LETTERE - Mondo Voc maggio 2011                                                               Torna al sommario

 


perrone

 


Le chiese si svuotano e diventiamo sempre meno.


I cristiani di fronte all'invasione dei clandestini.


I ragazzi e il turpiloquio.

 


Risponde Padre Sandro Perrone

 


Diventiamo sempre meno

Caro Padre, sono un giovane catechista della mia parrocchia e non le so dire la tristezza e lo sconforto che mi prende quando guardo i banchi vuoti della chiesa. Al catechismo, dopo la prima comunione, i bambini si prendono un “intervallo” di un paio d’anni; poi ritornano per la cresima; fatta questa, spariscono quasi completamente: se ne vedi un paio, puoi fare salti di gioia. Non ne parliamo poi dei giovani… La chiesa ormai è cosa di vecchi e di persone “spostate” (scusi la franchezza). Anche tra i catechisti le cose non vanno molto meglio: c’è gente che, lasciato l’ufficio, è scomparsa dalla circolazione e la vedi sì e no a Natale e a Pasqua. Cosa si può fare, cosa posso fare io per cambiare un po’ le cose? A volte, scherzando, dico che mi iscrivo al WWF, non si sa mai!

(Roberto, Napoli)


Caro Roberto, hai toccato un tasto dolente della “religiosità” in Italia (altrove è anche peggio), che in questi ultimi anni si sta manifestando in maniera drammatica. A mio modesto parere, credo che la “colpa” sia da imputare alla “sacramentalizzazione” della vita cristiana. Cioè alla scelta di “centrare” la catechesi sulla celebrazione dei sacramenti. Con il risultato che per il battesimo bastano un paio di incontri (genitori e padrini), per la prima comunione e la cresima di norma un paio d’anni di catechismo; poi ci si rivede (se ci si rivede) per il matrimonio in chiesa, che è più fotogenico: 7 o 8 incontri bastano (quando ci sono). Infine, il funerale religioso, che non si nega a nessuno. Sembra molto difficile convincere i nostri cristiani (compresi molti parroci) che bisogna “centrare” la vita sulla fede in Cristo: la fede che diventa vita cristiana, la vita cristiana che testimonia la fede. Per arrivare a tanto, è necessario un vero cammino spirituale e catechetico, fatto di tappe, ma che ha come meta la maturità cristiana, anzi la piena maturità di Cristo. È probabile che la scansione  sacramentale sia più facile e più semplice, ma il risultato è quello che tu vedi e che è sotto gli occhi di tutti. Per fortuna, non tutti sono d’accordo e sono nati gruppi spontanei di approfondimento teologico, biblico, spirituale. Ci sono, inoltre, parecchi Movimenti nella Chiesa, che reagiscono con forza a questa deriva; penso ai Neocatecumeni, ai Carismatici, ai Focolarini, ai Ciellini, i Boy Scout, ecc. Forse potresti anche tu impegnarti in questo senso nella tua parrocchia. Lamentarsi e piangere va anche bene, ma non è con le lacrime che si innaffiano i fiori.

 

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I cristiani e i clandestini

Caro Padre, in questi giorni è sotto gli occhi di tutti la piccola “invasione” di clandestini provenienti dalla Libia e dalla Tunisia. È un vero esodo biblico di disperati che cercano pace e fortuna in Italia e in Europa. Mi rendo conto che il problema non è facile né semplice e che con molta probabilità il nostro Paese da solo non ce la può fare per frontale a questa vera e propria emergenza umanitaria. Ma quello che mi sorprende (e mi rattrista) di più è il vedere e sentire tanta gente (che magari si dice pure cristiana) che non ha alcuna vergogna ad usare espressioni razziste, volgari, cattive, nei confronti di questi poveri miserabili. Non le chiedo un commento, ma mi domando e le domando: un cristiano che cosa può fare, come deve comportarsi?

(Elena, Grottaferrata, Roma)


Cara Elena, il dramma, sfociato ormai in tragedia, cui stiamo assistendo in questi giorni, è qualcosa di talmente grande e grave che non può essere lasciato ai commenti da bar dello sport. Occorrono misure e provvedimenti che nessun Paese da solo può affrontare: è necessario che tutta l’Europa prenda coscienza di quello che sta avvenendo per poter fronteggiare adeguatamente questa emergenza. Ma in questo momento l’Europa (o una sua parte) è interessata a fare la guerra alla Libia, figuriamoci se può interessarsi di quattro profughi che scappano dalla fame, la miseria, la violenza, la morte. I grandi problemi vanno affrontati con grandi rimedi non con i pannicelli caldi. Non è possibile accogliere tutti indistintamente, è vero, ma non si possono dimenticare i profughi in fuga da guerre civili e dittature; ci sono anche coloro che cercano migliori condizioni di vita. Solo una politica di vera collaborazione con i Paesi più poveri potrà impedire l’invasione. Occorrono incentivi veri sul posto più che poliziotti alle frontiere. Il cristiano può fare molto per creare una mentalità aperta e solidale; accoglienza non significa confusione, ma il rifiuto è spesso razzista.

 

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I ragazzi e il turpiloquio

Caro Padre, sono impressionato dall’incredibile turpiloquio dei nostri ragazzi. Sugli autobus, per strada, nei locali pubblici si assiste ad un diluvio di parolacce, trivialità e bestemmie da far paura. Quello che impressiona e addolora di più, però, è constatare l’età di questi “ragazzi”: alcuni sono dei veri bambini forse appena di scuola elementare! Le chiedo: come ci si deve comportare e, soprattutto, come possiamo aiutarli?

(Antonietta, Bari)


Cara Antonietta, quello che scrivi non fa che confermare la verità sulla “emergenza educativa” di cui ha parlato varie volte il Papa Benedetto XVI. Sembra che la famiglia, la scuola e perfino la parrocchia, tradizionali “agenzie educative”, abbiano rinunziato al loro ruolo d’insegnare, formare, educare, forse scoraggiate dagli insuccessi, visto che devono lottare contro “nemici” troppo forti e potenti che, al cinema, alla televisione, alla radio, nel parlamento, per strada, danno continuamente esempi negativi e fortemente diseducativi. Il solito esperto ha voluto “sdoganare” la parolaccia come naturale sfogo di tensioni e liberazione da vecchi e sorpassati tabù. Il risultato è che oggi, per “provocare”, occorre essere educati e corretti, parlare in modo “pulito”, non aggressivo né volgare. Che fare, mi chiedi. Anzitutto dare sempre e comunque il buon esempio e, all’occorrenza (ma con grande prudenza: le reazioni anche violente non mancano!), intervenire educatamente (mai con espressioni “aggressive” o di condanna), correggendo e cercando di far capire. Non è facile, lo so, ma spesso non rimane altro da fare.