a_mio_padreNovembre 2010

C'è bisogno di padri e madri spirituali

La fatica di essere padri

Si parla spesso del fenomeno di crescente diserzione delle assemblee parrocchiali come effetto della fatica di credere e di stare nel cammino della Chiesa. E solo questione di pecore riottose o anche i pastori hanno un po' smarrito la logica evangelica nel loro ministero?

Il 2 agosto scorso si poteva leggere, nelle pagine interne del Corriere della sera, un'interessante lettera aperta della scrittrice Susanna Tamaro intitolata: Se la Chiesa non ha più padri. A partire dall'istituzione del pontificio Consiglio per una nuova evangelizzazione dell'Europa, avvenuta in quei giorni, la Tamaro compiva alcune considerazioni molto pertinenti circa l'atteggiamento pastorale della Chiesa propiziando, credo, un utile esame di coscienza. Il tono generale della lettera è un accorato appello a correggere l'istintiva tendenza - decisamente clericale - a mettere sempre in discussione gli altri, interpretando la "progressiva secolarizzazione" della società e 1" "eclissi del sacro" tipica della post-modernità come un problema che riguarda Valtrui "grave crisi del senso della fede cristiana e dell'appartenenza alla Chiesa". E se questo fenomeno rivelasse, invece, anche un problema legato al nostro modo di essere preti e consacrati?

Mancano i padri e le madri spirituali

Il condizionale della domanda sopra formulata, in realtà, è un presente indicativo: c'è un problema legato al nostro modo di essere pastori e consacrati. Gli esempi offerti dalla Tamaro, tanto frequenti e sotto gli occhi di tutti, non possono essere ignorati: numerose persone che, come lei, hanno compiuto un percorso complesso per arrivare, o tornare, alla fede faticano a trovare interlocutori che le aiutino, con rispetto e pazienza, ad approfondire la conoscenza del Cristo dei vangeli e coniugare l'unica chiamata alla fede con i passaggi tipici del loro percorso di vita, segnato da problemi, difficoltà e dubbi del tutto personali; vi sono uomini e donne che, a motivo delle alterne vicende della vita, si trovano a mettere dolorosamente in questione scelte compiute e valori fino ad allora accettati e che spesso non trovano un ministro che ascolti pazientemente, che cerchi di capire il vissuto personale e guidi poi alla comprensione del valore, senza limitarsi a giudicare; è frequente trovare ministri e comunità parrocchiali intensamente dedite alla carità materiale, ma che faticano a vivere il contatto con le inquietudini delle persone "normali", a stare accanto a chi vive problemi, dubbi, crisi, in un'istintiva fuga verso le opere di carità, più facili da controllare nei risultati, meno complesse e laboriose da accompagnare... La conclusione a cui giunge la Tamaro è che «mancano i padri e le madri spirituali, persone credibili, che abbiano fatto un cammino, che conoscano la complessità e la contraddittorietà della vita e che, con umiltà e pazienza, sappiano accompagnare le persone lungo questa strada, senza giudicare e senza chiedere risultati. (...) Non occorrono nuovi "input", nuovi dicasteri, nuove sfide, nuovi raduni oceanici. Occorre soltanto ricordarsi che nell'uomo esiste una parte di mistero e che questa parte va nutrita».
Non so quale ricaduta abbia in noi l'invito del pontefice a una nuova evangelizzazione del nostro continente. Di certo anche tra non pochi preti e consacrati si percepisce una certa allergia a nuovi dicasteri e a esortazioni a trecentosessanta gradi, anche un po' scontate. O meglio: è evidente la necessità di fare qualcosa di fronte al fenomeno crescente di indifferenza e marginalità del "religioso" (che non significa automaticamente "rifiuto di Dio"!), ma è anche evidente che non è a forza di proclami che la situazione migliora. Ha ragione la Tamaro quando suggerisce che, «se una nuova evangelizzazione ci deve essere, dovrebbe dunque riguardare prima di tutto gli uomini e le donne della Chiesa, responsabili purtroppo - in molti, troppi casi - dell'allontanamento dalla fede di tante persone di valore. Forse è il momento di capire che non è la quantità dei sacerdoti, ma la qualità a fare la differenza. E la qualità non dipende dalla preparazione teologica, dai convegni, dai master accumulati, ma dalla purezza dell'anima che si arrende alla Grazia». Perché «un'anima arresa è un'anima che converte, che disseta. Un'anima che traffica, organizza, o si assopisce sui suoi privilegi, è un'anima che allontana». C'è bisogno, allora, di nuovi dicasteri, nuovi segretari, nuovi poteri, nuovi bilanci, «o c'è bisogno piuttosto di una grande cura di umiltà? Cancellare i moralismi, i pregiudizi, la pigrizia, la sete di potere e tutta quella zavorra che nulla ha a che vedere con la fede e appesantisce e rende ostile il cattolicesimo agli uomini contemporanei. I nostri tempi hanno bisogno estremo di santità, come ha detto il papa di recente nell'anno sacerdotale, perché davanti alla cosificazione dell'uomo, è l'unica condizione che lo riporta alla straordinaria grandezza per cui è nato».

Fede, conversione e mediazione

Il contenuto della lettera della Tamaro mette in evidenza un paio di elementi scontati nella teoria, ma non sufficientemente tenuti in considerazione nella pratica, e cioè l'importanza centrale della fede e conversione personale, e l'importanza della mediazione nel cammino della fede di ciascuno. Entrambi vanno messi al centro del cammino formativo: fede e conversione personale come un percorso serio e mai concluso, e coscienza del particolare ruolo di mediazione che segna la vita del prete e del consacrato.
La vocazione cristiana è per tutti una chiamata alla fede nel Dio di Gesù, un cammino di conversione per arrivare a essere santi e capaci di amare come Dio. Il cammino del prete/consacrato ha poi un valore ancor più specifico, poiché definisce lo stesso stile del suo atteggiamento pastorale, riconducibile - per essere brevi - allo stile delle parabole del capitolo 15 del vangelo di Luca. Purtroppo, per quel che riguarda la mediazione, tutti sappiamo che molte persone sono lontane dalla fede non per una consapevole scelta di rifiuto di Dio o di esclusione della dimensione del mistero nella propria vita. Alcuni, è vero, si trovano "lontani" perché ignorano, o rifiutano, i contenuti della fede, ma altri lo sono per esperienze negative vissute con i rappresentanti della Chiesa nella propria adolescenza, giovinezza o in momenti critici della loro vita. In questi casi, il rifiuto della persona che ha causato sofferenza è divenuto rifiuto di tutto il "pacchetto-religione cattolica".
Perché accade questo? Una delle ragioni principali è lo scarso livello del cammino di crescita umana e spirituale curato dalla formazione. Un'altra ragione sta nella tendenza tipicamente clericale di attribuire al dato contenutistico-razionale, e dottrinale-normativo, un primato pratico nel discorso della fede. Senza negarne l'importanza, è bene ricordare che questo elemento dovrebbe centrarsi sempre sul Vangelo. Inoltre, non va mai disgiunto dal dato relazionale. cioè la valenza interpersonale che si gioca in ogni relazione umana, anche quella pastorale, e dal dato emotivo-affettivo che sempre accompagna la trasmissione dei contenuti. La rivelazione di Dio, della sua volontà e del suo mistero di amore è realtà che si veicola sempre per mezzo di mediazioni, in un processo di assunzione dell'umano che è già in sé manifestazione e proclamazione della bellezza del creato e dell'umanità presa così com'è, e posta in condizione di essere espressione del Dio che ci viene incontro, che vuole dialogare con l'uomo e non può stare sereno - ci si passi l'espressione - senza quel libero interlocutore che è l'uomo.
Riconoscere in Cristo il mediatore tra Dio e l'uomo non fa problema. Ma se si è ben compreso questo suo ruolo, tanto centrale da segnare tutta la sua esistenza, non ci dovrebbero essere problemi a riconoscere come sia una caratteristica partecipata alla nostra umanità quella di esprimere parole, gesti, affetti che "dicono" un contenuto che ci trascende e si prestano a diventare incarnazione di un bene e un amore che ci superano. È la nostra umanità che Dio veste, facendola diventare, con tutti i limiti che la caratterizzano, "luogo" della sua rivelazione, d'incarnazione oggi del suo progetto inesauribile di bene.
La coscienza di essere mediazione dell'azione di Dio conduce a interrogativi seri. Noi, preti e consacrati, siamo custodi di regole e norme giuridiche o pastori del gregge di Dio, con lo stile di Cristo? Riusciamo a gioire, come gioisce Dio, quando un uomo o una donna alla ricerca della verità si rivolgono a noi, o siamo più preoccupati del nostro disagio, dal non saper cosa dire o cosa fare di fronte ai problemi e interrogativi posti da chi ci interpella? Siamo o non siamo più contenti di un solo peccatore che si converte e vuole tornare a casa che non di cento giusti mai usciti dall'ovile? Siamo disposti a "spazzare tutta la casa" per ritrovare la dracma perduta, o siamo contenti solo di coloro che non si sono mai smarriti?
Se questi atteggiamenti evangelici non costituiscono i nostri criteri valutativi, e non ci provocano sufficientemente, significa che abbiamo paura della realtà che è sempre complessa, densa di momenti critici; che non abbiamo il gusto di ammirare e prenderci cura del modo imprevedibile con cui la Vita vuole farsi spazio nel cuore di ogni persona. E se abbiamo paura della complessità, significa che la vita e la formazione di noi "ministri" non ha fatto i conti con quelle "sfide" evolutive che costituiscono un percorso di crescita - umana e spirituale - realistico, autentico. E significa che il Vangelo non abita ancora dentro di noi nella sua valenza più sorprendente, quella dell'amore gratuito di Dio che accoglie tutti, senza far conto del loro passato o delle motivazioni che li muovono. Chi non ha vissuto intensamente, accettando e confrontandosi con le lotte implicite nella vita, non può aiutare altri a vivere; chi non ha imparato a stare in cammino, affrontando quotidianamente le proprie fragilità e contraddizioni, non saprà aiutare chi vuole camminare verso la meta. Per questo, alla fine, risulta molto più rassicurante, semplice e sbrigativo accontentarci dell'immediatezza esteriore: confrontare le persone sui comportamenti morali, controllare l'ortodossia della fede, il rispetto delle norme.ed esigere risultati... alla luce del diritto canonico più che del Vangelo.

La legge dello Spirito

Qualcuno farà notare, opportunamente, che l'ortodossia, la morale, le regole nella Chiesa non solo hanno il diritto di esistere, ma sono necessarie. Vero! Il punto sta, come dicono i saggi, nel fare una cosa senza dimenticare l'altra. O, come dice Gesù, avere il coraggio di portare fede, morale e legge alla loro pienezza nella logica dell'amore di Dio. Non si tratta di negarle o svalutarle, ma di viverle alla luce della misericordia infinita di Dio.
L'amore non si improvvisa. Lo si conosce solo per esperienza, perché si sperimenta una benevolenza, un affetto che ci coglie così come siamo e ci fa degni di stima, con tutti i nostri limiti e difetti. Qualcuno ha aperto il suo cuore e mi ha fatto spazio, ha intuito il mio bisogno di senso, di amore e me lo ha donato: ora anch'io sono chiamato, e posso fare lo stesso. Forse è proprio per questo che non ci si improvvisa "padri" o "madri" spirituali. Perché se non si è sperimentata nella propria vita la misericordia di Dio, unilaterale e senza condizioni, sempre immeritata da parte nostra, non si è in grado di viverla, di offrirla ed esserne servitori nei confronti dei fratelli. C'è molto che dovrebbe cambiare perché il cammino formativo che prepara presbiteri e consacrati possa metterli in condizione di essere potenziali "guide" spirituali. Non si tratta dell'eterno dilemma: «o la legge o lo Spirito», perché entrambi sono fondamentali. Ma c'è una priorità dello Spirito che non può essere ignorata. Crescere nello Spirito è il tema essenziale del cammino cristiano; dovrebbe esserlo ancor di più nel cammino formativo dei preti e consacrati. L'obiettivo della santità non è un optional, ma il filo rosso che caratterizza tutto il cammino formativo, utilizzando tutti i mezzi possibili per fondare la persona sulla roccia che è Cristo. Se e quando si cresce in un autentico spirito evangelico si diventa capaci di avere in noi i sentimenti di Cristo e capire i fratelli nella logica del «che nessuno vada perduto di quanti mi hai dato». E si diventa più capaci e credibili nel proporre, dopo. anche un cammino che porti alla conoscenza e rispetto delle norme che regolano la vita della Chiesa.

(Enzo Brena, La fatica di essere padri, in "Testimoni", 17/2010, pp. 16-18)