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sordiALBERTO SORDI

di Vito Magno

 

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Fare la storia di un italiano, anzi, la storia di tutti gli italiani, delineare virtù e, soprattutto, vizi di un popolo attraverso la deformazione satirica. L'arte di Alberto Sordi, nato il 1920 a Roma e morto a casa sua a 82 anni il 25 febbraio 2003, a pensarci bene, è tutta qui. E non è poco. Il suo personaggio era sempre lo stesso: un uomo petulante, ingenuo ma catastrofico nella sostanza, pronto a lasciarsi affascinare facilmente (dal mito americano, da sogni di successo, potere, denaro, eroismo che però, poiché troppo grande, gli sarà fatale) ma anche, qualche volta, a riprendersi con insospettabili soprassalti di dignità (lo schiaffone al commendatore nel finale di "Una vita difficile" è un degno esempio). Figlio di un direttore d'orchestra, nato a Trastevere, Alberto Sordi già dai 16 anni sperimentò tutti le possibilità espressive che il mondo dello spettacolo gli offriva: fantasista, attore di rivista, cabarettista, comparsa nei film e doppiatore (celebre la sua voce prestata a Oliver "Ollio" Hardy. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale si affermò nel teatro leggero e ottenne il primo grande successo popolare con personaggi come il Signor Dice, Mario Pio e il Conte Claro. L'esordio cinematografico da protagonista avvenne nel 1951, il film "Mamma mia, che impressione!" fu accolto con freddezza ma permise a Federico Fellini di notare la gaglioffa abilità di Sordi e riproporla nel personaggio del divo dei fotoromanzi, vacuo e narciso, del film "Lo sceicco bianco" che rivelò la stella di Alberatone, come il successivo "I vitelloni", sempre diretto da Fellini. Durante tutti gli anni '50 Alberto Sordi divenne l'attore che garantiva incassi record ai botteghini, la critica salutò con entusiasmo la sua galleria di personaggi piccolo borghesi, vigliacchi, furbeschi, disegnati con rara maestria interpretativa. Tra i film più importanti di questo periodo. "Un giorno in pretura" (1954), "Un americano a Roma" (1954), "Il conte Max" (1957), "Mio figlio Nerone" (1956), "Domenica è sempre domenica" (1958), "La grande guerra" (1959). Dagli anni '50 comincerà il sodalizio indistruttibile tra Sordi e Rodolfo Sonego, sceneggiatore di oltre 100 film interpretati dal mattatore romano. A detta dei critici più autorevoli, negli anni '60 Alberto Sordi è giunto all'apice della sua arte, riuscendo a bilanciare il gigionismo grottesco dei suoi primi ritratti al cianuro con un inedita compostezza malinconico-esistenziale che si ritrova in pellicole come "Una vita difficile" (1961), "I complessi" (1965), "Fumo di Londra" (1966), "Il medico della mutua" (1968), "Il presidente del Borgorosso Football Club" (1970), "Detenuto in attesa di giudizio" (1971). Negli anni '70 il suo virtuosismo di attore gli permise di tratteggiare gli ultimi indimenticabili personaggi: dal perdente di "Lo scopone scientifico" (1972) al finto moralista di "Il comune senso del pudore" (1976), dall'indimenticabile "Un borghese piccolo piccolo" (1977) al "Malato immaginario" (1979) con cui riportava al cinema il suo amore per il teatro. Numerosi i premi internazionali vinti da Albertone: tre Nastri d'Argento, sette David di Donatello, due Grolle d'Oro, un Golden Globe, un Orso d'Oro a Berlino e un Leone d'Oro alla carriera conferitogli a Venezia. Negli anni '80 e '90, pur tra grandi successi al botteghino di film come "In viaggio con papà" (1982), "Io so che tu sai che io so" (1982), "Il tassinaro" (1983), "L'avaro" (1990), Sordi non riuscì a rinnovare il suo estro interpretativo, riproponendo tutto il virtuosismo romanesco già visto in ruoli più incisivi e meglio tratteggiati nei decenni passati. L'ultima sua fatica cinematografica è "Sogni proibiti" (1998) nel cui cast figura Valeria Marini nella parte di una svampita, carnale tentatrice che accende le fantasie erotiche di un uomo anziano. Personaggio pubblico per eccellenza, Alberto Sordi, stroncato da una malattia incurabile, è sempre riuscito a tenere riservatissima la sfera privata e non ha mai ufficializzato nessuna relazione sentimentale.