vatican-council-iiMarzo 2013

La vita consacrata a 50 anni dal Concilio

Un cammino nello spirito

Nonostante i problemi e le difficoltà, la VC, in questi 50 anni, guidata dallo Spirito, ha saputo discernere i segni dei tempi e adattarsi alle situazioni mutevoli del cambiamento senza perdere l’identità.

Giovanni XXIII inaugurando il concilio Vaticano II parlò di una “nuova Pentecoste”. Paolo VI, chiudendolo, affermò che si era riunito nello Spirito Santo. Giovanni Paolo II disse che «il concilio ecumenico Vaticano II fu una vera profezia per la vita della Chiesa e che avrebbe continuato a esserlo». Benedetto XVI, commemorando il 50° anniversario della sua inaugurazione, dichiarò: «Il concilio fu un tempo di grazia in cui lo Spirito Santo ci insegnò che la Chiesa, nel suo cammino nella storia, deve sempre parlare all’uomo contemporaneo».

Molti teologi – Urs von Balthasar, Suenens, Congar, Chenu, Rahner, Laurentin e diversi altri – l’hanno considerato come un “Concilio dello Spirito Santo”. La Chiesa intera si era posta sotto la presenza e l’azione dello Spirito per rivivere e testimoniare Cristo nel mondo. Aveva avviato un processo di rinnovamento. Affermare che il concilio fu e continua a essere un tempo di grazia è una confessione di fede nell’assistenza del Signore verso la sua Chiesa pellegrina e un invito al riconoscimento ecclesiale che questa grazia è condivisa e fonte di dinamismo. La Chiesa, sacramento di salvezza, è l’ambito per interpretare quanto può essere detto dei diversi stati di vita e, per ciò stesso, della vita religiosa postconciliare.  Quando il concilio parlò dell’adeguato rinnovamento della vita religiosa, chiese che questo fosse fatto “sotto l’impulso dello Spirito Santo e la guida della Chiesa” (PC, 2). I principi e i criteri indicati dal Perfectae caritatis tracciarono la linea seguita poi dai successivi capitoli generali.

Fecero impressione le parole di mons. Ignacio Hazim, metropolita ortodosso di Lattaquié (Siria), nell’inaugurazione della Conferenza ecumenica di Uppsala (Svezia) nell’agosto del 1968: «Senza di lui – lo Spirito Santo – Dio è lontano; Cristo si trova nel passato; il Vangelo è lettera morta, ecc. Senza il primato dello Spirito Santo è impossibile comprendere la nostra vita consacrata. Senza lo Spirito non c’è vita, non c’è trasformazione, non c’è forza, non c’è speranza.

Se non fosse stata sostenuta e guidata dalla forza e sapienza dello Spirito, come avrebbe potuto la vita religiosa reggersi di fronte alle tante trasformazioni culturali e sociali come quelle che hanno inciso su di essa in questi cinquant’anni? Alla pari della Chiesa, essa si è vista scuotere dall’ingiustizia, povertà, violenza e dall’emarginazione. Lo sviluppo tecnico, economico e politico ha messo tra parentesi il fattore religioso. Sulla cultura dominante continuano a imprimere un’impronta i maestri del sospetto, i promotori del maggio 1968, il secolarismo, il pensiero postmoderno, il neopositivismo, il poststrutturalismo e tante altre correnti che hanno favorito una certa cultura della ovvietà e della incredulità.
Più di recente siamo stati sfidati dalla rivoluzione digitale e dai poteri mediatici, dal trionfo della velocità e della comunicazione in rete, dai progressi della biologia e dalla fragilità dell’individuo. Ora ci troviamo nell’era della democrazia liquida, dell’ amore liquido, della vita liquida... (Z. Bauman). Tutti questi fenomeni che si sono ripercossi sull’identità umana e su quella di ogni credente, sono stati avvertiti anche nella vita consacrata che ha sofferto della paura di impegni per tutta la vita e si è vista scossa e spogliata nelle sicurezze delle sue tradizionali convinzioni.
In effetti, lo Spirito è stato l’ “antivirus” più potente di fronte a tante sfide. Da lui abbiamo ricevuto nuove luci e nuove energie. Ci ha radicato in Cristo e nello stile di vita e di santificazione dei fondatori, ha stretto vincoli, ha aperto orizzonti missionari, ci ha coinvolto nella causa dei poveri, ci ha spinto a optare per la fraternità universale e la cura del creato.

Un cammino che continua
Nessuno nega gli intoppi, gli errori e le infedeltà. Ma attribuire alla vita religiosa la causa di tutti i mali nella Chiesa – come si è arrivati a dire – è un’accusa grave e infondata. Nonostante le crisi e le lentezze, la vita consacrata ha mantenuto una grande lucidità circa la sua origine, la sua ragion d’essere e la sua missione nella Chiesa. Ha imparato che «la vita consacrata, specie nei tempi difficili, è una benedizione per la vita umana e per la stessa vita ecclesiale» (VC 87). Ha cercato di superare le successive crisi di maturazione, integrando le componenti del suo carattere carismatico, cristologico ed ecclesiale, e insieme antropologico e storico.

È stato compiuto un grande passo avanti nella umanizzazione. L’ecologia ha favorito una nuova relazione dell’uomo con la natura. Siccome gran parte dei suoi membri sono donne, è stato messo in evidenza il contributo della donna nella vita sociale ed ecclesiale. Le relazioni uomo-donna hanno acquistato maggior equilibrio. I laici sono particolarmente riconosciuti e accolti come compagni di viaggio. Per le esigenze intrinseche della sua vocazione, è stata incrementata la collaborazione tra carismi e ministeri. Nel campo professionale, sociale, culturale è stata coltivata la preparazione nelle diverse aree. La vita consacrata ha percorso dei cammini di dialogo con le nuove correnti di pensiero e con le nuove tecnologie. Ha stabilito rapporti con altri “credo” (ecumenismo e dialogo interreligioso). Spinta dalle nuove povertà, si è spostata dal centro alla periferia e non pochi si sono inseriti tra gli emarginati.
Tutto questo, e molti altri aspetti, hanno obbligato i consacrati a riesaminare i loro modi di vedere, di pensare, di sentire e di esprimersi. Essi assumono la loro condizione di pellegrini che cercano il regno di Dio e non hanno dimora permanente. Probabilmente mai come in questo periodo postconciliare la vita consacrata si era mostrata così viva, così creativa, così impegnata missionariamente, attraversando frontiere e rendendosi presente in tanti paesi.
Quando si allude agli errori commessi, si sottolinea: l’essersi lasciati avvincere da alcune spinte culturali; l’aver confuso il cambiamento con il rinnovamento e non aver esercitato il carattere riflessivo del rinnovamento poiché non si trattava di rinnovare, ma di rinnovarsi; l’aver fuggito la complessità; l’aver creduto che usando nuove parole, le stessimo già vivendo; l’inibizione nell’esercizio della profezia e l’aver abbandonato per cose da poco gli impegni e perfino la stessa vocazione.
In tutti i modi, il processo di rinnovamento postconciliare è impregnato di un costante ascolto della vita, di discernimento, di impegno a imparare e ad offrire. È lo Spirito che allarga la visione dei consacrati e consacrate e libera le loro energie interiori per l’inventiva e la creatività. È molto presente nei momenti di apertura e di discernimento di fronte a una realtà che interpella. Le grandi opzioni che li hanno guidati, le priorità che hanno assunto, i dialoghi che hanno avviato e gli stili di vita evangelica che conducono sono anch’essi segni dell’influsso dello Spirito. Basta visitare certi luoghi inospitali per riempirci di ammirazione e di stupore per il comportamento di nostri fratelli e sorelle che condividono la lettura e la meditazione della parola di Dio, la ricerca della sua volontà sulla loro gente, l’impegno per i valori del Regno e condividono anche ogni genere di privazioni con gli esclusi. C’è in loro una forza sovrumana.

La vita consacrata continua ad andare avanti non per ostinazione, ma per una fedeltà a chi l’abita dal di dentro. L’abbiamo imparato da coloro che con una vita semplice e umile han saputo rimboccarsi le maniche e lasciarsi sorprendere per adorare il mistero. Da essi abbiamo compreso la ragione del loro impegno per la riconciliazione e la denuncia della cultura dell’apparenza, della smania del potere e dell’avarizia del possesso.
Sotto l’azione dello Spirito, la vita consacrata ha saputo discernere i segni dei tempi e adattarsi alle situazioni mutevoli del cambiamento dei tempi senza perdere l’identità. Il rinnovamento adeguato è segno di fedeltà allo Spirito e non un tradimento, come dicono coloro che vogliono tornare al preconcilio.

Chiavi di lettura del rinnovamento postconciliare

1. Chiave carismatica-ecclesiale
Il concilio ha sottolineato questa chiave di lettura carismatica ed ecclesiale del rinnovamento. Il capitolo VI della Lumen gentium e i primi numeri del Perfectae caritatis obbligano a comprendere in tutta la loro intensità e ampiezza i due primi capitoli sulla Chiesa come mistero e come popolo di Dio. Sono i pilastri su cui poggia la comprensione e la dinamica della vita religiosa. Il magistero non ha lasciato di confermare il valore di questa chiave carismatico-ecclesiale; Giovanni Paolo II lo ha sottolineato in modo speciale nell’esortazione postsinodale Vita consecrata. Per quanto riguarda l’ecclesialità è opportuno ricordare queste parole della Lumen gentium: «La consacrazione sarà più perfetta, in quanto legami più solidi e stabili riproducono di più l’immagine del Cristo unito alla Chiesa sua sposa da un legame indissolubile» (44).

Sottolineare questa duplice dimensione carismatica ed ecclesiale vuol dire metterne in risalto le radici trinitarie, cristologiche, escatologiche e missionarie. In definitiva, la dimensione teologale e tutto il senso di gratitudine in cui la vita religiosa nasce, si radica, si sviluppa e si offre come testimonianza e servizio. L’amore che Dio ha per noi conferisce fecondità alle nostre intenzioni. Questo amore è ciò che fa che la vita religiosa sia un autentico miracolo. Per questo, se staccata da questi riferimenti, dove sta la chiamata alla santità secondo la professione dei voti e la totale consacrazione a Dio amato sopra ogni cosa? Non è forse questo distacco la ragione per cui la vita religiosa si riduce a semplice organizzazione, che presto si identifica con le opere e le attività, a cui si attribuisce significato per il numero, il prestigio, il potere e l’efficacia?

La dimensione carismatica-ecclesiale della vita religiosa è accentuata nell’esortazione post-sinodale con queste espressioni: “Confessio Trinitatis”, “Signum fraternitatis” e “Servitium caritatis”, che sono dense di profondo contenuto teologico e di dinamismo spirituale e missionario. Le persone consacrate si sentono identificate e dinamizzate a partire dalla Trasfigurazione, in cui si rivela il mistero della Trinità; dalla comunione, che è comunione trinitaria, ecclesiale e fraterna religiosa e universale; è dalla missione di Gesù, Figlio del Padre e consacrato dallo Spirito, in cui siamo testimoni e servitori. Senza uscire da questa esortazione, è facile vedere come lo Spirito fa rivivere lo stile di vita di Gesù nella Chiesa e nel mondo, e attraverso i religiosi si rende presente la benedizione divina, si prolunga il mistero dell’ incarnazione, si rivive il mistero pasquale, si esprime la comunione inclusiva ed espansiva, si converte il segno in profezia e si rende operativa la responsabilità nel servizio della carità e nell’ annuncio del Regno.

Ora che da ogni parte siamo invitati a rileggere il concilio, sarebbe opportuno che noi religiosi approfondissimo tutta la dottrina conciliare per allargare lo sguardo verso il futuro e vivere più intensamente il mistero della Chiesa e la sua missione salvifica in questo mondo. La nostra vocazione è di essere liturgia vivente in questo mondo secolarizzato, “esegesi vivente” della Parola di Dio4 per chi cerca la verità, e speranza per tutti gli uomini di ogni tempo e luogo. Ognuno dei Decreti invita a far nostra la preoccupazione umana ed ecclesiale.

2. Considerazione esistenziale della vita consacrata
Le espressioni “vita religiosa” o “vita consacrata” non sono astrazioni. Hanno dei profili precisi. Evocano i doni che lo Spirito ha effuso nella Chiesa e sono fruttificati in diversi stili di sequela di Cristo e modi di vivere e annunciare il Vangelo. Quando diciamo “vita religiosa” dobbiamo quindi riferirci a persone, comunità e istituti.

Sarebbe facile provare che l’autocomprensione che ha la vita consacrata, a partire dal concilio, è la più ricca di tutta la storia della Chiesa. C’è un coordinamento di saperi biblici, patristici, storici, teologici, giuridici, e un’incorporazione di conquiste positive della sociologia, psicologia e pedagogia. Peccato che questi saperi ancora non incidano nei trattati di ecclesiologia e di cristologia. Purtroppo si riducono a un paio di pagine elaborate in base ai testi conciliari. In tutti i modi, per valutare il processo di rinnovamento, bisogna guardare ai fatti di vita dei consacrati e delle consacrate. Sono questi fatti di vita, spesso nell’ombra, che vengono lasciati da parte nelle valutazioni.

Kierkegaard, a suo tempo, osservò che spesso si identificava comprendere ed essere; quando invece dovremmo identificare credere ed essere. Comprendere, a suo parere, è proprio dell’essere umano; mostra la relazione dell’uomo con l’uomo. Mentre credere è la relazione dell’uomo con il divino. Quando parliamo di vita religiosa, non basta comprendere, bisogna credere. Il processo di rinnovamento della vita religiosa richiede di addentrarsi nel Mistero, nella dinamica dello Spirito nella sua Chiesa. Senza credenze non ci sono convinzioni; e senza convinzioni, si possono fare solo rammendi, ma non si raggiunge il rinnovamento auspicato dal concilio. La costante speranza teologale, di giorno in giorno e nei luoghi concreti, segna il cammino del nostro pellegrinaggio, ci aiuta nel discernimento dei segni dei tempi e ci sprona a scegliere ciò che è veramente definitivo.

Nelle nostre comunità ci sono dei testimoni qualificati del processo di rinnovamento postconciliare. Sono persone che amano la loro vocazione, Gesù Cristo, la Chiesa e la propria congregazione. Hanno purificato la loro fede e sanno che la loro vita consacrata è un canto di lode. La cosa più spontanea che esce dal loro cuore è dire: grazie. Hanno la convinzione che la loro vita è come quella del cero acceso che arde finché finisce la cera. Benedetto XVI ricorda a noi religiosi che siamo dei cercatori di Dio. È l’espressione della nostra vocazione e della nostra risposta che si attua nella vita quotidiana. La ricerca costante corregge qualsiasi astrazione o miraggio circa la vita consacrata. Per apprezzarla bisogna considerarla nella fedeltà quotidiana sostenuta dallo Spirito in tutte le età e in tutti gli impegni riguardanti la missione.

3. Dinamica, in correlazione e interazione
È un’altra chiave di lettura. Il processo di rinnovamento ha avuto delle fasi successive. Tra queste si possono evidenziare: 1. il periodo che va dal termine del concilio all’assemblea generale del sinodo del 1985; 2. da questo sinodo fino ad oggi. Durante la prima fase l’attenzione è incentrata sui nuclei essenziali della vita consacrata: sequela, consacrazione, voti, comunità, dimensione profetica ed escatologica, carisma del fondatore, formazione, costituzioni, direttori, e altri aspetti che chiariscono la dinamica della vita consacrata. Nella seconda fase, per una serie di fatti convergenti, si aprono nuovi orizzonti e si comincia a parlare di un nuovo paradigma della vita consacrata.

A partire dai sinodi sui laici, i sacerdoti, i religiosi e i vescovi è messa in rilievo maggiormente la vita consacrata in correlazione e interazione tra carismi e ministeri nella Chiesa. Viene stimolata la collaborazione e la missione condivisa. L’identità della vita consacrata è un’identità aperta e dinamica. Dall’altra parte, acquistano un gran dinamismo la vita missionaria della Chiesa, il dialogo interreligioso e il dialogo interculturale. E anche il dialogo di vita. La missione non è solo ad gentes, ma inter gentes. La teologia trinitaria che è sempre stata alla base della Chiesa di comunione missionaria comincia a esprimersi come spiritualità di comunione che promuove la fraternità universale. Aderendo all’invito di Giovanni Paolo II, si produce una grande espansione missionaria verso l’Asia, l’Africa e l’est Europa. Gli istituti cominciano a cooperare tra di loro dando impulso alla intercongregazionalità nella spiritualità, nella formazione, negli impegni apostolici.

4. Sguardo positivo, ma non ingenuo.
Perché sguardo positivo? Perché tutto ciò che proviene dallo Spirito è vita, fraternità, missione salvifica. In questi ultimi mesi mi è stato chiesto perché parlo positivamente della vita consacrata quando le cose non sembrano andare tanto bene, soprattutto se si guarda ai numeri e alle età nei contesti occidentali. La mia risposta è e continuerà ad essere la stessa: bisogna avere a cuore ciò che ci è stato dato in dono. Se ne abbiamo cura, fruttificherà. Se ravviviamo la brace che sta tra le ceneri, si produrrà la fiamma e attizzeremo il fuoco. Le ferite non si curano frugando in esse, ma spalmando su di esse il balsamo della vita. Questo significa lasciare che lo Spirito sia il protagonista, poiché è il Signore e datore della vita. A noi spetta corrispondere. Vivere con gioia l’alleanza.

Con sguardi peggiorativi e di sfiducia non si fa Chiesa. Hanno il sopravvento le diffidenze interessate sulla vita consacrata. In fondo, si tratta di una mancanza di stima della gratuità su cui essa è fondata. Nemmeno le fanno un grande favore coloro che pensano ad essa solo per chiudere buchi, attribuendole un carattere puramente strumentale. I diversi istituti di vita consacrata, essendo doni dello Spirito alla Chiesa, si legittimano e confermano nel loro valore carismatico con la piena dedizione a Dio e agli uomini. Quando si mette l’iniziativa divina e la gratuità come punto di vista circa la vita consacrata, si disarticolano i ragionamenti su cui si fondano coloro che la sviliscono, la distorcono e la spiazzano. Molti giudizi negativi che si sentono attualmente sul “malessere” della vita consacrata mancano di discernimento spirituale ed ecclesiale.

Sono ispiranti le icone della strada o del fiume per indicare che non tutto è diritto e in crescita. La strada si restringe, ha le sue curve, a volte torna indietro. Il fiume ristagna, serpeggia, si inabissa, torna a riaffiorare, riceve affluenti. Sia la strada che il fiume hanno un orizzonte ampio che culmina nell’incontro: il termine e il mare. È certo che alcuni religiosi a causa di smarrimenti, cadute, di distrazioni in ciò che non dovevano, sono usciti dal retto cammino e si sono fermati sulle sponde del letto del fiume. Ma la strada e il fiume procedono rivolti verso la loro meta.

5. Preferenza della qualità sulla quantità
Quando si considera la situazione attuale della vita consacrata si presta grande attenzione alle statistiche, alla curva delle età, all’andamento delle vocazioni, ai dislocamenti geografici. Si mette l’accento sulle attività, i servizi che prestiamo o lasciamo di prestare, la riorganizzazione delle opere o la chiusura dei posti che occupiamo. Di questo bisogna tenere conto poiché ci obbliga sapere che cosa mantenere e dove aprire nuove vie. Nella maggior parte di queste analisi si pensa, a volte in maniera inconsapevole, all’importanza che attribuiamo alla crescita numerica, all’apparenza e al prestigio, attribuendo più significato alla quantità che non alla qualità. Ci sono pubblicazioni, blogs o circoli che sembrano rallegrarsi del malessere in cui si trovano le cose basandosi su alcuni fatti, che non sono da negare, ma che occorre interpretare. E, indubbiamente, bisogna denunciare ogni tentativo di ridurre la vita religiosa a un fenomeno puramente sociale, benché lo sia anche, mettendo in risalto l’ispirazione carismatica.

La logica della qualità sulla quantità scaturisce dalla spiritualità del resto nel popolo d’Israele. Nostro Signore ha una predilezione per ciò che è piccolo, per ciò che è apparentemente insignificante. Gesù fa riferimento al sale, alla luce, al lievito nella pasta, al granello di senape. E anche al chicco di frumento che cade in terra e muore per produrre molto frutto. Considerare la vita consacrata in base alla qualità consente di scoprire quanto c’è di fedeltà nell’alleanza, di segno trasparente del Regno, di intensità nell’ascolto della parola di Dio, di radicalità nella sequela di Gesù, di intensità nel vivere i voti, di presenza profetica ed escatologica nella società, di testimonianza inequivocabile di fraternità comunitaria, ecc. Ciò che conta sono le opzioni che si vivono, le priorità che ci guidano, le preferenze che scegliamo in tutto quello che ci appartiene. Si promuove il compito obbligatorio di rivedere e adattare le strutture formative, lo stile di governo, la gestione dei beni e le attività pastorali.

6. Visione globale o di totalità
La vita consacrata è una realtà complessa, vale a dire, comporta molti elementi, ma non è complicata. Si comprende facilmente se la si guarda in base alla forza interiore che unisce insieme questi elementi. La realtà è complessa per la sovrabbondanza di relazioni e anche per la sua elasticità e capacità di estendersi e dilatarsi senza perdere la sua identità. Per questo, avere una visione globale o di totalità della vita consacrata suppone di contare sulle persone, le comunità, gli istituti e, indubbiamente, i suoi contesti culturali, sociali ed ecclesiali. Solo coloro che tengono conto di questa complessità sono vaccinati contro le semplificazioni.

Solo la sapienza ci permette di contemplare la varietà e di cogliere l’armonia. È lo Spirito che ci concede il dono del discernimento per saper incastonare le parti nel tutto e riconoscere il valore dell’autonomia e della coesione. Una persona isolata non rappresenta una comunità, né una comunità un istituto, né un gruppo di religiosi tutta la vita consacrata. Non tutti i religiosi sono secolarizzati, né disobbedienti e nemmeno esercitano un magistero parallelo. Se si esaminano con attenzione le Costituzioni e i documenti capitolari degli istituti, si potrà rendersi conto della quantità di riferimenti che sono tratti dagli insegnamenti della Chiesa.

All’interno degli stessi istituti ci sono persone che, considerando la diminuzione delle vocazioni in Europa o nell’America del Nord, temono che scompaiano i loro Ordini o congregazioni. Confondono la vita dell’istituto con ciò che succede nel continente dove abitano. E subito attribuiscono il loro pessimismo alla vita consacrata in generale. Dimenticano che Dio continua a benedire il loro istituto e la sua Chiesa con nuovi testimoni e servitori in altri continenti. Come non essere riconoscenti per il dono delle vocazioni in Asia e in Africa? La sfida oggi da affrontare è la preparazione a vivere l’interculturalità, poiché, attraverso di essa, la vita consacrata è chiamata ad essere icona di fraternità nella Chiesa e nella società.
La semplificazione più grave è quella di coloro che, dimenticando che la Chiesa è mistero di comunione organica, vogliono risuscitare la dottrina di Graziano circa il duo genera christianorum. Dimenticano quello che dice VC, 29, c.

Tre osservazioni finali
Non siamo gli ultimi religiosi. Né dietro a noi viene la notte. Ciò che arriva è l’ “aurora”. È la novità del giorno che ci illumina e perciò, aggrappati alle tenebre, non vogliamo riconoscere il sorgere del giorno. Un sorgere del giorno che non è legato alle età, né alle culture, né ai calcoli umani, né alle speculazioni. È l’alba della risurrezione – il potere glorioso di Cristo risorto – che vuole avvolgerci e fare di noi dei segni di nuova vita.

1 Alternativi in base alla nostra piena donazione
I nostri fratelli e le nostre sorelle, per secoli, seguendo Gesù e rivivendo il suo stile di vita, accettando la volontà di Dio, sono diventati segno e memoriale della nuova alleanza.

Siamo alternativa per la nostra fede vissuta e trasmessa. Il p. J.M. Tillard scrisse che, all’interno della missione e dell’azione della Chiesa nel mondo, la vita religiosa, in tutte le sue forme, ha per vocazione di cantare il cantus firmus del riferimento a Dio. Ma dobbiamo notare che questo cantus si sviluppa all’interno della polifonia. «Il suo cantus firmus ha la nostalgia dell’ in avanti. Non vogliamo dire di un in avanti privo di impegni, ma un avanti che desidera promuovere l’insieme dei progressi dell’umanità fino al termine. Qui sta infatti ciò che la vita dei religiosi apporta di essenziale alla solidarietà della Chiesa con il mondo: memoria di Dio che fonda la Chiesa e la anima di continuo, e, nello stesso tempo, apertura al futuro, scorto per mezzo della fede che passa attraverso gli impegni di umanizzazione del mondo e vi si inserisce come un fermento, senza, rimanere per questo chiusi al suo interno».
La nostra identità, sempre aperta e dinamica, si afferma nel contrasto, nel contrappunto. Bisogna avere il coraggio di essere diversi, poiché, come diceva Bonhoeffer, si dà un contributo solo in base alla differenza. I consacrati nel popolo di Dio, come diceva J.B. Metz, hanno una funzione innovatrice, correttiva e terapeutica. Siamo lo shock dello Spirito per offrire agli uomini del nostro tempo, così lontani dal fatto religioso, dei segni di trascendenza e di fraternità. Ora che la società cerca la sua autonomia e la sua emancipazione dalla religione, noi consacrati dobbiamo essere lievito nella pasta e luce sul monte. L’invecchiamento delle persone non deve essere una ragione per ritirarci nei nostri recinti. Alla vita consacrata è stato dato il dono di portar frutto nella vecchiaia (Sal 91). È il momento di tener accesa la passione per le grandi cause del Regno.

2. “Camminare insieme aiuta a crescere e a fare Chiesa”
Benedetto XVI, cominciando il suo pontificato, scrisse al cardinal prefetto della CIVCSVA: «All’inizio del nuovo millennio, la vita consacrata ha davanti a sé enormi sfide che potrà affrontare solo in comunione con tutto il popolo di Dio, con i suoi pastori e con il popolo dei fedeli». La comunione è un presupposto indispensabile per la missione. Lo abbiamo visto durante gli interventi del recente Sinodo. La comunione è un mistero e non si può ridurre alla pura cortesia né a semplici regole per evitare i conflitti. La comunione è un dono da chiedere, di cui ringraziare, da celebrare e offrire attraverso il riconoscimento, la comunicazione e il coordinamento.

Lo Spirito è promotore di reciprocità e complementarietà. La spiritualità di comunione purifica le relazioni. Esalta l’unità sulla diversità, l’uguaglianza nella dignità al di sopra della differenza delle identità. Accoglie l’altro ed evita le esclusioni. Corregge la smania di protagonismo, di competitività, di mettersi al di sopra degli altri e tanti altri comportamenti che deturpano la bellezza o ostacolano la gioia della fraternità e l’entusiasmo nella missione della Chiesa.

3. Frequentare il futuro
È un’espressione di Antonio Tabucchi nel suo racconto Sostiene Pereira. «Che bella espressione», dice il protagonista. Qual è il nostro futuro? Fa pensare alla lettura del libro di Edgar Morin: La via. Per l’avvenire dell’umanità.  Questi sono i suoi principi di speranza: 1. il risorgere dell’insperato e la comparsa dell’improbabile; 2. Le virtù generatrici/creatrici inerenti all’umanità; 3. Le virtù della crisi; 4. Le virtù del pericolo; 5. La plurimillenaria aspirazione all’armonia. Alcune pagine più avanti, aggiunge: «Quando consideriamo questa incredibile avventura del passato, come non pensare che l’avventura del futuro possa essere meno incredibile? Quando pensiamo che in ogni tappa di questo passato, quella seguente pareva inconcepibile, impossibile da immaginare e da presagire, come non pensare che, in futuro, sarà lo stesso?». Relativizzando quanto questo discorso può contenere di eccessiva fiducia nel progresso, accettiamo la sfida di guardare al futuro con maggiore speranza. A noi manca un po’ di fantasia per capire che le cose potranno essere diversamente. Abbiamo bisogno di riattivare energie, unire gli sforzi, aprire nuovi orizzonti.
Per noi, “frequentare il futuro” è un’ “esigenza” costante che deriva dalla nostra condizione di seguaci di Cristo. Poiché l’avventura della vita consacrata è l’avventura dello Spirito, il futuro ci appartiene, non per un nostro sforzo, ma perché è grazia che ci previene, ci raggiunge e ci rilancia. Portiamo dentro l’aculeo escatologico che ci induce a rivolgere lo sguardo a Gesù risorto, Signore di tutti i tempi, e fa convergere quanto di buono, bello e vero costruisce la nostra umanità. Il coraggio necessario per far fronte al futuro deriva dalla fede nella risurrezione di Cristo.

La profezia della nostra vita è condizionata dalla ricerca e dall’ascolto. Cercare Dio, che è nostro Padre, e ascoltare la sua Parola, che è il Figlio suo. È provato che le nostre strategie di ristrutturazione non hanno successo se l’inventiva e la creatività sono svincolate dalla rivitalizzazione carismatica.

Possiamo incentivare le “intelligenze multiple” e avere “menti flessibili”, ma quello di cui abbiamo bisogno sono i cuori convertiti, pieni di ardente carità apostolica, secondo il carisma ricevuto nella Chiesa, capaci di assumere il rischio fino in fondo. Ciò richiede più mistica contemplativa, più formazione, più studio e più sforzo per aprire nuove strade e cooperare in maniera responsabile. Il processo di rinnovamento rimane aperto e “Dio ci attende alle radici” (Rilke)

(Aquilino Bocos Merino, cm, su Testimoni 2 del 2013)