Perché tanti giovani vivono nel virtuale?
Amicizie elettroniche
Dietro le nuove celle d’isolamento dei giovani c’è, a volte, l’egoismo di certi genitori che hanno paura del mondo reale.
di Carlo Climati
La Bibbia è un libro straordinario, che non finisce mai di sorprenderci. Più la leggo e più mi convinco che nasconda sempre qualche messaggio nuovo, un invito da scoprire e valorizzare nel tempo.
A questo proposito, mi ha sempre colpito ciò che è scritto nella seconda lettera di San Giovanni. Il Santo, rivolgendosi ad alcuni amici, conclude la sua lettera dicendo: “Molte cose avrei da scrivervi, ma non voglio farlo per mezzo di carta e inchiostro. Spero invece di venire da voi e di parlarvi faccia a faccia, affinché la nostra gioia sia piena”.
San Giovanni, come San Paolo ed altri, utilizzava lo strumento della scrittura per raggiungere persone lontane. Duemila anni fa! Proprio come noi, oggi, usiamo internet, l’e-mail e i vari social network che abbiamo a disposizione.
Già da allora, San Giovanni si rendeva conto che la scrittura non poteva essere un mezzo perfetto per dialogare con le persone. Sentiva, comunque, il bisogno di vivere degli incontri veri, faccia a faccia con le persone. Aveva già capito, con qualche secolo d’anticipo, che per avere la “gioia piena” bisognava incontrare davvero le persone, toccarle, abbracciarle, dare loro i pizzicotti sulle guance.
Un uso avvolgente
In qualche modo, ho sempre visto nelle parole di San Giovanni un messaggio chiaro: l’invito a privilegiare i rapporti umani, a metterli prima di quelli virtuali. Intendiamoci… non c’è nulla di male nell’usare internet. Anche tu, che mi stai leggendo in questo momento, hai fatto “clic” con il mouse del tuo computer. E stai leggendo queste mie parole.
Il problema nasce quando l’uso del web diventa avvolgente, soffocante, limitante. A volte, rischia addirittura di prendere il posto della vita reale, sostituendola con un surrogato d’esistenza, in cui lo schermo si trasforma nella nuova finestra di casa, alla quale affacciarsi.
Attenzione, però! Prima di perderci nella solita critica ai giovani virtuali, immersi per ore nella rete, che non sanno comunicare eccetera, dovremmo farci tutti un bell’esame di coscienza.
La qualità della vita dei ragazzi, come sappiamo, è sempre il frutto di ciò che viene loro proposto. È lo specchio dell’epoca in cui sono immersi. È facile dire che le nuove generazioni sono appiccicati al computer, quando è la società stessa che si affretta a sostituire l’essere umano con le macchine più disparate.
Ho sempre amato molto la musica di un gruppo tedesco chiamato Kraftwerk. I loro dischi, secondo me, rappresentano una dura critica alla società di oggi, sempre più disumanizzata, in cui i robot finiranno per prendere il sopravvento nella nostra vita. La loro musica trasforma in puro suono gli scenari della società contemporanea, figlia delle lunghe autostrade, dei computer e dei calcolatori tascabili. Una musica geniale e profetica, che aveva anticipato i tempi in modo sorprendente.
Al posto dell’uomo
Oggi, se ci guardiamo intorno, dovremmo chiederci: che tipo di mondo stiamo offrendo ai giovani del terzo millennio?
Capita sempre più spesso di recarsi in banca per fare un pagamento, e di sentirsi rispondere: “Queste operazioni non le facciamo più. D’ora in poi dovrà utilizzare internet oppure lo sportello elettronico là in fondo”. E non è una tendenza che riguarda solo le banche. Presto moltissime cose che venivano fatte dalla mano umana si realizzeranno esclusivamente attraverso strumenti di plastica e metallo. Dialogheremo solo con schermi e tasti.
Di conseguenza, spariranno anche le emozioni, gli sguardi, le espressioni facciali… Scompariranno i sorrisi degli impiegati allo sportello, che aggiungevano un pizzico d’umanità alla nostra esistenza.
Il triste destino è quello di trovarci sempre di più di fronte a schermi o sportelloni elettronici, sperando che qualcuno non ci cloni la carta di credito.
Quello della relazionalità è un tema fondamentale per il futuro dei giovani. Ma ripeto e non smetterò mai di ripeterlo: quale mondo stiamo offrendo ai ragazzi del terzo millennio?
Tempo fa, mi è capitato di vedere in televisione un film in bianco e nero degli anni cinquanta. Una scena, in particolare, mi ha fatto quasi commuovere. C’era un grande cortile, dove un gruppetto di ragazzini stava facendo una partita di calcio. In un’altra parte del cortile c’erano dei bambini che giocavano a nascondino, in un’atmosfera di spensierata allegria.
Si tratta di un’immagine bellissima. Ma quante volte ci può capitare di vederla, oggi nelle grandi metropoli? Apprendiamo con dolore che sta scomparendo l’antica tradizione del cortile, dove i ragazzi si riunivano per respirare all’aria aperta ed immergersi in giochi di gruppo, festosi e creativi.
Ritrovare le emozioni
La gioventù di oggi, purtroppo, ha un modo meno creativo di trascorrere il tempo libero. È prigioniera di nuove celle d’isolamento, a volte fabbricate dalle famiglie stesse, guidate da genitori superficiali e rinunciatari.
I bambini crescono sempre più soli. Trascorrono le loro giornate in compagnia di amici virtuali, navigando su internet, immersi nei videogiochi o ipnotizzati da interminabili programmi televisivi.
Molti genitori pensano che sia meglio tenere il proprio bambino in casa, “al sicuro”. Nel parco o nel cortile, sotto casa, potrebbe nascondersi qualche pedofilo in agguato.
E così, egoisticamente, ci si sente più tranquilli con un figlio imbambolato davanti al computer. Non ci si rende conto che in questo modo, lo si priva di una tappa importante del suo percorso di crescita: l’incontro con gli altri.
C’è una bella differenza tra l’allegria di una partita di calcio e un videogioco che propone fantasie “confezionate”, create a tavolino da qualcun altro. Dialogare in un social network non è bello come parlare in un giardino, circondati dai fiori. Parlarsi attraverso i messaggini del cellulare non è emozionante come scambiarsi un sorriso affettuoso.
Come cresceranno questi ragazzi, intrappolati tra le mura di casa? Come impareranno a considerare il prossimo, senza abituarsi realmente ad incontrarlo e a dialogare con lui? Come potranno prendersi a cuore i suoi problemi? È importante spingere i giovani a cercare le persone vere. Insegnare a giocare e a dialogare con loro, per comprenderle ed amarle sul serio. Non attraverso la barriera di uno schermo o tramite l’ultimo modello di telefonino.
Questo è uno sforzo educativo che deve partire, prima di tutto, dalle famiglie. Se i genitori egoisti continueranno a parcheggiare i propri figli di fronte ai videogiochi, non ci sarà futuro per le nuove generazioni.
Dietro le nuove celle d’isolamento dei giovani c’è, a volte, l’egoismo di certi genitori che hanno paura del mondo reale.
di Carlo Climati
La Bibbia è un libro straordinario, che non finisce mai di sorprenderci. Più la leggo e più mi convinco che nasconda sempre qualche messaggio nuovo, un invito da scoprire e valorizzare nel tempo.
A questo proposito, mi ha sempre colpito ciò che è scritto nella seconda lettera di San Giovanni. Il Santo, rivolgendosi ad alcuni amici, conclude la sua lettera dicendo: “Molte cose avrei da scrivervi, ma non voglio farlo per mezzo di carta e inchiostro. Spero invece di venire da voi e di parlarvi faccia a faccia, affinché la nostra gioia sia piena”.
San Giovanni, come San Paolo ed altri, utilizzava lo strumento della scrittura per raggiungere persone lontane. Duemila anni fa! Proprio come noi, oggi, usiamo internet, l’e-mail e i vari social network che abbiamo a disposizione.
Già da allora, San Giovanni si rendeva conto che la scrittura non poteva essere un mezzo perfetto per dialogare con le persone. Sentiva, comunque, il bisogno di vivere degli incontri veri, faccia a faccia con le persone. Aveva già capito, con qualche secolo d’anticipo, che per avere la “gioia piena” bisognava incontrare davvero le persone, toccarle, abbracciarle, dare loro i pizzicotti sulle guance.
Un uso avvolgente
In qualche modo, ho sempre visto nelle parole di San Giovanni un messaggio chiaro: l’invito a privilegiare i rapporti umani, a metterli prima di quelli virtuali. Intendiamoci… non c’è nulla di male nell’usare internet. Anche tu, che mi stai leggendo in questo momento, hai fatto “clic” con il mouse del tuo computer. E stai leggendo queste mie parole.
Il problema nasce quando l’uso del web diventa avvolgente, soffocante, limitante. A volte, rischia addirittura di prendere il posto della vita reale, sostituendola con un surrogato d’esistenza, in cui lo schermo si trasforma nella nuova finestra di casa, alla quale affacciarsi.
Attenzione, però! Prima di perderci nella solita critica ai giovani virtuali, immersi per ore nella rete, che non sanno comunicare eccetera, dovremmo farci tutti un bell’esame di coscienza.
La qualità della vita dei ragazzi, come sappiamo, è sempre il frutto di ciò che viene loro proposto. È lo specchio dell’epoca in cui sono immersi. È facile dire che le nuove generazioni sono appiccicati al computer, quando è la società stessa che si affretta a sostituire l’essere umano con le macchine più disparate.
Ho sempre amato molto la musica di un gruppo tedesco chiamato Kraftwerk. I loro dischi, secondo me, rappresentano una dura critica alla società di oggi, sempre più disumanizzata, in cui i robot finiranno per prendere il sopravvento nella nostra vita. La loro musica trasforma in puro suono gli scenari della società contemporanea, figlia delle lunghe autostrade, dei computer e dei calcolatori tascabili. Una musica geniale e profetica, che aveva anticipato i tempi in modo sorprendente.
Al posto dell’uomo
Oggi, se ci guardiamo intorno, dovremmo chiederci: che tipo di mondo stiamo offrendo ai giovani del terzo millennio?
Capita sempre più spesso di recarsi in banca per fare un pagamento, e di sentirsi rispondere: “Queste operazioni non le facciamo più. D’ora in poi dovrà utilizzare internet oppure lo sportello elettronico là in fondo”. E non è una tendenza che riguarda solo le banche. Presto moltissime cose che venivano fatte dalla mano umana si realizzeranno esclusivamente attraverso strumenti di plastica e metallo. Dialogheremo solo con schermi e tasti.
Di conseguenza, spariranno anche le emozioni, gli sguardi, le espressioni facciali… Scompariranno i sorrisi degli impiegati allo sportello, che aggiungevano un pizzico d’umanità alla nostra esistenza.
Il triste destino è quello di trovarci sempre di più di fronte a schermi o sportelloni elettronici, sperando che qualcuno non ci cloni la carta di credito.
Quello della relazionalità è un tema fondamentale per il futuro dei giovani. Ma ripeto e non smetterò mai di ripeterlo: quale mondo stiamo offrendo ai ragazzi del terzo millennio?
Tempo fa, mi è capitato di vedere in televisione un film in bianco e nero degli anni cinquanta. Una scena, in particolare, mi ha fatto quasi commuovere. C’era un grande cortile, dove un gruppetto di ragazzini stava facendo una partita di calcio. In un’altra parte del cortile c’erano dei bambini che giocavano a nascondino, in un’atmosfera di spensierata allegria.
Si tratta di un’immagine bellissima. Ma quante volte ci può capitare di vederla, oggi nelle grandi metropoli? Apprendiamo con dolore che sta scomparendo l’antica tradizione del cortile, dove i ragazzi si riunivano per respirare all’aria aperta ed immergersi in giochi di gruppo, festosi e creativi.
Ritrovare le emozioni
La gioventù di oggi, purtroppo, ha un modo meno creativo di trascorrere il tempo libero. È prigioniera di nuove celle d’isolamento, a volte fabbricate dalle famiglie stesse, guidate da genitori superficiali e rinunciatari.
I bambini crescono sempre più soli. Trascorrono le loro giornate in compagnia di amici virtuali, navigando su internet, immersi nei videogiochi o ipnotizzati da interminabili programmi televisivi.
Molti genitori pensano che sia meglio tenere il proprio bambino in casa, “al sicuro”. Nel parco o nel cortile, sotto casa, potrebbe nascondersi qualche pedofilo in agguato.
E così, egoisticamente, ci si sente più tranquilli con un figlio imbambolato davanti al computer. Non ci si rende conto che in questo modo, lo si priva di una tappa importante del suo percorso di crescita: l’incontro con gli altri.
C’è una bella differenza tra l’allegria di una partita di calcio e un videogioco che propone fantasie “confezionate”, create a tavolino da qualcun altro. Dialogare in un social network non è bello come parlare in un giardino, circondati dai fiori. Parlarsi attraverso i messaggini del cellulare non è emozionante come scambiarsi un sorriso affettuoso.
Come cresceranno questi ragazzi, intrappolati tra le mura di casa? Come impareranno a considerare il prossimo, senza abituarsi realmente ad incontrarlo e a dialogare con lui? Come potranno prendersi a cuore i suoi problemi? È importante spingere i giovani a cercare le persone vere. Insegnare a giocare e a dialogare con loro, per comprenderle ed amarle sul serio. Non attraverso la barriera di uno schermo o tramite l’ultimo modello di telefonino.
Questo è uno sforzo educativo che deve partire, prima di tutto, dalle famiglie. Se i genitori egoisti continueranno a parcheggiare i propri figli di fronte ai videogiochi, non ci sarà futuro per le nuove generazioni.
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