nonabbiatepaura-logo6 febbraio 2013

Dal prossimo 2 marzo riprenderà nell'Arcidiocesi di Milano l’ormai consolidata proposta denominata "Un coraggioso salto di qualità", rivolta a quei giovani che si stanno interrogando su una possibile vocazione al sacerdozio o alla consacrazione nella verginità.

«Sono io, non abbiate paura!»

UN AIUTO NEL DISCERNIMENTO

Recuperare dal pozzo della memoria alcuni momenti significativi della nostra vita più o meno recente è sempre una cosa grande ed emozionante, tanto più se questi momenti hanno rappresentato svolte, cesure o salti; direi veri e propri salti di qualità. Riaprire il quaderno degli appunti, a quasi un anno di distanza, implica ritornare a una serie di fatti e circostanze ben impresse nella mente: sembra ieri quando, in una sera di febbraio, di fronte a diversi segni che mi erano stati posti sul cammino, chiesi al mio don di compiere un passo più deciso per verificare la strada di una possibile chiamata al sacerdozio.

Mi rispose proponendomi questi incontri a cui lui stesso aveva partecipato diversi anni fa. Tutto pacifico? Assolutamente no! Il cammino per arrivare fino a quei “salti” è stato tortuoso e travagliato. Non che l’idea di entrare in Seminario non si fosse mai affacciata nella mia vita, anzi; tuttavia l’avevo sempre respinta, tentando di metterla a tacere, di non farci i conti. Eppure Dio – per fortuna, anzi per grazia – non si stanca di bussare alla porta della nostra libertà: pian piano, giorno dopo giorno, circostanza dopo circostanza, preghiera dopo preghiera, incontro dopo incontro, questa idea tornavaF_10_14_salti2 potentemente nella mia vita, caricata di un’evidenza che mai avevo avuto in passato. Era arrivato il momento di prendere in mano la questione una volta per tutte, innanzitutto per un’affezione al mio destino, poi per quello delle persone che mi stavano accanto.

Se infatti la nostra vita si compie solo corrispondendo al progetto che Dio ha pensato per noi, ignorare i segni che Dio stesso offre alla nostra libertà equivale a non volerci bene fino in fondo, a non desiderare la verità della nostra vita, ciò che la realizza e la compie.

Così, pieno di un coraggioso timore, ho varcato la soglia del seminario di Seveso per il primo di questi quattro incontri tenuti da don Marco. Nel mese di marzo, tra l’altro, avevo iniziato a frequentare il reparto ospedaliero di tirocinio per gli studenti: il confronto tra le due possibili strade era immediato! Di quel pomeriggio ricordo sicuramente l’iniziale imbarazzo, scioltosi dopo le prime presentazioni, ma soprattutto il fatto che non ero da solo: questo non è mai banale! Non solo in quanto consolazione, ma per la possibilità di condividere un cammino di discernimento con altri che hanno il tuo stesso desiderio, quello di intuire se la strada che il Signore ha preparato per loro è quella del sacerdozio.

In questo senso diventano preziosi i momenti di condivisione della fede al termine di ogni incontro: se vissuti in verità e senza troppo timore, forniscono spunti di riflessione e di approfondimento molto utili al cammino di ciascuno. Rispetto al contenuto degli incontri, non voglio svelarvi tutta la sorpresa! Riporto soltanto tre punti che mi hanno particolarmente aiutato nel discernimento.

Innanzitutto un metodo: un quaderno su cui segnare le cose dando loro un nome. Per me è stato utile perché la tentazione che vivevo, inconsciamente ma non troppo, era quella di lasciare molti aspetti nel vago, nell’indeterminato, senza guardarli in faccia e definirli. Invece no: come Dio è entrato nella storia del mondo, così entra nella nostra storia personale, nella realtà, nelle circostanze e nei rapporti che la compongono. E i fatti non sono mai vaghi e indeterminati! Citando il nostro Arcivescovo: «Ogni circostanza è momento della nostra vocazione; non si può agire come se un fatto non fosse capitato».

In secondo luogo, conseguenza di quanto appena detto, l’importanza di una rilettura vera, onesta e sincera della propria storia. Infine, di fronte all’interrogativo sulla forma che il rapporto con Dio può assumere nella propria vita (verginità o vita matrimoniale), la coscienza che la forma concreta è quella che più dà respiro a ciò che sei, non penalizzando la tua gioia.

Questi incontri sono stati per me un grande contributo per la scelta di entrare in Seminario, in quanto strumento della grazia di Dio: l’iniziativa è sempre sua, è Lui che chiama per primo. Questo è ciò che ho sperimentato lì e nei mesi successivi: una presenza costante che accompagna il cammino e che dice, come ai discepoli impauriti sulla barca: «Sono io, non abbiate paura! » (Gv 6, 16-21). La mossa risolutiva è decidere di prenderlo sulla barca, nella certa speranza che, come nel Vangelo, la stessa barca tocchi la riva alla quale siamo diretti.

Matteo Monticelli,
I teologia

L’IMPORTANZA DI CONDIVIDERE UN CAMMINO

Raccontarsi non è mai semplice. Per farlo si è costretti a rivisitare i fatti, le sensazioni della propria vita non più separatamente, ma alla luce di un disegno più ampio. Significa capire quali sono gli eventi realmente importanti e quali sono invece trascurabili; spesso accade che i momenti fondamentali siano quelli che ci erano parsi più banali. Implica comprendere dove si è sbagliato e ciò comporta sempre fatica. Tuttavia, vuol dire anche scoprire o riscoprire nel frenetico e lento scorrere dei giorni un senso, prima, e un amore poi. Ci si accorge che non si è mai stati soli. Significa, insomma, intravedere nella propria vita un cammino. La vita diventa storia e la storia grazia. Ecco allora che il mio raccontare non si ferma al passato, ma può cambiare chi sono io oggi. È per questo che mi interessa raccontarmi: perché io possa cambiare e perché, forse, con me anche voi.

Così voglio scrivere dell’esperienza che ho vissuto facendo i “Salti di qualità”, momento di discernimento pensato dalla diocesi di Milano per coloro i quali stanno verificando la possibilità di entrare in Seminario. Sono quattro incontri che siF_10_14_salti4 svolgono nel seminario di Seveso durante i sabati di Quaresima.

Ricordo il primo sabato: dopo essere partito in auto da Varese e averla lasciata nel parcheggio interno del Seminario, mi sono incamminato verso il portone. Una domanda dominava il mio cuore: come sono finito qui? Come io, ragazzo di 22 anni, studente in Filosofia, sono capitato in questo posto? Avevo proprio la sensazione di non essere in quel luogo per mio volere, ma che quasi il precipitare degli eventi mi avesse condotto lì, al di là di ogni mia decisione.

Lungo il breve percorso che conduce all’ingresso mi sono fermato per un istante. Ho scorso con la memoria i fatti che dal giugno dell’anno precedente avevano prima fatto nascere e poi consolidato l’intuizione di essere chiamato alla vita sacerdotale. Intuizione che durante i quattro appuntamenti pomeridiani è sempre più maturata.

Credo sia opportuno soffermarsi sul sentimento che mi ha accompagnato nei primi momenti della mia “vita seminaristica”. Non mi sentivo costretto e certamente la mia scelta di partecipare ai “Salti di qualità” era assolutamente libera e consapevole. Tuttavia, spesso, l’istinto mi intimava a fuggire, prevaleva la paura di inoltrarmi su una strada misteriosamente grande. Allo stesso tempo la realtà e le sue circostanze indicavano irremovibili cosa Dio volesse da me. Di fronte a tale evidenza, volendo essere con me stesso vero fino in fondo, non potevo far altro che “arrendermi” al progetto di Dio su di me, avendo già più volte sperimentato come esso, seppur a volte scomodo, mi avesse condotto al centuplo, a un gusto in tutte le cose nuovo.

È stato così che con i miei compagni di avventura è nata un’amicizia inaspettata. Un’amicizia tenera e discreta, perché attenta a prendersi cura di chi stava di fronte e piena di domande, ricolma di mistero, sul nostro futuro. Un’amicizia vera e impegnata, perché a tema era messo ciò che di più intimo avevamo e la posta in gioco era lo stravolgimento di un’intera vita. Non ci sono stati grandi discorsi: è bastato mettere in comune ciò che stavamo vivendo.

Ero arrivato con molte domande. Trovare negli altri gli stessi dubbi che anche io portavo nel cuore è stato un aiuto a sentirmi meno solo e meno sbagliato. Ciò che in primo luogo mi ha sorpreso è stata proprio quest’amicizia nata tra gente fino a poco prima sconosciuta e che, poco dopo, avrebbe continuato a vivere in luoghi e contesti lontani e diversi, ma, comunque, prima di tutto unita dal desiderio di scoprire la volontà di Dio su di sé e di aiutarsi in questo. Credo che un’amicizia sia ricca di molteplici fattori, ma questo ne costituisce senz’altro il cuore e lì splendeva solamente il cuore.

Di fronte ad una scelta così grande si ha paura, da soli non si va troppo avanti. È stato per me fondamentale trovare anche in Seminario qualcuno da seguire. Le meditazioni erano tenute da don Marco. Prestare attenzione alle parole con le quali ci presentava i vari passi del Vangelo è stato un modo per farmi più consapevole della strada che mi apprestavo a percorrere. Mi sono così ritrovato a dover uscire dalle mie immagini, fantasie, per scoprire che “fare il prete” non era esattamente come io me lo figuravo. La realtà delle cose è, pian pianino, emersa, un po’ meno esaltante di quel che avevo pensato.

Nonostante queste nuove perplessità, l’orizzonte iniziava ad allargarsi. Più che le tante attività di cui la vita del prete, come quella di ogni uomo, è fatta, ciò che desideravo era donarmi totalmente a quell’Amore che fino ad allora aveva reso la mia vita così bella. Anche ciò che mi appariva meno corrispondente non si presentava più come un’obiezione, perché poteva farsi pieno della grandezza dell’amore di Dio. Ho compreso che si diventa preti perché innamorati di Cristo e non per fare qualcosa che piace.

Questo è stato l’inizio di un cammino. Forse titubante ma, nel profondo, mosso dalla certezza che «chi ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento».

Giulio Benzoni,
I teologia

(www.seminario.milano.it)
Postato da: Emilia Flocchini