don_cristian_borgonoMaggio 2012

Dono, vocazione e missione

Gesù Cristo ha trasformato l’acqua della mia donazione nel vino del sacerdozio

“Eccomi!” Quando ho risposto alla chiamata del vescovo, il giorno della mia ordinazione, ho sentito dentro di me una voce che mi diceva: “Caspita, com’è grande il miracolo che Dio ha dovuto fare per portarmi fin qua”. Credo che ci sia nel Vangelo una scena che descrive molto bene ciò che è stata la mia vocazione: le nozze di Cana. La mia vita è l’acqua trasformata in vino, non grazie ad una mia azione o ad un mio merito, ma in forza dell’azione di Dio, e, della silenziosa ma permanente presenza di Maria.

Dono, vocazione e missione sono le tre parole che descrivono, in estrema sintesi, ciò che è stata la mia vita finora.

Dono. Sono l’ultimo di tre fratelli, quasi 20 anni più giovane degli altri due. Potete immaginarvi pertanto quanto sia stato coccolato, come è naturale in queste situazioni. La mia fanciullezza e la mia adolescenza coincidevano con un particolare periodo di benessere economico per la mia famiglia. Essendo figlio quasi unico, ho ricevuto un’educazione privilegiata, ho fatto tanti viaggi negli Stati Uniti e in Europa con i miei genitori e ho avuto sempre tutto quanto “il bambino di casa” potevo desiderare. Ma Dio aveva incominciato già da un tempo ad elargire i suoi doni. Mia mamma rimase incinta di me a 43 anni. Sorpresa dai sintomi di una gravidanza inaspettata si recò dal “medico” (le virgolette si spiegano subito) per ricevere la conferma della gravidanza. Nell’intervista ebbe una sorpresa ancora maggiore. “Signora, Lei ha 43 anni, Lei sa bene... le gravidanze a questa età sono un po’ complesse, c’è anche il rischio che  suo figlio... come le posso dire... non sia totalmente sano, mi capisce? Molto volentieri Le posso consigliare un medico che  possa aiutarLa  a risolvere il problema. Naturalmente, la soluzione del problema voleva dire aborto. A quell’epoca mia mamma era lontana dalla Chiesa e si trovava in una situazione alquanto critica. Senza esitazioni però lasciò subito lo studio del medico ed incominciò i preparativi per l’arrivo del suo terzo figlio. Un sì alla vita che, senza saperlo, era un sì al piano di Dio per la Sua Chiesa, che nessuna volontà umana poteva stroncare, un sì a un figlio sacerdote.

Vocazione. Finito il liceo, seguendo i miei desideri e le segrete speranze di papà, medico, presi la decisione d’iscrivermi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia della Pontificia Università Cattolica di Cile. Ero un giovane inquieto, mi piaceva lo sport, ma ero comunque un buono studente e, soprattutto, sentivo la chiamata a servire la società tramite la medicina. La mia vita di fede si riduceva all’essenziale: la Messa la domenica accompagnato da papà e la confessione ogni tanto. Non sapevo nemmeno pregare il rosario. Negli anni di università ricevetti il secondo grande dono: il Movimento Regnum Christi. Incontrai un sacerdote legionario, P. John O’Reilly, L.C., nell’estate del mio primo anno di università, mentre partecipava con altri giovani ad una settimana di lavoro sociale nel sud del Cile, presso una comunità rurale. Due cose di questo sacerdote mi colpirono: il suo abito e il modo di presentare la vita cristiana, sempre in modo positivo, come una risposta all’amore di Dio. Poco tempo dopo, invitato dallo stesso sacerdote, mi incoroporai nel Movimento ed incominciai a scoprire le grandi ricchezze della mia fede: il Vangelo, che non leggevo mai, l’Eucaristia, il rosario, ma soprattutto la carità come elemento centrale della nostra Fede. P. John mi chiese di collaborare in due apostolati del Movimento. Da una parte, le lezioni di preparazione alla Cresima nella mia antica scuola, una scuola laica ma aperta alla religione e dall’altra una collaborazione medica il sabato mattina in un quartiere depauperato della città di Santiago, dove i Legionari hanno una scuola.

Curiosamentefu la medicina ciò ad aprire le orecchie del mio cuore alla chiamata di Dio. In Cile, gli studenti di medicina incominciano subito a visitare i malati, già dal terzo anno. Ricordo che parecchie volte rimanevo toccato quando conoscevo persone con malattie inguaribili o di prognosi infausta. Mi domandavo a me stesso: “non si può fare di più per queste persone?” Certo per ora la medicina faceva il suo compito, migliorava la qualità nella vita di queste persone e, delle volte, le guariva totalmente. Ma tante volte si infrangeva contro un muro insormontabile, i limiti della nostra stessa umanità. Dall’altro canto, nel mio apostolato sociale conobbi persone per le quali non potevo fare molto dal punto di vista medico: le risorse erano scarse e, dato che la struttura consisteva in un umile ambulatorio, non potevamo fare un granché. Comunque era sempre affollato e ho capito che più che un farmaco, le persone chiedevano comprensione, vicinanza e compassione per il loro dolore.

Allo stesso tempo, il mio impegno con il Regnum Christi cresceva ogni giorno. Incominciai ad assistere ogni giorno alla Santa Messa, a pregare il rosario, e in quell’atmosfera sentii per la prima volta la chiamata di Dio. Lo ricordo perfettamente, era una giornata di ritiro, mi trovavo nella cappella sfogliando un libro con le testimonianze dei sacerdoti Legionari ordinati dal Papa Giovanni Paolo II nel 1991. La domanda sorse spontanea, come nelle parole di Sant’Agostino: “Se costui e anche quest’altro, perché non io?” e come legna secca vicina al fuoco, questa luce accese il mio cuore e diede un senso alla mia crisi esistenziale sui limiti della medicina. Ne parlai con il mio direttore spirituale. Un po’ scettico, mi disse: “Se vuoi, puoi visitare il noviziato (dei Legionari) per avere più elementi per fare un giudizio”. Lì mi trovai subito a casa, non tanto perché c’era un mio grande amico nel noviziato, che aveva iniziato l’apostolato della Cresima nella mia vecchia scuola, ma anzitutto perché vidi chiaramente che quello era il mio cammino. Grazie a Dio, da quel momento in poi non ho mai rinnegato la mia vocazione. Ero senz’altro aperto a farla maturare o perfino a lasciarla, qualora non fosse stato il cammino da Lui voluto, ma mi proposi di non chiudere mai le porte alla chiamata di Dio, il terzo grande dono.

Mancava però un particolare importante: la famiglia. Quando ne parlai con mia madre fu quasi come il crollo delle Torri Gemelle a New York. Io ero il figlio che allietava la sua vecchiaia, la sua “benedizione del cielo” (benché in un senso alquanto soggettivo) e la mia partenza lasciava senza dubbio un vuoto incolmabile. Non aveva nemmeno l’ausilio della fede, difatti era ancora lontana dalla Chiesa. Anche per mio padre fu un colpo duro. Si frantumava in mille pezzi il sogno di avere un figlio medico (mio fratello scelse ingegneria). Proprio per questo lui cercava una consolazione, professandosi scettico di fronte alla mia vocazione. A tutti diceva che io non avrei retto nemmeno un mese nel seminario. Una persona così coccolata e viziata non poteva sostenere lo stile di vita sacerdotale, con tutte le rinunce che implica. Aveva ragione, ma non teneva conto che nell’avventura della vocazione non siamo mai da soli, Dio è sempre presente e ci prende per mano.

Missione. Sorretto dalla mano ferma e tesa di Dio, intrapresi il cammino della vita legionaria. Sinceramente devo dire che sin dall’inizio sentii l’attrazione per la vita di questi preti. Non fu  difficile l’inserirmi in uno stile di vita ritmato da preghiera, sport, carità fraterna, disciplina e studio. Ma ciò che mi fece arrendere definitivamente fu l’esperienza della predilezione di Dio verso di me, all’avermi designato a questa vocazione, avvolta nel mistero dell’Amore Divino. Compresi che Dio voleva fare di me uno strumento del Suo Amor Redentore, per farlo conoscere in tutto il mondo. In sintesi, si trattava del carisma della Legione e del Regnum Christi: conoscere, vivere e trasmettere l’Amore. E Dio, che non si lascia vincere in generosità, ha fatto sbocciare la piccolezza del mio dono con due fiori nella mia famiglia. La santa morte di papà, grazie alla vicinanza spirituale dei sacerdoti legionari di Cristo, due anni or sono, dopo una lunga malattia e una fede vissuta fino in fondo. E, in aggiunta, poche settimane prima dell’ordinazione, il ritorno di mamma all’ovile di Cristo. Ho avuto l’immeritata grazia di vederla ricevere il Corpo di Cristo per la prima volta nella mia vita, dalle mie stesse mani, nel giorno della mia ordinazione. Due grazie che, come la mia vocazione e il mio sacerdozio, ho ricevuto dalle mani di Maria. Lei ha reso possibile che il Signore trasformi l’acqua della mia donazione nel vino del sacerdozio legionario. A Lei chiedo con fiducia che mi faccia rimanere strettamente e fedelmente associato, fino alla morte, al mistero dell’amore redentore di Gesù Cristo che patì, morì e resuscitò per portare la nostra vita all’eterna pienezza.

P. Cristián Borgoño Barros, LC, è nato l’ 11 agosto 1972 a Santiago di Cile; ultimo di tre fratelli. Si è laureato in medicina presso la Pontificia Università Cattolica di Cile. È entrato nella Legione di Cristo il 26 dicembre 1994. Ha professato i voti religiosi ad Itù, in Brasile, il 9 marzo 1997. Ha ottenuto la laurea in filosofia e bioetica ed il baccalaureato in Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma. Attualmente sta studiando per il dottorato in bioetica nello stesso Ateneo Pontificio.

(P. Cristián Borgoño Barros, LC, su www.legionariesofchrist.org)