dai centri civilizzati e impervie per difficoltà di comunicazione, di lingua, di clima. Oggi l'immagine della missione ad gentes sta forse cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le grandi città, dove sorgono nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di cultura e comunicazione, che poi influiscono sulla popolazione. E' vero che la "scelta degli ultimi" deve portare a non trascurare i gruppi umani più marginali e isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le persone o i piccoli gruppi, trascurando i centri dove nasce, si può dire, un'umanità nuova con nuovi modelli di sviluppo. Il futuro delle giovani nazioni si sta formando nelle città. Parlando del futuro, non si possono dimenticare i giovani, i quali in numerosi paesi costituiscono già più della metà della popolazione. Come far giungere il messaggio di Cristo ai giovani non cristiani, che sono il futuro di interi continenti? Evidentemente i mezzi ordinari della pastorale non bastano più: occorrono associazioni e istituzioni, gruppi e centri speciali, iniziative culturali e sociali per i giovani. Ecco un campo, dove i moderni movimenti ecclesiali hanno ampio spazio per impegnarsi.

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Fra le grandi mutazioni del mondo contemporaneo, le migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo: i non cristiani giungono assai numerosi nei paesi di antica cristianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi culturali, sollecitando la chiesa all'accoglienza, al dialogo, all'aiuto e, in una parola, alla fraternità. Fra i migranti occupano un posto del tutto particolare i rifugiati, i quali meritano la massima attenzione. Essi sono ormai molti milioni nel mondo e non cessano di aumentare: sono fuggiti da condizioni di oppressione politica e di miseria disumana, da carestie e siccità di dimensioni catastrofiche. La chiesa deve assumerli nell'ambito della sua sollecitudine apostolica. Infine, si possono ricordare le condizioni di povertà, spesso intollerabile, che vengono a crearsi in non pochi paesi e sono spesso all'origine delle migrazioni di massa. La comunità dei credenti in Cristo è provocata da queste situazioni disumane: l'annunzio di Cristo e del regno di Dio deve diventare strumento di riscatto umano per queste popolazioni.

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c ) Aree culturali, o areopaghi moderni. Paolo, dopo aver predicato in numerosi luoghi, giunto ad Atene, si reca all'areopago, dove annunzia il vangelo, usando un linguaggio adatto e comprensibile in quell'ambiente (cf. At 17,22-31). L'areopago rappresentava allora il centro della cultura del dotto popolo ateniese, e oggi può essere assunto a simbolo dei nuovi ambienti in cui si deve proclamare il vangelo. Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l'umanità rendendola - come si suol dire - "un villaggio globale". I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Le nuove generazioni soprattutto crescono in modo condizionato da essi. Forse è stato un po' trascurato questo areopago: si privilegiano generalmente altri strumenti per l'annunzio evangelico e per la formazione, mentre i mass-media sono lasciati all'iniziativa di singoli o di piccoli gruppi ed entrano nella programmazione pastorale in linea secondaria. L'impegno nei mass-media, tuttavia, non ha solo lo scopo di moltiplicare l'annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché l'evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa "nuova cultura" creata dalla comunicazione moderna. E' un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici. Il mio predecessore Paolo VI diceva che "la rottura fra il vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca", e il campo dell'odierna comunicazione conferma in pieno questo giudizio.

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Molti altri sono gli areopaghi del mondo moderno, verso cui si deve orientare l'attività missionaria della chiesa. Ad esempio, l'impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei popoli; i diritti dell'uomo e dei popoli, soprattutto quelli delle minoranze; la promozione della donna e del bambino; la salvaguardia del creato sono altrettanti settori da illuminare con la luce del vangelo. E' da ricordare, inoltre, il vastissimo areopago della cultura, della ricerca scientifica, dei rapporti internazionali che favoriscono il dialogo e portano a nuovi progetti di vita. Conviene essere attenti e impegnati in queste istanze moderne. Gli uomini avvertono di essere come naviganti nel mare della vita, chiamati a sempre maggiore unità e solidarietà: le soluzioni ai problemi esistenziali vanno studiate, discusse, sperimentate col concorso di tutti. Ecco perché organismi e convegni internazionali si dimostrano sempre più importanti in molti settori della vita umana, dalla cultura alla politica, dall'economia alla ricerca. I cristiani, che vivono e lavorano in questa dimensione internazionale, debbono sempre ricordare il loro dovere di testimoniare il vangelo.

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38. Il nostro tempo è drammatico e insieme affascinante. Mentre da un lato gli uomini sembrano rincorrere la prosperità materiale e immergersi sempre più nel materialismo consumistico, dall'altro si manifestano l'angosciosa ricerca di significato, il bisogno di interiorità, il desiderio di apprendere nuove forme e modi di concentrazione e di preghiera. Non solo nelle culture impregnate di religiosità, ma anche nelle società secolarizzate è ricercata la dimensione spirituale della vita come antidoto alla disumanizzazione. Questo cosiddetto fenomeno del "ritorno religioso" non è privo di ambiguità, ma contiene anche un invito. La chiesa ha un immenso patrimonio spirituale da offrire all'umanità, in Cristo che si proclama "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). E' il cammino cristiano all'incontro con Dio, alla preghiera, all'ascesi, alla scoperta del senso della vita. Anche questo è un areopago da evangelizzare.

Fedeltà a Cristo e promozione della libertà dell'uomo

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39. Tutte le forme dell'attività missionaria sono contrassegnate dalla consapevolezza di promuovere la libertà dell'uomo annunciando a lui Gesù Cristo. La chiesa deve essere fedele a Cristo, di cui è il corpo e continua la missione. E' necessario che essa "segua la stessa strada seguita da Cristo, la strada della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé fino alla morte, da cui poi risorgendo uscì vincitore". La chiesa, quindi, ha il dovere di fare di tutto per svolgere la sua missione nel mondo e raggiungere tutti i popoli; e ne ha anche il diritto, che le è stato dato da Dio per l'attuazione del suo piano. La libertà religiosa, talvolta ancora limitata o coartata, è la premessa e la garanzia di tutte le libertà che assicurano il bene comune delle persone e dei popoli. E' da auspicare che l'autentica libertà religiosa sia concessa a tutti in ogni luogo, ed a questo scopo la chiesa si adopera nei vari paesi, specie in quelli a maggioranza cattolica, dove essa ha un maggiore influsso. Ma non si tratta di un problema della religione di maggioranza o di minoranza, bensì di un diritto inalienabile di ogni persona umana.

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D'altra parte, la chiesa si rivolge all'uomo nel pieno rispetto della sua libertà: la missione non coarta la libertà, ma piuttosto la favorisce. La chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza. A coloro che si oppongono con i più vari pretesti all'attività missionaria della chiesa ripeto: "Aprite le porte a Cristo!". Mi rivolgo a tutte le chiese particolari, giovani e antiche. Il mondo va sempre più unificandosi, lo spirito evangelico deve portare al superamento di barriere culturali e nazionalistiche, evitando ogni chiusura. Benedetto XV ammoniva già i missionari del suo tempo se mai, "dimentichi della propria dignità, pensassero più alla loro patria terrestre che a quella del cielo". La stessa raccomandazione vale oggi per le chiese particolari: Aprite le porte ai missionari, poiché "ogni chiesa particolare, che si separasse volontariamente dalla chiesa universale, perderebbe il suo riferimento al disegno di Dio e si impoverirebbe nella sua dimensione ecclesiale".

Rivolgere l'attenzione verso il sud e l'oriente

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40. L'attività missionaria rappresenta ancor oggi la massima sfida per la chiesa. Mentre si avvicina la fine del secondo millennio della redenzione, si fa sempre più evidente che le genti che non hanno ancora ricevuto il primo annunzio di Cristo sono la maggioranza dell'umanità. Il bilancio dell'attività missionaria nei tempi moderni è certo positivo: la chiesa è stata fondata in tutti i continenti, anzi oggi la maggioranza dei fedeli e delle chiese particolari non è più nella vecchia Europa, ma nei continenti che i missionari hanno aperto alla fede. Rimane, però, il fatto che gli "ultimi confini della terra", a cui si deve portare il vangelo, si allontanano sempre più, e la sentenza di Tertulliano, secondo cui il vangelo è stato annunziato in tutta la terra e a tutti i popoli, è ben lontana dalla sua concreta attuazione: la missione ad gentes è ancora agli inizi. Nuovi popoli compaiono sulla scena mondiale e hanno anch'essi il diritto di ricevere l'annunzio della salvezza. La crescita demografica del sud e dell'oriente, in paesi non cristiani, fa aumentare di continuo il numero delle persone che ignorano la redenzione di Cristo. Bisogna, dunque, rivolgere l'attenzione missionaria verso quelle aree geografiche e quegli ambienti culturali che sono rimasti al di fuori dell'influsso evangelico. Tutti i credenti in Cristo debbono sentire, come parte integrante della loro fede, la sollecitudine apostolica di trasmetterne ad altri la gioia e la luce. Tale sollecitudine deve diventare, per così dire, fame e sete di far conoscere il Signore, quando si allarga lo sguardo agli immensi orizzonti del mondo non cristiano.

Capitolo V: LE VIE DELLA MISSIONE

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41. "L'attività missionaria non è né più né meno che la manifestazione, o epifania, e la realizzazione del disegno di Dio nel mondo e nella storia, nella quale Dio, proprio mediante la missione, attua all'evidenza la storia della salvezza". Quali vie segue la chiesa per giungere a questo risultato? La missione è una realtà unitaria, ma complessa, e si esplica in vari modi, tra cui alcuni sono di particolare importanza nella presente condizione della chiesa e del mondo.

La prima forma di evangelizzazione è la testimonianza


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42. L'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie. La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione: Cristo, di cui noi continuiamo la missione, è il "testimone" per eccellenza (Ap 1,5; 3,14) e il modello della testimonianza cristiana. Lo Spirito Santo accompagna il cammino della chiesa e l'associa alla testimonianza che egli rende a Cristo (cf. Gv 15,26-27). La prima forma di testimonianza è la vita stessa del missionario, della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un modo nuovo di comportarsi. Il missionario che, pur con tutti i limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il modello di Cristo, è un segno di Dio e delle realtà trascendenti. Ma tutti nella chiesa, sforzandosi di imitare il divin Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza, che in molti casi è l'unico modo possibile di essere missionari. La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è quella dell'attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre. La gratuità di questo atteggiamento e di queste azioni, che contrastano profondamente con l'egoismo presente nell'uomo, fa nascere precise domande che orientano a Dio e al vangelo. Anche l'impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell'uomo, la promozione umana è una testimonianza del vangelo, se è segno di attenzione per le persone ed è ordinato allo sviluppo integrale dell'uomo.

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43. Il cristiano e le comunità cristiane vivono profondamente inseriti nella vita dei rispettivi popoli e sono segno del vangelo anche nella fedeltà alla loro patria, al loro popolo, alla cultura nazionale, sempre però nella libertà che Cristo ha portato. Il cristianesimo è aperto alla fratellanza universale, perché tutti gli uomini sono figli dello stesso Padre e fratelli in Cristo. La chiesa è chiamata a dare la sua testimonianza a Cristo assumendo posizioni coraggiose e profetiche di fronte alla corruzione del potere politico o economico; non cercando essa stessa gloria e beni materiali; usando dei suoi beni per il servizio dei più poveri ed imitando la semplicità di vita del Cristo. La chiesa e i missionari debbono dare anche la testimonianza dell'umiltà, rivolta anzitutto verso se stessi, che si traduce nella capacità di un esame di coscienza a livello personale e comunitario, per correggere nei propri comportamenti quanto è anti-evangelico e sfigura il volto di Cristo.

Il primo annunzio di Cristo salvatore


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44. L'annunzio ha la priorità permanente nella missione: la chiesa non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo, non può privare gli uomini della "buona novella" che sono amati e salvati da Dio. "L'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo... la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e di misericordia di Dio stesso". Tutte le forme dell'attività missionaria tendono verso questa proclamazione che rivela e introduce nel mistero nascosto nei secoli e svelato in Cristo( cf. Ef 3,3-9; Col 1,25-29), il quale è nel cuore della missione e della vita della chiesa, come cardine di tutta l'evangelizzazione. Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce "nel mistero dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui" e apre la via alla conversione. La fede nasce dall'annunzio, e ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun fedele a tale annunzio. Come l'economia salvifica è incentrata in Cristo, così l'attività missionaria tende alla proclamazione del suo mistero.

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L'annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto: in lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la "vita nuova", divina ed eterna. E' questa la "buona novella", che cambia l'uomo e la storia dell'umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell'uomo e dei popoli che lo ricevono. La salvezza e la liberazione, che Cristo ha portato, riguardano l'intera vita dell'uomo nel tempo e nell'eternità, cominciando qui e già ora e trasformando la vita delle persone e delle comunità con lo spirito evangelico. Esso, inoltre, deve essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle circostanze. In esso lo Spirito è all'opera e instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l'uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre.

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45. Essendo fatto in unione con l'intera comunità ecclesiale, l'annunzio non è mai un fatto personale. Il missionario è presente e opera in virtù di un mandato ricevuto e, anche se si trova solo, è collegato mediante vincoli invisibili, ma profondi, all'attività evangelizzatrice di tutta la chiesa. Gli ascoltatori, prima o poi, intravedono dietro a lui la comunità che lo ha mandato e lo sostiene. L'annunzio è animato dalla fede, che suscita entusiasmo e fervore nel missionario. Come si è detto, gli Atti definiscono tale atteggiamento con la parola parresيa , che significa parlare con franchezza e coraggio, e questo termine ricorre anche in san Paolo: "Nel nostro Dio abbiamo avuto il coraggio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte" (1Ts 2,2). "Pregate... anche per me, perché quando apro la bocca, mi sia data una parola franca per far conoscere il mistero del vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere" (Ef 6,18-20).

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Nell'annunziare Cristo ai non cristiani il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l'azione dello Spirito, un'attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L'entusiasmo nell'annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa, sicché il missionario non si scoraggia né desiste dalla sua testimonianza, anche quando è chiamato a manifestare la sua fede in un ambiente ostile o indifferente. Egli sa che lo Spirito del Padre parla in lui (cf. Mt 10,17-20; Lc 12,11-12) e può ripetere con gli apostoli: "Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo" (At 5,32). Egli sa che non annunzia una verità umana, ma la "parola di Dio", la quale ha una sua intrinseca e misteriosa potenza (cf. Rm 1,16). La prova suprema è il dono della vita, fino ad accettare la morte per testimoniare la fede in Gesù Cristo. Come sempre nella storia cristiana, i "martiri", cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del vangelo. Anche nella nostra epoca ce ne sono tanti: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a volte eroi sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi gli annunziatori e i testimoni per eccellenza.

Conversione e battesimo


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46. L'annunzio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della Trinità: è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e "confessarlo" (cf. 1Cor 12,3). Di chi si accosta a lui mediante la fede Gesù dice: "Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato" (Gv 6,44). La conversione si esprime fin dall'inizio con una fede totale e radicale, che non pone né limiti né remore al dono di Dio. Al tempo stesso, però, essa determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta l'esistenza, esigendo un passaggio continuo dalla "vita secondo la carne" alla "vita secondo lo Spirito" (cf. Rm 8,3-13). Essa significa accettare, con decisione personale, la sovranità salvifica di Cristo e diventare suoi discepoli.

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A questa conversione la chiesa chiama tutti, sull'esempio di Giovanni Battista, che preparava la via a Cristo, "predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati" (Mc 1,4), e di Cristo stesso, il quale, "dopo che Giovanni fu arrestato, ... si recò in Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo"" (Mc 1,14-15). Oggi l'appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani, è messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di "proselitismo"; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la "buona novella" di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione. La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù alla samaritana: "Se tu conoscessi il dono di Dio", e nel desiderio inconsapevole, ma ardente della donna: "Signore, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete" (Gv 4,10.15).

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47. Gli apostoli, mossi dallo Spirito Santo, invitavano tutti a cambiare vita, a convertirsi e a ricevere il battesimo. Subito dopo l'evento della pentecoste, Pietro parla alla folla in modo convincente: "All'udir tutto questo, si sentirono come trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse: "Convertitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo"" (At 2,37-38). E battezzò in quel giorno circa tremila persone. Pietro ancora, dopo la guarigione dello storpio, parla alla folla e ripete: "Convertitevi, dunque, e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati!" (At 3,19).

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La conversione a Cristo è connessa col battesimo: lo è non solo per la prassi della chiesa, ma per volere di Cristo, che ha inviato a far discepole tutte le genti e a battezzarle (cf. Mt 28,19); lo è anche per l'intrinseca esigenza di ricevere la pienezza della vita in lui: "In verità, in verità ti dico - Gesù dice a Nicodemo - se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio" (Gv 3,5). Il battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito Santo: esso non è un semplice suggello della conversione, quasi un segno esteriore che la dimostri e l'attesti, bensì è sacramento che significa e opera questa nuova nascita dallo Spirito, instaura vincoli reali e inscindibili con la Trinità, rende membri del corpo di Cristo, ch'è la chiesa.

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Tutto questo va ricordato, perché non pochi, proprio dove si svolge la missione ad gentes , tendono a scindere la conversione a Cristo dal battesimo, giudicandolo come non necessario. E' vero che in certi ambienti si notano aspetti sociologici relativi al battesimo che ne oscurano il genuino significato di fede. Ciò è dovuto a diversi fattori storici e culturali, che bisogna rimuovere dove ancora sussistono, affinché il sacramento della rigenerazione spirituale appaia in tutto il suo valore: a questo compito devono dedicarsi le comunità ecclesiali locali. E' vero anche che non poche persone affermano di essere interiormente impegnate con Cristo e col suo messaggio, ma non lo vogliono essere sacramentalmente, perché, a causa dei loro pregiudizi o delle colpe dei cristiani, non riescono a percepire la vera natura della chiesa, mistero di fede e di amore. Desidero incoraggiare queste persone ad aprirsi pienamente a Cristo ricordando ad esse che, se sentono il fascino di Cristo, egli stesso ha voluto la chiesa come "luogo" in cui possono di fatto incontrarlo. Al tempo stesso, invito i fedeli e le comunità cristiane a testimoniare autenticamente Cristo con la loro vita nuova.

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Certo, ogni convertito è un dono fatto alla chiesa e comporta per essa una grave responsabilità non solo perché va preparato al battesimo col catecumenato e poi seguito con l'istruzione religiosa, ma perché, specialmente se è adulto, porta come un'energia nuova, l'entusiasmo della fede, il desiderio di trovare nella chiesa stessa il vangelo vissuto. Sarebbe per lui una delusione se, entrato nella comunità ecclesiale, vi trovasse una vita priva di fervore e senza segni di rinnovamento. Non possiamo predicare la conversione, se non ci convertiamo noi stessi ogni giorno.

Formazione di chiese locali

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48. La conversione e il battesimo immettono nella chiesa, dove già esiste, o richiedono la costituzione di nuove comunità che confessano Gesù Salvatore e Signore. Ciò fa parte del disegno di Dio, a cui è piaciuto "di chiamare gli uomini a partecipare alla sua stessa vita non tanto a uno a uno, ma di riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero in unità". La missione ad gentes ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane, sviluppare chiese fino alla loro completa maturazione. E', questa, una mèta centrale e qualificante dell'attività missionaria, al punto che questa non si può dire esplicata finché non riesce a edificare una nuova chiesa particolare, normalmente funzionante nell'ambiente locale. Di ciò parla ampiamente il decreto Ad gentes , e dopo il concilio si è sviluppata una linea teologica per sottolineare che tutto il mistero della chiesa è contenuto in ciascuna chiesa particolare, purché questa non si isoli, ma rimanga in comunione con la chiesa universale e si faccia, a sua volta, missionaria. Si tratta di un grande e lungo lavoro, del quale è difficile indicare le tappe precise in cui cessa l'azione propriamente missionaria e si passa all'attività pastorale. Ma alcuni punti debbono restare chiari.

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49. E' necessario, anzitutto, cercare di stabilire in ogni luogo comunità cristiane, che siano "segno della presenza divina nel mondo" e crescano fino a divenire chiese. Nonostante l'alto numero delle diocesi, esistono tuttora vaste aree in cui le chiese locali sono del tutto assenti o insufficienti rispetto alla vastità del territorio e alla densità della popolazione: rimane da compiere un grande lavoro di impianto e di sviluppo della chiesa. Questa fase della storia ecclesiale, detta plantatio ecclesiae , non è terminata, anzi in molti raggruppamenti umani deve ancora iniziare. La responsabilità di tale compito ricade sulla chiesa universale e sulle chiese particolari, su tutto il popolo di Dio e su tutte le forze missionarie. Ogni chiesa, anche quella formata da neoconvertiti, è per sua natura missionaria, è evangelizzata ed evangelizzante, e la fede va sempre presentata come dono di Dio da vivere in comunità (famiglie, parrocchie, associazioni) e da irradiare all'esterno sia con la testimonianza di vita che con la parola. L'azione evangelizzatrice della comunità cristiana, prima sul proprio territorio e poi altrove come partecipazione alla missione universale, è il segno più chiaro della maturità della fede. Occorre un radicale cambiamento di mentalità per diventare missionari, e questo vale sia per le persone sia per le comunità. Il Signore chiama sempre a uscire da se stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede. Alla luce di questo imperativo missionario si dovrà misurare la validità degli organismi, movimenti, parrocchie e opere di apostolato della chiesa. Solo diventando missionaria la comunità cristiana potrà superare divisioni e tensioni interne e ritrovare la sua unità e il suo vigore di fede.

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Le forze missionarie, provenienti da altre chiese e paesi, devono operare in comunione con quelle locali per lo sviluppo della comunità cristiana. In particolare, tocca a esse - sempre secondo le direttive dei vescovi e in collaborazione con i responsabili del posto- promuovere la diffusione della fede e l'espansione della chiesa negli ambienti e gruppi non cristiani, animare in senso missionario le chiese locali, cosicché la preoccupazione pastorale sia sempre abbinata a quella per la missione ad gentes. Ogni chiesa farà allora veramente sua la sollecitudine di Cristo, buon Pastore, che si prodiga per il suo gregge, ma al tempo stesso pensa alle "altre pecore che non sono di quest'ovile" (Gv 10,16).

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50. Tale sollecitudine costituirà un motivo e uno stimolo per un rinnovato impegno ecumenico. I legami esistenti tra attività ecumenica e attività missionaria rendono necessario considerare due fattori concomitanti. Da una parte, si deve riconoscere che "la divisione dei cristiani è di grave pregiudizio alla santa causa della predicazione del vangelo a tutti gli uomini e chiude a molti l'accesso alla fede". Il fatto che la buona novella della riconciliazione sia predicata dai cristiani tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza, ed è perciò urgente operare per l'unità dei cristiani, affinché l'attività missionaria possa riuscire più incisiva. Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che gli stessi sforzi verso l'unità costituiscono di per sé un segno dell'opera di riconciliazione che Dio conduce in mezzo a noi.

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D'altra parte, è vero che tutti quelli che hanno ricevuto il battesimo in Cristo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, tra loro. E' su questa base che si fonda l'orientamento dato dal concilio: "I cattolici, esclusa ogni forma sia di indifferentismo e di sincretismo, sia di sconsiderata concorrenza, mediante una comune - per quanto possibile - professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di fronte alle genti, mediante la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati, secondo le norme del decreto sull'ecumenismo". L'attività ecumenica e la testimonianza concorde a Gesù Cristo dei cristiani appartenenti a differenti chiese e comunità ecclesiali, hanno già recato abbondanti frutti. Ma è sempre più urgente che essi collaborino e testimonino insieme in questo tempo nel quale sètte cristiane e paracristiane seminano la confusione con la loro azione. L'espansione di queste sètte costituisce una minaccia per la chiesa cattolica e per tutte le comunità ecclesiali con le quali essa intrattiene un dialogo. Ovunque possibile e secondo le circostanze locali, la risposta dei cristiani potrà essere anch'essa ecumenica.

Le "comunità ecclesiali di base" - Forza di evangelizzazione

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51. Un fenomeno in rapida crescita nelle giovani chiese, promosso dai vescovi e dalle loro conferenze a volte come scelta prioritaria della pastorale, sono le comunità ecclesiali di base (conosciute anche con altri nomi), le quali stanno dando buona prova come centro di formazione cristiana e di irradiazione missionaria. Si tratta di gruppi di cristiani a livello familiare o di ambiente ristretto, i quali s'incontrano per la preghiera, la lettura della Scrittura, la catechesi, per la condivisione dei problemi umani ed ecclesiali in vista di un impegno comune. Esse sono un segno di vitalità della chiesa, strumento di formazione e di evangelizzazione, valido punto di partenza per una nuova società fondata sulla "civiltà dell'amore". Tali comunità decentrano e articolano la comunità parrocchiale, a cui rimangono sempre unite; si radicano in ambienti popolari e contadini, diventando fermento di vita cristiana, di attenzione per gli ultimi, di impegno per la trasformazione della società. In esse il singolo cristiano fa un'esperienza comunitaria, per cui anch'egli si sente un elemento attivo, stimolato a dare la sua collaborazione all'impegno di tutti. In tal modo esse sono strumento di evangelizzazione e di primo annunzio e fonte di nuovi ministeri, mentre, animate dalla carità di Cristo, offrono anche un'indicazione circa il modo di superare divisioni, tribalismi, razzismi.

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Ogni comunità, infatti, per essere cristiana, deve fondarsi e vivere in Cristo, nell'ascolto della parola di Dio, nella preghiera incentrata sull'eucaristia, nella comunione espressa in unità di cuore e di anima e nella condivisione secondo i bisogni dei suoi membri (cf. At 2,42-47). Ogni comunità - ricordava Paolo VI - deve vivere in unità con la chiesa particolare e universale, nella sincera comunione con i pastori e il magistero, impegnandosi nell'irradiazione missionaria ed evitando ogni chiusura e strumentalizzazione ideologica. E il sinodo dei vescovi ha affermato: "Poiché la chiesa è comunione, le nuove comunità di base, se veramente vivono in unità con la chiesa, sono una vera espressione di comunione e mezzo per costruire una comunione più profonda. Perciò, sono motivo di grande speranza per la vita della chiesa".

Incarnare il vangelo nelle culture dei popoli

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52. Svolgendo l'attività missionaria tra le genti, la chiesa incontra varie culture e viene coinvolta nel processo d'inculturazione. E', questa, un'esigenza che ne ha segnato tutto il cammino storico, ma oggi è particolarmente acuta e urgente. Il processo di inserimento della chiesa nelle culture dei popoli richiede tempi lunghi: non si tratta di un puro adattamento esteriore, poiché l'inculturazione "significa l'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture". E', dunque, un processo profondo e globale che investe sia il messaggio cristiano, sia la riflessione e la prassi della chiesa. Ma è pure un processo difficile, perché non deve in alcun modo compromettere la specificità e l'integrità della fede cristiana.

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Per l'inculturazione la chiesa incarna il vangelo nelle diverse culture e, nello stesso tempo, introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa comunità; trasmette ad esse i propri valori, assumendo ciò che di buono c'è in esse e rinnovandole dall'interno. Da parte sua, con l'inculturazione la chiesa diventa segno più comprensibile di ciò che è e strumento più atto della missione. Grazie a questa azione nelle chiese locali, la stessa chiesa universale si arricchisce di espressioni e valori nei vari settori della vita cristiana, quali l'evangelizzazione, il culto, la teologia, la carità; conosce ed esprime ancor meglio il mistero di Cristo, mentre viene stimolata a un continuo rinnovamento. Questi temi, presenti nel concilio e nel magistero successivo, ho ripetutamente affrontato nelle mie visite pastorali alle giovani chiese. L'inculturazione è un cammino lento, che accompagna tutta la vita missionaria e chiama in causa i vari operatori della missione ad gentes , le comunità cristiane man mano che si sviluppano, i pastori che hanno la responsabilità di discernere e stimolare la sua attuazione.

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53. I missionari, provenienti da altre chiese e paesi, devono inserirsi nel mondo socio-culturale di coloro ai quali sono mandati, superando i condizionamenti del proprio ambiente d'origine. Così devono imparare la lingua della regione in cui lavorano, conoscere le espressioni più significative di quella cultura, scoprendone i valori per diretta esperienza. Soltanto con questa conoscenza essi potranno portare ai popoli in maniera credibile e fruttuosa la conoscenza del mistero nascosto (cf. Rm 16,25-27; Ef 3,5). Per loro non si tratta certo di rinnegare la propria identità culturale, ma di comprendere, apprezzare, promuovere ed evangelizzare quella dell'ambiente in cui operano e, quindi, mettersi in grado di comunicare realmente con esso, assumendo uno stile di vita che sia segno di testimonianza evangelica e di solidarietà con la gente.

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Le comunità ecclesiali in formazione, ispirate dal vangelo, potranno esprimere progressivamente la propria esperienza cristiana in modi e forme originali, consone alle proprie tradizioni culturali, purché sempre in sintonia con le esigenze oggettive della stessa fede. A questo scopo, specie in ordine ai settori di inculturazione più delicati, le chiese particolari del medesimo territorio dovranno operare in comunione fra di loro e con tutta la chiesa, convinte che solo l'attenzione sia alla chiesa universale che alle chiese particolari le renderà capaci di tradurre il tesoro della fede nella legittima varietà delle sue espressioni. Perciò, i gruppi evangelizzati offriranno gli elementi per una "traduzione" del messaggio evangelico, tenendo presenti gli apporti positivi che si sono avuti nei secoli grazie al contatto del cristianesimo con le varie culture, ma senza dimenticare i pericoli di alterazioni che si sono a volte verificati.

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54. In proposito, restano fondamentali alcune indicazioni. L'inculturazione nel suo retto processo dev'essere guidata da due princìpi: "La compatibilità col vangelo e la comunione con la chiesa universale". Custodi del "deposito della fede", i vescovi cureranno la fedeltà e, soprattutto, il discernimento, per il quale occorre un profondo equilibrio: c'è, infatti, il rischio di passare acriticamente da una specie di alienazione dalla cultura a una supervalutazione di essa, che è un prodotto dell'uomo, quindi è segnata dal peccato. Anch'essa dev'essere "purificata, elevata e perfezionata". Un tale processo ha bisogno di gradualità, in modo che sia veramente espressione dell'esperienza cristiana della comunità: "Occorrerà un'incubazione del mistero cristiano nel genio del vostro popolo - diceva Paolo VI a Kampala -, perché la sua voce nativa, più limpida e più franca, si innalzi armoniosa nel coro delle voci della chiesa universale". Infine, l'inculturazione deve coinvolgere tutto il popolo di Dio, non solo alcuni esperti, poiché è noto che il popolo riflette quel genuino senso della fede che non bisogna mai perdere di vista. Essa va sì guidata e stimolata, ma non forzata, per non suscitare reazioni negative nei cristiani: dev'essere espressione di vita comunitaria, cioè maturare in seno alla comunità, e non frutto esclusivo di ricerche erudite. La salvaguardia dei valori tradizionali è effetto di una fede matura.

Il dialogo con i fratelli di altre religioni

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55. Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della chiesa. Inteso come metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco, esso non è in contrapposizione con la missione ad gentes , anzi ha speciali legami con essa e ne è un'espressione. Tale missione, infatti, ha per destinatari gli uomini che non conoscono Cristo e il suo vangelo, e in gran maggioranza appartengono ad altre religioni. Dio chiama a sé tutte le genti in Cristo, volendo loro comunicare la pienezza della sua rivelazione e del suo amore; né manca di rendersi presente in tanti modi non solo ai singoli individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo "lacune, insufficienze ed errori". Tutto ciò il concilio e il successivo magistero hanno ampiamente sottolineato, mantenendo sempre fermo che la salvezza viene da Cristo e il dialogo non dispensa dall'evangelizzazione. Alla luce dell'economia di salvezza, la chiesa non vede un contrasto fra l'annuncio del Cristo e il dialogo inter-religioso; sente, però, la necessità di comporli nell'ambito della sua missione ad gentes. Occorre, infatti, che questi due elementi mantengano il loro legame intimo e, al tempo stesso, la loro distinzione, per cui non vanno né confusi, né strumentalizzati, né giudicati equivalenti come se fossero intercambiabili.

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Ho scritto recentemente ai vescovi dell'Asia: "Anche se la chiesa riconosce volentieri quanto c'è di vero e di santo nelle tradizioni religiose del buddhismo, dell'induismo e dell'islam - riflessi di quella verità che illumina tutti gli uomini -, ciò non diminuisce il suo dovere e la sua determinazione a proclamare senza esitazioni Gesù Cristo, che è "la via, la verità e la vita"... Il fatto che i seguaci di altre religioni possano ricevere la grazia di Dio ed essere salvati da Cristo indipendentemente dai mezzi ordinari che egli ha stabilito, non cancella affatto l'appello alla fede e al battesimo che Dio vuole per tutti i popoli". Cristo stesso, infatti, "inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo, ha confermato simultaneamente la necessità della chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il battesimo come per una porta". Il dialogo deve esser condotto e attuato con la convinzione che la chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza.

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56. Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole. Con esso la chiesa intende scoprire i "germi del Verbo", i "raggi della verità che illumina tutti gli uomini", germi e raggi che si trovano nelle persone e nelle tradizioni religiose dell'umanità. Il dialogo si fonda sulla speranza e la carità e porterà frutti nello Spirito. Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell'azione dello Spirito, sia ad approfondire la propria identità e a testimoniare l'integrità della rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti.

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Deriva da qui lo spirito che deve animare tale dialogo nel contesto della missione. L'interlocutore dev'essere coerente con le proprie tradizioni e convinzioni religiose e aperto a comprendere quelle dell'altro, senza dissimulazioni o chiusure, ma con verità, umiltà, lealtà, sapendo che il dialogo può arricchire ognuno. Non ci deve essere nessuna abdicazione né irenismo, ma la testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi. Il dialogo tende alla purificazione e conversione interiore che, se perseguìta con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa.

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57. Al dialogo si apre un vasto campo, potendo esso assumere molteplici forme ed espressioni: dagli scambi tra esperti delle tradizioni religiose o rappresentanti ufficiali di esse alla collaborazione per lo sviluppo integrale e la salvaguardia dei valori religiosi; dalla comunicazione delle rispettive esperienze spirituali al cosiddetto "dialogo di vita", per cui i credenti delle diverse religioni testimoniano gli uni agli altri nell'esistenza quotidiana i propri valori umani e spirituali e si aiutano a viverli per edificare una società più giusta e fraterna. Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo, anche se non nello stesso grado e forma. Per esso è indispensabile l'apporto dei laici, che "con l'esempio della loro vita e con la propria azione possono favorire il miglioramento dei rapporti tra seguaci delle diverse religioni", mentre alcuni di loro potranno pure dare un contributo di ricerca e di studio. Sapendo che non pochi missionari e comunità cristiane trovano nella via difficile e spesso incompresa del dialogo l'unica maniera di rendere sincera testimonianza a Cristo e generoso servizio all'uomo, desidero incoraggiarli a perseverare con fede e carità, anche là dove i loro sforzi non trovano accoglienza e risposta. Il dialogo è una via verso il Regno e darà sicuramente i suoi frutti, anche se tempi e momenti sono riservati al Padre (cf. At 1,7). Promuovere lo sviluppo educando le coscienze

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58. La missione ad gentes si svolge ancor oggi, per gran parte, in quelle regioni del sud del mondo, dove è più urgente l'azione per lo sviluppo integrale e la liberazione da ogni oppressione. La chiesa ha sempre saputo suscitare, nelle popolazioni che ha evangelizzato, la spinta verso il progresso, e oggi i missionari più che in passato sono riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi ed esperti internazionali, i quali restano ammirati del fatto che si ottengano notevoli risultati con scarsi mezzi. Nell'enciclica Sollicitudo rei socialis ho affermato che "la chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire al sottosviluppo in quanto tale", ma "dà il primo contributo alla soluzione dell'urgente problema dello sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull'uomo, applicandola a una situazione concreta". La Conferenza dei vescovi latino-americani a Puebla ha affermato che "il miglior servizio al fratello è l'evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente". La missione della chiesa non è di operare direttamente sul piano economico o tecnico o politico o di dare un contributo materiale allo sviluppo, ma consiste essenzialmente nell'offrire ai popoli non un "avere di più", ma un "essere di più", risvegliando le coscienze col vangelo. "L'autentico sviluppo umano deve affondare le sue radici in un'evangelizzazione sempre più profonda".

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La chiesa e i missionari sono promotori di sviluppo anche con le loro scuole, ospedali, tipografie, università, fattorie agricole sperimentali. Ma lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. E' l'uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica. La chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano, ma non conoscono, la grandezza dell'uomo creato a immagine di Dio e da lui amato, l'eguaglianza di tutti gli uomini come figli di Dio, il dominio sulla natura creata e posta a servizio dell'uomo, il dovere di impegnarsi per lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini.

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59. Col messaggio evangelico la chiesa offre una forza liberante e fautrice di sviluppo proprio perché porta alla conversione del cuore e della mentalità, fa riconoscere la dignità di ciascuna persona, dispone alla solidarietà, all'impegno, al servizio dei fratelli, inserisce l'uomo nel progetto di Dio, che è la costruzione del regno di pace, di giustizia a partire già da questa vita. E' la prospettiva biblica dei "cieli nuovi e terra nuova" (cf. Is 65,17; 2Pt 3,13; Ap 21,1), la quale ha inserito nella storia lo stimolo e la mèta per l'avanzamento dell'umanità. Lo sviluppo dell'uomo viene da Dio, dal modello di Gesù uomo-Dio, e deve portare a Dio. Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione dell'uomo c'è una stretta connessione.

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Il contributo della chiesa e della sua opera evangelizzatrice per lo sviluppo dei popoli riguarda non soltanto il sud del mondo, per combattervi la miseria materiale e il sottosviluppo, ma anche il nord, che è esposto alla miseria morale e spirituale causata dal "supersviluppo". Certa modernità a-religiosa, dominante in alcune parti del mondo, si basa sull'idea che, per rendere l'uomo più uomo, basti arricchire e perseguire la crescita tecnico-economica. Ma uno sviluppo senza anima non può bastare all'uomo, e l'eccesso di opulenza gli è nocivo come l'eccesso di povertà. Il nord del mondo ha costruito un tale "modello di sviluppo" e lo diffonde nel sud, dove il senso di religiosità e i valori umani che vi sono presenti rischiano di esser travolti dall'ondata del consumismo.

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"Contro la fame cambia la vita" è il motto nato in ambienti ecclesiali, che indica ai popoli ricchi la via per diventare fratelli dei poveri: bisogna ritornare a una vita più austera che favorisca un nuovo modello di sviluppo, attento ai valori etici e religiosi. L'attività missionaria apporta ai poveri la luce e lo stimolo per il vero sviluppo, mentre la nuova evangelizzazione deve, tra l'altro, creare nei ricchi la coscienza che è venuto il momento di farsi realmente fratelli dei poveri nella comune conversione allo sviluppo integrale, aperto all'Assoluto.

La carità fonte e criterio della missione

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60. "La chiesa nel mondo intero - dissi durante la mia visita in Brasile - vuol essere la chiesa dei poveri. Essa vuol estrarre tutta la verità contenuta nelle Beatitudini e soprattutto nella prima: "Beati i poveri in spirito" ... Essa vuole insegnare questa verità e vuol metterla in pratica come Gesù, che venne a fare e ad insegnare". Le giovani chiese, che per lo più vivono fra popoli afflitti da una povertà assai diffusa, esprimono spesso questa preoccupazione come parte integrante della loro missione. La Conferenza generale dell'episcopato latino-americano a Puebla, dopo aver ricordato l'esempio di Gesù, scrive che "i poveri meritano un'attenzione preferenziale, qualunque sia la condizione morale o personale in cui si trovano. Fatti a immagine e somiglianza di Dio per essere suoi figli, questa immagine è offuscata e persino oltraggiata. Perciò, Dio prende le loro difese e li ama. Ne consegue che i primi destinatari della missione sono i poveri, e la loro evangelizzazione è per eccellenza segno e prova della missione di Gesù".

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Fedele allo spirito delle beatitudini, la chiesa è chiamata alla condivisione con i poveri e gli oppressi di ogni genere. Esorto, perciò, tutti i discepoli di Cristo e le comunità cristiane, dalle famiglie alle diocesi, dalle parrocchie agli istituti religiosi, a fare una sincera revisione della propria vita nel senso della solidarietà con i poveri. Nello stesso tempo, ringrazio i missionari che con la loro presenza amorosa e il loro umile servizio operano per lo sviluppo integrale della persona e della società mediante scuole, centri sanitari, lebbrosari, case di assistenza per handicappati e anziani, iniziative per la promozione della donna e simili. Ringrazio i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici per la loro dedizione, mentre incoraggio i volontari di organizzazioni non governative, oggi sempre più numerosi, che si dedicano a queste opere di carità e di promozione umana. Sono, infatti, queste opere che testimoniano l'anima di tutta l'attività missionaria: l'amore, che è e resta il movente della missione, ed è anche "l'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. E' il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è buono".

Capitolo VI: I RESPONSABILI E GLI OPERATORI DELLA PASTORALE MISSIONARIA

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61. Non c'è testimonianza senza testimoni, come non c'è missione senza missionari. Perché collaborino alla sua missione e continuino la sua opera salvifica, Gesù sceglie e invia delle persone come suoi testimoni e apostoli: "Sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). I Dodici sono i primi operatori della missione universale: essi costituiscono un "soggetto collegiale" della missione, essendo stati scelti da Gesù per restare con lui ed essere inviati "alle pecore perdute della casa d'Israele" (Mt 10,6). Questa collegialità non impedisce che nel gruppo si distinguano singole figure, come Giacomo, Giovanni e, più di tutti, Pietro, la cui persona ha tanto rilievo da giustificare l'espressione: "Pietro e gli altri apostoli" (At 2,14.37). Grazie a lui si aprono gli orizzonti della missione universale, in cui successivamente eccellerà Paolo, che per volontà divina fu chiamato e inviato tra le genti (cf. Gal 1,15-16). Nell'espansione missionaria delle origini, accanto agli apostoli troviamo altri umili operatori che non si debbono dimenticare: sono persone, gruppi, comunità. Un tipico esempio di chiesa locale è la comunità di Antiochia, che da evangelizzata si fa evangelizzatrice e invia i suoi missionari alle genti (cf. At 13,2-3). La chiesa primitiva vive la missione come compito comunitario, pur riconoscendo nel suo seno degli "inviati speciali", o "missionari consacrati alle genti", come Paolo e Barnaba.

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62. Quanto fu fatto all'inizio del cristianesimo per la missione universale conserva la sua validità e urgenza anche oggi. La chiesa è missionaria per sua natura, poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente e esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della chiesa. Ne deriva che tutta la chiesa e ciascuna chiesa è inviata alle genti. Le stesse chiese più giovani, proprio "perché quello zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria", debbono "partecipare quanto prima e di fatto alla missione universale della chiesa, inviando anch'esse dei missionari a predicare dappertutto nel mondo il vangelo, anche se soffrono di scarsezza di clero". Molte già fanno così, e io le incoraggio vivamente a continuare. In questo vincolo essenziale di comunione tra la chiesa universale e le chiese particolari si esercita l'autentica e piena missionarietà: "In un mondo che col crollare delle distanze si fa sempre più piccolo, le comunità ecclesiali devono collegarsi fra di loro, scambiarsi energie e mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione di annunziare e vivere il vangelo... Le chiese cosiddette giovani... hanno bisogno della forza di quelle antiche, mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle più giovani, in modo che le singole chiese attingano dalla ricchezza delle altre chiese".

I primi responsabili dell'attività missionaria


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63. Come il Signore risorto conferì al collegio apostolico con a capo Pietro il mandato della missione universale, così questa responsabilità incombe innanzitutto sul collegio dei vescovi con a capo il successore di Pietro. Consapevole di questa responsabilità, negli incontri con i vescovi sento il dovere di condividerla in ordine sia alla nuova evangelizzazione che alla missione universale. Mi sono messo in cammino sulle vie del mondo, "per annunciare il vangelo, per "confermare i fratelli" nella fede, per consolare la chiesa, per incontrare l'uomo. Sono viaggi di fede... Sono altrettante occasioni di catechesi itinerante, di annuncio evangelico nel prolungamento, a tutte le latitudini, del vangelo e del magistero apostolico, dilatato alle odierne sfere planetarie".

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I fratelli vescovi sono con me direttamente responsabili dell'evangelizzazione del mondo, sia come membri del collegio episcopale, sia come pastori delle chiese particolari. In proposito il concilio dichiara: "La cura di annunziare in ogni parte della terra il vangelo appartiene al corpo dei pastori, ai quali in comune Cristo diede il mandato". Esso afferma anche che i vescovi "sono stati consacrati non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo". Questa responsabilità collegiale ha conseguenze pratiche. Parimenti, "il Sinodo dei Vescovi... tra gli affari di importanza generale deve seguire con particolare sollecitudine l'attività missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della chiesa". La stessa responsabilità si riflette, in varia misura, nelle conferenze episcopali e nei loro organismi a livello continentale, che perciò debbono offrire un proprio contributo all'impegno missionario. Ampio è pure il dovere missionario di ciascun vescovo, come pastore di una chiesa particolare. Spetta a lui "come capo e centro unitario dell'apostolato diocesano, promuovere, dirigere e coordinare l'attività missionaria... Provveda anche a che l'attività apostolica non resti limitata ai soli convertiti, ma che una giusta parte di missionari e di sussidi sia destinata all'evangelizzazione dei non cristiani".

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64. Ogni chiesa particolare deve aprirsi generosamente alle necessità delle altre. La collaborazione fra le chiese, in una reale reciprocità che le rende pronte a dare e a ricevere, è anche fonte di arricchimento per tutte e interessa i vari settori della vita ecclesiale. A questo riguardo, resta esemplare la dichiarazione dei vescovi a Puebla: "Finalmente è giunta l'ora per l'America Latina... di proiettarsi oltre le sue frontiere, ad gentes. E' certo che noi stessi abbiamo ancora bisogno di missionari, ma dobbiamo dare della nostra povertà". Con questo spirito invito i vescovi e le conferenze episcopali ad attuare generosamente quanto è previsto nella Nota direttiva, che la Congregazione per il clero ha emanato per la collaborazione tra le chiese particolari e, specialmente, per la migliore distribuzione del clero nel mondo. La missione della chiesa è più vasta della "comunione fra le chiese": questa deve essere orientata, oltre che all'aiuto per la rievangelizzazione, anche e soprattutto nel senso della missionarietà specifica. Mi appello a tutte le chiese, giovani e antiche, perché condividano con me questa preoccupazione, curando l'incremento delle vocazioni missionarie e superando le varie difficoltà.

Missionari e istituti "Ad gentes"

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65. Fra gli operatori della pastorale missionaria occupano tuttora, come in passato, un posto di fondamentale importanza quelle persone e istituzioni, a cui il decreto Ad gentes dedica lo speciale capitolo dal titolo: "I missionari". Al riguardo, s'impone un'approfondita riflessione, anzitutto per i missionari stessi, che dai cambiamenti della missione possono essere indotti a non capir più il senso della loro vocazione, a non saper più che cosa precisamente la chiesa si attenda oggi da loro. Punto di riferimento sono queste parole del concilio: "Benché l'impegno di diffondere la fede ricada su qualsiasi discepolo di Cristo in proporzione delle sue possibilità, Cristo Signore chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, per averli con sé e per inviarli a predicare alle genti. Perciò, egli, per mezzo dello Spirito Santo, che distribuisce come vuole i suoi carismi per il bene delle anime, accende nel cuore dei singoli la vocazione missionaria e insieme suscita in seno alla chiesa quelle istituzioni che si assumono come dovere specifico il compito dell'evangelizzazione, che riguarda tutta la chiesa".

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Si tratta, dunque, di una "vocazione speciale", modellata su quella degli apostoli. Essa si manifesta nella totalità dell'impegno per il servizio dell'evangelizzazione: è impegno che coinvolge tutta la persona e la vita del missionario, esigendo da lui una donazione senza limiti di forze e di tempo. Coloro che sono dotati di tale vocazione, "inviati dalla legittima autorità, si portino per spirito di fede e di obbedienza verso coloro che sono lontani da Cristo, riservandosi esclusivamente per quell'opera per la quale, come ministri del vangelo, sono stati assunti". I missionari devono sempre meditare sulla corrispondenza che il dono da loro ricevuto richiede e aggiornare la loro formazione dottrinale e apostolica.

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66. Gli istituti missionari, poi, devono impiegare tutte le risorse necessarie, mettendo a frutto la loro esperienza e creatività nella fedeltà al carisma originario, per preparare adeguatamente i candidati e assicurare il ricambio delle energie spirituali, morali e fisiche dei loro membri. Si sentano essi parte viva della comunità ecclesiale e operino in comunione con essa. Difatti, "Ogni istituto è nato per la chiesa ed è tenuto ad arricchirla con le proprie caratteristiche secondo un particolare spirito e una missione speciale", e di una tale fedeltà al carisma originario gli stessi vescovi sono custodi.

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Gli istituti missionari sono nati in genere dalle chiese di antica cristianità e storicamente sono stati strumenti della Congregazione di Propaganda fide per la diffusione della fede e la fondazione di nuove chiese. Essi accolgono oggi in misura crescente candidati provenienti dalle giovani chiese che hanno fondato, mentre nuovi istituti sono sorti proprio nei paesi che prima ricevevano solo missionari e che oggi li mandano. E' da lodare questa duplice tendenza, che dimostra la validità e l'attualità della specifica vocazione missionaria di questi istituti, tuttora "assolutamente necessari", non solo per l'attività missionaria ad gentes , com'è nella loro tradizione, ma anche per l'animazione missionaria sia nelle chiese di antica cristianità, sia in quelle più giovani.

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La vocazione speciale dei missionari ad vitam conserva tutta la sua validità: essa rappresenta il paradigma dell'impegno missionario della chiesa, che ha sempre bisogno di donazioni radicali e totali, di impulsi nuovi e arditi. I missionari e le missionarie, che hanno consacrato tutta la vita per testimoniare fra le genti il Risorto, non si lascino, dunque, intimorire da dubbi, incomprensioni, rifiuti, persecuzioni. Risveglino la grazia del loro carisma specifico e riprendano con coraggio il loro cammino, preferendo - in spirito di fede, obbedienza e comunione con i propri pastori - i posti più umili e ardui.

Sacerdoti diocesani per la missione universale


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67. Collaboratori del vescovo, i presbiteri in forza del sacramento dell'ordine sono chiamati a condividere la sollecitudine per la missione: "Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima e universale missione di salvezza, "fino agli estremi confini della terra", dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli". Per questo motivo, la stessa formazione dei candidati al sacerdozio deve mirare a dar loro "quello spirito veramente cattolico che li abitui a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, per andare incontro alle necessità della missione universale, pronti a predicare dappertutto il vangelo". Tutti i sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionari, essere aperti ai bisogni della chiesa e del mondo, attenti ai più lontani e, soprattutto, ai gruppi non cristiani del proprio ambiente. Nella preghiera e, in particolare, nel sacrificio eucaristico sentano la sollecitudine di tutta la chiesa per tutta l'umanità.

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Specialmente i sacerdoti che si trovano in aree a minoranza cristiana debbono esser mossi da singolare zelo e impegno missionario: il Signore affida loro non solo la cura pastorale della comunità cristiana, ma anche e soprattutto l'evangelizzazione dei loro compatrioti che non fanno parte del suo gregge. Essi "non mancheranno di rendersi concretamente disponibili allo Spirito Santo e al vescovo, per essere mandati a predicare il vangelo oltre i confini del loro paese. Ciò richiederà in essi non solo maturità nella vocazione, ma pure una capacità non comune di distacco dalla propria patria, etnìa e famiglia, e una particolare idoneità ad inserirsi nelle altre culture con intelligenza e rispetto".

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68. Nell'enciclica Fidei donum Pio XII con intuito profetico incoraggiò i vescovi a offrire alcuni dei loro sacerdoti per un servizio temporaneo alle chiese d'Africa, approvando le iniziative già esistenti in proposito. A venticinque anni di distanza volli sottolineare la grande novità di quel documento, "che ha fatto superare la dimensione territoriale del servizio presbiterale, per destinarlo a tutta la chiesa". Oggi risultano confermate la validità e la fruttuosità di questa esperienza: infatti, i presbiteri detti Fidei donum evidenziano in modo singolare il vincolo di comunione tra le chiese, danno un prezioso apporto alla crescita di comunità ecclesiali bisognose, mentre attingono da esse freschezza e vitalità di fede. Occorre certo che il servizio missionario del sacerdote diocesano risponda ad alcuni criteri e condizioni. Si devono inviare sacerdoti scelti fra i migliori, idonei e debitamente preparati al peculiare lavoro che li attende. Essi dovranno inserirsi nel nuovo ambiente della chiesa che li accoglie con animo aperto e fraterno e costituiranno un unico presbiterio con i sacerdoti locali, sotto l'autorità del vescovo. Auspico che lo spirito di servizio aumenti in seno al presbiterio delle chiese antiche e sia promosso in quello delle chiese più recenti.

La fecondità missionaria della consacrazione


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69. Nell'inesauribile e multiforme ricchezza dello Spirito si collocano le vocazioni degli istituti di vita consacrata, i cui membri, "dal momento che si dedicano al servizio della chiesa in forza della loro stessa consacrazione, sono tenuti all'obbligo di prestare l'opera loro in modo speciale nell'azione missionaria, con lo stile proprio dell'istituto". La storia attesta le grandi benemerenze delle famiglie religiose nella propagazione della fede e nella formazione di nuove chiese: dalle antiche istituzioni monastiche agli ordini medioevali, fino alle moderne congregazioni.

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a ) Seguendo il concilio, invito gli istituti di vita contemplativa a stabilire comunità presso le giovani chiese, per rendere "tra i non cristiani una magnifica testimonianza della maestà e della carità di Dio, come anche dell'unione che si stabilisce nel Cristo". Questa presenza è dappertutto benefica nel mondo non cristiano, specialmente in quelle regioni dove le religioni hanno in grande stima la vita contemplativa per l'ascesi e la ricerca dell'Assoluto.

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b ) Agli istituti di vita attiva addito gli immensi spazi della carità, dell'annunzio evangelico, dell'educazione cristiana, della cultura e della solidarietà verso i poveri, i discriminati, gli emarginati e oppressi. Tali istituti, tendano o meno a un fine strettamente missionario, si devono interrogare circa la loro possibilità e disponibilità a estendere la propria azione per espandere il regno di Dio. Questa richiesta è stata accolta nei tempi più recenti da non pochi istituti, ma vorrei che fosse meglio considerata e attuata per un autentico servizio. La chiesa deve far conoscere i grandi valori evangelici di cui è portatrice, e nessuno li testimonia più efficacemente di chi fa professione di vita consacrata nella castità, povertà e obbedienza, in totale donazione a Dio e in piena disponibilità a servire l'uomo e la società sull'esempio di Cristo.

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70. Una speciale parola di apprezzamento rivolgo alle religiose missionarie, nelle quali la verginità per il Regno si traduce in molteplici frutti di maternità secondo lo Spirito: proprio la missione ad gentes offre loro un campo vastissimo per "donarsi con amore in modo totale e indiviso". L'esempio e l'operosità della donna vergine, consacrata alla carità verso Dio e verso il prossimo, specie il più povero, sono indispensabili come segno evangelico presso quei popoli e culture in cui la donna deve ancora compiere un lungo cammino in ordine alla sua promozione umana e liberazione. Auguro che molte giovani donne cristiane sentano l'attrattiva di donarsi a Cristo con generosità, attingendo dalla loro consacrazione la forza e la gioia per testimoniarlo tra i popoli che lo ignorano.

Tutti i laici sono missionari in forza del battesimo

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71. I pontefici dell'età più recente hanno molto insistito sull'importanza del ruolo dei laici nell'attività missionaria. Nell'esortazione apostolica Christifideles laici anch'io ho trattato esplicitamente della "missione permanente di portare il vangelo a quanti - e sono milioni e milioni di uomini e di donne - ancora non conoscono Cristo redentore dell'uomo" e del corrispondente impegno dei fedeli laici. La missione è di tutto il popolo di Dio: anche se la fondazione di una nuova chiesa richiede l'eucaristia e, quindi, il ministero sacerdotale, tuttavia la missione, che si esplica in svariate forme, è compito di tutti i fedeli.

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La partecipazione dei laici all'espansione della fede risulta chiara, fin dai primi tempi del cristianesimo, a opera sia di singoli fedeli e famiglie, sia dell'intera comunità. Ciò ricordava già Pio XII, richiamando nella prima enciclica missionaria le vicende delle missioni laicali. Nei tempi moderni non è mancata la partecipazione attiva dei missionari laici e delle missionarie laiche. Come non ricordare l'importante ruolo svolto da queste, il loro lavoro nelle famiglie, nelle scuole, nella vita politica, sociale e culturale e, in particolare, il loro insegnamento della dottrina cristiana? Bisogna anzi riconoscere - ed è un titolo di onore - che alcune chiese hanno avuto inizio grazie all'attività dei laici e delle laiche missionarie.

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Il concilio Vaticano II ha confermato questa tradizione, illustrando il carattere missionario di tutto il popolo di Dio, in particolare l'apostolato dei laici, e sottolineando il contributo specifico che essi son chiamati a dare nell'attività missionaria. La necessità che tutti i fedeli condividano tale responsabilità non è solo questione di efficacia apostolica, ma è un dovere-diritto fondato sulla dignità battesimale, per cui "i fedeli partecipano, per la loro parte, al triplice ufficio - sacerdotale, profetico e regale - di Gesù Cristo". Essi, perciò, "sono tenuti all'obbligo generale e hanno diritto di impegnarsi, sia come singoli, sia riuniti in associazioni, perché l'annunzio della salvezza sia conosciuto ed accolto da ogni uomo in ogni luogo; tale obbligo li vincola ancora di più in quelle situazioni in cui gli uomini non possono ascoltare il vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo loro". Inoltre, per l'indole secolare, che è loro propria, hanno la particolare vocazione a "cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e orientandole secondo Dio".

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72. I settori di presenza e di azione missionaria dei laici sono molto ampi. "Il primo campo... è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia..." sul piano locale, nazionale e internazionale. All'interno della chiesa si presentano vari tipi di servizi, funzioni, ministeri e forme di animazione della vita cristiana. Ricordo, quale novità emersa in non poche chiese nei tempi recenti, il grande sviluppo dei "movimenti ecclesiali", dotati di dinamismo missionario. Quando si inseriscono con umiltà nella vita delle chiese locali e sono accolti cordialmente da vescovi e sacerdoti nelle strutture diocesane e parrocchiali, i movimenti rappresentano un vero dono di Dio per la nuova evangelizzazione e per l'attività missionaria propriamente detta. Raccomando, quindi, di diffonderli e di avvalersene per ridare vigore, soprattutto tra i giovani, alla vita cristiana e all'evangelizzazione, in una visione pluralistica dei modi di associarsi e di esprimersi.

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Nell'attività missionaria sono da valorizzare le varie espressioni del laicato, rispettando la loro indole e finalità: associazioni del laicato missionario, organismi cristiani di volontariato internazionale, movimenti ecclesiali, gruppi e sodalizi di vario genere siano impegnati nella missione ad gentes e nella collaborazione con le chiese locali. In questo modo sarà favorita la crescita di un laicato maturo e responsabile, la cui "formazione... si pone nelle giovani chiese come elemento essenziale e irrinunciabile della plantatio ecclesiae ".

L'opera dei catechisti e la varietà dei ministeri

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73. Tra i laici che diventano evangelizzatori si trovano in prima fila i catechisti. Il decreto missionario li definisce "quella schiera degna di lode, tanto benemerita dell'opera missionaria tra le genti... Essi, animati da spirito apostolico e facendo grandi sacrifici, danno un contributo singolare e insostituibile alla propagazione della fede e della chiesa". Non è senza ragione che le chiese di antica data, impegnandosi nella nuova evangelizzazione, abbiano moltiplicato i catechisti e intensificato la catechesi. "Sono i catechisti in terra di missione coloro che meritano, in modo tutto speciale, questo titolo di "catechisti"... Chiese ora fiorenti non sarebbero state edificate senza di loro".

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Anche col moltiplicarsi dei servizi ecclesiali ed extraecclesiali il ministero dei catechisti rimane sempre necessario e ha peculiari caratteristiche: i catechisti sono operatori specializzati, testimoni diretti, evangelizzatori insostituibili, che rappresentano la forza basilare delle comunità cristiane, specie nelle giovani chiese, come ho più volte affermato e constatato nei miei viaggi missionari. Il nuovo Codice di diritto canonico ne riconosce i compiti, le qualità, i requisiti.

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Ma non si può dimenticare che il lavoro dei catechisti si va facendo sempre più difficile e impegnativo per i cambiamenti ecclesiali e culturali in corso. Vale ancora oggi quanto già suggeriva il concilio: una più accurata preparazione dottrinale e pedagogica, il costante rinnovamento spirituale e apostolico, la necessità di "garantire un decoroso tenore di vita e di sicurezza sociale" ai catechisti. E' importante, altresì, favorire la creazione e il potenziamento delle scuole per catechisti, che, approvate dalle conferenze episcopali, rilascino titoli ufficialmente riconosciuti da queste ultime. 693
74. Accanto ai catechisti bisogna ricordare le altre forme di servizio alla vita della chiesa e alla missione, e gli altri operatori: animatori della preghiera, del canto e della liturgia; capi di comunità ecclesiali di base e di gruppi biblici; incaricati delle opere caritative; amministratori dei beni della chiesa; dirigenti dei vari sodalizi apostolici, insegnanti di religione nelle scuole. Tutti i fedeli laici debbono dedicare alla chiesa parte del loro tempo, vivendo con coerenza la propria fede.

La Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli e le altre strutture per l'attività missionaria

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75. I responsabili e gli operatori della pastorale missionaria devono sentirsi uniti nella comunione che caratterizza il corpo mistico. Per questo Cristo ha pregato nell'ultima cena: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21). E' in questa comunione il fondamento della fecondità della missione. Ma la chiesa è anche una comunione visibile e organica, e perciò la missione richiede pure una unione esterna e ordinata tra le diverse responsabilità e funzioni, in modo che tutte le membra "indirizzino in piena unanimità le loro forze all'edificazione della chiesa".

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Spetta al dicastero missionario "dirigere e coordinare in tutto il mondo l'opera stessa dell'evangelizzazione dei popoli e la cooperazione missionaria, salva la competenza della Congregazione per le chiese orientali". Per questo "è suo compito suscitare e distribuire, secondo i bisogni più urgenti delle regioni, i missionari... elaborare un piano organico di azione, emanare norme direttive e principi adeguati in ordine all'evangelizzazione, dare l'impulso iniziale". Non posso che confermare queste sagge disposizioni: per rilanciare la missione ad gentes occorre un centro di propulsione, di direzione e di coordinamento che è la Congregazione per l'evangelizzazione. Invito le conferenze episcopali e i loro organismi, i superiori maggiori degli ordini, congregazioni e istituti, gli organismi laicali impegnati nell'attività missionaria a collaborare fedelmente con detta Congregazione, che ha l'autorità necessaria per programmare e dirigere l'attività e la cooperazione missionaria a livello universale.

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La medesima congregazione, avendo alle spalle una lunga e gloriosa esperienza, è chiamata a svolgere un ruolo di primaria importanza sul piano della riflessione e dei programmi operativi, di cui la chiesa ha bisogno per orientarsi più decisamente verso la missione nelle sue varie forme. A questo fine, la congregazione deve mantenere strette relazioni con gli altri dicasteri della Santa Sede, con le chiese particolari e con le forze missionarie. In un'ecclesiologia di comunione, in cui la chiesa è tutta missionaria, ma al tempo stesso si confermano sempre indispensabili vocazioni e istituzioni specifiche per il lavoro ad gentes , rimane molto importante il ruolo di guida e di coordinamento del dicastero missionario per affrontare insieme le grandi questioni di comune interesse, salve le competenze proprie di ciascuna autorità e struttura.

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76. Per l'indirizzo e il coordinamento dell'attività missionaria a livello nazionale e regionale rivestono grande importanza le conferenze episcopali e i loro diversi raggruppamenti. A loro il concilio chiede di "trattare in pieno accordo le questioni più gravi e i problemi più urgenti, senza trascurare però le differenze tra luogo e luogo", nonché il problema della inculturazione. Di fatto c'è già un'ampia e regolare azione in questo campo e i frutti sono visibili. E' un'azione che deve essere intensificata e meglio raccordata con quella di altri organismi delle stesse conferenze, affinché la sollecitudine missionaria non sia demandata alla cura di un dato settore od organismo, ma sia condivisa da tutti.

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Gli stessi organismi e istituzioni, che attendono all'attività missionaria, colleghino opportunamente sforzi e iniziative. Le conferenze dei superiori maggiori, poi, abbiano questo stesso impegno nel loro ambito, in contatto con le conferenze episcopali, secondo le indicazioni e norme stabilite, ricorrendo anche a commissioni miste. Sono, infine, auspicabili incontri e forme di collaborazione tra le varie istituzioni missionarie per quanto riguarda sia la formazione e lo studio, sia l'azione apostolica da svolgere.

Capitolo VII: LA COOPERAZIONE ALL'ATTIVITA' MISSIONARIA

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77. Membri della chiesa, in forza del battesimo tutti i cristiani sono corresponsabili dell'attività missionaria. La partecipazione delle comunità e dei singoli fedeli a questo diritto-dovere è chiamata "cooperazione missionaria". Tale cooperazione si radica e si vive innanzitutto nell'essere personalmente uniti a Cristo: solo se si è uniti a lui come il tralcio alla vite (cf. Gv 15,5), si possono produrre buoni frutti. La santità di vita permette ad ogni cristiano di essere fecondo nella missione della chiesa: "Il sacro Concilio invita tutti ad un profondo rinnovamento interiore, affinché, avendo una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del vangelo, prendano la loro parte nell'attività missionaria presso le genti".

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La partecipazione alla missione universale, quindi, non si riduce ad alcune particolari attività, ma è il segno della maturità di fede e di una vita cristiana che porta frutti. Così il credente allarga i confini della sua carità, manifestando la sollecitudine per coloro che sono lontani, come per quelli che sono vicini: prega per le missioni e per le vocazioni missionarie, aiuta i missionari, ne segue l'attività con interesse e, quando ritornano, li accoglie con quella gioia con cui le prime comunità cristiane ascoltavano dagli apostoli le meraviglie che Dio aveva operato mediante la loro predicazione (cf. At 14,27).

Preghiera e sacrifici per i missionari


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78. Tra le forme di partecipazione il primo posto spetta alla cooperazione spirituale: preghiera, sacrificio, testimonianza di vita cristiana. La preghiera deve accompagnare il cammino dei missionari, perché l'annunzio della Parola sia reso efficace dalla grazia divina. San Paolo nelle sue lettere chiede spesso ai fedeli di pregare per lui, perché gli sia concesso di annunziare il vangelo con fiducia e franchezza. Alla preghiera è necessario unire il sacrificio: il valore salvifico di ogni sofferenza, accettata e offerta a Dio con amore, scaturisce dal sacrificio di Cristo, che chiama le membra del suo mistico corpo ad associarsi ai suoi patimenti, a completarli nella propria carne (cf. Col 1,24). Il sacrificio del missionario deve essere condiviso e sostenuto da quello dei fedeli. Perciò, a coloro che svolgono il loro ministero pastorale fra i malati raccomando di istruirli circa il valore della sofferenza, incoraggiandoli a offrirla a Dio per i missionari. Con tale offerta i malati diventano anch'essi missionari, come sottolineano alcuni movimenti sorti tra loro e per loro. Anche la solennità di pentecoste - inizio della missione della chiesa - è celebrata in alcune comunità come "giornata della sofferenza per le missioni".

"Eccomi, Signore! Manda me!" (cf. Is 6,8)

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79. La cooperazione si esprime, altresì, nel promuovere le vocazioni missionarie. A questo riguardo, va riconosciuta la validità delle diverse forme d'impegno missionario, ma bisogna al tempo stesso riaffermare la priorità della donazione totale e perpetua all'opera delle missioni, specialmente negli istituti e congregazioni missionari, maschili e femminili. La promozione di tali vocazioni è il cuore della cooperazione: l'annunzio del vangelo richiede annunziatori, la messe ha bisogno di operai, la missione si fa soprattutto con uomini e donne consacrati a vita all'opera del vangelo, disposti ad andare in tutto il mondo per portare la salvezza.

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Desidero, pertanto, richiamare e raccomandare questa sollecitudine per le vocazioni missionarie. Coscienti della responsabilità universale dei cristiani nel contribuire all'opera missionaria e allo sviluppo dei popoli poveri, dobbiamo tutti domandarci perché in varie nazioni, mentre crescono le offerte, minacciano di scomparire le vocazioni missionarie, che danno la vera misura della donazione ai fratelli. Le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata sono un segno sicuro della vitalità di una chiesa.

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80. Pensando a questo grave problema, rivolgo il mio appello con particolare fiducia e affetto alle famiglie ed ai giovani. Le famiglie e, soprattutto, i genitori siano consapevoli di dover portare "un particolare contributo alla causa missionaria della chiesa, coltivando le vocazioni missionarie fra i loro figli e figlie". Una vita di intensa preghiera, un senso reale del servizio del prossimo e una generosa partecipazione alle attività ecclesiali offrono alle famiglie le condizioni favorevoli per la vocazione dei giovani. Quando i genitori son pronti a consentire che uno dei figli parta per la missione, quando essi hanno chiesto al Signore tale grazia, egli li ricompenserà, nella gioia, il giorno in cui un loro figlio o figlia ascolterà la sua chiamata.

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Ai giovani stessi io chiedo di ascoltare la parola di Cristo che dice loro, come già a Simon Pietro e ad Andrea sulla riva del lago: "Venite dietro a me, e vi farò diventare pescatori di uomini" (cf. Mt 4,19). Abbiano essi il coraggio di rispondere, come Isaia: "Eccomi, Signore, sono pronto, manda me" (cf. Is 4,8). Essi avranno dinanzi a sé una vita affascinante e conosceranno la vera soddisfazione di annunciare la "buona novella" ai fratelli e sorelle che condurranno sulla via della salvezza.

"C'è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35)

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81. Sono molte le necessità materiali ed economiche delle missioni: non solo per fondare la chiesa con strutture minime (cappelle, scuole per catechisti e seminaristi, case di abitazione), ma anche per sostenere le opere di carità, di educazione e di promozione umana, campo vastissimo di azione specialmente nei paesi poveri. La chiesa missionaria dà quello che riceve, distribuisce ai poveri quello che i suoi figli più dotati di beni materiali le mettono generosamente a disposizione. Desidero a questo punto ringraziare tutti coloro che donano con sacrificio per l'opera missionaria: le loro rinunzie e la loro partecipazione sono indispensabili per costruire la chiesa e testimoniare la carità.

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Circa gli aiuti materiali è importante riguardare allo spirito col quale si dona. Per questo occorre rivedere il proprio stile di vita: le missioni non chiedono solo un aiuto, ma una condivisione con l'annunzio e la carità verso i poveri. Tutto quello che abbiamo ricevuto da Dio - la vita come i beni materiali - non è nostro, ma ci è dato in uso. La generosità nel dare va sempre illuminata e ispirata dalla fede: allora, davvero c'è più gioia nel dare che nel ricevere. La Giornata missionaria mondiale , diretta alla sensibilizzazione sul problema missionario, ma anche alla raccolta di aiuti, è un appuntamento importante nella vita della chiesa, perché insegna come donare: nella celebrazione eucaristica, cioè come offerta a Dio e per tutte le missioni del mondo.

Nuove forme di cooperazione missionaria

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82. La cooperazione si allarga oggi a forme nuove, includendo non solo l'aiuto economico, ma anche la partecipazione diretta. Situazioni nuove, connesse al fenomeno della mobilità, richiedono ai cristiani un autentico spirito missionario. Il turismo a carattere internazionale è ormai un fatto di massa e positivo, se si pratica con atteggiamento rispettoso per un mutuo arricchimento culturale, evitando ostentazione e sperperi e cercando il contatto umano. Ma ai cristiani è richiesta soprattutto la coscienza di dover essere sempre testimoni della fede e della carità di Cristo. Anche la conoscenza diretta della vita missionaria e delle nuove comunità cristiane può arricchire e rinvigorire la fede. Sono lodevoli le visite alle missioni, soprattutto da parte dei giovani che vanno per servire e fare un'esperienza forte di vita cristiana.

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Le esigenze di lavoro portano oggi numerosi cristiani di giovani comunità in aree dove il cristianesimo è sconosciuto e, talvolta, bandito o perseguitato. Ciò avviene anche per i fedeli dei paesi di antica tradizione cristiana, che lavorano temporaneamente in paesi non cristiani. Queste circostanze sono certo un'opportunità per vivere e testimoniare la fede. Nei primi secoli il cristianesimo si diffuse soprattutto perché i cristiani, viaggiando o stabilendosi in regioni in cui Cristo non era stato annunziato, testimoniavano con coraggio la loro fede e vi fondavano le prime comunità.

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Più numerosi sono i cittadini dei paesi di missione e gli appartenenti a religioni non cristiane, che vanno a stabilirsi in altre nazioni per motivi di studio e di lavoro, o costretti dalle condizioni politiche o economiche dei luoghi di origine. La presenza di questi fratelli nei paesi di antica cristianità è una sfida per le comunità ecclesiali, stimolandole all'accoglienza, al dialogo, al servizio, alla condivisione, alla testimonianza e all'annunzio diretto. In pratica, anche in paesi cristiani si formano gruppi umani e culturali che richiamano la missione ad gentes , e le chiese locali, anche con l'aiuto di persone provenienti dai paesi degli immigrati e di missionari reduci, devono occuparsi generosamente di queste situazioni. La cooperazione può anche impegnare i responsabili della politica, dell'economia, della cultura, del giornalismo, oltre che gli esperti dei vari organismi internazionali. Nel mondo moderno è sempre più difficile tracciare linee di demarcazione geografica o culturale: c'è una crescente interdipendenza fra i popoli, il che stimola alla testimonianza cristiana e all'evangelizzazione.

Animazione e formazione missionaria del popolo di Dio

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83. La formazione missionaria è opera della chiesa locale con l'aiuto dei missionari e dei loro istituti, nonché del personale delle giovani chiese. Questo lavoro deve essere inteso non come marginale, ma come centrale nella vita cristiana. Per la stessa nuova evangelizzazione dei popoli cristiani il tema missionario può essere di grande aiuto: la testimonianza dei missionari, infatti, conserva il suo fascino anche presso i lontani e i non credenti e trasmette valori cristiani. Le chiese locali, quindi, inseriscano l'animazione missionaria come elemento-cardine della loro pastorale ordinaria nelle parrocchie, nelle associazioni e nei gruppi, specie giovanili. A questo fine vale, anzitutto, l'informazione mediante la stampa missionaria e i vari sussidi audiovisivi. Il loro ruolo è di grande importanza, in quanto fanno conoscere la vita della chiesa universale, le voci e le esperienze dei missionari e delle chiese locali, presso cui essi lavorano. Occorre che nelle chiese più giovani, che non sono ancora in grado di dotarsi di una stampa e altri sussidi, gli istituti missionari dedichino personale e mezzi a queste iniziative.

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A tale formazione sono chiamati i sacerdoti e i loro collaboratori, gli educatori e insegnanti, i teologi, specie i docenti dei seminari e dei centri per i laici. L'insegnamento teologico non può né deve prescindere dalla missione universale della chiesa, dall'ecumenismo, dallo studio delle grandi religioni e della missiologia. Raccomando che soprattutto nei seminari e nelle case di formazione per religiosi e religiose si faccia un tale studio, curando anche che alcuni sacerdoti, o alunni e alunne si specializzino nei diversi campi delle scienze missiologiche. Le attività di animazione vanno sempre orientate ai loro specifici fini: informare e formare il popolo di Dio alla missione universale dalla chiesa, far nascere vocazioni ad gentes , suscitare cooperazione all'evangelizzazione. Non si può, infatti, dare un'immagine riduttiva dell'attività missionaria, come se fosse principalmente aiuto ai poveri, contributo alla liberazione degli oppressi, promozione dello sviluppo, difesa dei diritti umani. La chiesa missionaria è impegnata anche su questi fronti, ma il suo compito primario è un altro: i poveri hanno fame di Dio, e non solo di pane e di libertà, e l'attività missionaria prima di tutto deve testimoniare e annunziare la salvezza in Cristo, fondando le chiese locali, che sono poi strumenti di liberazione in tutti i sensi.

La responsabilità primaria delle Pontificie opere missionarie

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84. In quest'opera di animazione il compito primario spetta alle Pontificie opere missionarie, come più volte ho affermato nei messaggi per la Giornata missionaria mondiale. Le quattro opere - Propagazione della fede, San Pietro apostolo, Infanzia missionaria e Unione missionaria - hanno in comune lo scopo di promuovere lo spirito missionario universale in seno al popolo di Dio. L'Unione missionaria ha come fine immediato e specifico la sensibilizzazione e formazione missionaria dei sacerdoti, religiosi e religiose, che devono, a loro volta, curarla nelle comunità cristiane; essa, inoltre, mira a promuovere le altre Opere, di cui è l'anima. "La parola d'ordine deve essere questa: Tutte le chiese per la conversione di tutto il mondo".

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Essendo del papa e del collegio episcopale, anche nell'ambito delle chiese particolari queste opere occupano "giustamente il primo posto, perché sono mezzi sia per infondere nei cattolici, fin dall'infanzia, uno spirito veramente universale e missionario, sia per favorire un'adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le missioni, secondo la necessità di ciascuna". Un altro scopo delle opere missionarie è quello di suscitare vocazioni ad gentes e a vita, sia nelle chiese antiche come in quelle più giovani. Raccomando vivamente di orientare sempre più a questo fine il loro servizio di animazione. Nell'esercizio della loro attività, queste opere dipendono, a livello universale, dalla Congregazione per l'evangelizzazione e, a livello locale, dalle conferenze episcopali e dai vescovi delle singole chiese, collaborando con i centri di animazione esistenti: esse portano nel mondo cattolico quello spirito di universalità e di servizio alla missione, senza il quale non esiste autentica cooperazione.

Non solo dare alla missione, ma anche ricevere

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85. Cooperare alla missione vuol dire non solo dare, ma anche saper ricevere: tutte le chiese particolari, giovani e antiche, sono chiamate a dare e a ricevere per la missione universale e nessuna deve chiudersi in se stessa. "In forza della... cattolicità - dice il concilio - le singole parti portano i propri doni alle altre parti ed a tutta la chiesa, di modo che il tutto e le singole parti si accrescano da tutte le altre in reciproca comunione ed aspiranti alla pienezza nell'unità... Ne derivano... tra le diverse parti della chiesa vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici ed i sussidi materiali". Esorto tutte le chiese e i pastori, i sacerdoti, i religiosi, i fedeli, ad aprirsi all'universalità della chiesa, evitando ogni forma di particolarismo, di esclusivismo o sentimento di autosufficienza. Le chiese locali, pur radicate nel loro popolo e nella loro cultura, debbono tuttavia mantenere in concreto questo senso universalistico della fede, dando cioè e ricevendo dalle altre chiese doni spirituali, esperienze pastorali, di primo annunzio e di evangelizzazione, personale apostolico e mezzi materiali.

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Infatti, la tendenza a chiudersi può essere forte: le chiese antiche, impegnate per la nuova evangelizzazione, pensano che ormai la missione debbono svolgerla in casa e rischiano di frenare lo slancio verso il mondo non cristiano, concedendo a malincuore le vocazioni agli istituti missionari, alle congregazioni religiose, alle altre chiese. Ma è dando generosamente del nostro che riceveremo, e già oggi le giovani chiese, non poche delle quali conoscono una prodigiosa fioritura di vocazioni, sono in grado di inviare sacerdoti, religiosi e religiose a quelle antiche. D'altra parte, esse sentono il problema della propria identità, dell'inculturazione, della libertà di crescere senza influssi esterni, con la possibile conseguenza di chiudere le porte ai missionari. A queste chiese dico: Lungi dall'isolarvi, accogliete volentieri i missionari e i mezzi dalle altre chiese, e mandatene voi stesse nel mondo! Proprio per i problemi che vi angustiano avete bisogno di mantenervi in continua relazione con i fratelli e sorelle nella fede. Con ogni mezzo legittimo fate valere le libertà, a cui avete diritto, ricordandovi che i discepoli di Cristo hanno il dovere di "obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (At 5,29).

Dio prepara una nuova primavera del vangelo

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86. Se si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi fatti negativi, che possono indurre al pessimismo. Ma è, questo, un sentimento ingiustificato: noi abbiamo fede in Dio Padre e Signore, nella sua bontà e misericordia. In prossimità del terzo millennio della redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l'inizio. Difatti, sia nel mondo non cristiano come in quello di antica cristianità, c'è un progressivo avvicinamento dei popoli agli ideali e ai valori evangelici, che la chiesa si sforza di favorire. Oggi, infatti, si manifesta una nuova convergenza da parte dei popoli per questi valori: il rifiuto della violenza e della guerra; il rispetto della persona umana e dei suoi diritti; il desiderio di libertà, di giustizia e di fraternità; la tendenza al superamento dei razzismi e dei nazionalismi; l'affermazione della dignità e la valorizzazione della donna. La speranza cristiana ci sostiene nell'impegnarci a fondo per la nuova evangelizzazione e per la missione universale, facendoci pregare come Gesù ci ha insegnato: "Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra" (Mt 6,10).

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Gli uomini che attendono Cristo sono ancora in numero immenso: gli spazi umani e culturali, non ancora raggiunti dall'annunzio evangelico o nei quali la chiesa è scarsamente presente, sono tanto ampi, da richiedere l'unità di tutte le sue forze. Preparandosi a celebrare il giubileo del duemila, tutta la chiesa è ancor più impegnata per un nuovo avvento missionario. Dobbiamo nutrire in noi l'ansia apostolica di trasmettere ad altri la luce e la gioia della fede, e a questo ideale dobbiamo educare tutto il popolo di Dio. Non possiamo restarcene tranquilli, pensando ai milioni di nostri fratelli e sorelle, anch'essi redenti dal sangue di Cristo, che vivono ignari dell'amore di Dio. Per il singolo credente, come per l'intera chiesa, la causa missionaria deve essere la prima, perché riguarda il destino eterno degli uomini e risponde al disegno misterioso e misericordioso di Dio.

Capitolo VIII: LA SPIRITUALITA' MISSIONARIA

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87. L'attività missionaria esige una specifica spiritualità che riguarda, in particolare, quanti Dio ha chiamato ad essere missionari.

Lasciarsi condurre dallo Spirito

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Tale spiritualità si esprime, innanzitutto, nel vivere in piena docilità allo Spirito: essa impegna a lasciarsi plasmare interiormente da lui, per divenire sempre più conformi a Cristo. Non si può testimoniare Cristo senza riflettere la sua immagine, la quale è resa viva in noi dalla grazia e dall'opera dello Spirito. La docilità allo Spirito impegna poi ad accogliere i doni della fortezza e del discernimento, che sono tratti essenziali della stessa spiritualità. Emblematico è il caso degli apostoli, che durante la vita pubblica del Maestro, nonostante il loro amore per lui e la generosità della risposta alla sua chiamata, si dimostrano incapaci di comprendere le sue parole e restii a seguirlo sulla via della sofferenza e dell'umiliazione. Lo Spirito li trasformerà in testimoni coraggiosi del Cristo e annunziatori illuminati della sua Parola: sarà lo Spirito a condurli per le vie ardue e nuove della missione.

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Anche oggi la missione rimane difficile e complessa come in passato e richiede ugualmente il coraggio e la luce dello Spirito: viviamo spesso il dramma della prima comunità cristiana, che vedeva forze incredule e ostili "radunarsi insieme contro il Signore e contro il suo Cristo" (At 4,26). Come allora, oggi occorre pregare, perché Dio ci doni la franchezza di proclamare il vangelo; occorre scrutare le vie misteriose dello Spirito e lasciarsi da lui condurre in tutta la verità (cf. Gv 16,13).

Vivere il mistero di "Cristo inviato"

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88. Nota essenziale della spiritualità missionaria è la comunione intima con Cristo: non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come l'inviato ad evangelizzare. Paolo ne descrive gli atteggiamenti: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,5-8). E' qui descritto il mistero dell'incarnazione e della redenzione, come spoliazione totale di sé, che porta Cristo a vivere in pieno la condizione umana e ad aderire sino in fondo al disegno del Padre. Si tratta di un annientamento che però è permeato di amore ed esprime l'amore. La missione percorre questa stessa via e ha il suo punto di arrivo ai piedi della croce.

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Al missionario è chiesto "di rinunziare a se stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio e a farsi tutto a tutti": nella povertà che lo rende libero per il vangelo, nel distacco da persone e beni del proprio ambiente per farsi fratello di coloro ai quali è mandato, onde portare ad essi il Cristo salvatore. E' a questo che è finalizzata la spiritualità del missionario: "Mi sono fatto debole con i deboli...; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo" (1Cor 9,22-23). Proprio perché "inviato", il missionario sperimenta la presenza consolante di Cristo, che lo accompagna in ogni momento della sua vita- "Non aver paura..., perché io sono con te" (At 18,9-10) - e lo aspetta nel cuore di ogni uomo.

Amare la chiesa e gli uomini come li ha amati Gesù


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89. La spiritualità missionaria si caratterizza, ltresì, per la carità apostolica, quella del Cristo che venne "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11,52), buon Pastore che conosce le sue pecore, le ricerca e offre la sua vita per loro (cf. Gv 10). Chi ha spirito missionario sente l'ardore di Cristo per le anime e ama la chiesa, come Cristo. Il missionario è spinto dallo "zelo per le anime", che si ispira alla carità stessa di Cristo, fatta di attenzione, tenerezza, compassione, accoglienza, disponibilità, interessamento ai problemi della gente. L'amore di Gesù è molto profondo: egli, che "sapeva quello che c'è in ogni uomo" (Gv 2,25), amava tutti offrendo loro la redenzione e soffriva quando questa veniva rifiutata.

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Il missionario è l'uomo della carità: per poter annunziare a ogni fratello che è amato da Dio e che può lui stesso amare, egli deve testimoniare la carità verso tutti, spendendo la vita per il prossimo. Il missionario è il "fratello universale", porta in sé lo spirito della chiesa, la sua apertura e interesse per tutti i popoli e per tutti gli uomini, specie i più piccoli e poveri. Come tale, supera le frontiere e le divisioni di razza, casta o ideologia: è segno dell'amore di Dio nel mondo, che è amore senza nessuna esclusione né preferenza. Infine, come Cristo egli deve amare la chiesa: "Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ef 5,25). Questo amore, spinto fino a dare la vita, è per lui un punto di riferimento. Solo un amore profondo per la chiesa può sostenere lo zelo del missionario; il suo assillo quotidiano - come dice san Paolo - è "la preoccupazione per tutte le chiese" (2Cor 11,28). Per ogni missionario "la fedeltà a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua chiesa".

Il vero missionario è il santo

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90. La chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità. Ogni missionario è autenticamente tale solo se si impegna nella via della santità: "La santità deve dirsi un presupposto fondamentale e una condizione del tutto insostituibile perché si compia la missione di salvezza della chiesa". L'universale vocazione alla santità è strettamente collegata all'universale vocazione alla missione: ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione. Tale è stato il voto ardente del concilio nell'auspicare "che la luce di Cristo, riflessa sul volto della chiesa, illumini tutti gli uomini, annunziando il vangelo ad ogni creatura (cf. Mc 16,15)". La spiritualità missionaria della chiesa è un cammino verso la santità.

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La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo "ardore di santità" fra i missionari e in tutta la comunità cristiana, in particolare fra coloro che sono i più stretti collaboratori dei missionari. Ripensiamo, cari fratelli e sorelle, allo slancio missionario delle prime comunità cristiane. Nonostante la scarsezza dei mezzi di trasporto e comunicazione di allora, l'annunzio evangelico raggiunse in breve tempo i confini del mondo. E si trattava dell'annunzio della religione dell'Uomo morto in croce, "scandalo per gli ebrei e stoltezza per i gentili" (1Cor 1,23)! Alla base di un tale dinamismo missionario c'era la santità dei primi cristiani e delle prime comunità.

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91. Mi rivolgo, perciò, ai battezzati delle giovani comunità e delle giovani chiese. Siete voi, oggi, la speranza di questa nostra chiesa, che ha duemila anni: essendo giovani nella fede, dovete essere come i primi cristiani, e irradiare entusiasmo e coraggio, in generosa dedizione a Dio e al prossimo; in una parola, dovete mettervi sulla via della santità. Solo così potete essere segno di Dio nel mondo e rivivere nei vostri paesi l'epopea missionaria della chiesa primitiva. E sarete anche fermento di spirito missionario per le chiese più antiche.

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Da parte loro, i missionari riflettano sul dovere della santità, che il dono della vocazione richiede da essi, rinnovandosi di giorno in giorno nel loro spirito e aggiornando anche la loro formazione dottrinale e pastorale. Il missionario deve essere "un contemplativo in azione". Egli trova risposta ai problemi nella luce della parola di Dio e nella preghiera personale e comunitaria. Il contatto con i rappresentanti delle tradizioni spirituali non cristiane, in particolare di quelle dell'Asia, mi ha dato conferma che il futuro della missione dipende in gran parte della contemplazione. Il missionario, se non è un contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo credibile. Egli è un testimone dell'esperienza di Dio e deve poter dire come gli apostoli: "Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita..., noi lo annunziamo a voi" (1Gv 1,1-3).

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Il missionario è l'uomo delle beatitudini. Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli a evangelizzare, indicando loro le vie della missione: povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni, desiderio di giustizia e di pace, carità, cioè proprio le beatitudini, attuate nella vita apostolica (cf. Mt 5,1-12). Vivendo le beatitudini, il missionario sperimenta e dimostra concretamente che il regno di Dio è già venuto ed egli lo ha accolto. La caratteristica di ogni vita missionaria autentica è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo, l'annunziatore della "buona novella" deve essere un uomo che ha trovato in Cristo la vera speranza.

CONCLUSIONE

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92. Mai come oggi la chiesa ha l'opportunità di far giungere il vangelo, con la testimonianza e la parola, a tutti gli uomini e a tutti i popoli. Vedo albeggiare una nuova epoca missionaria, che diventerà giorno radioso e ricco di frutti, se tutti i cristiani e, in particolare, i missionari e le giovani chiese risponderanno con generosità e santità agli appelli e alle sfide del nostro tempo. Come gli apostoli dopo l'ascensione di Cristo, la chiesa deve radunarsi nel cenacolo "con Maria, la madre di Gesù" (At 1,14), per implorare lo Spirito e ottenere forza e coraggio per adempiere il mandato missionario. Anche noi, ben più degli apostoli, abbiamo bisogno di essere trasformati e guidati dallo Spirito.

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Alla vigilia del terzo millennio tutta la chiesa è invitata a vivere più profondamente il mistero di Cristo, collaborando con gratitudine all'opera della salvezza. Ciò essa fa con Maria e come Maria, sua madre e modello: è lei, Maria, il modello di quell'amore materno, dal quale devono essere animati tutti quelli che, nella missione apostolica della chiesa, cooperano alla rigenerazione degli uomini. Perciò, "confortata dalla presenza di Cristo, la chiesa cammina nel tempo verso la consumazione dei secoli e si muove incontro al Signore che viene; ma in questo cammino... procede ricalcando l'itinerario compiuto dalla Vergine Maria". Alla "mediazione di Maria, tutta orientata verso il Cristo e protesa alla rivelazione della sua potenza salvifica", affido la chiesa e, in particolare, coloro che si impegnano per l'attuazione del mandato missionario nel mondo di oggi. Come Cristo inviò i suoi apostoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, così, rinnovando lo stesso mandato, io estendo a tutti voi la benedizione apostolica nel nome della stessa Trinità santissima. Amen.

Roma, presso San Pietro, 7 dicembre - nel XXV anniversario del decreto conciliare "Ad gentes"- dell'anno 1990, decimoterzo del pontificato.

GIOVANNI PAOLO II