F_18_19_martini520 ottobre 2012

«Un uomo di ascolto», è così che a don Franco Brovelli, rettore dell’Istituto Sacerdotale Maria Immacolata e vicario episcopale per la Formazione del clero dal 1986 al 2006, piace ricordare il card. Martini.

Martini e i suoi preti

Don Brovelli, cosa ricorda della relazione tra Martini e i suoi preti?
In particolare due cose. Innanzitutto la meditazione, a cui ho partecipato personalmente, su come il percorso dei quattro Vangeli aiuti il cammino di fedeltà di un presbitero. Mi ha fatto subito capire quanto a lui stesse a cuore la cura della fede dei suoi preti. Secondariamente, la scelta di invitare a casa sua i diaconi prima dell’ordinazione, per qualche giorno di vita comune, dimostrava la stessa attenzione nel voler stabilire una relazione vera, semplice, fraterna con i preti. Nel tempo ho avuto la fortuna di stare accanto a Martini dapprima seguendo i preti all’inizio del ministero e poi come responsabile della Formazione permanente. Ciò ha consentito un progressivo approfondirsi della nostra conoscenza, uno dei doni più grandi che il Signore mi abbia fatto.

Come si è concretizzato il suo rapporto con i preti?
Direi soprattutto nella cura di alcuni momenti “ispiratori”, prima nel tempo della formazione in Seminario e, poi, nei “passaggi” propri del ministero. Non potendo conoscerli tutti singolarmente, si preoccupava di condividere questi momenti interrogandosi su quale chiamata contenessero. Così sono nati i corsi di esercizi per le diverse comunità, dalle medie al seminario teologico e per gli educatori. Nei primi anni di ordinazione, invece, penso alla “Quattro giorni di spiritualità”, che ha voluto a partire dal 1990, incominciando da Assisi. Voleva stare in dialogo col vissuto dei suoi preti che, spesso, dopo le meditazioni mi dicevano: «Ha parlato di me!». Ancora oggi, dialogando con molti, mi accorgo dell’incidenza di quelle parole di Martini nel loro vissuto personale. Tanti preti sono arrivati a citarle: significa che qualcosa di quei giorni è entrato nel loro cuore, quasi tappe di una biografia spirituale che è andata emergendo. Penso, ancora, alla meditazione che teneva dinnanzi ai nuovi parroci e l’interrogativo: «Che cosa vuol dire diventare parroco quest’anno?». Così cresceva in lui una straordinaria esperienza di paternità.

Quale orizzonte di riferimento aveva l’Arcivescovo nello stare accanto ai preti?
Avendo avuto la fortuna di seguire i cammini dei singoli preti, magari in momenti di difficoltà, ricordo che Martini era attento a cosa si era mosso e si muoveva nella vita e nel cuore dei suoi preti. Questo ascolto dei vissuti era la condizione preliminare per passare all’ipotesi di un nuovo incarico. Non gli interessava solo l’elenco di ciò che ciascuno aveva fatto, ma capire come stava diventando prete quella tale persona, man mano che svolgeva il suo ministero. Anche nelle sue omelie del Giovedì Santo traspare questa premura: l’attenzione al vissuto spirituale e umano dei suoi preti.  Erano momenti di grandi risorse spirituali, di ascolto interiore, di rinascita dei perché. Quando il confronto tra noi diventava  sofferto, perché si parlava di situazioni di difficoltà e crisi, lui invitava a porsi la domanda più umile: «In questo momento questo prete che passo potrebbe fare?». Erano occasioni di grande fraternità, sentivo quella domanda come l’interrogativo di uno che non voleva gettare la spugna sulla possibilità di accompagnare.

Quale la cura del presbiterio nel suo insieme?
La proposta del cammino che denominò con un versetto del Vangelo di Marco: «Li mandò a due a due», è stata l’espressione più ampia di come l’orizzonte presbiterale gli stesse a cuore e la conoscenza diretta dei preti era cresciuta e gli facesse sentire l’esigenza di ricondurre a un orizzonte comune: essere e divenire presbiterio. Insieme ci aiutava ad ascoltare il cammino e il travaglio di altre chiese. Quando introduceva un caminetto serale, con uno sguardo a 360 gradi, era come se ci dicesse: «Siamo preti in un momento così, in una storia così», quasi anticipando le nostre domande con uno sguardo più complessivo. Queste piccole cose ho potuto viverle con intensità fortissima.

Moltissimi preti hanno partecipato al suo funerale. Si è chiesto cosa ci fosse nel loro cuore in quel momento?
Sì, più volte, anche se non riuscivo a guardare in faccia nessuno, perché faticavo ad arginare ciò che stava nel mio cuore. Credo che il legame che via via siamo andati scoprendo di intensa relazione con il Vescovo sia una delle eredità più belle e profonde che ci abbia lasciato e meritevole di essere continuata. Personalmente me la porto dentro; ho sempre visto Martini come un uomo di ascolto, che aveva a cuore non solo di conoscere gli eventi più personali, ma ciò che accadeva come dono di grazia nell’umanità e nella fede di un suo prete. Per questo nel congedo tutti noi lo abbiamo sentito di una vicinanza enorme.

(Don Cristiano Passoni su www.seminario.milano.it)