03 Febbraio 2014

 

Per la visione della Chiesa missionaria di papa Francesco

l’esemplare figura del missionario gesuita

 

CeyracPadre Ceyrac e la frontiera del “dono” 


 

 

 "Tutto ciò che non è dato è perso": dopo oltre cinquant'anni trascorsi in India e dieci nei campi profughi della Cambogia, Pierre Ceyrac, gesuita, è figura da riscoprire. Per tutta la vita Ceyrac si è consumato contro la miseria in Asia. Se, in Oriente, è considerato il nuovo san Francesco Saverio, non è soltanto per via della loro comune appartenenza alla Compagnia di Gesù.

 

 

La rivista missionaria “Popoli” ricorda l’opera del gesuita a cento anni dalla nascita. Perché si fa dono a qualcuno? Perché si vuole il bene di quella persona – era la riposta del religioso francese. L'ostinato desiderio dell'uno e dell'altro di immergersi nella cultura dell'accoglienza, li ha spinti entrambi a un profondo rispetto degli altri, senza alcuna distinzione. Con energia poco comune, padre Ceyrac si è battuto per tutta la vita contro le ingiustizie e per la liberazione dell'uomo, al di là delle frontiere culturali e religiose. Gesuita come Bergoglio, oggi papa Francesco lo considera un riferimento importante tra i testimoni missionari. Nato nel 1914 da una famiglia borghese di Corrèze, Ceyrac era entrato nella Compagnia di Gesù giovanissimo e nel 1937, ad appena 22 anni, quando era ancora uno studente gesuita, aveva deciso di partire come missionario in India, Paese al quale avrebbe dedicato il resto della sua vita.

 

Ordinato sacerdote nel 1945 e diventato responsabile dell'Associazione degli Studenti cattolici dell'India (Aicuf), dopo un incontro con il Mahatma Gandhi iniziò a denunciare il sistema delle caste e decise di impegnarsi per gli intoccabili, i senzatetto e i lebbrosi, stabilendosi definitivamente nel Paese nel 1952. A questo periodo risalgono diversi suoi progetti e iniziative a favore dei contadini poveri del Tamil Nadu. Dopo un incontro con Madre Teresa, iniziò a dedicare le proprie energie alla cura degli orfani. Diresse vari orfanotrofi e coordinò a numerosi programmi di assistenza ai prigionieri, ai poliomelitici e ai dalit. Dal 1980 al 1993, è stato in Thailandia insieme a un gruppo di volontari del Jrs, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, per assistere i rifugiati cambogiani fuggiti dal regime dei Khmer Rossi in Cambogia. Tornato a Chennai ha continuato a lavorare per i bambini orfani e anche per le vittime dello Tsunami. Per il suo eccezionale impegno umanitario è stato insignito di diversi premi. La sua vita si è conclusa il 31 maggio 2012 ma il suo messaggio è ancora vivo e oggi potrà essere valorizzato dal magistero di papa Francesco, che potrebbe portarlo a esempio per la evangelizzazione e il dialogo con l’Oriente.

 

Luca Rolandi

 

(www.vaticaninsider.lastampa.it)