17 Marzo 2009 

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Dal Pontefice l’invito a valorizzare il sacerdozio ministeriale: senza non ci sarebbero l’Eucaristia e la Chiesa
L’apertura il prossimo
19 giugno

Pubblichiamo il discorso ri­volto dal Papa
ai parte­cipanti alla plenaria della Congregazione per il clero.

S
ignori cardinali, vene­rati fratelli nell’episco­pato e nel sacerdozio! Sono lieto di potervi acco­gliere in speciale udienza al­la vigilia della partenza per l’Africa, ove mi recherò per consegnare l’Instrumentum laboris della Seconda As­semblea Speciale del Sinodo per l’Africa, che si terrà qui a Roma nel prossimo otto­bre. Ringrazio il prefetto del­la Congregazione, il signor cardinale Cláudio Hummes, per le gentili espressioni con cui ha interpre­tato i comuni sentimenti, e ringrazio per la bella lettera che mi avete scritto. Con lui saluto tutti voi, supe­riori, officiali e membri della Congregazione, con animo grato per tutto il lavo­ro che svolgete a servizio di un settore tanto importan­te della vita della Chiesa.
Il tema che avete scelto per questa plenaria – «L’identità missionaria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinse­ca dell’esercizio dei tria mu­nera» – consente alcune ri­flessioni per il lavoro di que­sti giorni e per i frutti ab­bondanti che certamente esso porterà. Se l’intera Chiesa è missionaria e se o­gni cristiano, in forza del Battesimo e della Confer­mazione, quasi ex officio (c­fr. CCC, 1305) riceve il man­dato di professare pubbli­camente la fede, il sacerdo­zio ministeriale, anche da questo punto di vista, si distingue ontologicamente, e non solo per grado, dal sa­cerdozio battesimale, detto anche sacerdozio comune. Del primo, infatti, è costitu­tivo il mandato apostolico: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). Tale mandato non è, lo sappia­mo, un semplice incarico af­fidato a collaboratori; le sue radici sono più profonde e vanno ricercate molto più lontano. La dimensione missio­naria del presbitero nasce dalla sua confi­gurazione sacramentale a Cristo Capo: es­sa porta con sé, come conseguenza, un’ade­sione cordiale e totale a quella che la tradizione ecclesiale ha in­dividuato come l’apostolica vi­vendi forma. Questa consiste nella partecipa­zione ad una «vita nuova» spiritualmente intesa, a quel «nuovo stile di vita» che è stato inaugurato dal Si­gnore Gesù ed è stato fatto proprio dagli apostoli. Per l’imposizione delle mani del vescovo e la preghiera con­sacratoria della Chiesa, i candidati divengono uomi­ni nuovi, divengono «pre­sbiteri». In questa luce ap­pare chiaro come i tria mu­nera siano prima un dono e solo conseguentemente un ufficio, prima una parteci­pazione ad una vita, e per­ciò una potestas. Certamen­te, la grande tradizione ec­clesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacra­mentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli so­no adeguatamente salva­guardate. Ma questa giusta precisazione dottrinale nul­la toglie alla necessaria, an­zi indispensabile, tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdota­le.
Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la per­fezione spirituale dalla qua­le soprattutto dipende l’ef­ficacia del loro ministero, ho deciso di indire uno specia­le «Anno sacerdotale», che andrà dal 19 giugno prossi­mo fino al 19 giugno 2010. Ricorre infatti il 150° anni- versario della morte del san­to curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, vero esem­pio di pastore a servizio del gregge di Cristo. Sarà cura della vostra Congregazione, d’intesa con gli ordinari dio­cesani e con i superiori de­gli Istituti religiosi, promuo­vere e coordinare le varie i­niziative spirituali e pasto­rali che appariranno utili a far percepire sempre più l’importanza del ruolo e del­la missione del sacerdote nella Chiesa e nella società contemporanea.
La missione del presbi­tero, come evidenzia il tema della plenaria, si svolge «nella Chiesa». Una tale dimensione ecclesiale, comunionale, gerarchica e dottrinale è assolutamente indispensabile ad ogni au­tentica missione e, sola, ne garantisce la spirituale effi­cacia. I quattro aspetti men­zionati devono essere sem­pre riconosciuti come inti­mamente correlati: la mis­sione è «ecclesiale» perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed at­traverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mon­do. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomi­ni desiderano trovare in un sacerdote. La missione è «comunionale», perché si svolge in un’unità e comu­nione che solo secondaria­mente ha anche aspetti rilevanti di visibilità sociale. Questi, d’altra parte, deriva­no essenzialmente da quel­l’intimità divina della quale il sacerdote è chiamato ad essere esperto, per poter condurre, con umiltà e fi­ducia, le anime a lui affida­te al medesimo incontro con il Signore. Infine le dimensioni «gerarchica» e «dottrinale» suggeriscono di ribadire l’importanza della disciplina (il termine si col­lega con «discepolo») eccle­siastica e della formazione dottrinale, e non solo teolo­gica, iniziale e permanente. La consapevolezza dei radicali cambiamenti sociali degli ultimi de- cenni deve muovere le mi­gliori energie ecclesiali a cu­rare la formazione dei can­didati al ministero. In particolare, deve stimolare la co­stante sollecitudine dei pa­stori verso i loro primi col­laboratori, sia coltivando re­lazioni umane veramente paterne, sia preoccupando­si della loro formazione per­manente, soprattutto sotto il profilo dottrinale e spiri­tuale. La missione ha le sue radici in special modo in u­na buona formazione, svi­luppata in comunione con l’ininterrotta Tradizione ec­clesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità. In tal senso, è importante fa­vorire nei sacerdoti, soprat­tutto nelle gio­vani generazio­ni, una corretta ricezione dei te­sti del Concilio ecumenico Vati­cano II, inter­pretati alla luce di tutto il baga­glio dottrinale della Chiesa. Ur­gente appare anche il recupe­ro di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti ad es­sere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giu­dizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l’a­bito, negli ambiti della cul­tura e della carità, da sem­pre al cuore della missione della Chiesa. Come Chiesa e come sacerdoti annuncia­mo Gesù di Nazaret Signore e Cristo, crocifisso e risorto, Sovrano del tempo e della storia, nella lieta cer­tezza che tale verità coinci­de con le attese più profon­de del cuore umano. Nel mistero dell’incarnazione del Verbo, nel fatto cioè che Dio si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano. La missione ha qui il suo vero centro propulso­re: in Gesù Cristo, appunto. La centralità di Cristo por­ta con sé la giusta valoriz­zazione del sacerdozio mi­nisteriale, senza il quale non ci sarebbe né l’Eucari­stia, né, tanto meno, la mis­sione e la stessa Chiesa. In tal senso è necessario vigi­lare affinché le «nuove strutture» od organizzazio­ni pastorali non siano pen­sate per un tempo nel qua­le si dovrebbe «fare a me­no» del ministero ordinato, partendo da un’erronea in­terpretazione della giusta promozione dei laici, perché in tal caso si por­rebbero i pre­supposti per l’ulteriore dilui­zione del sacer­dozio ministe­riale e le even­tuali presunte «soluzioni» ver­rebbero dram­maticamente a coincidere con le reali cau­se delle problematiche con­temporanee legate al ministero.
Sono certo che in questi giorni il lavoro dell’As­semblea plenaria, sot­to il protezione della Mater Ecclesiae, potrà approfondi­re questi brevi spunti che mi permetto di sottoporre al­l’attenzione dei signori car­dinali e degli arcivescovi e vescovi, invocando su tutti la copiosa abbondanza dei doni celesti, in pegno dei quali imparto a voi e alle persone a voi care una spe­ciale, affettuosa benedizio­ne apostolica.

Benedetto XVI