Claire-LyGennaio 2014

Una bella storia di conversione

«Ero buddhista, oggi sono cattolica e posso perdonare»

Come altri due milioni di cambogiani, sterminati tra il 1975 e il 1979, la famiglia di Claire Ly è stata uccisa dalla follia ideologica dei Khmer rossi di Pol Pot. Claire insegna Buddismo all’Istituto di scienze religiose e teologia di Marsiglia e ha raccontato la sua storia al recente “Meeting” di Rimini, organizzato da Comunione e Liberazione.

Il senso del dolore e della sofferenza ha contraddistinto la sua vita. «Io ero buddista», ha raccontato, «però rifiutavo la legge del Karma secondo cui tutto quello che di male ci succede è frutto di azioni negative compiute in passato. I miei familiari non potevano essere responsabili di quell’orrore. Ecco perché durante gli anni in gulag, dove ho subito ogni tipo di privazione e ho dovuto partorire senza medico, mi sono creata un capro espiatorio da incolpare: il Dio degli occidentali». Gli anni dal 1975 al 1977 li ha passati ad insultare Dio, incolpandolo di tutto il male avvenuto in Cambogia.

Nel 1980 la filosofa è riuscita a fuggire in Francia come rifugiata politica, sopravvivendo «grazie alla carità degli altri, mi sentivo inferiore e quindi avevo paura dei francesi». Accolta nel sud del paese da un curato cattolico e un pastore protestante, non avendo i soldi per comprarsi nulla, iniziò a leggere i giornali e le riviste che il sacerdote cattolico non riusciva a vendere nella sua parrocchia: «Lui eliminava sempre le pagine “troppo cattoliche”, per non disturbarmi», ha spiegato. «Non ha mai cercato di convertirmi. Ma un giorno non ne ha trovato il tempo e io mi sono ritrovata a leggere l’enciclica di Giovanni Paolo II sulla misericordia». Incuriosita “intellettualmente” da quel testo, Claire ha deciso di andare alla fonte dell’enciclica aprendo il Vangelo: «Fu allora che Gesù cominciò a sedurmi con la sua umanità», racconta sorridendo. «Sono rimasta stupita dal vedere quanto Gesù fosse un esiliato come me, nato in viaggio, in una grotta perché per lui non c’era posto in albergo».

Il desiderio della conversione nasce durante la prima Messa a cui partecipa: «Volevo vedere com’era e non ho capito quasi niente, se non che bisognava alzarsi in piedi e risedersi in continuazione. Poi è arrivato il momento dell’Eucarestia: tutti i miei vicini guardavano l’ostia e anch’io allora ho alzato lo sguardo. Lì per la prima volta ho sentito che Gesù, che aveva sempre camminato con me fin dal tempo della Cambogia, mi chiamava non più ad ascoltare la sua parola ma a seguirlo. La cosa che mi ha colpito di più è che non me lo imponeva, me lo chiedeva. E io ho risposto sì, battezzandomi nel 1983». Grazie alla conversione è tornata alle sue origini «per cercare le tracce dei passi di Gesù nel Buddismo», scrivendo il libro "La Mangrovia. Una donna, due anime" (Pimedit).

Il frutto più bello dell’approdo al cattolicesimo è stato donare il suo perdono agli assassini della sua famiglia: «Mia figlia non ha potuto conoscere suo padre, per questo un giorno l’ho portata nel luogo in cui venne assassinato. Lì, insieme, abbiamo recitato il Padre Nostro. Dopo quest’esperienza ho capito che Dio ci perdona come perdona chi ci ha fatto del male. Per questo, adesso, posso dire di averli perdonati. Ho poi spiegato a mia figlia che quando Gesù venne crocifisso non disse “vi perdono”, ma “Dio, perdonali perché non sanno quello che fanno”. Io e mia figlia abbiamo affidato a Dio le anime di chi ci ha fatto del male».

(www.uccronline.it)