professione_solenne_voti_suoraSettembre 2011

Uno speciale sulla Vita Consacrata in America Latina

Con speranza verso il futuro

Per colui che qui scrive, parlare della speranza nel contesto della vita religiosa latinoamericana è come chiedere a una madre di parlare del suo figlio prediletto. Speranza… energia creatrice… fede in cammino… Per noi religiosi è un invito ad abbandonare il rifugio nella mitica nostalgia di un passato d' oro, per inoltrarci e camminare nel complesso orizzonte di un futuro da costruire. Viviamo un passato ripetitivamente attuale, un presente di passaggio e un futuro incerto e anticipato nella speranza, da dove deriva la fecondità creatrice di chi attende pieno di speranza.

La vita consacrata in America latina si sente chiamata oggi a scoprire Gesù in due momenti: come il Gesù di Nazaret nell'esperienza storica del suo ministero pubblico, testimoniato nei vangeli, e come il Gesù risorto che opera mediante il suo Spirito nella comunità e nella storia dei popoli, e testimoniato in tanti segni di vita e di speranza. È l'azione dello Spirito che semina segni nuovi di speranza nella storia dei popoli, nella Chiesa e nella vita religiosa. A ciò risponde il desiderio di Paolo: "Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo" (Rm 15,13).
Scoprire segni di speranza vuol dire alludere alla forza della vita, al soffio di Gesù che ricrea, al vento dello Spirito che fa nuove tutte le cose. Ci sentiamo invitati a guardare in faccia alla realtà della vita religiosa e a chiamarla col suo nome. Benché sia negativa, non possiamo attribuirle la categoria di chi paralizza la speranza. Il soggetto e colui stimola è sempre lo Spirito.

Un atteggiamento radicale di speranza

Non è facile volgere uno sguardo profondo che penetri nelle viscere della società e della nostra vita religiosa incarnata in essa. Addentrarsi nel contesto pieno di labirinti di questa situazione complessa e frammentaria richiede la bussola del navigante e una sensibilità in bilico. Di fronte al compito… uno sente la necessità di fare sua l'invocazione del cieco di Gerico: «Signore, che io veda".

Siamo davanti a una sicura crisi di orientamento. Vi sono molti che mancano di riferimenti basilari nella loro vita; non sanno verso quali opinioni fondamentali devono orientare le piccole e le grandi opzioni quotidiane, e nemmeno che preferenze seguire, quali priorità stabilire. I vecchi ideali utopistici, le loro istanze e tradizioni orientative servono sempre di meno. Respiriamo una cultura della noia che ci sta umanamente contagiando e ci porta a vivere in maniera superficiale. Vivere è lasciar vivere, lasciarsi trasportare dalla marea, traendo il massimo profitto del momento. Ci viene riempita la testa di idee e inaridito il cuore. Ci viene insegnato a competere, non a convivere; a consumare, non a vivere; a contare, non a creare. Lo stordimento consumista, addormenta. Si cercano la comodità, la sicurezza, il piacere… Il nostro spirito… senza fede ed entusiasmo; vive nello scetticismo e nella disillusione. Quando ci manca il dinamismo dell'amore, la capacità di sacrificio, l'entusiasmo della generosità… portiamo dentro il virus della mancanza di speranza.
Le nostre istituzioni religiose lasciano intravedere sintomi di stanchezza, di paura. Guadiamo più al passato; viviamo sulla difensiva; ci chiudiamo nei nostri quartieri d'inverno, l'utopia inaridisce. Siamo preda della routine, tomba dell'entusiasmo. È un grande pericolo per vivere l'autenticità del nostro essere. La routine soffoca il meglio dello Spirito in noi: la passione per Dio e per i fratelli, la generosità nel servizio, la sensibilità davanti alla persona che soffre, la capacità di amare senza aspettarsi niente in contraccambio.
Ci adagiamo nella mediocrità e abbiano paura della novità. Mediocre è colui che ha rinunciato a vivere in profondità. Ci sposiamo con i nostri egoismi e divorziamo dalla generosità. Ci adattiamo all'ambiente, abbiamo paura di essere diversi. Ci integriamo nel sistema e facciamo tacere la profezia. Andiamo avanti con la paura di perdere prestigio e con il desiderio di raggiungere successi quantitativi. Fino a incarnare un razionalismo autosufficiente, rivestito di equilibrio umano e di personalità matura: con una sottile aggressività verso tutto ciò che sa di freschezza e semplicità evangelica. Il meglio del nostro stile di vita si è trasformato in una fortezza inespugnabile di persone che non rischiano nulla in ordine all'utopia.
Conosciamo molte strade nella vita, ma non sappiamo quale è quella della salvezza: quella che ci libera dalle nostre angustie, quella che ci rende liberi e solidali, quella che ci aiuta a crescere come persone, che ci illumina di fronte agli interrogativi profondi, quella che ci svela la sorgente della gioia. La società chiede un cambiamento globale di tale ampiezza che è facile cadere in atteggiamenti vitali paralizzanti: lo scoraggiamento, la perdita della speranza o l'evasione; guardare con una commiserazione piena di ironia ai piccoli cambiamenti o il messianismo redentore.

Dobbiamo assumere più razionalità - quella della speranza e della fede in cammino verso il futuro - e meno demagogia. La speranza risponde sempre. Ci permette di affrontare situazioni che contagiano il nostro stile di vita e lo trasformano in grembo fecondo di una nuova creatura che con realismo utopistico sogniamo. La nostra vita consacrata mostra oggi nuovi segni di speranza. C'è in essa un orizzonte di futuro pregno di promesse. Il meglio del presente non è la sua realtà visibile, ma la semente che porta dentro. Il meglio del fiore è che si prepara a dare frutto. L'oggi nella vita religiosa è un fiore fecondato da segni di speranza.

Speranza, ingrediente necessario di fronte ai problemi

Il grido di rinnovamento della vita religiosa suppone un tempo di sereno entusiasmo e di speranza attiva. Parlare di rinnovamento o di rifondazione richiede coraggio e creatività dello Spirito. Si tratta di rivivere creativamente la storia della fondazione delle origini. Ci suggestiona il compito di riorganizzare la speranza, alimentare l'utopia, ciò che nella speranza crediamo realtà, per non cadere nei precipizi: la falsa sicurezza dei nostri fondamentalismi, dogmatismi o la semplice routine, l'apatia, la mediocrità e l'indifferenza.
La speranza suscita la fede e l'amore, trasmettendo loro il dinamismo dell'andare oltre. È un soffio che spinge in avanti, la vitamina che fa crescere la nostra vicinanza a Dio. Fede e amore che pellegrinano, fede e amore che camminano verso mete rinnovate, per strade nuove, con un dinamismo e un superamento costante. La speranza è la fede posta in tensione, che si esercita nella crescita; è la fede in cammino. È l'amore che sviluppa e allarga il proprio orizzonte e la sua intensità. Fede e amore in quanto crescono, in movimento, alla ricerca di pienezza.
Religiosi, religiose… uomini e donne di speranza che vivono rivolti un futuro da costruire. Uno non sta mai solo: o si rimane nostalgici del passato oppure con la speranza di un sogno che si realizza. La speranza non guarda all'indietro se non per tener vivi i ricordi. La speranza ci sveglia dalla nostra routine, dall'apatia, dalla mediocrità e dall'indifferenza. Distrugge i germi di rassegnazione nel nostro stile di vita e combatte l'atrofia spirituale di chi è soddisfatto. Speranza e fiducia vanno a braccetto. Chi spera confida nella vita, nelle persone, nel corso della storia, in Dio. Sperare con fiducia vuol dire procedere nella notte, nel timore, nell'angustia.
Il nostro aiuto viene dal Signore. Il Salvatore giunge alla nostra vita come seme di speranza e fa dei salvati dei salvatori. Se viviamo in una perdita di motivazioni, allora si diluiscono gli obiettivi, si paralizzano gli stimoli, non ci sono delle mete… manca la voglia di camminare. E la speranza è proprio questo: il dinamismo di chi cammina, la fede in cammino, il desiderio di andare avanti. È il sole che illumina e riscalda l'esistenza. Colui che spera, riempie la sua vita di gioia ed entusiasmo. Abbiamo le beatitudini. Siamo figli del detto: la felicità ci appartiene. Ci offre rifugio il Regno. Quando la speranza appassisce, tutto si tinge di grigiore. Perdere la speranza vuol dire morire di tristezza. La speranza è gioiosa, per il bene che si spera e la gioia con cui si spera.
La speranza moltiplica le forze per superare gli ostacoli. L'uomo di speranza è un vincitore. Chi non ha speranza è già sconfitto. È fonte di energia. Ha in sé una forza misteriosa, un soffio creatore, uno stimolo spirituale, un ardore di superamento che induce a guardare tutto con fede e ottimismo. L'uomo di speranza è portatore di quell'energia che rende possibili le grandi opere, ma dal di dentro, e anima i successi, senza chiedere fatture di riconoscimento. Chi vive nella speranza sostiene e raddoppia le energie e moltiplica il dinamismo creatore. La speranza è sforzo per tradurre in realtà i sogni. Lubrifica tutte le capacità e mette in movimento lo sforzo fiducioso. Chi vive nella speranza lavora come se tutto dipendesse da lui, e attende come se tutto dipendesse da Dio. La speranza rende feconda la preghiera, e questa, più che muovere il cuore di Dio, muove il cuore di chi ha speranza. L'uomo di grandi speranze e di buoni desideri prega e la sua preghiera feconda le speranze e i buoni desideri.

Per le vie della fede e dell'amore al soffio dello Spirito

La vita religiosa latinoamericana accoglie il dinamismo della speranza. Viviamo il presente, a partire dalle radici del nostro passato e orientati al futuro per riorganizzare la speranza e alimentare l'utopia. Vediamo alcuni segni di speranza nell'oggi della vita religiosa. Sono segni che, come desideri alimentati dalla speranza, accompagnano la nostra vita, e si fanno strada nell'insieme vitale delle nostre incoerenze, desideri di maggiore coerenza e riflessi di coerenza nella realtà vissuta.

1. Esodo dal centro alla periferia

La nostra vita religiosa sente di essere caratterizzata dal desiderio di andare oltre, alle frontiere; di stare più vicina alla gente, ai suoi problemi e alle sue speranze; di scendere più in basso, all'incontro con i bisognosi; di andare più al largo, con la compassione di Dio per i suoi figli. Vale a dire, i religiosi e le religiose negli ultimi decenni hanno compiuto spostamenti affettivi e geografici che li avvicinano al mondo dei poveri. Il corpo mistico di Cristo si rende presente dove è stato il corpo storico di Gesù. La vita religiosa in America Latina si è fatta popolo, sta nel popolo e con il popolo.
Oggi si moltiplicano nuove presenze di esodo verso le frontiere tra gli indigeni, i migranti, i carcerati, i contadini, i giovani, i bambini feriti, le donne… La vita religiosa mostra di essere più di frontiera. Un segno di speranza per il nostro stile di vita, per le religiose e i religiosi che lo incarnano perché qui viene alimentata la loro speranza. Sono moltiplicatori di un contagio salvifico, poiché la povertà unisce ciò che la ricchezza separa.

2. La intercogregazionalità

La persona umana si realizza nell'essere in relazione. La fede pratica nella relazione è diventata urgenza storica. Per i religiosi conta sempre di più l'inter. La intercongregazionalità sta moltiplicando cammini di incontro, condividendo carismi tra loro, con il risultato di un arricchimento, poiché nella vita cristiana ciò che si condivide cresce e si arricchisce.
Arricchente in modo particolare è la pratica delle relazioni tra religiosi e religiose. Si moltiplicano gli incontri intercongregazionali in Conferenze miste, organizzazioni, nell'ONG, in assemblee congiunte, istituti e seminari di formazione iniziale e permanente; in riunioni di riflessione, di pianificazione e valutazione di programmi di vita e di lavoro in diverse aree, nei compiti educativi, amministrativi, di giustizia e pace…in incontri di preghiera, ritiri comuni, esperienze solidali, case per anziani per varie famiglie religiose… Sono tante le esperienze di interrelazione che rendono impossibile vivere chiusi nel proprio carisma.
Queste esperienze mostrano che prima del carisma particolare c'è il carisma globale di appartenere tutti e tutte alla stessa vita consacrata. Siamo religiosi prima di essere gesuiti, salesiani, domenicani o francescani.

L'esperienza della intercongregazionalità si sente probabilmente rafforzata con l'assumere nella vita religiosa la fragilità come valore. C'è infatti una rinuncia implicita all'autosufficienza, che ci autoalimenta, ci distanzia e non ci permette di conoscerci tra di noi. Al contrario, l'essere fragili ci spinge a incontrarci, a lavorare insieme, ad apprezzare gli altri. Ci obbliga ad avere bisogno gli uni degli altri.

3. Vita consacrata… più vita e più consacrata

Ci interessano la vita religiosa come vita, il dinamismo di conversione all'essenziale, l'essere e non tanto i modi di vita, le strutture, i compiti, il fare. Apprezziamo ciò che genera vita. L'essere è vita e felicità. Quando avvertiamo la vita interiore che cresce, quando viviamo nell'amore, quando condividiamo la vita con i poveri…, sentiamo la gioia di vivere. Quante religiose e religiosi danno testimonianza di vivere nella gioia la loro vocazione.
Dio rende dinamica la nostra esistenza e pone in noi un principio di rinnovamento. Egli ci ha creati creatori e ci ha fatto il dono della speranza: energia creatrice. Iniziamo a creare noi stessi, ad essere uomini nuovi, a non concentrarci in programmi e stili organizzativi-operativi senza essere toccati nella profondità del proprio io. Se l'uomo di scienza crea e l'artista ricrea, la ragion d'essere del religioso sta nel ricrearsi nel compito di ricreare questo mondo nel Regno di Dio.
Chi si lascia pervadere dallo Spirito si apre a una nuova vita. Questo è grazia, e il peccato consiste nel chiudersi alla grazia, nel resistere a una vita sempre nuova: nell'impegnarsi nel fare le cose di sempre, a pensare e sentire come sempre, impedendo la linfa dello Spirito. Si tratta di trasformarci, di prepararci a ricevere il lievito nuovo. A vino nuovo otri nuovi. Bisogna staccarsi dall'antico. Non solo correggere difetti e compiere un numero maggiore di opere buone. Bisogna nascere di nuovo. Accogliere il battesimo nello Spirito, Signore e datore di vita… Vita in quantità di libertà, in numero di ideali, come peso e misura dell'amore. Vita in pienezza: essere più, crescere di più, sperare di più, donarsi di più, amare di più….

4. Gesù Cristo ragione della consacrazione

Oggi si coglie nella vita religiosa una ripresa di vitalità della preghiera. Si vive una esperienza di preghiera personale con l'urgenza vitale dell'aria che si respira. Le piccole comunità intensificano la preghiera comunitaria condividendo l'espressione della fede, in momenti gratuiti e imprescindibili per il discernimento comunitario. C'è un ardente desiderio di autenticità nella preghiera che porta a superare le pratiche e le devozioni per giungere all'incontro con il Signore. Si dedica tempo a preparare gli incontri comunitari di preghiera. L'eucaristia comunitaria ha perso il ritualismo di routine diventando un'esperienza vissuta di incontro con Gesù. Molte comunità danno testimonianza della pratica periodica di un giorno di ritiro per stare soli col Signore e celebrarlo in comunità, alimentando così la propria consacrazione. Non dimentichiamo che la preghiera è il fiore e il frutto della speranza. Si colloca in maniera connaturale nel vuoto che c'è tra l'ottimismo presuntuoso e il pessimismo disperato.
La vita religiosa dell'America Latina sta riscoprendo nella vita quotidiana l'incontro con Gesù Cristo, come ragion d'essere per la sua vita. Un incontro che alimenta quello con i fratelli. Quanti religiosi e religiose, con semplicità e profondità si sentono e si siedono oggi a tu per tu col Signore, vicino ai fratelli per alimentare l'incontro. La mistica e la profezia - presenti dove la vita lo chiede - sono oggi le due chiavi della CLAR come sintesi del dinamismo da seguire nella vita consacrata.

5. Pratica della Lectio divina

La presenza della vita religiosa in piccole comunità di base ha favorito anche il diffondersi della pratica della lettura pregata della Bibbia. Le comunità di base ci stanno aiutando a portar fuori la parola di Dio dal tempio e dalla liturgia per applicarla alla vita quotidiana. Molte comunità religiose stanno recuperando la pratica della lectio divina e fanno il discernimento comunitario a partire dalla Parola. Oggi scopriamo l'incontro con il Signore nella sua Parola e nei poveri. Sono i due cardini della nostra trasformazione. La parola di Dio possiede una forza trasformante. Se ci lasciamo toccare da essa, ci trasformeremo e andremo al mondo dei poveri.
La lettura pregata della Bibbia rafforza i dinamismi del cuore della vita religiosa: diastole, esodo verso la periferia, verso il mondo dei poveri: il luogo del corpo storico di Gesù. E sistole, ritorno dalla periferia alla comunità, trasformata nel corpo mistico di Cristo, con la forza per costruire il suo Regno. La trasformazione della vita religiosa avviene soltanto coltivando l'incontro con Cristo nella sua Parola e nei poveri. Dare vita a partire dalla Parola a coloro che non hanno vita. Quanti testimoni di una vita religiosa semplice confermano nella pratica quotidiana una spiritualità incarnata e liberatrice che scaturisce dalla Parola di Dio e dal contatto con i poveri.

6. Discepoli… imparando a situarci come religiosi nella società

Una sfida macroscopica: collocarci come religiosi nella società di oggi.. Si tratta di un processo, e l'importante nei processi vitali è il dinamismo del progresso. Vogliamo situarci nella società con lo sguardo rivolto a Gesù, al suo progetto, al Regno, alle sue urgenze. Assumiamo le chiavi che scopriamo nella prassi vissuta di Gesù:

- L'umano: desideriamo diventare più umani. Abbiamo un messaggio di umanità, come arte e spiritualità, e sapienza di vita. Di qui l'interesse e lo sforzo per conoscere i desideri e le speranze degli uomini e delle donne di oggi per andare ad essi con un messaggio di umanità crescente.
- Contatto con il divino: il religioso, con i piedi per terra e gli occhi rivolti al cielo, desidera arrivare a Dio. Si tratta di essere specialisti in ciò che è nostro: non in compiti, ma nell'atteggiamento. Uomini e donne che attraversano la vita cercando Dio. Essere testimoni più che maestri. Testimone è colui che parla di ciò che ha visto e udito. Di qui l'importanza che i religiosi si siedano ai piedi del Signore per vedere, udire, e poter essere testimoni davanti a tanti esseri umani aperti alla medesima ricerca di Dio.
- I deboli, urgenza del Regno: la passione del religioso per il Signore si traduce in compassione per coloro che soffrono. La gloria di Dio è che l'uomo viva. Dio vuole la vita in abbondanza e la vita in qualità. Gesù guarisce gli infermi, nutre gli affamati, risuscita i morti. Cerca la vita del perdono, l'amicizia, la gioia condivisa, la libertà profonda, l'amore totale: partecipazione alla vita di Dio.

Ci sentiamo rafforzati nella pratica della formazione permanente, per superare la routine, la stanchezza, la mediocrità con gli strumenti necessari per rispondere meglio al desiderio di collocarci come religiosi nella società attuale. Oggi si moltiplicano le istanze di formazione permanente intercongregazionali oppure all'interno di ciascuna famiglia religiosa.

7. Nutrendo la passione per la missione

Vita religiosa… uomini e donne di speranza attiva nella costruzione di un mondo più giusto, riconoscendo il dono di Dio nella vocazione alla missione, per poter fare di questo mondo il Regno di Dio. La vita religiosa accoglie oggi il documento di Aparecida che ci aiuta a sentirci coinvolti nella missione. Discepoli e missionari: discepolo è colui che prolunga la missione. Il contenuto della missione è Gesù Cristo, il suo progetto, il Regno… la vita per tutti: Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza (Gv 10,10).
La ragion d'essere della nostra missione sono gli altri, la vita, la sua qualità, non tanto la verità. Missione al servizio del Regno, al servizio della vita dei poveri. Il nostro stile di vita è un progetto verso Gerusalemme, la consegna totale. La missione della vita consacrata si riassume nell'approccio samaritano e nella presenza profetica nella vita di tanti testimoni che incarnano una appassionata generosità di servizio e di dedizione.
La missione appare oggi come dialogo, che cerca l'incontro per rendere possibile la comunione. Dialogo con i lontani, i diversi. Vogliamo andare incontro, avvicinarci all'altro, non per convincerlo o conquistarlo, ma con rispetto e umiltà per ascoltarlo, dialogare e arricchirci a vicenda. Il diverso come destinatario della missione sarà differente in ogni contesto umano. Per il ricco, il diverso è il povero; per il credente, l'indifferente; per il cattolico, l'evangelico; per il cristiano, il musulmano; per l'occidentale, l'indigeno… Ma non dialoghiamo da una posizione neutrale bensì a partire dalla propria identità. Dialogando con il diverso fortifichiamo la nostra identità. Concepiamo perciò la missione non come estensione ma come comunicazione e arricchimento reciproco. Tutti siamo messaggeri e destinatari della buona notizia. Il missionario fa missione nella misura in cui è oggetto di missione. In pratica stiamo correggendo il concetto unidirezionale della missione.

8. Il carisma congregazionale… una tenda estesa ai laici

Negli ultimi decenni le congregazioni religiose hanno compiuto uno sforzo per conoscere meglio e rivitalizzare la figura dei loro fondatori e adattare i loro carismi alla società in cui viviamo. Si è trattato di un dinamismo molto arricchente per il rafforzamento della propria identità congregazionale. Ogni famiglia religiosa conosce oggi meglio le proprie origini, valorizza di più i suoi fondatori e si identifica in maniera più decisa con il proprio carisma.
Le nostre congregazioni conoscono meglio quello che sono e cercano di rispondere ad esso nella vita e nelle opere. Abbiamo rafforzato la nostra identità. Si tratta di un processo aperto, dal momento che esiste sempre il pericolo di vivere in funzione di noi stessi e di dimenticarci del Regno e delle sua urgenze.
Ogni carisma è un dono dello Spirito alla Chiesa, ed è bene condividerlo con i laici. Ciò che si condivide si arricchisce e ci arricchisce. Abbiamo arricchito i nostri carismi e la vita religiosa si arricchisce nella apertura ai laici, partecipando più attivamente alla vita comune del popolo di Dio. Con essi condividiamo la spiritualità e la missione, considerandoli non solo collaboratori, ma compagni di vita e di missione della comunità religiosa. Alcune famiglie religiose hanno compiuto un cammino più significativo, giungendo a rendere partecipi i laici nelle assemblee e strutture di governo. È un processo senza ritorno che caratterizza in maniera sempre più chiara la vita consacrata del continente.

9. Semplicità nella vita fraterna

L'esperienza di vita comunitaria, basata sulle relazioni fraterne, comporta un grido vitale anzitutto nei giovani del continente. Oggi si opta per comunità piccole con il denominatore comune della semplicità nelle forme di vita, nelle strutture al servizio della fraternità, nelle pratiche di governo corresponsabili e circolari; nell'austerità e apertura ai laici. Inoltre, appaiono segni di forme diverse di vita comunitaria: tra uomini e donne, persone di differenti famiglie religiose, celibi con laici sposati… Si mette in risalto il valore della comunità-laboratorio. Si tratta di piccole cellule vive nel popolo di Dio che stanno sperimentando un altro stile di vita.
Dall'altra parte, la vita religiosa ha una voce profetica all'interno della comunità cristiana. Chiede una nuova ecclesialità, a partire dalla stessa esperienza di vita comunitaria, e sollecita pratiche che rispondano a un governo circolare nella Chiesa, sollecitando in esso la partecipazione della donna. A volte bisogna mettere in conto la sofferenza implicita nella incomprensione di certi strati ecclesiali.

Rendere reale la nostra nostalgia di futuro

I segni di speranza descritti qui sommariamente suppongono una riserva di calorosa biosfera nel contesto della nostra vita religiosa. Sono una carica di energia creatrice che ci porta alla convinzione che il sogno che la vita consacrata nutre possiede oggi le migliori possibilità di realizzazione. Per questo optiamo per la potatura e non per il disboscamento, per veder crescere il germoglio. Si tratta di coltivare e di costruire germi di vita, sapendo che costruire vuol dire rendere reale la nostra nostalgia del futuro.
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse (Is 11,1). Il rinnovamento è possibile perché i venti dello Spirito soffiano sul vecchio tronco che fiorisce. È successo in Israele e succede oggi con il tronco invecchiato della vita religiosa. I venti dello Spirito continuano a soffiare con forza e dinamismo. Nelle faccende di ogni giorno, segnate dal dolore e dalla gioia, ci sentiamo invitati, vicini alla croce, a soffrire e contemplare con quella speranza che si traduce nell'attesa che venga partorito il nuovo. Di fronte all'indicazione di questi segni di speranza riaffermiamo la nostra fede nell'azione feconda dello Spirito che opera per mezzo di religiose e religiosi inquieti, attivi, entusiasti, sentinelle di speranza.

(Carlos Del Valle, SVD, direttore di "Testimonio", su "Testimoni", Numero 15 del 2011 pag. 24)