Paolo_VI_Beato18 Ottobre 2014

Paolo VI Beato

Monari: il Papa del Concilio, un vero maestro di spiritualità

«La beatificazione di papa Paolo VI è motivo di gioia grande per la Chiesa bresciana; ma deve diventare anche l’occasione per riscoprire la figura di questo grande Papa e accogliere l’insegnamento che attraverso di lui il Signore vuole donarci». Così si apre la lettera del vescovo di Brescia, Luciano Monari, per l’indizione dell’Anno Montiniano, che prende il via il giorno della beatificazione e si concluderà l’8 dicembre 2015, 50° di chiusura del Vaticano II.

Paolo VI, insiste Monari, «è il Papa del Concilio» che riconobbe nella «frattura tra fede e vita» la «vera sfida da affrontare e superare».

Una sfida ancora urgente. Che ha nel pontefice bresciano un riferimento decisivo. Un maestro e testimone. Da riscoprire. A tal fine: «Forse l’aspetto più interessante e meno noto della vita di papa Montini è stata la sua spiritualità», spiega Monari nella lettera ai fedeli bresciani – in oltre cinquemila, con lui a Roma, per la beatificazione. «In questo egli ha molto da insegnarci; possiamo diventare umilmente suoi alunni e cercare di apprendere da lui l’arte di amare Gesù Cristo e l’arte di amare con verità l’uomo; possiamo imparare lo zelo per l’annuncio del Vangelo e le vie per un dialogo sincero e fruttuoso».

Incontrando, il 22 giugno 2013, i pellegrini bresciani a Roma, papa Francesco ricordò proprio i «tre amori» di Paolo VI: Dio, l’uomo e la Chiesa...
Questi tre amori sono caratteristiche di Paolo VI dal punto di vista del suo vissuto umano e della sua esperienza spirituale. È stato un uomo profondo di pensiero e di spirito cristiano. Ha vissuto in modo profondo l’amore per Gesù Cristo e per la Chiesa. Aveva una percezione del bello e del limite dell’esperienza ecclesiale, ma questo non gli ha impedito di voler bene alla Chiesa con un rapporto filiale straordinario. L’amore per l’uomo credo sia incarnare l’amore di Dio in un vissuto ecclesiale completo.

Nell’enciclica «Populorum progressio», Paolo VI parla dello sviluppo come del nuovo nome della pace. Lo scenario di oggi è quello – per dirla con papa Francesco – di una «terza guerra mondiale» frammentata... Montini profeta inascoltato?
Il tema fondamentale dello sviluppo come strada necessaria per arrivare alla pace è da cogliere pienamente: si tratta di realizzarlo. L’altra intuizione feconda di Paolo VI, capace di illuminare il nostro cammino, è quella della civiltà dell’amore. E cioè che il futuro della nostra civiltà è legato alla scelta dell’amore. Non siamo ancora riusciti, e questo ci tormenta, a creare dei veri legami di conoscenza e di reciprocità tra le diverse esperienze umane: le culture sono molte e diverse. Ma per poter dialogare fra loro, hanno bisogno di un’antropologia corretta e condivisibile.

La Chiesa ha riconosciuto l’intercessione di Montini nella guarigione di un feto. Egli fu il papa della contestata enciclica «Humanae Vitae»...
Paolo VI nell’Humanae Vitae era, soprattutto, preoccupato di fare in modo che sessualità, amore e procreazione fossero collegate tra di loro. Uno dei drammi di oggi è che queste realtà si sono separate le une dalle altre, generando un’esperienza umana più povera, frammentata, tendenzialmente schizofrenica.

È ancora attuale il messaggio di quell’enciclica?
È straordinariamente moderno. Unire amore, sessualità e figli è fondamentale: il futuro della nostra società dipende molto da questo.

Paolo VI a volte è sembrato dimenticato. Perché?
C’è stata una specie di censura nei suoi confronti e nei confronti del suo insegnamento, legata alla fase di crisi e trasformazione del mondo occidentale negli anni ’60 e ’70 – gli anni della contestazione, della rivoluzione sessuale, delle battaglie per il divorzio o l’aborto... In quello scenario, il messaggio di Paolo VI era un messaggio che disturbava. Ora che certe animosità sono alle spalle, siamo nella condizione di riscoprire e apprezzare il suo magistero. Ma anche i suoi gesti, perché anche in quelli era straordinario: penso all’abbraccio con Atenagora a Gerusalemme, o quando si inginocchiò a baciare i piedi a Melitone. Sono gesti che dicono dell’umiltà con cui visse il suo servizio. Se uno apprezza papa Francesco, dovrebbe riuscire ad apprezzare Paolo VI.

(Lorenzo Rosoli su www.avvenire.it)