candelora6 febbraio 2013

Il 2 febbraio a Milano: Scola ha celebrato a sant’Ambrogio per i religiosi e le religiose

I consacrati, anime luminose e figure di speranza

La Diocesi di Milano ha celebrato l’annuale Giornata Mondiale della Vita Consacrata in varie modalità. Come esortava il Vicario episcopale per questo settore, monsignor Ambrogio Piantanida, in un articolo comparso sul Portale diocesano, le comunità cristiane devono avere un “richiamo grato” per le vocazioni di speciale consacrazione. In tal senso, sono state preparate delle specifiche intenzioni per la Preghiera dei fedeli.
Inoltre, ha auspicato che le celebrazioni nelle Zone pastorali e nei Decanati non si dovessero svolgere nella giornata di sabato 2 febbraio, ma «in  preparazione o a sviluppo»  di essa. Il motivo è chiarito dal fatto che, alle 10 di quel giorno, la basilica di Sant’Ambrogio avrebbe ospitato una solenne celebrazione eucaristica, presieduta dall’Arcivescovo, il cardinal Angelo Scola.
Così è stato, in un ambiente particolarmente incline ad ospitare liturgie che rendano grazie a Dio per le persone che a Lui si consacrano: in quella chiesa, infatti, sono conservati i resti mortali di sant’Ambrogio, cantore della verginità consacrata sin dalla sua prima opera letteraria, il trattato “De virginibus”, dedicato a sua sorella, santa Marcellina. Le spoglie di lei, che emise la sua professione verginale nelle mani di papa Liberio, riposano non molto lontano da quelle dei suoi fratelli, Ambrogio e il meno noto Satiro, laico rimasto celibe per meglio impegnarsi al servizio del congiunto vescovo.
Proprio dalla cappella di santa Marcellina si è mossa la processione composta dall’Arcivescovo, dai concelebranti e da una rappresentanza dei vari Istituti presenti in terra ambrosiana. Tutti avevano in mano delle candele accese, benedette con significativo rito, ed erano preceduti da un’icona della Vergine Maria.
Dopo il canto dei dodici Kyrie, tipico del Rito Ambrosiano nelle solennità, e l’incensazione dell’altare, ha pronunciato un saluto a nome di tutti i presenti padre Lino Dan. Il religioso, superiore dei Gesuiti presenti nella parrocchia di Santa Maria della Scala in San Fedele a Milano, ha dichiarato lo scopo della partecipazione di così tanti fedeli consacrati: testimoniare il senso più profondo della loro vita, ossia, per riprendere le sue parole, «Essere totalmente di Cristo secondo i vari carismi specifici». Tale condizione, però, non estrania, ma esorta chi la vive a mettersi al servizio della comunità diocesana.
Nell’omelia, tornando sul simbolo delle candele o delle lampade, il cardinal Scola ha sottolineato come esso, al pari di ogni segno della liturgia, non sia puramente esteriore. Appoggiandosi al brano proposto per l’Ufficio delle Letture, tratto dai “Discorsi” di san Sofronio vescovo, ha indicato come esso raffiguri la “luminosità dell’anima” con la quale bisogna andare incontro a Cristo.
Oltre a questo segno di luce, l’Arcivescovo ha paragonato i consacrati ai due personaggi di cui racconta il Vangelo proclamato poco prima, gli anziani Simeone e Anna. Entrambi sono, a suo dire, «figure di speranza», che hanno vissuto tutta la loro esistenza nell’attesa di vedere il Signore. «Questa è la posizione del cristiano e, “a fortiori”, non può non essere la posizione dei consacrati», ha detto, richiamandoli, subito dopo, al compito di aiutare gli uomini e le donne a «sostenere il tempo in tutta la sua portata eterna».
Quasi a rispondere a chi vede, soprattutto nelle suore, degli elementi valutati nella Chiesa unicamente per i loro compiti umili, il Cardinale ha richiamato come, ancor prima che nei servizi specifici, i consacrati debbano «dare al mondo testimonianza con la propria vita stessa». Il brano di Vangelo, ha proseguito, sottolinea con efficacia tale atteggiamento, non riportando le parole della profetessa Anna, bensì raccontando come ella esercitasse la propria dedizione all’interno del Tempio.
Il discorso è continuato col ricordo della recente visita del Santo Padre per l’Incontro Mondiale delle Famiglie e delle sue parole in Duomo, rivolte ai sacerdoti e ai religiosi, e con la menzione del Catechismo della Chiesa Cattolica, nel punto 926, dov’è richiamata la necessità di «esprimere la carità di Dio, nel linguaggio del nostro tempo». A quel punto, l’Arcivescovo ha rimarcato come il Catechismo non vada disatteso da nessuno.
Nello spiegare le parole di Simeone a Maria, che il Beato Giovanni Paolo II definì «secondo annuncio» alla Vergine (cfr. “Redemptoris Mater” 16), Scola ha indicato come sottolineino la concreta dimensione storica con cui il Figlio compirà la sua missione: nell’incomprensione e nel dolore, a cui per fede Maria partecipa. È la dimostrazione che per rendere vero l’amore, ogni amore, serve la “strana necessità” del sacrificio.
Quanto al compito dei consacrati in Diocesi, esso deve esplicarsi in due direzioni: riflettere sul carattere “co-essenziale” della loro scelta di vita, ossia come senza di essa la vita ecclesiale risulterebbe menomata, e dare un respiro veramente cattolico, ossia universale, alle comunità dove essi vivono.
In conclusione, è stato citato il canto che avrebbe accompagnato il momento della Comunione:  “Conducimi tu”, adattamento musicale, da parte di monsignor Giuseppe Liberto, della preghiera “Lead, kindly light” del Beato John Henry Newman. Il brano ben si adattava al contesto luminoso della celebrazione e alle anime di coloro che la vivevano.
Prima della benedizione solenne, come ormai è sua abitudine, l’Arcivescovo ha pronunciato alcune parole a braccio, per ringraziare l’assemblea a nome del Consiglio Episcopale milanese e di coloro i quali lo rappresentavano fra i concelebranti. Infine, come già ai giovani nel primo dei “Dialoghi della Fede”, avuto con loro nella sera di giovedì 24 gennaio, ha richiamato ai presenti la necessità di «attualizzare il nostro Battesimo andando al momento dell’incontro personale col Signore, quando la Grazia ci ha, per così dire, baciati nell’animo». Parecchi religiosi e religiose hanno potuto esprimere il proprio ringraziamento a loro volta mettendosi pazientemente in coda, al termine della celebrazione, almeno per stringere la mano a colui che tanto si fida di loro.

(Emilia Flocchini)