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LA FORMAZIONE DEI PRESBITERI NELLA CHIESA ITALIANA ORIENTAMENTI E NORME


I. DECRETO

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Questo testo: La formazione dei Presbiteri nella Chiesa italiana - Orientamenti e norme, preparato dalla Commissione episcopale per l'educazione cattolica, è stato esaminato, nelle successive stesure, dall'episcopato.

- In seguito all'approvazione della XVI assemblea generale (Cf. Atti,§360), e secondo i suoi orientamenti, la revisione definitiva è stata curata dai competenti organi della CEI.

Con lettera del 19 aprile 1980, prot. n. 1989/65/34/ITA, la Sacra Congregazione per l'educazione cattolica, a norma del decreto Optatum totius n. 1, ha approvato il testo ad sexennium.

Esso viene ora pubblicato quale documento della CEI per le diocesi italiane, in sostituzione del documento pubblicato ad experimentum il 15 agosto 1972 con il titolo: La Preparazione al sacerdozio ministeriale - Orientamenti e norme.

Roma, 15 maggio 1980


Anastasio A. card. Ballestrero , arcivescovo di Torino,

presidente della Conferenza episcopale italiana.



II. PRESENTAZIONE


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Questo nuovo testo La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana - Orientamenti e norme succede, dopo sei anni di esperimento, al precedente La Preparazione al sacerdozio ministeriale. Il decreto conciliare Optatam totius n. 1 prescrive che il "Regolamento di formazione sacerdotale" stabilito dalle conferenze episcopali sia riveduto periodicamente e approvato dalla Sede Apostolica, allo scopo di assicurare il necessario aggiornamento a un documento che riguarda la realtà viva della formazione dei giovani al ministero presbiterale.

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1. Ecco la Ratio rinnovata che i vescovi riconsegnano agli educatori e ai giovani dei seminari italiani, nella viva e fondata fiducia che siano confermati e accresciuti i frutti già conseguiti.
Tra i due testi - quello precedente e l'attuale - esiste, e si coglie, una continuità e una fedeltà con gli ovvi adattamenti ai documenti apparsi in questi anni e all'evolversi della situazione.
Pertanto, questo testo si presenta non solo come un servizio magisteriale e pastorale dei vescovi alle Chiese particolari che sono in Italia, per quanto concerne la vita dei seminari e la pastorale delle vocazioni sacerdotali, ma porta con sè un nuovo sicuro elemento di validità acquisito nella verifica sperimentale del sessennio decorso.

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2. Nella presentazione del precedente testo, mons. Giuseppe Carraro- che con gratitudine vogliamo ricordare e per sottolineare ancora la continuità del cammino - accennava a due effetti che esso avrebbe potuto ottenere: "il primo, di suggerire un'impostazione pedagogica, che sembra la più rispondente al concilio ecumenico Vaticano II e al nostro tempo; il secondo, di responsabilizzare più fortemente i giovani e gli educatori in un impegno che tocca i supremi interessi della Chiesa e dell'umanità". Possiamo affermare che questi due obiettivi sono stati largamente conseguiti negli anni settanta, nonostante che fossero anni particolarmente difficili per la vita dei seminari, a causa delle spinte contestative del mondo giovanile e per il rifiuto perfino di ogni forma d'istituzione.

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3. Ma negli anni ottanta bisogna proseguire sulla strada intrapresa. A tal fine, nel lavoro di revisione del documento, la Commissione episcopale per l'educazione cattolica, presieduta da mons. Luigi Boccadoro, ha ottenuto la collaborazione di tutti i vescovi, attraverso consultazioni personali e collegiali culminanti nella stessa assemblea del 1979, ed ha pure coinvolto nell'opera di aggiornamento le comunità educative dei seminari, organismi pastorali diocesani ed esperti. E dobbiamo aggiungere che la Conferenza episcopale italiana, dedicando appunto la XVI assemblea generale al tema "Seminari e vocazioni sacerdotali", se ha offerto un definitivo autorevole contributo al nostro testo, ha inteso pure proporre alla riflessione di tutta la Chiesa italiana un tema di vitale importanza per il suo futuro; a essa i vescovi hanno voluto ricordare che l'appello a seguire Cristo nel ministero pastorale è parte integrante del Vangelo, e "tutta la comunità cristiana è responsabile verso la perfezione, chiarificazione e maturazione della misteriosa chiamata del Signore" (SVS 48).

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4. L'iter di revisione che questo documento ha percorso per intero, dalle esperienze di vita nei seminari alla riflessione sui fatti e al pronunciamento autorevole dei pastori, più che offrire una semplice informazione, predispone all'accoglienza di esso e suggerisce la chiave di lettura per coglierne lo spirito.
Si tratta d'un testo senza dubbio perfettibile, ma certamente maturo e attuale che i vescovi consegnano ai loro collaboratori più preziosi impegnati nell'opera di formazione nei seminari e nella pastorale delle vocazioni sacerdotali. Ad esso seguirà la Ratio studiorum che completerà il presente documento per quanto attiene la formazione teologica, precisando e sviluppando maggiormente, anche in considerazione dei recenti documenti pontifici, il piano di studio.

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5. La struttura del testo mostra chiaramente che il futuro presbitero, costantemente illuminato dall'ideale del "vero pastore di anime", trova, nel suo cammino vocazionale e formativo, il punto di partenza nella pastorale della Chiesa locale per le vocazioni; il primo appoggio in gruppi o piccole comunità vocazionali, ma nel seminario minore l'aiuto più solido per riconoscere il dono della vocazione e prepararsi a seguire Cristo con animo generoso e cuore puro; e infine nel seminario maggiore il disegno di grazia d'una graduale conformazione a Cristo profeta, sacerdote e pastore, attraverso un'iniziazione complessiva - di vita spirituale, di studio teologico, di esperienze pastorali - ai ministeri del lettorato e dell'accolitato fino al sacramento dell'ordine.
Seguendo così più da vicino l'Optatam totius, questo testo aiuta a percorrere la storia d'ogni vocazione sacerdotale nel suo genetico sviluppo e richiama di continuo i giovani a modellare, come gli apostoli, "la loro vita e le loro opere con gli occhi fissi all'immagine incancellabile di Gesù buon pastore degli uomini" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la XVII Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni).

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6. La formazione del presbitero esige la realizzazione d'un preciso progetto di vita che non puòcompiersi se non "nella Chiesa", perché appartiene al medesimo mistero di Cristo e della Chiesa. Infatti il presbitero viene da Cristo e porta impressa nella sua persona l'immagine di Cristo pastore; per questo egli non vive per sè ma interamente per Cristo e per la Chiesa. Il seminario è il "luogo" privilegiato della Chiesa e vera comunità ecclesiale in cui Cristo, nella potenza dello Spirito, forma i suoi sacerdoti.
Con attenzione a Cristo e allo Spirito nella Chiesa va letta tutt'intera, e non in parte, questa Ratio la quale rimane per i giovani in cammino verso il presbiterato un umile ma sicuro strumento che li aiuta a vivere ogni giorno di più il meraviglioso disegno della speciale somiglianza a Cristo sacerdote; essa va ancora letta non con la riserva continua di frazionarla in precetti e consigli, bensì con l'animo fiducioso e disponibile alla ricerca d'un impegno formativo sempre più esigente.

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7. I vescovi, primi responsabili della formazione dei presbiteri nella Chiesa, sollecitano con pressante amore quanti, genitori e parroci, alunni ed educatori, sono pure essi responsabili dell'opera formativa dei seminari, ad assumere questo progetto educativo, attuarlo fedelmente, e insieme concorrere alla perfetta unità della formazione, sebbene articolata nell'aspetto spirituale, intellettuale e pastorale.

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8. La Chiesa italiana sente di rinnovare in questa circostanza il suo impegno per la "piena ricostituzione della vita dei seminari" perché - come scriveva Giovanni Paolo II - essa "sarà la migliore verifica della realizzazione del rinnovamento, verso il quale il concilio ha orientato la Chiesa".
Affidiamo a Maria, madre dei discepoli del Signore, tutti i seminari d'Italia, perché ispiri e accompagni nel cammino di formazione i giovani chiamati al sacerdozio e ci ottenga dal Padrone della messe una nuova fioritura di vocazioni sacerdotali.

Antonio Ambrosiano

Presidente della Commissione episcopale

per l'educazione cattolica.



III. DOCUMENTO NORMATIVO


Premessa

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1. La vita della Chiesa, con i diversi ministeri e carismi, è chiamata a realizzare, in ogni momento della storia e in ogni circostanza, la duplice fedeltà a Dio e all'uomo: fedeltà a Dio e alla sua parola vivente e sempre nuovamente feconda; fedeltà all'uomo concreto, al quale la parola si rivolge, chiamandolo, nella situazione vitale, all'obbedienza della fede. Di qui derivano alcune indispensabili indicazioni di metodo, alle quali non si sottraggono la pastorale delle vocazioni e la preparazione dei candidati al presbiterato, perché ogni progetto e ogni giudizio educativo e pastorale rispondano sia alla fisionomia di coloro che si fanno attenti alla chiamata del Signore, sia alle esigenze della parola di Dio, così come essa è autorevolmente proclamata nella Chiesa (cf. RaF Introd. 2; RaF I; GE Introd.; GS 2).
Dio chiama i futuri presbiteri da un determinato contesto umano ed ecclesiale, dal quale essi sono inevitabilmente connotati e al quale saranno mandati, per il servizio del Vangelo, a testimoniare la perenne novità della vita cristiana in un atteggiamento di dialogo e di condivisione.

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2. Si pongono, quindi, due questioni preliminari: quali problemi l'attuale contesto socio-culturale suscita all'adolescente e al giovane che deve maturare, per tutta l'esistenza, un progetto di vita secondo il Vangelo? e, nello stesso tempo, quali stimoli positivi esso offre? Non mancano vaste e approfondite analisi in merito, condotte anche con particolare riferimento alla vita cristiana nelle comunità ecclesiali (cf. ad esempio: Consulta generale dell'apostolato dei laici, Comunità ecclesiale e condizione giovanile, O.R., Milano 1979).
Qui ricordiamo che, se i progetti di uomo imperanti nella cultura attuale contrastano radicalmente per contenuto e per metodi col progetto cristiano, è anche vero che la condizione giovanile presenta elementi assai fecondi per il seme del Vangelo. Basti pensare alla fondamentale domanda di valori significativi, non più accompagnata dalle resistenze e precomprensioni, derivanti dal fascino delle ideologie; al passaggio dalla prevalente attenzione al "politico" a una riscoperta del "personale", che mantiene bensì il rischio di degenerare nell'individualismo e nell'intimismo, ma rivela la capacità di incarnarsi nel "comunitario", se incontrerà una coraggiosa proposta da parte della comunità; al bisogno conseguente di definire la propria identità e il proprio progetto esistenziale, tenendo conto della partecipazione e dell'appartenenza sociale.

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Merita particolare attenzione, per i risvolti problematici che comporta, la carenza di modelli e di valori percepiti come stabili, a causa della mutazione culturale permanente, rapida e profonda.
Tale carenza, infatti, comporta nei giovani la tendenza a sopravvalutare, come fondamento per le scelte, il criterio dell'esperienza personale, in sè mutevole e soggettiva.
Anche l'orientamento vocazionale puòrisentire di questo clima; e anziché indirizzarsi verso scelte, valori e atteggiamenti sempre più chiari e determinati, esso rischia di arenarsi in una continua e dispersiva formulazione e riformulazione delle ipotesi di vita, o almeno delle motivazioni che le sorreggono.
Questa situazione, che non risparmia neppure l'orientamento al presbiterato, va attentamente considerata, non certo per accettarla rassegnatamente come un dato ineluttabile, ma per cogliere le istanze che essa pone alla formazione dei futuri pastori, e per comprendere certe inquietudini presenti nei giovani dei seminari.
Da una parte questa caratteristica della psicologia delle nuove generazioni dissuaderà dall'imporre schemi rigidi o scadenze artificiose; dall'altra, perٍ, non si lasceranno mancare proposte educative chiare ed esigenti, per favorire la positiva evoluzione dei giovani verso impegni generosi e definitivi.

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3. Gli interrogativi proposti per il contesto socio-culturale andrebbero formulati anche per il contesto ecclesiale nel quale si attua l'esperienza vocazionale e formativa dei chiamati.
Se, infatti, non si puònegare che la vita e il servizio al mondo delle comunità cristiane presentano ancora resistenze e compromessi, dai quali derivano per i giovani motivi di incertezza, è anche giusto ricordare che la Chiesa italiana va sempre più maturando una coscienza comunitaria, missionaria e ministeriale, che puòoffrire una risposta efficace alle domande del mondo giovanile (Per tutti questi temi cf. CEI, Evangelizzazione, sacramenti, promozione umana, AVE, Roma 1979; SVS 51-56).
Il recente cammino ecclesiale apporta nuova luce anche sulla figura e sulla missione del prete, mettendo in risalto il primato dell'annunzio della Parola e lo specifico servizio reso per mezzo del Vangelo alla promozione dell'uomo, e definendo l'insostituibile originalità del ministero ordinato che anima e coordina tutti i carismi del popolo di Dio.
Raggiunta questa consapevolezza, i giovani potranno liberarsi da una certa diffidenza verso un ministero "giudicato angusto, inquadrato burocraticamente, socialmente distaccato dalla vita concreta" (SVS 6).

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4. Ed è, infine, necessario interrogarsi sulle difficoltà e sulle opportunità positive derivanti dall'immagine che i giovani e la comunità cristiana hanno della formazione presbiterale, soprattutto attraverso l'istituzione dei seminari.
Infatti, quest'ultimo arco di tempo ha visto un notevole e proficuo cammino di aggiornamento da parte dei seminari; ma tale cammino, anche a motivo delle inevitabili difficoltà e degli squilibri che talora l'hanno accompagnato (non esclusi quelli derivanti dalla grave diminuzione numerica delle presenze), non è stato in molti casi conosciuto e compreso dalle comunità cristiane.
Si spiega, in parte, un diffuso atteggiamento assenteista, tendente a delegare il problema ai diretti responsabili e a riservarsi unicamente un ruolo critico. L'alternativa è stata, in alcuni casi, la proposta di ritornare alle formule educative del passato, confondendo il faticoso processo di aggiornamento dei valori vocazionali con il loro smarrimento; in altri casi si è rivendicato direttamente alle comunità cristiane il compito del discernimento e della formazione delle vocazioni sacerdotali, in nome di una distorta teologia del ministero ordinato o denunciando il potere manipolatorio, che sarebbe implicito in ogni struttura.
Questa sensibilità è spesso condivisa anche da famiglie consapevolmente impegnate nella comunità cristiana e, quindi, restie a una scelta che sembra tradursi in una delega educativa data al seminario, o da gruppi e movimenti ecclesiali, che esprimono delle vocazioni presbiterali, ma tendono a fare in modo che il loro cammino formativo rimanga ancorato all'ambito educativo da cui sono nate.
E' necessario promuovere e mantenere un rapporto di comprensione e collaborazione tra seminario e Chiesa locale, poiché i problemi del seminario sono collegati a quelli del presbiterio e della comunità cristiana. La pastorale delle vocazioni e la fiducia nel seminario si fondano, infatti, sulla testimonianza viva dei seminaristi, dei preti e di tutto il popolo di Dio.

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5. Il presente documento si propone di richiamare le irrinunciabili esigenze evangeliche per la formazione dei preti, e di tradurle in orientamenti e norme, formative e pastorali, che accompagnino tutto il cammino verso il presbiterato, tenendo conto della situazione culturale ed ecclesiale italiana.
Anche là dove ragioni particolari hanno indotto il vescovo a sperimentare nuove vie nella formazione dei presbiteri, i criteri indicati dal documento e le mete segnate saranno autorevole punto di raffronto per orientare la proposta educativa e valutarne la bontà.
Dopo aver ricordato i dati essenziali dell'identità del sacerdote pastore nel popolo di Dio, come criterio necessario di riferimento per ogni scelta operativa (1a parte), il documento prenderà in esame la pastorale delle vocazioni sacerdotali nel contesto vivo e variamente articolato della comunità ecclesiale (2a parte) e le modalità e le strutture necessarie al cammino di verifica e di orientamento, nel quale il progetto di dedicarsi al ministero presbiterale potrà rivelarsi come autentica chiamata di Dio e domandare all'uomo una risposta fedele e definitiva (3a parte). Infine esso descriverà l'ambito e l'itinerario della configurazione a Cristo pastore per coloro che hanno accolto la chiamata e si dispongono all'imposizione delle mani per il sacerdozio (4a parte) (Lo schema segue l'impianto della Ratio fundamentalis: La pastorale delle vocazioni - tit. II; I seminari minori e gli istituti eretti per il medesimo scopo - tit. III; I seminari maggiori - tit. IV; cf. anche SVS 45).

Parte prima: l' identità del presbitero nel popolo di DIO


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6. Tutta l'opera educativa e pastorale della Chiesa, nel promuovere e nel discernere le vocazioni sacerdotali e nel formare i chiamati al ministero ordinato, si fonda su una chiara definizione dell'identità del ministero stesso, secondo modi espressivi che possano ispirare i contenuti e le modalità dell'itinerario formativo.
Tra i molti termini che designano la figura del presbitero, possiamo soffermarci sull'immagine del pastore. Tale immagine, tipica della persona e della missione di Cristo, il quale si rivela "buon pastore" e "principe dei pastori" in quanto raduna il popolo della nuova alleanza con la sua parola e con la grande oblazione sacrificale, nella quale dà se stesso per le pecore, in obbedienza al Padre (cf. EvM 21-23; SVS 19-22), esprime egregiamente anche l'essere e la missione di coloro che, mediante il sacramento dell'ordine, sono configurati a Cristo. Tali sono, in primo luogo e in modo pieno, i vescovi; ma, con loro, anche i presbiteri, che secondo il proprio grado, partecipano "al carisma pastorale, il che è segno di una peculiare relazione di somiglianza a Cristo, buon pastore" (Giovanni Paolo II, Lettera a tutti i sacerdoti della Chiesa in occasione del giovedì santo 1979, n. 5).
Il concilio Vaticano II indica come scopo dei seminari maggiori la formazione di "veri pastori d'anime, sull'esempio di nostro Signore Gesù Cristo, maestro, sacerdote, e pastore" (OT 4).
D'altra parte, la categoria espressiva del "pastore di anime" sembra tradurre con sufficiente fedeltà lo stile proprio in cui fu sempre vissuto il presbiterato nella tradizione della Chiesa italiana. Alla luce della rivelazione cristiana, l'immagine si determina più riccamente e più concretamente, riferendosi all'inesauribile mistero della mediazione salvifica di Cristo, che comporta anche aspetti sacerdotali e profetici.
Non intendiamo delineare il quadro completo, ma accennare solo a quei punti che sono più rilevanti in ordine alla cura delle vocazioni presbiterali e alla formazione dei futuri presbiteri.

Parte Seconda: il presbitero nel mistero di cristo e della chiesa

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7. Il mistero del regno di Dio, o della nuova alleanza, annunziato e inaugurato da Gesù Cristo, è mistero di riconciliazione e di comunione tra Dio e gli uomini e, conseguentemente, degli uomini tra loro. Cristo stesso "è insieme il mediatore e la pienezza" (DV 2; cf. SVS 10-14) di questo mistero, perché, a causa della sua condizione di Figlio unico di Dio, egli è sacerdote vero e definitivo (cf. SM I, 1), portando contemporaneamente alla piena verità anche le antiche mediazioni profetica e regale.
Così in lui si compie il disegno dell'alleanza salvifica e si esprimono la presenza definitiva e l'efficacia attuale dell'amore preveniente di Dio. Nella sua vita terrena Gesù, per rendere testimonianza al Padre che l'aveva mandato e per compiere la sua volontà, ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la condizione umana e ha annunziato ai poveri il Vangelo della salvezza.
La sua predicazione profetica, confermata con segni e miracoli, ha raggiunto il suo momento "regale" e il suo definitivo adempimento nel mistero pasquale della morte e risurrezione. Tale mistero è la parola suprema dell'amore divino, con il quale il Padre ha voluto parlarci in Cristo, affinché attorno a lui si raccolgano in unità i dispersi figli di Dio e vengano introdotti nella comunione dello Spirito. In questo modo Cristo si manifesta come unico pastore delle nostre anime e in lui avviene la nostra perfetta riconciliazione con Dio e ci è data la pienezza del culto divino (cf. SC 5; 1 Pt 2,24-25).

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8. Il mistero della riconciliazione, predicato e attuato da Gesù continuamente, si applica alla storia umana nella Chiesa e per mezzo della Chiesa, che "è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).
A tutta la Chiesa, infatti, mirabile sacramento scaturito dal costato di Cristo morente sulla croce (cf. SC 5), Gesù ha partecipato e consegnato il suo ministero di salvezza, per cui "ogni atteggiamento della Chiesa è inteso a interpretare e tradurre l'ansia e la sollecitudine del Cristo pastore" (EvM 37; cf. Gv 20,21; SVS 15). La Chiesa, costituita da gente "di ogni tribù, popolo e nazione", è inviata a rivelare e a comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini.
Tutta la Chiesa è per tutta questa missione, come corpo ben compaginato e connesso, nel quale ogni membro offre la collaborazione secondo l'energia che gli è propria e tutto l'insieme cresce per edificarsi nella carità. Essa cioè, come popolo sacerdotale, è dotata di una compagine organica per mezzo del dono dello Spirito e, nello stesso tempo, partecipa in diversi modi degli uffici di Cristo, per adempiere in suo nome e per sua virtù la missione della salvezza.
Infatti Cristo Gesù dispensa continuamente nella Chiesa i doni dei ministeri, con i quali, per virtù di lui, i cristiani si rendono vicendevolmente servizio, affinché ciascuno e tutti insieme crescano in ogni cosa verso di lui (cf. SM I, 4; Ef 4,11-16; LG 7).

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9. Cristo fondòla Chiesa sugli apostoli e sul loro ministero, che in senso pieno rimane unico. Per la medesima sua missione, egli, come inviato dal Padre e nella potenza dello Spirito, invia a sua volta gli apostoli che parlino e agiscano in suo nome, per essere segni e strumenti della sua parola e della sua azione nel mondo, vicari dell'opera sua. Essi "furono a un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia" (AG 5. cf. LG 18; SM I, 3), e per essi la Chiesa si dice apostolica e sempre si verifica sulla tradizione apostolica.
Perciòl'apostolo e la comunità dei fedeli sono elementi propri della struttura essenziale della Chiesa, legati l'uno all'altro reciprocamente, in Cristo e sotto l'influsso del suo Spirito, così che il ministero apostolico non puòessere perduto senza che la struttura stessa della Chiesa venga meno (cf. LG 10; SM I, 4). La permanenza del carisma apostolico, che è una qualifica e insieme un compito di tutta la Chiesa, ha un supremo suggello di garanzia e di autenticità nel ministero del collegio episcopale, succeduto al collegio apostolico.
I vescovi, collegialmente uniti al Papa, custodiscono nella Chiesa il carisma apostolico e perpetuano la missione che Cristo "principe dei pastori" (cf. 1 Pt 5,4; SVS 17-18) ha affidato agli apostoli, come servizio pastorale dell'autorità.

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10. Il ministero che perpetua l'ufficio degli apostoli - introducendo nella partecipazione sacramentale al mistero di Cristo pastore, capo e servo della Chiesa - "viene esercitato in diversi ordini da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi" (LG 28).
Ai vescovi "viene conferita la pienezza del sacramento dell'ordine"( LG 21), per la quale il collegio dei vescovi, unito al suo capo, il successore di Pietro, è responsabile di tutta la Chiesa e della sua missione (cf. LG 22; EvM 56). "I singoli vescovi poi sono il visibile principio e fondamento dell'unità nelle loro Chiese particolari" (LG 23), esercitando un dono che "non è la sintesi dei ministeri... ma è il ministero della sintesi, dell'armonizzazione e della generazione di tutti i ministeri volti all'edificazione della comunità" (EvM 54).
Il ministero dei presbiteri è comunione e collaborazione saggia e necessaria (cf. EvM 58) al ministero episcopale, nella responsabilità sia per la Chiesa universale sia per le singole Chiese particolari, a servizio delle quali essi costituiscono con il vescovo un unico presbiterio.
A tale scopo i presbiteri ricevono una particolare consacrazione per mezzo del sacramento dell'ordine, che fonda un rapporto originale e irrevocabile con Cristo. Attraverso l'imposizione delle mani, infatti, viene loro comunicato un dono perenne dello Spirito santo (cf. 2 Tm 1,6; SVS 43-44).
La dottrina della fede insegna che questa realtà è permanente e imprime nei presbiteri un segno, che nella tradizione della Chiesa prende il nome di carattere e che li configura a Cristo pastore, in modo che essi possano agire in nome suo e nella persona di lui (cf. 1 Pt 5,14; LG 28; PO 2; SM I 5; SVS 24-25).
Il ministero dei diaconi (cf. LG 29; AP) "sottolinea il valore del servizio espresso dalla carità, che è specifico della gerarchia. Il diacono infatti è segno sacramentale, e quindi rappresentante e animatore, della vocazione al servizio proprio di Cristo, servo di JHWH, venuto non a essere servito ma a servire e a dare la sua vita in redenzione di molti" (ReDP 5).


Le vocazioni al presbiterato

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26. Nella Chiesa particolare, sotto la direzione del vescovo, spetta al Centro diocesano vocazioni (o a strutture analoghe) promuovere e coordinare le varie iniziative catechetiche, liturgiche ed educative, a vantaggio delle vocazioni al ministero ordinato. Tali iniziative pastorali saranno opportunamente inserite nell'ambito più ampio del piano pastorale vocazionale.

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27. Ci rivolgiamo esplicitamente ad alcune tra le varie componenti della comunità cristiana, per l'importanza caratteristica che assume il loro contributo specifico all'individuazione e al primo orientamento delle vocazioni presbiteriali.
Ricordiamo anzitutto il ruolo decisivo e insostituibile svolto dalla famiglia, che diventa "come il primo seminario" (OT 2), quando si assume "il compito esaltante di collaborare con Dio anzitutto con una generosa accoglienza della vita; e poi con la sapiente attenzione a creare al proprio interno le condizioni adatte alla ricerca della vocazione: condizioni che rispettino una ben orientata libertà dei figli e stimolino al confronto con l'iniziativa del Signore e con il suo progetto sul mondo. La preghiera in famiglia è elemento decisivo per la creazione di tale clima: in esso sarà possibile per i genitori accettare nella fede il distacco dal figlio che fosse chiamato, e per tutti far crescere una sincera gratitudine a Dio per il dono ricevuto"( SVS 49; cf. AA 11; GS 52; OT 3; RaF 12; EvSM 104).

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28. Accanto alla famiglia è determinante il contributo della parrocchia, perché il chiamato vive la propria esperienza cristiana e vocazionale in una comunità particolare che educa alla fede e alla carità.
Nel contesto vivo della parrocchia è normalmente proclamata la Parola che chiama, sono celebrati i segni della salvezza e avviene l'incontro con la testimonianza delle diverse vocazioni e dei diversi ministeri.
Inoltre, nella situazione concreta di ogni porzione del popolo di Dio si manifestano le condizioni del peccato, di compromesso e di infedeltà che provocano la fede e chiedono l'impegno.
All'interno della parrocchia, poi, emerge la responsabilità dei catechisti, degli educatori di ogni tipo, degli animatori dei gruppi ecclesiali e in particolare dei preti verso le vocazioni presbiterali. A essi soprattutto è chiesto l'impegno di testimoniare lo zelo e la gioia pasquale, che accompagnano il ministero pastorale, e anche il coraggio di chiamare alla sequela di Cristo nel sacerdozio (cf. SVS 49-50; PO 11). La nascita e lo sviluppo di autentiche vocazioni al presbiterato sono quasi sempre un frutto della testimonianza viva e credibile di un prete che incarna visibilmente la fedeltà e la gioia della piena sequela di Cristo.
Un grande impegno in questa direzione è chiesto anche alle associazioni, ai gruppi e ai movimenti ecclesiali, i quali rappresentano il luogo e l'occasione per un'esperienza di Chiesa e si fanno carico del cammino di fede dei propri membri.
La loro fecondità vocazionale sarà tanto più corretta, quanto meno imporrà particolarismi e detterà legge circa l'identità e il ministero del futuro presbitero, quasi a volerlo plasmare a "immagine e somiglianza" della fisionomia del gruppo.

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29. La proposta della vocazione presbiterale presuppone evidentemente un atteggiamento educativo coraggioso e sereno, capace di "fare una nitida proposta della fede, sia nell'organica completezza dei suoi contenuti oggettivi, sia nelle sue implicazioni esistenziali"( SVS 63).
In tale contesto, infatti, diventa comprensibile e stimolante una catechesi specifica della vocazione presbiterale, la quale dovrà tradurre in termini adatti alle diverse età e condizioni i seguenti contenuti essenziali (cf. SVS 58):
- Il mistero di Cristo nel suo atteggiamento di servo del Padre e dei fratelli, e proprio per questo pastore del popolo della nuova alleanza (cf. EvM 24-27).
- Il mistero della Chiesa, soprattutto come comunione, ministerialità e missionarietà. L'impegno nel ministero ordinato suppone un'adeguata comprensione della realtà profonda della comunità cristiana, la quale è un popolo convocato "dall'alto" nella diversità dei doni per la missione (cf. EvM 35-48).
- Il significato e l'essenza del ministero presbiterale: esso offre la possibilità di realizzare quei valori umani e cristiani, ai quali i giovani sono particolarmente sensibili (cf. SVS 51-56); è a servizio della gloria di Dio, della comunione e del Vangelo, con tutto ciòche comporta l'integrale liberazione dell'uomo.
La missione evangelizzatrice, infatti, porta l'impegno della liberazione fin alla radice stessa di ogni oppressione e di ogni ingiustizia, cioè fino al peccato che abita nel cuore dell'uomo.
E solo la grazia di Cristo, operante nella Parola e nei sacramenti, puòrendere permanente e fruttuoso il radicale cammino di conversione e di liberazione.

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30. La catechesi di proposta, per essere efficace, si deve situare in un contesto preciso, nel quale i valori vocazionali non solo si possano tradurre in esperienza, ma addirittura ne siano come un frutto, al quale si giunge con la gioia della scoperta vissuta.
Perciٍ, l'ambito più generale e normale della proposta è l'itinerario dell'iniziazione cristiana, guidato dalla parola di Dio e attuato nei sacramenti (cf. EvS 86-92); ma in esso è possibile individuare occasioni ancora più specifiche, in riferimento alla vocazione presbiterale.
Tale vocazione, infatti, poiché è particolarmente destinata al servizio e alla comunione, è un messaggio significativo soprattutto quando viene scoperto attraverso l'incontro con comunità cristiane vive e operose, nelle quali i diversi ministeri efficacemente si esprimono.
Sul piano personale, la proposta del presbiterato trova il clima migliore in occasione di momenti forti di spiritualità (corsi di esercizi, ritiri, tempi di "deserto", esperienze di preghiera, tempi liturgici particolari): lì più facilmente sarà riconosciuto il primato dell'azione del Signore nel cammino individuale dell'uomo e nella vita della stessa comunità cristiana, e potrà essere presa la decisione di affidare la vita all'iniziativa di Dio.

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Questa esperienza interiore sarà tanto più profonda quanto più attentamente sarà accompagnata da una direzione spirituale che educhi a una libera e consapevole adesione personale al progetto di Dio (cf. SVS 59). L'esercizio di un compito ecclesiale, soprattutto nelle diverse forme legate all'annunzio della Parola, alla liturgia e all'animazione comunitaria, si rivela spesso un'esperienza decisiva per la maturazione delle vocazioni presbiterali.
Da questa dedizione vissuta in forma stabile e generosa, in modi diversi a seconda delle diverse età, si potrà configurare la disponibilità a un ministero che impegna tutta l'esistenza al servizio del popolo di Dio.
Altre iniziative potranno essere pensate e programmate (cf. SVS 60); ma rimane, comunque, decisivo l'impegno della comunità a far risuonare la voce del Signore in modo forte e chiaro e a creare le condizioni nelle quali la chiamata possa trovare ascolto adeguato, "per non esporsi, da un lato, al rischio della sterilità, e dall'altro, al rischio del proselitismo utilitaristico" (SVS 57).

Il graduale discernimento delle vocazioni presbiteriali

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31. Il chiamato, quando ha avvertito l'iniziativa di Dio che sembra invitarlo al sacerdozio, sente l'esigenza di avviare un cammino spirituale nel quale si possa discernere l'autenticità della chiamata - da parte dell'interessato, della comunità e dei pastori che la guidano - e nello stesso tempo realizzare le condizioni per una risposta libera e generosa.
Esigenze di tipo diverso chiedono d'essere conciliate: quelle della verifica d'un progetto non ancora riconosciuto come autentico nè accettato come definitivo, e quelle di una formazione, che permetta di accogliere il progetto stesso.
Si delinea perciòla necessità di "un itinerario, in cui le decisioni ultime vengano preparate da numerosi momenti intermedi, costituiti dal quotidiano dialogo in cui Dio variamente chiama l'uomo a seguirlo, e questi prende posizione di fronte a lui, disponendosi a chiamate più impegnative e globali" (SVS 47).

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32. Tale itinerario si propone le seguenti mete, secondo traguardi commisurati alle diverse età e alle diverse condizioni dei chiamati;
- lo sviluppo di una piena e responsabile maturità umana (cf. GS 15-17; OT 2), resa tanto più necessaria da una vocazione nella quale l'umanità del chiamato ha rilevanza evidente quanto all'efficacia e alla stessa credibilità del ministero; soprattutto bisognerà sviluppare e verificare quelle particolari doti che fanno del presbitero un uomo al servizio della comunione e del dialogo (cf. PO 3), e lo rendono capace di vivere serenamente e costruttivamente il celibato (cf. SaC 65);
- l'attuazione progressiva di una sequela di Cristo che conduca a "vivere intimamente uniti a lui, come amici, in tutta la loro vita" (OT 8), fino a essere "discepolo di Cristo in un modo così decisivo, da diventare immagine e segno del modo con cui tutta la Chiesa dipende radicalmente dal suo Signore" (SVS 30); anzi, la virtù della carità, essenziale alla perfezione evangelica, acquisterà progressivamente un'anima apostolica, fino ad assumere i caratteri della carità pastorale propria del presbitero (cf. SVS 34-36);
- la crescente apertura all'impegno nel ministero presbiterale, non solo attraverso la verifica dell'idoneità e della rettitudine dell'intenzione (cf. SVS 47), ma anche attraverso la graduale comprensione di ciòche tale ministero comporta; ne deriverà una positiva attrazione verso di esso e si formeranno motivazioni valide e autentiche, capaci di tradursi in atteggiamenti e scelte coerenti con la vita intrapresa.
Il raggiungimento di queste mete avverrà attraverso un cammino unitario, nel quale "la formazione dell'uomo deve andare di pari passo con quella del cristiano e del futuro sacerdote" (SDV).

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33. Poiché occorre riconoscere che anche la vocazione presbiterale "si manifesta in vari modi nelle diverse età della vita umana: negli adolescenti, nell'età matura e anche, come è attestato dalla costante esperienza della Chiesa, nei bambini" (RaF 7), è indispensabile rispettare la gradualità con la quale ogni persona giunge a comprendere e ad accogliere il piano di Dio.
Gli educatori e i pastori sappiano scoprire i germi della vocazione, così come si presentano nelle varie età, e diano ad essi il giusto valore.
L'andamento problematico con cui si compie sovente la ricerca vocazionale nel nostro tempo, attraverso la continua riformulazione delle scelte e delle motivazioni (cf. Raf 7), deve convincere che non è sufficiente tener conto della gradualità legata alle diverse età, ma che è necessario fornirsi di una mentalità disponibile a percepire, di volta in volta, i reali momenti spirituali della persona, per offrire tempestivamente occasioni e strumenti adeguati d'orientamento.
Bisognerà quindi prevedere che normalmente, tutte le volte che la personalità appaia disposta e preparata, passi dalle strutture di pastorale giovanile e vocazionale a strutture specifiche (seminario minore), nelle quali l'impegno formativo diventa più organico e pressante
In casi eccezionali si potranno prevedere anche eventuali passaggi inversi per alcune difficoltà personali, riconosciute dagli educatori responsabili: purché sia chiaro che non si sceglie una soluzione meno esigente e generosa, bensì un cammino meglio rispondente alla reale condizione della persona.

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34. Secondo questa gradualità, sarà possibile e necessario offrire nei singoli momenti di sviluppo della persona, sia la proposta del ministero presbiterale, sia le condizioni che consentono la verifica e la maturazione dell'orientamento vocazionale, non per incanalare le scelte verso una meta predeterminata, ma per sostenere la fedeltà di ognuno alla ricerca e al libero dono di sè.
Già quindi durante l'infanzia diventa possibile creare un ambiente educativo familiare nel quale il bambino, soprattutto attraverso le persone e la vita dei genitori, sperimenti che cosa significhi impostare l'esistenza secondo il piano di Dio (cf. RdC 135).
L'incontro successivo con la comunità cristiana, mediato dal cammino di iniziazione al sacramento dell'eucaristia e dalle altre occasioni di catechesi, lo porterà a scoprire gli altri ruoli nei quali si articola la vita ecclesiale (il prete, il catechista, l'educatore del gruppo ecclesiale, ecc.), a ricercarne il significato e a confrontarsi con essi. Così il ragazzo diventa progressivamente capace di accogliere una proposta vocazionale, che si accompagnerà alla scoperta che egli fa di sè e del mondo e troverà il suo centro focale nella preparazione alla cresima, il sacramento che mette in luce il dono che lo Spirito fa a ciascuno in vista della sua missione nella Chiesa e nel mondo.
In questa età, poiché il ragazzo assimila i valori quando egli stesso fa ed esprime ciòche conosce (cf. RdC 136), la proposta vocazionale nasce più facilmente dall'esperienza del servizio ecclesiale (ministranti, ecc.), ed è favorito dall'appartenenza ad associazioni ecclesiali di formazione e di apostolato (es. Azione cattolica ragazzi, scoutismo cattolico, ecc.).

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Nel successivo periodo di vita, l'adolescente puòtrovarsi nelle condizioni di rimettere in questione tutte le sue scelte, come conseguenza della ristrutturazione globale che avviene nella sua persona (cf. RdC 137). Così egli vive spesso momenti di insicurezza e inquietudine, nei quali sperimenta una continua oscillazione del suo orientamento vocazionale. D'altra parte, questa esperienza puòessere utile, perché rappresenta la premessa e la condizione per un'ulteriore libertà: dall'essersi posto di fronte ad altre opzioni, intese come reali e possibili per sè, l'adolescente potrà sentirsi libero e sicuro di optare per Cristo nel ministero presbiterale.
E' quindi necessaria per lui una guida educativa paziente e rispettosa, capace di una serena e liberatrice proposta di valori.
In ogni caso i germi di vocazione che si manifestassero, nel ragazzo o nell'adolescente, siano coltivati con sollecitudine, con la scelta del seminario minore o, dove questo non è possibile, con l'inserimento in altri tipi di comunità vocazionali.
Non ha senso, infatti, attendere passivamente che il semplice passare del tempo operi la maturazione sperata: alla proposta della vocazione presbiterale deve far seguito un serio e continuativo impegno per accompagnarne la verifica (cf. SVS 66).

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35. Nella giovinezza l'orientamento vocazionale puòesprimersi in piena maturità, non perché non siano possibili anche a questa età crisi e ripensamenti, ma perché le condizioni di sviluppo personale, umano e cristiano rendono questo momento di vita adatto alle scelte più totali (cf. RdC 138).
Perciòla proposta vocazionale deve farsi, per questa età, ampia, coraggiosa e stimolante, prendendo le mosse dalla scoperta del valore del Regno e del senso della gloria di Dio, dei bisogni e delle attese dell'uomo e della Chiesa, e dalla volontà di intervenire efficacemente in tutto ciòche rende l'uomo povero e oppresso, affidandosi all'energia di liberazione totale che scaturisce dalla pasqua del Signore.
E' evidente quindi che i giovani più sensibili alla proposta del ministero presbiterale sono quelli già coinvolti nella collaborazione parrocchiale, nei gruppi e nei movimenti ecclesiali di impegno pastorale nel mondo della scuola, del lavoro e in altri settori della vita sociale.

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L'afflusso al seminario maggiore di giovani studenti delle scuole medie superiori o dell'università e di giovani operai di età corrispondente è un segno della vitalità delle Chiese locali e della buona formazione con cui parrocchie, associazioni e comunità giovanili hanno educato alla vita di fede e all'impegno ecclesiale nell'ambiente secolarizzato e pluralista della scuola e del lavoro.
Giustamente, perciٍ, le vocazioni giovanili sono viste con gioia, anche perché sembrano offrire serie probabilità di perseveranza.
Va ricordato peròche questo non è un risultato automatico e che le maggiori speranze per l'orientamento al ministero presbiterale dipenderanno da alcune condizioni.
Anzitutto la vocazione deve essere maturata in una vera esperienza ecclesiale, fondata sull'ascolto della parola di Dio, sulla vita liturgica, sulla comunione e su uno spirito di servizio e di missione vissuto in sintonia con tutta la Chiesa e nella piena accoglienza di essa. Contemporaneamente è necessario un cammino formativo personale, caratterizzato dalla preghiera, dalla positiva soluzione dei problemi dell'età evolutiva, dal confronto con un prete amico e competente, che aiuti nel giudizio sulle motivazioni della scelta presbiterale e sull'oggettiva attitudine della persona.

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36. Nel nostro paese non mancano anche adulti che si sentono chiamati al ministero presbiterale.
Le vocazioni adulte differiscono sia da quelle maturate nell'adolescenza, sia da quelle manifestate nella giovinezza, perché si riferiscono a persone di età più matura, con personalità ormai definita, inserite in attività professionali e lavorative, impegnate nella vita ecclesiale, con un orientamento celibatario assunto per positive motivazioni di fede. Sono, cioè, adulti per maturità di fede e di impegno ecclesiale e civile, oltre che per età ed equilibrio.
La comunità cristiana non puòche accogliere come un dono dello Spirito le vocazioni adulte, e cercare metodi e interventi per accompagnare il loro cammino, aiutandole anche a superare le difficoltà e la sensazione di rischio derivanti dalla necessità di lasciare l'ambiente e le attività laicali, per intraprendere l'itinerario della formazione e dell'impegno pastorale.
Tali vocazioni domandano un'attenta opera di discernimento, perché, soprattutto se provengono da un'esperienza ecclesiale meno precisa, possono talora presentare qualche rigidità dovuta al cammino precedente o qualche lacuna nella maturazione personale, che rende insufficienti o inautentiche le motivazioni della scelta.

Parte terza: comunità per il discernimento e l'iniziale formazione delle vocazioni presbiterali.


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37. Accanto all'azione educativa della famiglia e della parrocchia si colloca l'intervento specifico di una comunità vocazionale, inserita nel tessuto della comunità ecclesiale e del mondo, e insieme capace di alimentare e verificare quei valori che costituiscono una vocazione.
Per tutto l'arco di età che comprende le scuole medie inferiori e superiori, quando i germi di vocazione presbiterale sono sufficientemente riconosciuti dal soggetto e dagli educatori, lo strumento normale per la verifica e la formazione è il seminario minore.
Accanto a esso, e non in alternativa, quanto piuttosto in funzione di esso, potranno essere previste altre forme di gruppi vocazionali per ragazzi e adolescenti, mentre iniziative specifiche dovranno essere costituite per i chiamati giovani e adulti.

La comunità del seminario minore nella Chiesa particolare

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38. L'incontro con la Parola che chiama avviene normalmente nel vivo contesto della comunità cristiana. Quando peròquesta Parola ha trovato ascolto, nasce l'esigenza di confrontare e promuovere la crescita personale con le severe attese della vocazione.
La verifica ecclesiale e la progressiva iniziazione ai valori e agli atteggiamenti propri del ministero esigono per i candidati condizioni e strumenti formativi che non sono normalmente presenti e possibili nelle comunità cristiane.
Di qui la necessità che coloro i quali considerano seriamente l'ipotesi del presbiterato si inseriscano in una comunità caratterizzata da una forte esperienza di fede e dall'esplicita finalità vocazionale.
Qui, per un congruo tempo, essi saranno affiancati e guidati da preti, ai quali il vescovo ha affidato il compito di discernere autorevolmente la vocazione e di educare in vista delle istanze che essa pone.

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La scelta di dar vita a queste comunità è provocata anche dalle suggestioni di un mondo secolarizzato, che rende difficile ogni scelta di tipo religioso.
I rischi non sono superabili semplicemente costituendo un ambiente separato e protettivo; occorre piuttosto offrire l'opportunità di vivere in un clima che consenta di sperimentare e valutare comunitariamente i diversi aspetti della realtà umana, con spirito critico e saggezza cristiana, così che si mantenga vigile la libertà.
A causa poi del distacco operatosi fra le generazioni, il mondo degli adulti incontra molte difficoltà a presentare ai giovani modelli che trovino ascolto e approvazione; e questo vale anche per i preti. Appare necessario quindi, soprattutto nell'età dell'adolescenza e della giovinezza, il confronto e l'interscambio fra persone che coltivano lo stesso progetto di vita, perché proprio da questa ricerca comune - guidata dall'ascolto della parola di Dio e dall'insegnamento della Chiesa - potrà configurarsi progressivamente l'immagine dell'ideale perseguito.

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39. Il seminario minore rappresenta, per tutti questi motivi, l'immagine più adeguata e completa di comunità educativa per il discernimento e l'iniziale formazione delle vocazioni al presbiterato. Al seminario andranno orientate con fiducia e tempestività le vocazioni non appena si verificheranno le condizioni opportune (cf. SVS 66).
Il seminario minore propone un'intensa esperienza di vita comunitaria, capace di valorizzare sapientemente l'apporto della famiglia e della parrocchia con strumenti educativi aggiornati ed efficaci. Sotto la guida degli educatori che hanno ricevuto l'autorevole mandato dal vescovo, la proposta educativa del seminario minore si articola secondo un piano formativo rispondente alle esigenze dello sviluppo personale e dell'orientamento vocazionale. Tale proposta educativa rispetti il principio della gradualità, ma anche solleciti coraggiosamente una generosità ricca di ardore evangelico, in un clima che promuova la libertà e la difenda contro ogni forma di pressione negativa (cf. SVS 64-65).

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40. L'azione formativa del seminario minore richiede una comunità stabile, tale da permettere un'autentica esperienza di vita comunitaria e una consistenza anche numerica che offra agli alunni una vita ricca di rapporti interpersonali, di espressione degli interessi tipici dell'età, di adeguate occasioni di carattere liturgico e formativo.
Se la scarsità numerica degli alunni non consentisse una fruttuosa vita comunitaria, e non si prevedesse a breve scadenza una situazione migliore, il vescovo potrà provvedere diversamente alla cura delle vocazioni dei ragazzi e degli adolescenti: o con gruppi vocazionali esterni (cf. nn. 78-81), che potrebbero costituire una valida premessa alla riapertura del seminario minore; oppure accordandosi coi vescovi confinanti per l'apertura di un seminario interdiocesano, e garantendo i necessari rapporti con le famiglie e con l'ambiente di origine.

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41. La comunità del seminario minore è a pieno titolo un'espressione della vita della Chiesa particolare: assume le connotazioni tipiche di ogni comunità cristiana, ha il suo elemento unificante specifico nell'impegno a seguire Cristo in vista del sacerdozio, si presenta con un suo progetto educativo, di cui il primo responsabile è il vescovo. Il seminario minore dovrà essere guidato tenendo presenti le mete e i criteri sopra indicati, senza dimenticare quella gradualità della formazione, da una parte richiesta dall'ampio arco di tempo in cui esso opera, e dall'altra suggerita dalla necessità di precisare progressivamente l'azione pedagogica per il passaggio al seminario maggiore. Se il primo aspetto domanda agli educatori una sapiente capacità di adattamento alle diverse età ed esigenze dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, il secondo fa sì che il passaggio al seminario maggiore avvenga senza introdurre nella vita del giovane "salti" innaturali (cf. SVS 64-66).

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42. Poiché finalità specifica del seminario minore è il riconoscimento dei germi di vocazione presbiterale, le condizioni richieste per l'inserimento e la permanenza di un alunno si riassumono nel raggiungimento del grado di maturità umano-cristiana e di apertura al presbiterato corrispondenti alle esigenze e alle possibilità dell'età.
L'accoglienza della prospettiva presbiterale, nelle forme consentite alle diverse età (cf. RaF 13), caratterizza fondamentalmente l'adesione al seminario minore. Questo atteggiamento, infatti, pur senza garanzie definitive e premature e in presenza di motivazioni ancora insufficienti, va attentamente valorizzato dagli educatori, in quanto esso puòcostituire il punto di partenza per la proposta dei valori e la verifica delle attitudini esigite dall'orientamento vocazionale.
Per questo, per il ragazzo che comincia la scuola media inferiore, oltre alla presenza di condizioni personali oggettive (ambiente familiare, profitto scolastico, impegno in parrocchia, vita sacramentale, rapporti con i coetanei), bisognerà anche constatare che vi sia in lui una reale propensione: che conosca, cioè, la finalità vocazionale del seminario, desideri spontaneamente di far parte della comunità seminaristica e accetti il rapporto educativo.
Negli anni successivi è necessario che si rivelino positivamente le qualità personali (bontà d'animo, lealtà, equilibrio, impegno, socialità, pietà, ecc.) e che rimanga sincero e vivo l'orientamento al presbiterato.
Per la grande importanza che assume in questa età il "clima" che si crea tra i coetanei, è indispensabile alla finalità stessa del seminario che tale orientamento goda tra i seminaristi buona accoglienza, stima e interesse: perciٍ, la permanenza nella comunità di chi rifiutasse di fatto la proposta e la finalità del seminario risulta inopportuna per la persona e per la stessa comunità (cf. OT 3).
Quanto all'adolescente dei primi anni delle scuole superiori, si comprendano pazientemente le oscillazioni che accompagnano il formarsi del suo progetto di vita, purché la scelta presbiterale sia da lui presa in seria considerazione e rappresenti un autentico interesse.
Durante gli ultimi anni delle scuole superiori invece occorre constatare l'esistenza di una scelta che si profila con una certa sicurezza e viene autenticata dalle esperienze della vita e da motivazioni valide.
Non è segno positivo la permanenza in questa età di situazioni psicologiche di incertezza tali da rivelare seria labilità interiore. Si badi sempre, poi, che l'ambiente familiare sia sano per rettitudine morale e onestà di intenzioni, e che non esistano controindicazioni psichiche.

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43. Il seminario minore sollecita una collaborazione attiva e complementare al proprio progetto educativo presso le rispettive famiglie e parrocchie dei seminaristi. Si trovino le forme più adatte - anche istituendo organismi di partecipazione: consigli di genitori, raduni di sacerdoti delle parrocchie di provenienza, ecc. - per riflettere insieme sull'impostazione educativa del seminario minore in relazione alle sue finalità, così che gli educatori, ai quali il vescovo ha affidato la conduzione della comunità, possano prendere decisioni con maggiore consapevolezza e dopo un opportuno confronto.
Gli educatori del seminario minore, inoltre, diano vita a un'azione pastorale nei confronti delle famiglie e delle parrocchie, per renderle sensibili e preparate alla cura delle vocazioni (cf. RaF 12).

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44. Pur nel rispetto della distinzione di competenze sopra ricordate, la corresponsabilità delle tre componenti educative (famiglia, parrocchia, seminario) si esprime soprattutto quando si tratta di decidere l'inserimento del ragazzo o quando emergessero particolari difficoltà per la sua crescita umana e cristiana (cf. RaF 11). Inoltre, incontri periodici di valutazione sono di grande aiuto agli educatori e si traducono in utilità degli alunni, perché contribuiscono a far sì che essi siano meglio conosciuti e permettono di compiere tempestivamente le scelte adatte.
La valutazione del soggetto dev'essere globale, così da includere tutta la sua persona e tutta la sua storia, e sia condotta in modo da coinvolgere anche l'interessato, secondo che l'età lo consenta, nella ricerca che lo riguarda.
Il giudizio che ne deriva - al quale puòconcorrere utilmente anche l'apporto delle scienze psicodiagnostiche (cf. RaF 30) - suppone il rispetto dei tempi personali di maturazione e la valutazione prudente dei possibili recuperi, e richiede un intervento pronto e discreto, specialmente quando si verificassero situazioni psichiche particolari o ci fosse il rischio di qualche danno alla comunità.

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45. Come ogni comunità umana e cristiana, anche il seminario minore riconosce in sè la presenza di membri deboli, incerti o meno dotati e intraprendenti.
La carità educativa della comunità si prodiga anzitutto a favore di questi membri, disposta a capire e ad aiutare (cf. Lc 13, 8-9), pronta a misurare il passo anche sulle esigenze dei più deboli, quando la loro intenzione sia retta e il loro comportamento leale.
Qualora, per libera decisione degli interessati o in seguito al discernimento operato dagli educatori, l'orientamento al presbiterato risultasse un'ipotesi abbandonata, i ragazzi o gli adolescenti siano "tempestivamente e paternamente indirizzati verso altre professioni e aiutati a dedicarsi con ardore all'apostolato laicale, nella consapevolezza della loro vocazione cristiana" (OT 6).
E' buona cosa che i rapporti di amicizia tra la comunità e questi giovani rimangano, per quanto è possibile, stabili. Ciòcontribuisce a rinsaldare i vincoli tra il seminario minore e la Chiesa locale e puòoffrire nuovi strumenti alla pastorale delle vocazioni.

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46. Perché la famiglia e la parrocchia possano rispondere al loro compito educativo, sia assicurato un collegamento abituale degli alunni del seminario con queste altre comunità (cf. RaF 12).
I modi e la frequenza del rientro in famiglia e in parrocchia non sono valutabili puramente in termini quantitativi, ma devono essere scelti in modo tale da consentire a ogni comunità di dare, in consonanza con l'opera educativa del seminario, il proprio contributo.
Durante le scuole medie puòessere particolarmente significativo un rientro più frequente in famiglia, della quale il ragazzo ha un grande bisogno per una crescita armoniosa. In parrocchia egli assicurerà quei servizi e quei modi di presenza che sono caratteristici dei suoi coetanei (ministrante, piccolo cantore, membro delle associazioni cattoliche dei ragazzi, ecc.).
Nel corso delle scuole medie superiori il rientro in famiglia sarà prevalentemente orientato all'impegno apostolico nella parrocchia, assumendo secondo le capacità degli alunni quei compiti di servizio e di testimonianza, che sono condivisi dai loro coetanei (catechesi, liturgia, animazione di gruppi giovanili e di ragazzi, ecc.).
In questo periodo, gli educatori del seminario potranno utilmente proporre agli alunni anche l'esercizio di servizi pastorali in parrocchie e ambienti diversi da quelli di origine, favorendo così un più ricco campo di esperienza: essi rimangano i responsabili della conduzione e della verifica di tali esperienze.

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47. L'apporto educativo della famiglia e della parrocchia assume particolare rilievo durante i periodi prolungati di vacanza (come nei mesi estivi), quando, venendo a mancare il normale aiuto della comunità seminaristica, le esigenze formative non mutano e richiedono, anzi, un approfondimento ulteriore in vista di una testimonianza, in contesti diversi, della fede e della vocazione.
Il seminario minore, da parte sua, potrà garantire la continuità dell'educazione attraverso momenti di vita comunitaria e periodici incontri di riflessione e di preghiera, che sostengano e verifichino la fedeltà agli impegni.

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48. Il seminario minore non si limita al rapporto con le famiglie e con le parrocchie degli alunni, ma dialoga con tutta la diocesi, "alla quale deve essere prudentemente aperto e nella quale deve essere vitalmente inserito, perché non solo possa attirare la generosa cooperazione dei fedeli e del clero, ma anche, come fulcro della pastorale vocazionale, possa esercitare un benefico ed efficace influsso sulla gioventù, e contribuire al suo progresso spirituale" (RaF 12).
E' vero infatti che il principale servizio del seminario minore è la testimonianza offerta da un gruppo di ragazzi e di adolescenti, che si sforzano di vivere insieme la loro ricerca vocazionale. La testimonianza del seminario peròsarà più efficace e comprensibile se, nei limiti consentiti dalle esigenze della vita comune, saprà aprirsi all'accoglienza di altri ragazzi e adolescenti, singolarmente o in gruppo, per condividere in alcuni momenti e in particolari occasioni la gioia e la fatica del seguire il Signore. Il seminario minore puòdare un contributo originale e incisivo alla pastorale giovanile, soprattutto nella dimensione vocazionale.
Potrà anche giovare l'inserimento dei preti educatori in particolari settori della pastorale diocesana (catechesi, famiglia, giovani, ecc.), dove terranno vivi l'interesse e la preoccupazione per le vocazioni presbiterali.

La comunità degli educatori del seminario minore

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49. La comunità degli educatori del seminario minore, specificamente preparati al loro servizio, riceve dal vescovo il mandato di curare le finalità vocazionali proprie di questa comunità.
Il loro atteggiamento pedagogico riconosce gli alunni come soggetti responsabili, in dialogo con Dio, della propria crescita umana, cristiana e vocazionale. La loro azione, perciٍ, si traduce in un accompagnamento cordiale e rispettoso di questa crescita: esso si manifesta attraverso una graduale proposta di valori vocazionali e la valutazione del loro sviluppo e della loro autenticità. Per le particolari condizioni e per l'età dei soggetti ai quali è rivolto il loro servizio, gli educatori del seminario minore nutrono la loro azione di pazienza e di fiducia negli alunni e nello Spirito: si chiede loro di proporre e di stimolare piuttosto che pretendere, di seminare con abbondanza senza essere impazienti della messe (cf. Mc 4,26-29), consapevoli peròche solo una pedagogia esigente e non incerta e timida puòcontribuire alla crescita di personalità forti e generose.
Agli educatori potrà essere richiesta, quindi, anche quella fermezza che testimonia e difende i limiti imposti dalle stesse esigenze della vita e di uno sviluppo armonico, nonostante le resistenze e le incomprensioni che questo servizio puòcomportare.

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50. Il gruppo degli educatori del seminario minore, composto di sacerdoti, puòavvalersi, secondo le esigenze, della collaborazione di altre persone anche femminili.
Sul piano della testimonianza cristiana e sacerdotale e della competenza professionale, essi sono impegnati a dare esempio di dedizione e di fedeltà al proprio servizio.

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51. Nel gruppo degli educatori un ruolo essenziale è svolto dai preti che il vescovo incarica della guida e del servizio alla comunità del seminario minore. Essi sono chiamati a tradurre in concreto la sollecitudine pedagogica del vescovo anzitutto attraverso la testimonianza della loro vita sacerdotale, e poi coltivando e sviluppando i segni di vocazione presenti negli alunni con proposte graduali e progressive, insieme prudenti e coraggiose. Appare pedagogicamente illuminato favorire un incontro differenziato dei seminaristi con i diversi educatori della comunità. Le competenze specifiche che riguardano i diversi ministeri all'interno della comunità (rettore, direttore spirituale, vicerettore, animatori, insegnanti, ecc.) si desumono, con i dovuti adattamenti, da ciòche è detto per il seminario maggiore (cf. nn. 100-101 e 107-108; in particolare: per il rettore n. 102, per il direttore spirituale n. 103, per gli animatori n. 104). Tali ministeri siano esercitati in un clima corresponsabile e fraterno (cf. PO 8), in modo che la loro distinzione non metta in difficoltà la necessaria unità della formazione, e anzi concorra ad una più articolata ricchezza della proposta educativa.
L'alunno del seminario educherà la propria libertà a confrontarsi con ciascuno degli educatori, proprio per quel ministero particolare per il quale il vescovo li ha scelti ed essi si sono specificamente preparati. Si evita così il rischio dell'evasione e del soggettivismo da parte dell'alunno, e la tentazione di monopolizzare il rapporto educativo, esaurendolo in tutte le sue dimensioni, da parte del singolo educatore.

La formazione spirituale nel seminario minore

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52. Chi si incammina, anche da lontano, sulla via del ministero presbiterale, riceve la grazia di una partecipazione sempre più profonda all'esperienza del discepolo che decide di seguire Gesù, di fare di lui l'unica ragione di vita, il vero modello di umanità da imitare, il salvatore con cui comunicare e di cui assumere l'amore appassionato per gli uomini.
I vari aspetti della proposta educativa del seminario non hanno altro scopo che permettere a questa grazia iniziale di svilupparsi pienamente, secondo la misura donata a ciascuno.
Sarà necessario che il cuore del futuro sacerdote si liberi da tutto ciòche nella sua natura e nelle sue abitudini potrebbe costituire un ostacolo al progresso dell'amore di Cristo. Sarà necessario che tutte le risorse del suo essere siano impiegate per diventare strumenti adatti a tale fine [Gesù Cristo deve essere posto al centro della vita del chiamato]:

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- "Cristo conosciuto, cercato, amato sempre più attraverso gli studi, i sacrifici personali, le vittorie su se stesso, nella lenta conquista delle virtù della giustizia, della fortezza, della temperanza, della prudenza;
- Cristo contemplato con molta pazienza e fervida tenacia, perché a poco a poco, secondo la mirabile immagine di s. Paolo (cf. 2 Cor 3,18), il volto stesso di lui si imprima nel volto del credente;
- Cristo continuamente offerto al Padre per la salvezza del mondo nel mistero di cui il sacerdote sarà, in primo luogo, il ministro; - Cristo, di cui non si puònon parlare, e il cui regno nella forza dello Spirito santo e per la gloria del Padre è divenuto l'impegno costante e la ragione unica di un'esistenza" (FSS).

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Un amore filiale - tenero e forte insieme - per la vergine Maria, che Gesù, dalla croce, ci ha dato come madre, si rivela elemento indispensabile di questa centralità e stimolo efficacissimo alla sua radicazione nell'animo del credente.
Maria svolge una particolare funzione materna nei confronti di coloro che sono chiamati a prendere parte alla missione degli apostoli: per essi è modello di docilità alla vocazione, di pieno affidamento a Dio anche nel momento dell'esitazione e dell'oscurità, di dignitoso coraggio nella partecipazione al sacrificio redentore di Gesù, di sollecitudine delicata e continua, con la quale "si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata" (LG 62).

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53. Nell'ambito generale della vita del seminario, per un'adeguata esperienza della sequela di Cristo, viene riconosciuto un ruolo essenziale e primario a quel complesso di interventi educativi e di momenti di vita individuale e comunitaria, che si usa chiamare la formazione spirituale.
Invitando con sapiente progressività a un cammino sempre più generoso di ascolto della Parola, nel fecondo silenzio dell'interiorità, di reale partecipazione all'evento pasquale e di severa e liberante ascesi di conversione, e adattando tempi e modi espressivi alle diverse età degli alunni, il seminario farà maturare in loro, con l'amore personale per Gesù, anche una progressiva capacità di verifica e di scelta vocazionale.
L'alunno del seminario dovrà trovare anzitutto nell'ambiente in cui vive e nella comunità di cui è membro un costante invito all'ascolto di Dio nella sua parola, che chiama alla risposta di fede e ispira le scelte di vita. Condizione indispensabile di questo ascolto è un clima di silenzio interiore che richiede - e a sua volta provoca - anche la difficile ma preziosa abitudine al silenzio esterno.
Il clima generale e lo stile di vita della comunità seminaristica propone ed esige, seppur gradualmente, fin dai primi anni un'educazione al silenzio e all'interiorità, che si rivela sempre più necessaria per sostenere la vita spirituale anche dell'adulto.
Dovranno essere precisati momenti e luoghi in cui l'invito al raccoglimento e l'attitudine all'ascolto diventano più urgenti, soprattutto in vista delle occasioni quotidiane di preghiera e di quelle mensili o annuali, come i ritiri e gli esercizi.
Se l'alunno impara ad amare il silenzio, diverrà capace di ascoltare la Parola, di incontrarsi con Cristo riconoscendolo come maestro e amico, di accogliere la voce dello Spirito che, nella comunione ecclesiale, lo conduce alla scoperta sempre più chiara della volontà del Padre e lo sostiene nella generosa risposta alla sua chiamata.

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54. La capacità di sostenere un dialogo vitale con Gesù è garantita da un'educazione alla preghiera personale. L'alunno troverà nell'accoglienza interiore del dono dello Spirito che prega in noi, e nella convinzione del valore assoluto del rapporto con il Padre e della dedizione incondizionata che esso richiede, il fondamento dell'esperienza di preghiera individuale e comunitaria, liturgica e non, che il seminario propone.
Senza questa assimilazione personale del valore e senza la conseguente partecipazione convinta e motivata, la preghiera rischia di rimanere gesto esteriore e abitudine mal sopportata.
Il seminario minore dovrà essere, in questo senso, scuola di preghiera evangelica, che si nutre continuamente al contatto vivo con Cristo.
Una volta assicurato il fondamento dell'orazione nella grazia dello Spirito, non si temerà di accettare la fatica e le ricorrenti delusioni e aridità, adottando umilmente un metodo, seguendone con costanza l'attuazione pratica, liberandosi progressivamente da una ricerca soggettiva e incostante di emozioni, per concentrarsi sempre più sull'oggettiva ed esigente ricerca del volto di Dio (cf. FSS).

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55. Il seminario minore favorirà una partecipazione sempre più profonda e completa alla preghiera della Chiesa, che significa e realizza efficacemente l'azione salvifica di Cristo.
Un'adeguata educazione liturgica comporta una catechesi accurata che insegni a comprendere il contenuto e il linguaggio della liturgia, specialmente a penetrare la ricchezza delle espressioni bibliche e a cogliere il valore dei segni liturgici, con i quali Dio si rivela e si comunica.
Soprattutto al linguaggio dei segni deve prestare attenzione la pedagogia liturgica nel seminario minore. Essi, infatti, rispondono assai bene al bisogno di concretezza dei ragazzi e dei giovani, ancora attratti dagli aspetti sensibili, e vanno incontro alla loro esigenza di esprimersi per mezzo del gesto, del canto, della musica strumentale e dell'azione comunitaria. Bisogna aver cura peròdi valorizzare i segni semplici ed espressivi della liturgia, senza ricorrere a un'esagerazione di gesti e di cose che disperdono l'attenzione a un livello superficiale.

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La celebrazione quotidiana dell'eucaristia, centro vitale della liturgia, riunendo attorno alla stessa mensa della parola e del corpo del Signore tutta la comunità del seminario, offre l'occasione di riscoprire continuamente la volontà del Padre, di rinnovare la propria adesione a Cristo e di ritrovare la propria unità.
Si renda animata e vivace la liturgia con uno sforzo sempre rinnovato di catechesi e di iniziazione e con quegli opportuni accorgimenti previsti dalle apposite istruzioni, che permettono di adattare meglio la celebrazione alle caratteristiche della singola comunità, all'età dei suoi membri e alle varie circostanze della vita del seminario, evitando ogni forma di arbitrio e di abuso (cf. FSS). Una graduale introduzione alla Liturgia delle ore - soprattutto alle lodi e ai vespri -, alla comprensione dell'anno liturgico e alla celebrazione comunitaria dei sacramenti potrà utilmente arricchire il quadro di questa educazione a partecipare alla preghiera della Chiesa.

265 v 56. Anche altre occasioni - individuali e comunitarie - di incontro e di dialogo con Cristo devono essere esposte e valorizzate per la crescita spirituale degli alunni del seminario minore.
I vari momenti di preghiera previsti e "raccomandati dalla veneranda tradizione della Chiesa" (OT 8) (meditazione, lettura spirituale, colloquio eucaristico, rosario, via crucis, esame di coscienza) offrono uno stimolo concreto e insieme un'occasione di verifica in questo cammino di preghiera. Essi dovranno essere rinnovati e vivificati con un maggior riferimento biblico e liturgico.
E' molto utile per una crescita armonica della vita spirituale che l'alunno sia guidato attraverso diversi metodi di preghiera, proponendo l'esperienza dei santi e delle varie scuole spirituali, e che sia aiutato a esprimere il proprio dialogo con Dio in modo adeguato all'età.
Lo sviluppo del sentimento religioso e della pietà avviene in armonia con l'evolversi della crescita umana, secondo una progressiva e articolata evoluzione di metodi e di forme espressive.
Il seminario minore, tenendo presente tutto questo, e adattandolo alle diverse fasi evolutive, conduce l'alunno alla progressiva elaborazione di quello stile personale di preghiera e di quell'intima familiarità con l'inesauribile mistero di Dio, che troveranno poi nel seminario maggiore la loro evoluzione più matura e che sono fonte e fondamento indispensabili della carità pastorale.

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57. La formazione spirituale raggiunge il suo scopo, e la preghiera la sua efficacia, solo se riesce a trasformare gradualmente la vita quotidiana, uniformandola in modo sempre più coerente alla volontà del Padre, e conferendole così una profonda unità. Si richiami e si verifichi costantemente il rapporto tra la preghiera e la vita, tra i riti e ciòche essi significano.
In questa prospettiva è necessario aiutare l'alunno a scoprire negli impegni di ogni giorno - scuola, studio, vita regolata da un orario, rapporti di servizio vicendevole -, soprattutto se pesanti e monotoni, un'occasione concreta per esprimere il proprio amore e la propria fedeltà a Dio. Egli si abituerà così a non ritirarsi di fronte al sacrificio, ma imparerà a scoprirne tutto il significato spirituale e ad affrontarlo con serenità. L'alunno dovrà inoltre essere aiutato ad inserirsi volentieri nella vita comunitaria con un atteggiamento di cordialità sincera e di umile disponibilità, imparando a vedere il Signore nel fratello da servire.
Di qui traggono alimento e qui si esprimono quotidianamente anche il lavoro da compiere sul proprio temperamento e la tensione costante verso la maturità umana e cristiana, fino alla scelta di seguire Cristo povero, vergine e obbediente.
Anche qualche forma di apostolato fuori dal seminario potrà esercitare e verificare la capacità di servire nell'amore, insegnando a viverla con respiro universale e ad aprirsi alla Chiesa e al mondo con animo veramente missionario.

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58. Il seminario minore non ignorerà l'aspetto ascetico e penitenziale del cammino del discepolo di Gesù: il cristiano è chiamato a una continua conversione e deve portare ogni giorno la sua croce dietro a Cristo.
Il sacramento della penitenza - che, secondo l'opportunità, sarà celebrato qualche volta anche comunitariamente - è il centro di un'ampia educazione alla vita disciplinata e austera, all'obbedienza, alla comprensione, all'umile accettazione dei limiti e delle rinunzie che consentono la faticosa liberazione dall'egoismo, la salvaguardia del cuore, l'acquisto della perla preziosa e del tesoro nascosto della vita nuova in Cristo risorto.
Colui che sta verificando la chiamata a seguire Cristo buon pastore, deve imparare ad assumere, nella libertà interiore, i sacrifici necessari per amare in modo adulto, e deve rendersi capace di "osservare una disciplina personale intelligente e leale" (FSS).

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59. Della crescita spirituale degli alunni, nella quale sono coinvolti tutti gli educatori del seminario minore, e principalmente il rettore, è responsabile specificamente il direttore spirituale, il quale provvede sia ad animare la vita di preghiera e la catechesi della comunità (predicazione, cura delle celebrazioni), sia a seguire personalmente ogni seminarista nella sua maturazione cristiana e vocazionale.
Egli dev'essere persona veramente disponibile al dialogo, capace di comprendere i problemi degli alunni e dotato di un sapiente discernimento spirituale.
Gli incontri periodici che avrà con ciascun alunno, ad esempio la riconciliazione frequente - almeno quindicinale - (per la quale saranno sempre disponibili anche altri confessori) e il colloquio spirituale, gli offriranno l'occasione per dare indicazioni e suggerimenti, per incoraggiare e stimolare, e infine per verificare il cammino cristiano e vocazionale di ciascuno, manifestandogli il proprio parere autorevole e aiutandolo a compiere responsabilmente le proprie scelte.

La formazione culturale nel seminario minore

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60. La formazione culturale avviene attraverso molteplici attività e momenti, che non si esauriscono nella sola scuola propriamente detta.
Tuttavia, la scuola concorre in modo primario alla preparazione culturale, e il seminario deve offrire anche questo servizio in maniera altamente qualificata.
La scuola del seminario assume una sua connotazione specifica, in quanto contribuisce a orientare la vocazione dei futuri presbiteri e si trova inserita in un'istituzione che è in rapporto speciale con il vescovo e con la comunità diocesana.
Poiché questa scuola è collegata con tutta la vita e gli scopi del seminario, essa non solo ne terrà presenti le finalità vocazionali, ma si svilupperà continuamente in armonia con esse.
Questo comporta per gli alunni la necessità di vivere in maniera profondamente unitaria le diverse richieste scolastiche, culturali, comunitarie, apostoliche e spirituali del seminario. Non solo: essi si sforzeranno di conoscere e apprezzare il valore altamente formativo della scuola, in vista della propria futura missione ministeriale, cercando di cogliere specialmente quei contenuti umanistici di tante espressioni della vita, che li avvieranno a comprendere con sapiente finezza le ansie e i problemi dell'uomo: "Lo stesso accostamento delle letterature, della storia, delle scienze, deve costituire una via per un'approfondita conoscenza dell'uomo, delle sue condizioni, delle sue istanze, del suo mistero" (SVS 80). Lo studio appassionato e critico dei classici antichi e moderni, un'intelligente preparazione filologica, e una buona sensibilità verso i problemi del linguaggio, preparano a un accostamento adeguato e vivace delle discipline teologiche.
Ma anche lo studio delle materie scientifiche e tecniche introduce a comprendere molteplici aspetti della cultura contemporanea, e offre ai futuri presbiteri la possibilità di dialogare con gli uomini formati a questa mentalità.
La scuola del seminario, senza nulla perdere in serietà e in scientificità, trovi nella prospettiva cristiana la sua animazione profonda - che non deve essere limitata alle lezioni di religione - così che il momento scolastico riveli il suo tipico apporto alla crescita cristiana e vocazionale.
In questo modo la scuola del seminario si configurerà come scuola veramente completa, capace di educare a un'autentica maturità.

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61. La costituzione di una scuola interna al seminario è evidentemente la migliore condizione per poter raggiungere gli scopi suddetti.
Essa, senza diventare unidirezionale, verificherà gli orientamenti degli alunni e li preparerà ad affrontare i futuri impegni in maniera responsabile e libera. Dovrà qualificarsi per le sue capacità promozionali nei confronti di tutti gli studenti, anche di quelli meno dotati, e per i suoi obiettivi culturali, seri e aperti alle istanze del mondo contemporaneo.

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62. In questa prospettiva, la scuola si presenta come uno degli impegni fondamentali della comunità del seminario minore e si configura come un caso particolare di "scuola cattolica". Pertanto, vale anche per la scuola del seminario ciòche la Congregazione per l'educazione cattolica ha affermato per la scuola cattolica in genere, quando precisa che "se non è scuola e della scuola non riproduce gli elementi caratterizzanti, non puòessere scuola cattolica" (SCat 25), e quando definisce la scuola come "luogo di formazione integrale attraverso l'assimilazione sistematica e critica della cultura. La scuola infatti è luogo privilegiato di promozione integrale mediante l'incontro vivo e vitale col patrimonio culturale" (SCat 26).
Per essere fedele alla sua funzione, la scuola del seminario dovrà avere un proprio e caratteristico progetto educativo, contrassegnato dalla serietà dell'impostazione culturale, e dall'impegno di fare sintesi tra fede e cultura e tra fede e vita (cf. SCat 33-59).
Essa non avrebbe alcun senso, infatti, se si limitasse a ripetere contenuti e metodi della scuola statale, senza sviluppare in modo creativo tutte le occasioni didattiche e programmatiche dalle quali puòattingere progressivamente una propria identità originale.

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63. Per questo scopo i docenti, soprattutto all'inizio di ogni anno scolastico, programmino il lavoro culturale anche in maniera interdisciplinare, individuando particolari problemi, contenuti e momenti del processo storico, che maggiormente si prestano per un'attività unitaria.
Nello stesso tempo la scuola del seminario dovrà articolarsi in forme capaci di garantire titoli di studio validi anche di fronte alla società civile (cf. OT 3; RaF 16), per assicurare agli studenti, da un lato, una piena parità e una capacità di dialogo nei confronti dei loro coetanei, e, dall'altro, una maggiore libertà nell'orientamento vocazionale.
Circa la scelta del tipo di studi, è naturale che il seminario, anche in vista degli studi teologici successivi, preferisca quegli indirizzi che conservano il più possibile i tradizionali contenuti umanistici e filosofici, o che comunque siano in grado di abilitare alla comprensione e all'impegno nei confronti della realtà dell'uomo.
Ha tuttora una grande validità, salvo casi da prendersi in considerazione singolarmente, lo studio dell'umanesimo classico, per il suo tipo di cultura che, tra l'altro, facilita l'accostamento delle discipline, delle problematiche e delle fonti teologiche (cf. RaF 16; ulteriori precisazioni potranno essere elaborate nella futura Ratio studiorum dei seminari).

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64. La scuola del seminario si caratterizza non soltanto per i suoi programmi, i suoi indirizzi e la serietà del suo svolgimento, ma trova la sua anima profonda soprattutto nell'opera qualificata e convinta che gli insegnanti compiono durante le ore di lezione e anche al di fuori dell'orario strettamente scolastico.
Sarà cura particolare dei responsabili scegliere dei docenti capaci di offrire con la loro personalità una testimonianza vivente di grande maturità umana, culturale e cristiana. Agli insegnanti è affidato il compito difficile ma essenziale di formare al gusto per la ricerca della verità, per le espressioni più alte dell'ingegno umano e per il dialogo con le culture contemporanee.
Se poi gli insegnanti sono presbiteri, essi sentano di poter svolgere la loro missione evangelizzatrice anche in questa delicata funzione educativo-pastorale. Sono chiamati, infatti, a dedicarsi con passione e generosità al proprio incarico di insegnamento non solo con la necessaria competenza professionale, ma anche con quella sensibilità sacerdotale, che li rende attenti agli aspetti presbiterali della vocazione degli alunni.

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65. Quando un singolo seminario o diversi seminari vicini non fossero in grado di gestire in proprio una scuola interna, allora si consideri l'opportunità di inviare gli alunni presso una scuola cattolica adatta. Che se anche questa ipotesi non si rivelasse possibile od opportuna, nasce l'esigenza dell'accesso alla scuola statale.
In questo caso, tenendo presente l'eventualità negativa di emergenze ideologiche egemonizzanti o tra loro in forte contrasto dialettico, sarà indispensabile che si provveda ad assicurare a tale scelta un'efficacia educativa.
Si tratta non solo di fornire le necessarie integrazioni sul piano scolastico, in modo da assicurare l'opportuna base culturale allo studio filosofico-teologico, ma anche di valorizzare l'apporto della scuola statale alla luce di una chiara prospettiva cristiana e vocazionale. A questo scopo, il seminario metta a disposizione educatori capaci di dialogare sistematicamente con gli alunni sul piano propriamente culturale.

Valori ed esperienze educative nella vita comunitaria


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66. La vita comunitaria del seminario minore ha lo scopo di aiutare gli alunni a seguire Cristo, amico e Signore, e a imitarlo come modello non solo di ubbidienza e di intimità col Padre, ma anche di quella pienezza di umanità alla quale il ragazzo e l'adolescente aspirano. In tal modo, tutte le qualità e le virtù, cui il seminario cerca di educare, saranno colte dai seminaristi nell'unità della proposta di fede. La libertà, l'apertura agli altri, l'oblatività, l'affettività, la lealtà, la rettitudine e tutti gli atteggiamenti belli e nobili dello spirito saranno percepiti come espressione dell'uomo nuovo che Cristo chiama e aiuta ad essere, in vista dell'ipotesi, generosamente prospettata, di assumere la carità pastorale come forma di vita.

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67. Una vita comunitaria ben ordinata deve favorire la crescita di quella maturità umana tanto raccomandata dal concilio a tutti i cristiani e ai presbiteri. Il seminario minore dovrà creare un clima comunitario sereno, ma anche esigente, in grado di educare "alla generosità senza riserve, alla capacità di essere responsabili, alla difficile arte di comporre la sincerità e la saggezza, l'onestà e la prudenza, la tolleranza e la chiarezza" (SVS 71; cf. PO 3).
L'esercizio di queste virtù e l'esempio che ne offrono gli educatori porteranno l'alunno a quella maturità umana, che oggi soprattutto è indispensabile per meglio testimoniare il Vangelo di Cristo e per dialogare con i credenti.

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68. Poiché l'educazione alla libertà è una componente fondamentale della personalità veramente matura, il seminario minore deve farsi carico di questo difficile impegno pedagogico, proponendo gli ideali che sorreggono le scelte, aiutando le volontà più fragili con opportuni interventi e offrendo un clima adeguatamente responsabile.
La vita comunitaria assicuri, perciٍ, quello spazio nel quale gli alunni siano messi in condizione di prendere l'iniziativa della loro vita, in misura corrispondente all'età e senza compromettere le giuste esigenze di una regolare vita di comunità.
Essi vengono così aiutati a capire che "la disciplina nella vita di seminario deve considerarsi non solo come sostegno della vita comune e della carità, ma anche come un elemento integrativo di tutta la formazione, necessario per acquistare il dominio di sè, per assicurare il pieno sviluppo della personalità" (OT 11).
L'educazione alla libertà autentica, inoltre, libera dai pericoli del conformismo e dell'appiattimento che insidiano la convivenza quotidiana.
Perciòè compito dell'educatore fare costantemente appello alla coscienza, illuminandola con motivazioni che vengono anche dalla fede, dalla coerenza al battesimo e dall'amore a Cristo, il quale proprio con l'obbedienza ha attuato il disegno di salvezza del Padre.
Un grande aiuto per l'educazione alla libertà è la graduale partecipazione alle scelte concernenti la vita comunitaria.

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69. Perché raggiunga l'opportuno grado di responsabilità, colui che è in via di formazione ha bisogno di un ambiente che gli consenta effettivamente una "congrua esperienza delle cose umane" (OT 3), in forme consone alle varie età.
Poiché questo bisogno di esperienza personale è importante per ogni processo educativo, i ragazzi e gli adolescenti devono essere messi in grado di poterlo soddisfare in modo autentico, soprattutto nei settori più vitali: la conoscenza di sè, l'autogoverno, i rapporti umani, i valori socio-culturali e spirituali.
Il seminario minore ha il compito di proporre in maniera ordinata esperienze costruttive diverse, aiutando gli alunni a cogliere in esse tutti gli elementi di crescita. La saggezza degli educatori saprà distinguere quali esperienze siano utili ai fini di una valida educazione e quali, invece, siano da rifiutare come inutili, mortificanti o deleterie.

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70. Uno strumento efficace per ampliare l'esperienza personale è offerto dai mezzi di comunicazione sociale, i quali consentono l'accostamento tempestivo ai problemi e alle situazioni.
L'efficacia positiva di questi strumenti è legata a un uso disciplinato nella scelta e critico nella valutazione, per cui gli alunni cercano di approfondire le cose viste, udite, lette, ne discutono con i loro educatori e con persone competenti e imparano a formulare un giudizio retto (cf. IM 10). "Si tratta non solo di limitare i danni di uno strumento che puòessere pericoloso, ma di educare uomini adatti a vivere responsabilmente nella concretezza della realtà quotidiana" (FCS 89). Un uso pedagogicamente attento di questi strumenti esige, quindi, che si tenga conto della maturità dei soggetti e che non si conceda spazio soltanto all'evasione, e richiede soprattutto la valorizzazione del momento critico (cineforum, libroforum, letture dei giornali e riviste, ecc.). La finalità vocazionale del seminario minore vuole che nella comunità siano presenti i mezzi di comunicazione sociale così che si possa, anche per loro tramite, incontrare l'uomo d'oggi, conoscerne i problemi e alimentare la disponibilità a mettersi al suo servizio per la salvezza.

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71. Una persona matura è capace di aprirsi in maniera equilibrata e obiettiva a rapporti interpersonali validi e profondi.
Per realizzare questa meta la vita del seminario minore offre anzitutto un clima di amicizia vera, "premessa necessaria a quell'intima fraternità sacramentale che, secondo l'espressione del concilio, dovrà unire i presbiteri tra loro e nella collegialità del loro lavoro" (SVS 77).
Educatori e alunni stabiliranno tra di loro una trama di rapporti fatti di fiducia e comprensione, di affetto e di carità, che nascono da una vicinanza effettiva (cf. RaF 13). Tutto ciòrisulterà solidamente costruttivo se nella comunità del seminario "convocata dall'iniziativa di Dio, e non raccolta attorno a facili affinità o simpatie, ci si educa alla stima e al perdono vicendevole, all'accoglienza reciproca, all'umile rinunzia al proprio individualismo, per rendersi idonei ad una più ampia e ricca collaborazione. Con l'aiuto sapiente degli educatori mandati dal vescovo e non cercati per il loro fascino personale, ciascuno scopre la ricchezza irrepetibile dei propri doni e impara a non considerarli un tesoro geloso, ma a metterli cordialmente a disposizione di tutti" (SVS 77).

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72. Un efficace rapporto interpersonale puòessere ottenuto anche con un'intelligente articolazione della comunità del seminario.
Una delle possibili modalità di tale articolazione sono i gruppi di vita, per la cui realizzazione deve naturalmente impegnarsi la responsabilità pastorale del vescovo.
Per i ragazzi delle scuole medie inferiori i gruppi hanno soprattutto una motivazione di carattere pratico, in quanto consentono loro di esprimersi secondo interessi e attività consoni alla loro età.
Nei primi anni delle superiori, gli adolescenti di solito si riuniscono in gruppo prevalentemente per soddisfare il loro desiderio di amicizia in un clima di cordialità, e per cercare insieme alcune risposte agli interrogativi della vita.
I giovani degli ultimi anni delle superiori, invece, dovrebbero essere ormai capaci di avviare un'autentica esperienza di vita di gruppo, con lo scopo di confrontare obiettivamente la propria crescita attraverso il dialogo, e di porsi dinanzi alla comunità in atteggiamento di corresponsabilità e di iniziativa.
Il gruppo di vita, per essere fedele al suo scopo, dovrà preoccuparsi di superare i rischi dell'isolamento e dell'assolutizzazione: anche se nasce in un clima di spontaneità, vigili attentamente che non vengano emarginate le presenze meno gradite e che nessuna chiusura faccia dimenticare la comunità.
Pur crescendo secondo il proprio ritmo eviti di appartarsi rispetto al cammino comunitario, vivendo unito alla grande comunità del seminario, per non cadere in contrapposizioni o in confronti, che certamente insidierebbero la preparazione a un'autentica fraternità presbiterale.

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73. Lo sviluppo della persona verso l'apertura equilibrata e oblativa agli altri comporta la formazione di una stabile maturità affettiva e sessuale. La sessualità, infatti, rappresenta un'energia profonda e positiva che va guardata con fiducia e serenità e va integrata nello sviluppo e nell'orientamento globale della persona (cf. FCS 18-23). Per il rischio di involuzione egocentrica che la sessualità patisce nella condizione umana, emerge l'esigenza di una positiva, graduale e prudente educazione sessuale (cf. GE 1; OT 10), che valorizzi questa dimensione dell'uomo secondo la sua giusta prospettiva.
Così l'educazione sessuale, profondamente inserita nel dinamismo integrale che guida il formarsi della persona, insegna ad assumere e a trattare il corpo con il rispetto dovuto alla sua dignità umana e cristiana e invita a superarsi continuamente nel dono di sè, con la dedizione disinteressata dell'amicizia, che educa all'amore, e con l'esperienza di una disciplina personale che libera dagli egoismi e abitua alla fedeltà.
L'educazione sessuale non è solo informazione: essa si esprime in una serie di situazioni e di atteggiamenti non artificiosamente provocati, nei quali gli alunni si incontrano seriamente e responsabilmente con la realtà della vita.

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Secondo quest'ottica si veda anche il problema dell'incontro con la donna, così che la femminilità sia intravista e compresa nei suoi valori propri.
Per essere positivo, l'incontro deve avvenire in una continuità che trova le sue radici nella famiglia, assumendo le forme semplici e rispettose che la vita offre continuamente.
L'educazione sessuale deve portare a una castità che sappia gradualmente superare gli squilibri affettivi dell'adolescenza, esprimendosi in una purezza di sensi e di cuore che costituisca una solida garanzia per ogni futura scelta di vita e, in particolare, per quella del celibato e del ministero presbiterale.
Il progressivo consolidarsi della maturità affettiva sarà insieme causa e conseguenza di una comprensione sempre più profonda del valore della verginità cristiana.
Questo dono gratuito e immeritato dello Spirito suscita nel cuore dell'uomo la coscienza delle molteplici motivazioni che lo qualificano: la ricerca di un'intima consuetudine di vita con Gesù Cristo e il desiderio di una piena e diuturna condivisione del suo modo di amare; la dedizione totale della propria persona all'amicizia fraterna e alla paternità spirituale; la volontà di offrire alla Chiesa una testimonianza particolarmente limpida di quell'amore oblativo, libero e liberante, assolutamente incondizionato, che è tipico del regno di Dio (cf. FCS 40-52).

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74. La famiglia svolge qui un compito fondamentale, offrendo rapporti interpersonali naturalmente carichi di affetto, dai quali scaturisce un'informazione semplice e spontanea sulla sessualità. Essa porge ai giovani l'immagine realistica di come l'amore coniugale e la vita familiare conoscano fatiche e tensioni e richiedano continuamente un generoso dono di sè, che non deve logorarsi nella consuetudine (cf. GS 48).
La stessa comunità cristiana è chiamata a presentare un modello di vita, nel quale i valori dell'amore umano siano rispettati ed esaltati( cf. GS 52), mettendo a disposizione anche persone esperte (medici, coppie di sposi, ecc.) che si affianchino all'educazione dei chiamati al presbiterato con una mentalità veramente rispettosa del piano di Dio.
Il seminario minore è impegnato a svolgere un suo compito specifico nell'educazione affettiva e sessuale, sia per la rilevanza che essa ha nello sviluppo della persona, sia anche per supplire alle eventuali carenze dell'educazione familiare.
Gli educatori siano convenientemente preparati a questo servizio, il quale puòdomandare qualche intervento di informazione, ma soprattutto richiede che si crei un clima sereno nei rapporti personali e comunitari e nell'accostamento a tali tipi di problemi (cf. ECS 35).
I preti del seminario siano, con la loro vita, testimoni del celibato sacerdotale vissuto con amore.
Se tutta la comunità è abitualmente impregnata di valori morali e ricca di vita, di attività, di sana amicizia e di gioiosa austerità, è anche in grado di dissipare eventuali influssi negativi e di formare una mentalità comune favorevole alla castità (cf. FCS 42).

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75. Una vita comunitaria saggiamente impostata comporta particolari momenti di silenzio: esso non solo è opportuno per l'ordinata convivenza di numerose persone, ma è prezioso perché abitua alla riflessione personale, alla vita interiore e allo spirito contemplativo; indispensabile in ogni vita veramente cristiana, tanto più urgente è nella vita dei giovani seminaristi.
La vita comunitaria del seminario minore si svolge anche nel rispetto delle esigenze di distensione tipiche dell'età giovanile, valorizzandole e disciplinandole.
Di esse terrà conto, nella misura rispondente alle varie età, l'ordinamento della vita comune, soprattutto per quanto riguarda l'orario della giornata e l'offerta di strumenti adatti, primo tra i quali l'incontro rasserenante e corroborante con la natura.

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76. L'educazione fisica, l'igiene della persona e la pratica attiva dello sport rivestono un'importanza notevole nello sviluppo armonioso del giovane. Anche questo aspetto rientri nel normale impegno educativo, tanto più che lo sport vale come occasione di sviluppo non solo fisico, ma anche morale della persona. Esso infatti puòrappresentare una scuola di sacrificio, di autocontrollo, di generosità e di lealtà, e offre pure molte possibilità di incontri umani positivi e di testimonianza, attraverso la partecipazione, coordinata con gli altri doveri, alle attività sportive del mondo giovanile.

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77. Un limite tipico della condizione studentesca è la quasi totale assenza di lavoro manuale, che è fonte innegabile di realismo, perché abitua ad affrontare nella fatica le resistenze che la realtà da modificare oppone. Il lavoro manuale non manchi nella vita comunitaria del seminario minore: esso si traduca in collaborazione effettiva per la cura delle cose, per la pulizia, per la manutenzione ordinaria degli ambienti e delle attrezzature.
Questa partecipazione operosa, oltre che disporre al servizio più che all'essere serviti, farà sentire più vicine e più inserite nella comunità quelle persone che nei vari servizi materiali concorrono al buon andamento della vita dell'istituto.

Altre forme di comunità vocazionali

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78. Dove il seminario minore non trova al momento reali possibilità di attuazione, puòrivelarsi necessario costituire gruppi vocazionali, abitualmente non permanenti ma capaci di offrire, in un contesto comunitario, una guida sistematica per la verifica e la crescita vocazionale (cf. OT 3. RaF 18).
Anche là dove il seminario minore esiste potrà essere considerata l'opportunità di dar vita a tali gruppi, purché essi non si pongano in alternativa al seminario stesso, e anzi risultino ad esso complementari e in grado di favorirne la crescita e il rinnovamento. Ci sono infatti ragazzi, adolescenti e giovani che, pur essendo disponibili al presbiterato, non hanno la possibilità di entrare nel seminario minore o perché non esiste ancora o perché loro stessi non sono disposti subito a tale scelta (ad esempio, per non troncare un corso scolastico già iniziato, o perché non ancora del tutto decisi, o per motivi familiari, ecc.).
Pur vivendo in famiglia e frequentando la parrocchia, essi non possono essere lasciati soli, ma hanno bisogno di un gruppo o di una comunità cui appoggiarsi per compiere il cammino vocazionale.
A loro si potrebbero aggiungere, in casi eccezionali, opportunamente vagliati, alcuni che lasciano il seminario non per una scelta definitiva, ma per qualche momentanea difficoltà, che impedisce una presenza costruttiva nella comunità seminaristica.
Un gruppo vocazionale esterno, meno strutturato del seminario minore, potrebbe rivelarsi efficace sul piano educativo.
In questo modo i gruppi vocazionali diventano un valido appoggio al seminario minore, favorendo anno per anno il passaggio a esso dei ragazzi o degli adolescenti la cui situazione sia ormai maturata favorevolmente, e possono rappresentare anche una valida premessa e un aiuto efficace per ricostituire a tempo opportuno la comunità seminaristica.

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79. Per garantire a tali gruppi il raggiungimento della loro specifica finalità vocazionale, sono necessarie le seguenti condizioni:
- il gruppo sia affidato dal vescovo a un sacerdote che, sulla base di un preciso piano formativo lo guidi in piena collaborazione con il seminario, per evitare ogni dualismo e concorrenza. In questa prospettiva potrà essere utile affidare la responsabilità ultima dei gruppi allo stesso rettore del seminario minore, dove esso esista;
- la caratterizzazione vocazionale sia esplicitamente dichiarata dai responsabili e liberamente accolta dai ragazzi e dalle loro famiglie, con le quali si dovranno mantenere costanti e amichevoli rapporti;
- la frequenza e la durata degli incontri sia tale da incidere in maniera significativa sulla vita dei partecipanti. Poiché una periodicità troppo sporadica non raggiunge tale scopo, si suggerisce una frequenza almeno quindicinale e per un'intera giornata, con periodi di convivenza più prolungata durante le vacanze. Vanno poi valorizzati come particolarmente importanti alcuni momenti di vita con i seminaristi: essi servono a richiamare in maniera esplicita e visibile la finalità del gruppo e facilitano il passaggio al seminario minore o maggiore;
- la proposta di vita sia organica e completa (vita liturgica e di preghiera, studio, apostolato, ecc.) e regolarmente verificata negli incontri di gruppo e nella direzione spirituale. L'educatore dovrà anche cercare la collaborazione delle rispettive parrocchie o dei gruppi ecclesiali di cui i ragazzi e i giovani fanno parte. Ciòtanto più necessario, in quanto il gruppo non è ambito di vita quotidiana per i membri che lo compongono;
- per mantenere al gruppo la sua caratterizzazione vocazionale, si richiede che cessino di farne parte coloro che non ne condividono più la finalità, avendo ormai altre prospettive vocazionali. Altrettanto è bene che quando la situazione si presenta matura, si faciliti l'ingresso al seminario.

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80. Adeguate iniziative devono essere anche previste per un'attenta verifica delle vocazioni giovanili. L'esperienza, infatti, ha rivelato che sorgono rischi e difficoltà quando l'inserimento nel seminario maggiore avvenga in modo meccanico o poco preparato.
Perciٍ, prima dell'ammissione nella comunità, si verifichi per almeno un anno l'idoneità di ciascuno.
Ma qualora ciònon fosse attuabile, non dovrà in ogni caso mancare una seria direzione spirituale, capace di discernere eventuali motivazioni inadeguate o lacune di maturità umana o spirituale, e si provveda a un progressivo contatto con il seminario (in momenti di ritiro, ecc.), non per affrettare i tempi, ma per consentire una più graduale e sicura maturazione e una reciproca conoscenza tra i giovani e i responsabili della formazione pastorale. Spesso anche la formazione intellettuale di questi giovani si presenta bisognosa di integrazione, soprattutto per coloro che provengono da scuole di tipo tecnico-professionale.
Per i giovani operai occorre valutare il problema caso per caso, e risolverlo in modo da consentire loro l'accesso agli studi teologici con la debita preparazione e con adeguati strumenti culturali.

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81. La formazione delle vocazioni adulte, a motivo della ricchezza ma anche dei problemi che esse presentano, dovrà essere particolarmente esigente e garantire in ogni caso alcune condizioni essenziali: un'accurata verifica dell'orientamento, congrui studi teologici e una permanenza nella comunità seminaristica sufficiente per preparare alla comunione presbiterale e diocesana.
Contemporaneamente occorre rispettare la gradualità di un cammino formativo tipico di persone adulte, con la loro identità ed esperienza.
Per rispondere a queste esigenze, si è provveduto talvolta ad aprire un seminario diocesano o interdiocesano per vocazioni adulte (cf. RaF 19); in ogni caso vanno rispettate alcune articolazioni specifiche dell'itinerario formativo:

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- Prima ancora di avviare un esplicito cammino di formazione appare necessaria un'iniziale verifica vocazionale, nella quale, attraverso un organico confronto con un prete, vengano prese in considerazione e valutate la storia personale, le motivazioni e le qualità che possano fare intuire l'idoneità della persona al ministero pastorale. Durante questo tempo, nel quale verranno normalmente continuate le precedenti attività di lavoro e di impegno ecclesiale, si approfondisca la vita interiore, attraverso momenti particolari di ritiro e un'adeguata direzione spirituale. Sarà anche opportuno avviare una prima presa di contatto con il seminario e un proporzionato avvio degli studi teologici.
- Se la prima verifica avrà dato esito positivo, si potrà cominciare il cammino formativo, anche con un adeguato approfondimento degli studi di teologia. Si valuterà caso per caso il momento opportuno per l'abbandono dell'attività lavorativa e il corrispondente inserimento nella comunità del seminario. Nel frattempo, il luogo di dimora e di formazione puòessere un'apposita comunità o anche una parrocchia adatta, ove ci sia comunque un prete responsabile.
- Trattandosi di persone provenienti dal mondo del lavoro o della cultura, si tenga presente l'opportunità che essi possano mantenere in qualche modo quei rapporti di amicizia e di solidarietà che hanno caratterizzato la loro vicenda precedente. Anzi, gli stessi studi teologici dovrebbero aiutarli a cogliere e a valorizzare in una sintesi più vasta i valori insiti nella loro esperienza e nel mondo in cui essa si è realizzata
. Tutte queste attenzioni, infatti, potranno garantire loro un ministero futuro particolarmente significativo ed efficace.
- Comunque per rendere possibile un inserimento nella vita del presbiterio e per educare ad essa, è necessario che almeno gli ultimi tre anni di formazione, lasciata l'attività professionale, siano vissuti nella comunità del seminario insieme con gli altri candidati. Da questa convivenza, infatti, dovrebbero scaturire quel confronto e dialogo che potranno ridimensionare le eventuali unilateralità che spesso caratterizzano le vocazioni adulte, a causa della maturità raggiunta e delle esperienze compiute, e preparare il presbiterio all'accoglienza e alla valorizzazione della loro originalità.

Parte quarta: la formazione al presbiterato


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82. Quando la verifica vocazionale ha dato esito favorevole e la persona ha raggiunto le condizioni necessarie per una scelta tendenzialmente definitiva, già preparata possibilmente durante l'iniziale cammino del seminario minore, si apre l'ultima fase della formazione, quella più direttamente orientata a far acquisire l'identità e le attitudini del presbitero. A questo scopo la Chiesa ha istituito il seminario maggiore nel quale si realizza in modo articolato e unitario la preparazione al ministero ordinato.

La comunità del seminario maggiore

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83. Quando Cristo volle formare i primi apostoli, scelse alcuni uomini decisi a seguirlo in tutto (cf. Mc 1,18; SVS 67); li prese con sè in una particolare relazione di tempo e di intimità per farne dei testimoni (cf. Mc 3,14), riservando loro una catechesi più approfondita (cf. Mt 13,11) per poi inviarli a predicare (cf. At 1,6-8).
Ispirandosi a questo modello, la Chiesa, con l'istituzione del seminario, si impegna ad assicurare, per quanto è possibile, le condizioni e i mezzi assolutamente necessari per la preparazione dei futuri presbiteri (cf. RaF nota 74. SVS 68).
La vita comunitaria del seminario, che è convivenza e quotidiano confronto di persone radunate dal desiderio di seguire Cristo più da vicino, esprime riccamente l'insieme delle condizioni e dei mezzi per i quali colui che è chiamato al sacerdozio possa:
- attuare la propria personalità, secondo le esigenze della missione, attraverso tempi lunghi dedicati a un'esperienza di vita evangelica, alla preghiera, allo studio e alla fraternità, così da disporsi al ministero di insegnare, guidare e santificare il popolo di Dio (cf. RaF 20);
- imparare fedelmente il Vangelo, come la tradizione apostolica l'ha trasmesso e come la Chiesa lo interpreta, con la guida del magistero, in modo da evitare ogni unilateralità e parzialità nella conoscenza e nell'annunzio del mistero di Cristo;
- riconoscere con autenticità i propri carismi - per il ministero presbiterale e per il celibato -, e discernere quindi la propria vocazione attraverso il dialogo e il confronto con il vescovo e con coloro che, per mandato, lo rappresentano.

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84. Protagonisti principali di questa esperienza di vita e di grazia sono allora: a) Cristo che, avendo chiamato, costantemente agisce col suo Spirito per disporre un uomo alla missione; b) il vescovo, che lo Spirito santo ha costituito pastore per pascere la Chiesa del Signore (cf. At 20,28) e quanti da lui sono incaricati di collaborare alla formazione di una personalità pastorale e di verificarne l'autenticità; c) i chiamati, che per amore si fanno discepoli di Cristo e si convertono quotidianamente; d) la comunità del seminario (alunni - insegnanti - superiori - personale di aiuto, ecc.) per il modo con cui vive e testimonia Cristo; e) le comunità d'origine dei chiamati, che, con le loro situazioni, pongono problemi che attendono risposte pastorali dai futuri presbiteri.

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85. Il seminario maggiore, oltre che istituzione ritenuta necessaria dalla saggezza dei pastori (cf. OT 4), è di sua natura un'espressione di vita ecclesiale nella quale Dio, attraverso mediazioni umane, va disponendo alla missione coloro che egli stesso ha chiamati.
Il seminario si configura come uno strumento promosso dal vescovo, primo responsabile dell'iniziazione dei chiamati al presbiterato, in comunione e in collaborazione con i presbiteri e i fedeli. Il prete infatti partecipa al sacerdozio di Cristo con gli altri presbiteri e in subordinazione al vescovo, e con essi è a servizio della comunione e della missione di tutta la Chiesa (cf. RaF 22; SVS 69).
Si comprende, allora, come non risulti accettabile un cammino di formazione che si compisse all'interno di comunità o di gruppi particolari o che mantenesse la persona collegata ai metodi e alla guida spirituale del gruppo o del movimento di provenienza.
E necessario educare i futuri preti a saper vivere anche senza il sostegno di un gruppo, ad amare coloro che Dio affida, privilegiando i legami oggettivi su quelli suggeriti da affinità soggettive di qualsiasi genere, e a diventare animatori delle diverse esperienze cristiane (di spiritualità, di impegno apostolico, ecc.), senza identificarsi con nessuna di esse. Il presbitero è l'uomo di tutta la comunità e il seminario deve essere accolto e valorizzato nella sua vera funzione, cioè quella di formare in quell'unica prospettiva ecclesiale.

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86. L'istituzione dei seminari interdiocesani o regionali (cf. RaF 21) ha larga diffusione in Italia e risponde a esigenze pastorali che non potrebbero essere affrontate in altro modo. La vitalità e l'incidenza educativa di tali seminari, ricchi ormai di non breve esperienza, dipende in gran parte dalla capacità di raccordare il proprio piano formativo con la fisionomia e la vita delle Chiese particolari da cui provengono gli alunni, e ci garantire in pari tempo la necessaria convergenza nell'unica comunità.
Per questo scopo appare importante, oltre il continuo e normale rapporto con i singoli vescovi, coinvolgere i rettori dei seminari diocesani e i responsabili pastorali delle diverse diocesi nell'elaborazione del piano educativo, valorizzare nell'itinerario formativo le esperienze pastorali compiute nelle comunità di provenienza, assicurare scambi reciproci nell'insegnamento e promuovere studi adeguati sugli aspetti storici, culturali e pastorali di ogni singola diocesi.

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87. In ogni caso, non vengano proposte per l'imposizione delle mani persone che non abbiano trascorso un congruo numero di anni nel seminario maggiore, conformemente alle norme vigenti del diritto canonico. Il pieno inserimento nella comunione presbiterale è un valore irrinunciabile e va preparato dalla consuetudine di vita nella comunità educativa del seminario.
Così pure non devono essere accolti alunni dimessi da altri seminari o istituti religiosi, senza avere espletato i prescritti ricorsi (cf. Sacra Congregazione dei seminari e delle università degli studi, decreto Sollemne habet, 12.7.1957; lettera della Segreteria di stato n. 2083/67 del 23.3.1967, in NC 5/1967,§8).

La vita della comunità del seminario maggiore


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88. La natura ecclesiale del seminario postula anche il riconoscimento del carattere ecclesiale-comunitario della formazione che in esso viene attuata.
La Chiesa è comunione di persone, legate nell'amore e nella libertà dello Spirito di Cristo, con una legge di complementarietà e corresponsabilità verso tutti e verso tutto. La stessa fede rivela una profonda dimensione ecclesiale ed esige che sia una comunità a educare all'accoglienza della Parola che salva, attraverso una testimonianza che è responsabilità e beneficio di tutti.
Ora questa legge generalissima della pedagogia divina va rispettata soprattutto nella formazione di coloro che, scelti fra le comunità cristiane, a esse verranno mandati per far crescere la comunione e il servizio.

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89. La vita della comunità del seminario maggiore si articola secondo le esigenze essenziali della formazione al ministero dei futuri presbiteri. Essa perciòdovrà:
- consentire un'intensa e prolungata esperienza di comunione con Cristo, per attuare la progressiva configurazione a Cristo pastore di coloro che da lui sono scelti e inviati;
- essere fraterna e articolata nei diversi ministeri, per abilitare i futuri pastori al servizio della comunione nel popolo di Dio e al riconoscimento e alla promozione dei doni di ciascuno;
- mantenersi debitamente aperta al mondo e solidale con esso, perché i futuri presbiteri sono chiamati a evangelizzare l'uomo nella sua concreta situazione.

In comunione con Cristo

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90. Ogni comunità cristiana nasce dalla parola di Cristo (cf. Rm 10,17) e, in quanto parte viva della Chiesa universale, "si presenta come un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo" (LG 4).
Essa non si fonda sulle affinità umane, anche se di esse si avvantaggia, ma è un dono che va continuamente chiesto al Signore e che si rivela nell'azione dello Spirito, che libera dall'egoismo ed educa alla comunione.
Per questo la vita comunitaria conosce tempi e stagioni che l'uomo non puòaccelerare e domanda fatica e pazienza, per vivere le richieste della conversione e della ricomposizione di ogni diversità, nella certezza della presenza di Cristo fra coloro che sono riuniti nel suo nome (cf. Mt 18,20).
In questo modo anche la comunità del seminario imparerà lo stile di vita dei primi discepoli "assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (At 2,42).

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91. L'ascolto della parola di Dio, la celebrazione dei gesti sacramentali della salvezza e la preghiera sono il cuore di questa esperienza di vita comunitaria intorno al Signore Gesù. Essi principalmente richiedono un diffuso clima di silenzio e raccoglimento, che deve costituire lo sfondo della vita del seminario.

In comunione ecclesiale

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92. I comportamenti e i segni della fraternità cristiana nascono dalla fede, che scopre, con vivo stupore, il vincolo reale che unisce i credenti in Cristo come figli di uno stesso Padre.
L'atteggiamento di fede diventa particolarmente importante se si considera la peculiare natura della comunità seminaristica: alle normali difficoltà del vivere insieme, essa aggiunge quelle derivanti dalla sua provvisorietà e dalla tensione verso l'impegno futuro, orientata com'è a preparare pastori che guidino le comunità cristiane nella carità, ma con autonomia e sicurezza evangelica.

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93. In comunità si valorizzi, senza ripiegarsi egoisticamente su rapporti esclusivi, l'amicizia cristiana, che insegna a offrire e a ricevere il dono di grazia proprio di ciascuno e si fa via alla fraternità sacerdotale (cf. PO 8).
Cristo sia intravisto e amato in ogni fratello senza discriminazione alcuna, così che si dilatino gli spazi della carità, del rispetto e del servizio.
I diaconi, in particolare, poiché sono configurati dalla sacra ordinazione a Cristo servo, siano i primi a dare esempio di servizio nella comunità (cf. ReDP 6).
La vita comune del seminario è un bene prezioso e insostituibile per la formazione alla carità pastorale. La fraternità sia vissuta, con cuore umile e grato, come un dono del Signore, in un clima normalmente connotato da una serena gioia, in modo che i futuri presbiteri possano essere testimoni di quella comunione di vita con Cristo e con il Padre che essi per primi hanno sperimentato insieme ai fratelli.

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94. Vivere la fraternità non è facile. Ogni comunità, e quindi anche quella del seminario, resta una comunità di peccatori in cerca di conversione. E' normale, perciٍ, che si richieda anche sacrificio per vivere in comunità.
Ognuno perٍ, quando le tensioni si acuiscono, è tenuto a ricercare e a eliminare dalla propria vita quanto puòcreare difficoltà al fratello o alla comunità.

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95. La comunità del seminario, a immagine della Chiesa, è costituita da una pluralità di soggetti e di ministeri. In essa ogni persona e ogni funzione sono chiamate a esprimersi secondo la propria originalità e a convergere nella comune edificazione.
Perciٍ, nel rispetto della fraternità che scaturisce dalla vocazione cristiana, si superi ogni rischio sia di livellamento sia di confusione dei ruoli. Nello stesso tempo ognuno osservi con attenta carità le norme di disciplina che, oltre a essere richieste dalla necessità di subordinare la spontaneità al dovere, sono indispensabili alla convivenza comune (cf. OT 11).

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96. La vita di comunità troverà così la sua convergenza attorno a un progetto educativo la cui formulazione spetta al vescovo e agli educatori del seminario, in collaborazione con il presbiterio (cf. DirEp 191).
Tale progetto deve scaturire dalla fedeltà all'insegnamento del magistero ecclesiastico circa la formazione dei presbiteri e dall'attenzione alle richieste e alla storia di ogni singola diocesi, perché esso sia in grado di interpretare e orientare in modo unitario le varie tappe della formazione spirituale, culturale e pastorale (cf. SVS 75; gli elementi fondamentali per tale progetto sono indicati in questa IV parte del presente documento).
All'interno di esso troverà spazio anche un regolamento diocesano, che risponda alla struttura particolare del singolo seminario (cf. RaF 25-26).

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97. Ogni credente ha il dovere di accettare e vivere la comunità cristiana secondo la costituzione voluta da Cristo, il quale ha scelto alcuni tra i fratelli e li ha preposti al servizio della comunione, per aiutare tutti a essere fedeli nella verità e uniti nella carità.
In questa prospettiva i giovani devono riscoprire con animo credente e riconoscente la missione di unità che il Papa svolge nella Chiesa (cf. LG 23) e ascoltare con fede e amore la sua parola, disponendosi a diventarne fedeli interpreti presso il popolo di Dio, in comunione con il loro vescovo e con tutto il presbiterio.

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98. Con la stessa sollecitudine la comunità del seminario riconosce nel vescovo "il primo maestro delle vocazioni nella sua diocesi come della formazione dei propri sacerdoti" (Paolo VI, Omelia alla concelebrazione della messa con i vescovi italiani, 6.6.1975: AAS 67[1975],§377), in ogni settore in cui essa si esprime: spirituale, dottrinale e pastorale.
Non manchino, quindi, occasioni concrete nelle quali "sia il vescovo a interessarsi anche personalmente dei propri seminaristi e sacerdoti, affinché questi trovino veramente in lui il padre, il consigliere, l'amico, la guida, il sostegno, l'aiuto" (Paolo VI, Omelia con i vescovi italiani), instaurando progressivamente un costume di ascolto, di obbedienza, di confidente amore e di collaborazione, che renda visibile la relazione che intercorre tra il ministero del prete e quello del vescovo.

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99. Nel seminario è indispensabile e preliminare ad ogni possibilità educativa accogliere con fede la figura dei sacerdoti educatori, mettendone in luce la dimensione "sacramentale", che fa dell'autorità cristiana un segno e uno strumento del servizio di Cristo che edifica il suo corpo.
Gli educatori del seminario rappresentano il vescovo (cf. LG 28) nella comunità, ognuno attraverso un mandato specifico, svolto in modo corresponsabile e con competenze distinte.
Spetta a loro:
- riconoscere con autenticità lo spirito e i carismi (ministero presbiterale e celibato) di coloro che il Signore chiama;
- insegnare il Vangelo come la tradizione apostolica l'ha trasmesso e come la Chiesa lo annunzia, con la guida del magistero;
promuoverne la personalità secondo le esigenze della missione.

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100. Essi adempiono il loro compito instaurando una relazione permanente di dialogo, di ricerca e di verifica tra loro, con gli alunni (cf. RaF 28), con il presbiterio e con il mondo contemporaneo, così da essere pronti e accogliere ogni voce che viene da Dio, e favorire la loro mediazione educativa.
Un aperto e docile ascolto dello Spirito e della parola di Dio e un continuo confronto con il vescovo che li manda li aiuteranno a discernere correttamente ciòche è volontà del Signore.
L'educatore trasmetta ed esiga solo quello che la Chiesa oggi crede ed esige per preparare un prete alla missione, attento a non confondere preferenze e criteri soggettivi con le austere esigenze del piano di Dio.

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101. Gli educatori costituiscono per i giovani all'interno della grande comunità del seminario un'immagine di comunità di presbiteri, uniti insieme a mutua edificazione e a servizio della missione, pur nella diversità di doni, di compiti e di età.
Perciòl'impegno a vivere e a testimoniare la carità fraterna deve precedere ogni altra funzione e preoccupazione. Essi siano consapevoli che lo sforzo di aiutarsi con carità nell'adempimento del proprio servizio è il loro primo e più efficace intervento educativo (cf. OT 5). Di qui la convenienza che non siano talmente assorbiti dalle loro funzioni da non poter trovare il tempo e i modi per vivere e approfondire la loro vita comunitaria, anzitutto nella preghiera e nella concelebrazione dell'eucaristia, ma anche nei momenti della riflessione e della distensione, pur nel rispetto della libertà di ognuno (cf. RaF 29; SC 27).
Per garantire questo spirito comunitario e la serenità nell'educare è opportuno evitare di inserire nella convivenza del seminario persone non coinvolte nella missione di formare i futuri presbiteri. Infatti, pur non volendo mortificare l'atteggiamento di cristiana ospitalità che deve caratterizzare ogni comunità di credenti, appare utile assicurare al seminario le migliori condizioni per il rapporto formativo.

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102. Nella comunità degli educatori spetta principalmente al rettore rappresentare il vescovo.
Egli è il responsabile primo della vita del seminario, promotore della formazione degli alunni nei settori della vita spirituale, comunitaria, scolastica e nelle esperienze pastorali (cf. RaF 29; SVS 69).
Egli svolge il suo compito in comunione e collaborazione con gli altri educatori, ma con un'autorità particolare, che si esprime in alcune mansioni specifiche:
- la cura e l'animazione per l'impegno responsabile della comunità degli educatori e, in spirito d'amicizia, la guida discreta e cordiale ai confratelli, che con lui collaborano nella missione educatrice;
- un frequente dialogo personale con gli alunni, per verificarne il cammino, orientare le mete, adattando ai singoli la proposta educativa e conoscendo così in modo diretto valori, problemi e difficoltà di ciascuno;
- la responsabilità di decidere nella fase finale la linea operativa che gli sembra più illuminata e fedele alle direttive date dal vescovo, e di chiedere che a essa tutti si ispirino; l'esercizio di questa responsabilità richiede che il rettore sappia approfittare con saggezza della verità che va emergendo dalla comune riflessione;
- l'elaborazione ultima del giudizio di idoneità da presentare al vescovo per l'ammissione ai ministeri e agli ordini, a conclusione del dialogo educativo e con l'apporto degli altri educatori;
- la vigilanza perché non venga compromesso o impedito ciòdi cui la comunità ha bisogno per conseguire i propri fini; nel rispetto della legittima diversità, il rettore garantirà infine che non si introducano dottrine e modi di intendere e vivere il ministero presbiterale diversi da quelli che la Chiesa propone.

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103. Nella formazione al presbiterato la direzione spirituale è necessaria e specifica e dev'essere praticata con regolarità da tutti gli alunni come sussidio essenziale. Essa accompagna e sostiene il lavoro interiore, che lo Spirito attua progressivamente per conformare i chiamati a Cristo pastore e abitua a uno sguardo limpido e illuminato sull'esperienza personale e sulle motivazioni che la guidano, così da affinare la lealtà e la docilità per l'accoglienza dell'iniziativa di Dio.
Per questo, all'interno del gruppo degli educatori è necessaria la presenza di un direttore spirituale, i cui compiti sono:
- offrire ai singoli alunni, nel rapporto segreto della direzione spirituale, una guida per il cammino formativo, assicurando autorevolmente il continuo discernimento della divina vocazione e dei segni interiori che la contraddistinguono;
- programmare e coordinare la vita spirituale della comunità, rispettando la responsabilità primaria del rettore e valorizzando il contributo degli altri educatori (cf. OT 8).
Qualora, in singoli casi o con una scelta pedagogica generale, il vescovo ritenesse opportuno designare più di un direttore spirituale per gli alunni del seminario, provvederà pure al coordinamento dell'azione di questi educatori per garantire la necessaria unità dell'indirizzo formativo e dei criteri usati per il discernimento e la verifica della vocazione.
Tale discernimento costituisce infatti uno dei compiti più delicati e importanti della direzione spirituale nei seminari.

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104. Accanto al rettore vengono designati altri educatori (vicerettori e animatori) che collaborino con lui, a seconda delle esigenze e della consistenza numerica della comunità.
Appare preziosa la funzione dei preti incaricati di tale opera educativa (cf. RaF 23).
Essi, condividendo la vita quotidiana della comunità in un effettivo interscambio di fraternità e di dialogo, svolgono un compito di testimonianza e di promozione.
La loro particolare responsabilità è quella di mediare la proposta educativa comunitaria nella situazione concreta.
In comunione con il rettore e in dialogo con i giovani che sono loro affidati, essi sono il riferimento immediato per l'elaborazione delle mete e delle modalità che caratterizzano l'itinerario formativo, stimolandone e verificandone l'attuazione.

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105. Gli insegnanti sono veri educatori e quindi membri della comunità educativa del seminario (cf. RaF 38). Essi concorrono all'educazione dei futuri preti attraverso l'insegnamento del Vangelo annunziato dalla Chiesa, che alimenta la fede degli alunni e li abilita al compito di maestri del popolo di Dio.
Il ruolo del professore è di mostrare la continuazione della fede, della tradizione e della vita presente della Chiesa, di promuovere l'adesione alle verità fondamentali e insieme un atteggiamento critico ed equilibrato nei confronti dell'attuale pluralismo teologico (cf. OT 5; FTS 121-127).
Tra gli insegnanti verrà nominato il prefetto degli studi, opportunamente distinto dal rettore, pur nel riconoscimento della responsabilità ultima del rettore stesso. E' suo compito, d'accordo con gli altri insegnanti, curare la formazione dei programmi, il calendario delle lezioni, i criteri di valutazione circa il profitto degli alunni, realizzare l'unità dell'insegnamento coordinando le singole discipline e tutto quanto si riferisce alla didattica della scuola di teologia.
E' evidente che la funzione educativa degli insegnanti e del prefetto degli studi sarà tanto più efficace, quanto più essi saranno coinvolti nella vita della comunità seminaristica.
Quando gli insegnanti non abitassero in seminario, si cercherà di sollecitare la loro partecipazione ai momenti più significativi della vita comunitaria.
Il corpo docente e le strutture del seminario devono anche aiutare la crescita nella fede di tutta la Chiesa locale, la formazione permanente del presbiterio e il compito magisteriale del vescovo.
Questi servizi, quando sono svolti in maniera compatibile col dovere d'aggiornarsi e nel rispetto dell'insegnamento in seminario, si traducono in un arricchimento di sensibilità pastorale a tutto vantaggio della scuola stessa (cf. RaF 36-37).

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106. La corresponsabilità formativa degli educatori, nella diversità dei ministeri che li caratterizza, emerge soprattutto in occasione del discernimento circa l'idoneità vocazionale dei candidati al presbiterato, alla vigilia del conferimento dei singoli ministeri. Si prepara così il discernimento autorevole e definitivo del vescovo, che, con l'imposizione delle mani, conferirà il sacramento dell'ordine( cf. RaF 40-41; FTS 117).
Tali verifiche sgorgano da una riflessione comunitaria condotta con piena docilità allo Spirito del Signore e alle direttive della Chiesa, alla quale gli educatori portano la testimonianza di quanto è emerso nel dialogo e nella consuetudine di vita con i singoli alunni, e gli insegnanti garantiscono d'averli trovati idonei al ministero di insegnare e guidare nella fede.
Il rettore, dopo aver domandato anche il contributo di chiunque sia in grado di esprimere un giudizio (come i parroci delle parrocchie di origine e quelli presso i quali vengono svolte le esperienze pastorali) formula la valutazione finale, confrontata nel dialogo personale con il candidato, secondo la specifica responsabilità che gli deriva dal suo compito, e la sottopone al giudizio definitivo del vescovo.

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107. Il compito degli educatori del seminario richiede che essi vengano scelti con la massima cura. In loro vi sia un'autentica spiritualità presbiterale, accompagnata da una seria esperienza di pastori d'anime: una preparazione specifica nel settore particolare del ministero che è loro richiesto; una reale capacità di comprensione delle problematiche del mondo giovanile; la disposizione a una mutua e fraterna collaborazione nella vita comunitaria.
Per provvedere alla specifica preparazione degli educatori e alla loro formazione permanente, si promuovano iniziative adatte, a livello nazionale e soprattutto regionale (cf. RaF 31).

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108. Nello stesso tempo, data la missione degli educatori del seminario, gli alunni ascoltino e accettino la loro parola con fede e fiducia nel mandato autorevole da essi ricevuto, e confrontino con loro il proprio cammino formativo. In caso di divergenza o di dubbio è necessaria una verifica sincera che chiarisca le diverse posizioni. Ma rimane dovere grave non eludere la relazione con i superiori del seminario ai quali il vescovo ha affidato la missione del discernimento.
Gli alunni del seminario saranno aiutati a raggiungere la motivata consapevolezza del fatto che la propria idoneità vocazionale va garantita dal parere positivo, indipendente e convergente, del rettore e del direttore spirituale.

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109. Accanto all'opera formativa degli educatori, si richiama anche la profonda e decisiva funzione educante che tutta la comunità del seminario è chiamata ad esercitare (cf. RaF 46), nella trama complessa delle sue articolazioni.
Il contesto dei rapporti interpersonali, nel quale si svolge la vita di ciascuno, diventa il tramite, forse non sempre avvertito ma non per questo meno incisivo, della trasmissione dei valori.
Questa esperienza peròdeve essere vissuta secondo quella gamma di relazioni che caratterizza la vita adulta, con modalità adatte a favorire la reciproca accoglienza ma anche la vigilanza critica personale, in un clima cristiano di fede e di carità.

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110. Nei grandi seminari si provvedano adeguati strumenti per un'utile articolazione della vita comunitaria: essa potrà essere ottenuta sia attraverso la costituzione di centri d'interesse e di attività di servizio, sia attraverso veri e propri gruppi capaci di favorire il cammino educativo delle persone, purché si collochino armonicamente nel ritmo di vita della grande comunità (cf. RaF 23).
I gruppi sono sempre da considerarsi funzionali rispetto alla comunità.
Le motivazioni, pertanto, che hanno indotto a sconsigliare la formazione di gruppi particolari esterni al seminario, mettono pure in guardia dal rischio di assolutizzare i gruppi all'interno.

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111. Momenti indispensabili per la vita comunitaria - per la conoscenza vicendevole, l'esercizio della fraternità, l'educazione alle virtù sociali - sono gli incontri di tutti i suoi membri; tra questi, hanno un posto primario le celebrazioni liturgiche fondamentali: la s. messa e la liturgia delle ore. Esse saranno normalmente comunitarie, pur senza escludere che in qualche circostanza possano avvenire opportunamente nei gruppi.
Non meno importanti sono anche gli incontri per le programmazioni e le revisioni di vita, con la partecipazione degli educatori e degli alunni. In simili occasioni il rettore svolge il suo ministero di guida, offrendo gli spunti di riflessione più opportuni.

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112. La comunità del seminario avrà attenzione anche per gli altri gruppi di persone che vivono e operano nello stesso ambiente (suore, personale di aiuto, ecc.).
Pur nel rispetto delle diverse esigenze di vita e di vocazione, tali gruppi non possono non essere accolti con gratitudine dalla comunità del seminario di cui fanno parte e alla quale offrono un prezioso servizio.

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113. Il tempo del seminario deve essere considerato un tempo di impegno serio e continuo che, mentre accomuna gli alunni all'austera fatica di tanti fratelli del mondo del lavoro, spieghi e giustifichi il fatto e l'esigenza di riservare un periodo così lungo all'esperienza del mistero di Dio e alla preparazione al ministero.
Quindi, pur provvedendo al necessario riposo e alla sana distensione, i giovani sentano la grave sconvenienza di ogni spreco del tempo loro concesso da Dio e si educhino a essere fedeli amministratori del proprio tempo, anche in vista della missione di domani (cf. SVS 75).

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114. Il seminario maggiore plasma e prepara i futuri pastori all'opera per la quale li ha assunti il Signore (cf. PO 3).
L'educazione alla fraternità e alla condivisione, e i ritmi esigenti dello studio e della preghiera richiedono obiettivamente che i giovani dedichino gran parte del loro tempo e della loro attenzione alla vita comunitaria del seminario.
Tuttavia il dialogo con la Chiesa e con il mondo non dovrà essere considerato marginale o occasionale rispetto all'iter formativo, ma parte integrante e necessaria di esso (cf. RaF introd. 2; 12; nota 74; 42; 51; 70; 94; nota 196). Lo spazio per tale dialogo dovrà essere commisurato alle esigenze della vita comunitaria e di ogni singolo alunno, e non dovrà mai compromettere un'adeguata esperienza di "presenza a Dio", che diventa l'unica garanzia di un corretto modo di presenza al mondo.

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115. Il primo rapporto che il seminario deve curare è quello verso la famiglia di ciascun alunno: essa, proporzionatamente all'età e alla maturazione degli alunni del seminario è sempre in qualche misura partecipe della crescita umana e vocazionale dei candidati.
I familiari, soprattutto i genitori, dovranno essere aiutati dal seminario a conoscere sempre più profondamente il mistero e la ricchezza della vocazione presbiterale, così che non solo la rispettino, ma ne colgano e ne partecipino la grazia, e ne accompagnino discretamente lo sviluppo. Sono valorizzabili in questo senso i periodi di rientro in famiglia, non intesi solo come tempi di vacanza, ma come momenti integranti e complementari del ciclo formativo.
Ne deriverà un arricchimento prezioso, spesso decisivo anche in vista del ministero, circa la conoscenza diretta dei problemi della persona umana e della loro dimensione familiare.
Il seminario non tralascia, d'altro canto, di svolgere una discreta e prudente azione per garantire la necessaria indipendenza del futuro presbitero dalla famiglia. Le mutate condizioni sociali e strutturali del nucleo familiare raccomandano di proporre con chiarezza l'evangelica libertà dell'apostolo da condizionamenti affettivi ed economici.

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116. Il seminario maggiore, inoltre, solidale con la comunità diocesana e in particolare con il vescovo e il presbiterio, educa alla fraternità sacramentale che deriva dall'ordinazione e introduce progressivamente i futuri presbiteri nella vita e nei problemi della Chiesa, alla quale saranno mandati (cf. RaF 47; OT 5; PO 8).
La comunità del seminario, aperta all'incontro e alla collaborazione del presbiterio e di tutto il popolo di Dio nella formazione dei futuri pastori, offre pure il contributo che le è proprio alla vita diocesana.
In particolare, il seminario non ignora che i ministeri del lettorato e dell'accolitato, che sono propri dell'itinerario che conduce al sacerdozio, appartengono anche ad altri membri del popolo di Dio. Non dimentica tuttavia che è diversa "la prospettiva in cui si colloca, in questi ministeri, chi trova in essi il preciso modo di partecipare alla vita liturgica e apostolica della Chiesa; e di chi invece passa per l'esercizio di questi ministeri nel momento determinante del suo cammino verso il diaconato e il presbiterato. C'è condivisione dell'identico ministero, ma in diversa vocazione" (MnC 22). I futuri presbiteri, perٍ, dovranno prendere coscienza che sarà loro compito precipuo discernere, suscitare e coordinare tutti i carismi e ministeri nella Chiesa.
Inoltre, "gli alunni siano animati da spirito veramente cattolico, per cui sappiano superare i confini della propria diocesi, nazione o rito e siano disposti ad aiutare gli altri con animo generoso. Per questo siano resi coscienti delle necessità di tutta la Chiesa, come sono i problemi ecumenici, missionari e gli altri più urgenti delle diverse parti del mondo. Con speciale cura gli alunni siano preparati anche a instaurare il dialogo con i non credenti" (RaF 96).

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117. La Chiesa è consapevole di quanto deve "continuamente maturare, in forza dell'esperienza dei secoli, nel modo di realizzare i suoi rapporti con il mondo" (GS 43) e di quanto "abbia ricevuto dalla storia e dallo sviluppo del genere umano" (GS 44).
Essa riconosce che "non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi in certa misura nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo; occorre condividere, senza porre distanza di privilegi o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano e onesto, quello dei piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi" (ESu 90).
Perciòanche la comunità del seminario deve saper profittare del rapporto con il mondo, condividendone i problemi e impegnandosi in quelle situazioni e iniziative che sono compossibili con la sua identità e i suoi scopi.
Tale obiettivo puòessere perseguito valorizzando tutti gli strumenti che conducono a una conoscenza non superficiale e non unilaterale della realtà umana del proprio ambiente (specialmente il confronto diretto e comunitario con persone impegnate a fondo nei problemi presi in esame) e partecipando - dopo un'attenta valutazione dell'opportunità e in forme consone alla natura e alle finalità del seminario - a gesti concreti che esprimano la sofferenza di fronte a ogni vuoto di fede e di giustizia e la coscienza della dignità umana e della forza di liberazione insita nel messaggio cristiano (cf. RaF 69; SM I, 7; GM II; RH 13-17).
Bisogna peròche il seminario insegni chiaramente, prima di tutto con lo stile della propria vita comunitaria, il tipo e lo spirito delle relazioni che un prete deve attuare nei confronti del mondo. Così i giovani non incorreranno in rischi sconsiderati e in contaminazioni ambigue, maturando giudizi che, alla luce della parola di Dio, vincano le opposte tentazioni di isolarsi per difesa o di recepire acriticamente ogni suggestione.
Il servizio e la testimonianza offerti agli uomini siano sempre coerenti con la vocazione al ministero di pastore (cf. Giovanni Paolo II, Lettera a tutti i sacerdoti della Chiesa, n. 7, SVS 41-42).

La formazione del pastore

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118. Ciòche caratterizza e unifica la spiritualità e la vita del presbitero è la carità pastorale, da cui deriva la decisione di dedicarsi alla missione, così da avere mani e piedi legati dallo Spirito (cf. At 20,22; SVS 23, 70), a servizio e a vantaggio di ciòche è utile a molti, in modo che siano salvi (cf. 1 Cor 10,33; PO 13, 15).
Il Padre e il mondo attendono, da coloro che sono chiamati al ministero di pastori, che accettino di continuare nel tempo della Chiesa la donazione libera e piena di amore di Cristo pastore, il quale fece di tutto il suo essere uno strumento docile per la missione( cf. OT, conclusione).
Dio, infatti, costruisce la sua Chiesa con le persone, quando esse si lasciano condurre dal suo Spirito per la comune edificazione.
Egli perònon vuole servi, per quanto diligenti e fedeli, ma desidera amici che per amore servano liberamente i fratelli.
Di fatto solo un'autentica carità pastorale, saldamente ancorata all'amore di Dio, puòspiegare e sostenere la generosa dedizione di un presbitero, soprattutto quando la stanchezza e le delusioni tendono a inaridire l'entusiasmo e lo zelo. La pazienza dell'apostolo e la sua donazione piena alle esigenze dell'edificazione del Regno sono legate all'amore di Cristo (cf. Gv 21,18-19).

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119. Anche la scelta di sviluppare l'una o l'altra delle forme di ministero o delle possibili specializzazioni va considerata in stretta relazione con la disponibilità del presbitero a subordinarsi alla missione (cf. SM II, I, 1b e 2a).
I futuri presbiteri sono chiamati a risolvere con fedeltà e flessibilità la tendenza, oggi particolarmente sentita, a non proporsi un modo uniforme di ministero, anche per rispondere alle molteplici istanze della realtà concreta. Proprio con questo spirito, in altri tempi e in altre situazioni, le figure più venerate e umili del clero italiano seppero esercitare i servizi più diversi, secondo i suggerimenti di un'ordinata carità pastorale, nella comunione con il vescovo e nel pieno rispetto della natura del loro ministero.
In ogni caso, la migliore consapevolezza dei carismi e della missione dei laici nella Chiesa e la loro crescente maturità domandano che il prete di oggi eviti supplenze indebite, che non rispetterebbero abbastanza l'effettiva diversità dei ministeri del popolo di Dio (cf PO 9; EN 70-73).

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120. La formazione pastorale in seminario si attua attraverso un processo unitario, che ha i suoi momenti specifici, ma complementari e interagenti fra loro, nella promozione della vita spirituale, nello studio delle discipline filosofiche e teologiche e nelle esperienze pastorali compiute nel tessuto vivo del popolo di Dio.
La progressiva configurazione del futuro presbitero a Cristo pastore emana perٍ, anzitutto, dall'iniziativa di Dio, il quale chiama, abilita e invia alla missione. Egli interviene attraverso il dono dello Spirito, effuso in maniera particolarmente abbondante in quegli eventi di natura sacramentale che esprimono anche visibilmente il conferimento della grazia e il mandato per il servizio.

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Il conferimento del lettorato e dell'accolitato e l'ordinazione diaconale sono momenti importanti e decisivi nella formazione al presbiterato (cf. MQ e AP). Da essi, senza alcuna indebita assolutizzazione, è possibile ricavare un principio capace di unificare la vita spirituale, le esperienze pastorali e, in qualche misura, anche lo stesso studio teologico (cf. MnC 28-34). Essi propongono le fasi fondamentali di una "iniziazione", attraverso la quale vengono donati la grazia e il mandato, insieme con l'esercizio progressivo e autentico di compiti tipicamente presbiterali, quali l'evangelizzazione, il culto, e l'animazione pastorale.
Proprio la loro finalizzazione all'imposizione delle mani per il presbiterato distingue il significato dei ministeri istituiti e del diaconato per i candidati al sacerdozio rispetto agli stessi ministeri conferiti a laici o a diaconi permanenti (cf. MnC 22).
Per i diversi ministeri si rispettino la preparazione e le scadenze di tempo richieste: se da un punto di vista oggettivo il servizio alla Parola, all'altare e alla carità devono restare sempre compresenti nella formazione dei presbiteri, pedagogicamente sarà da favorire una gradualità che sottolinea l'una o l'altra delle attitudini da acquisire.

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121. Nel rispetto dei tempi e dei modi di maturazione di ogni singolo alunno, gli impegni relativi all'iniziazione pastorale verranno assunti non in base a scadenze di calendario (scolastico o seminaristico), ma solo allorquando, per giudizio concorde dell'interessato e degli educatori, emerge una sufficiente idoneità della persona.

Questo non significa indulgere alla tendenza a rimandare gli impegni, e neppure negare che il seminario possa proporre momenti determinanti quali il conferimento dei ministeri, come mete educative con cui confrontarsi e da cui essere stimolati.
Affermata la necessità che l'iter formativo sia progettato in maniera esigente, come richiede la sua natura, gli educatori siano attenti alle vere possibilità personali di ciascuno, considerando con prudenza ma con serenità eventuali periodi di maturazione vissuti anche fuori del seminario (cf. RaF 42).
Una simile esperienza - seriamente concordata tra alunno ed educatori - non deve considerarsi come estranea al cammino formativo globale. Perciòsia condotta in un continuo confronto con gli educatori del seminario, che ne sono i responsabili, e in condizioni tali da potersene prevedere un esito davvero maturante.
Si curi l'inserimento dell'alunno in una comunità adatta; lo si affidi a un sacerdote disposto a seguirlo direttamente; si definiscano gli impegni pastorali, di studio o di lavoro, in modo che siano compatibili con la formazione spirituale. La durata dell'esperienza, poi, sia - nè più nè meno - quella ritenuta sufficiente a raggiungere i chiarimenti richiesti.

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122. Il giovane che entra nel corso teologico deve presentarsi esplicitamente e generosamente disposto a maturare il suo impegno cristiano fondamentale di seguire Cristo come maestro di vita, ascoltandolo nella sua Chiesa.
Sarebbe infatti illusorio e pericoloso cercar di raggiungere una spiritualità pastorale prima di possedere quegli atteggiamenti cristiani che, essendo espressione e sviluppo dell'impegno battesimale, sorreggono ogni altra scelta e vocazione.
I giovani non sono in grado di rispondere alle esigenze della formazione al ministero sacerdotale, se esistono problemi di fede aperti e indecisione intorno alla vocazione cristiana.

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123. All'inizio della teologia deve quindi riscontrarsi nei candidati la sincera disponibilità a seguire il Signore ovunque egli conduca, a compiere le rotture che il "sì" a Cristo esige "senza consultare nessun uomo" (Gal 1,16; cf. Mt 4,18-22); a impostare la propria vita con i criteri del Vangelo nel solco di una scelta tendenzialmente definitiva per il ministero presbiterale.
La celebrazione del rito di ammissione tra i candidati al presbiterato, da compiersi entro il primo biennio (cf. MnC 27, 38), sarà il segno offerto al vescovo e alla Chiesa della personale maturazione di questa scelta, con la chiara accettazione di tutte le esigenze che essa comporta. Pur riconoscendo che nessuno puòprevedere quali difficoltà riservi il futuro, si richieda ai giovani di esprimere, in occasione di tale rito, un impegno solido e solenne da vivere generosamente, fiduciosi nella grazia del Signore risorto.

La formazione spirituale
In comunione con Cristo pastore


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124. Per seguire Cristo pastore (cf. SM II, I, 3) con piena disponibilità, si richiede un costante sforzo di conversione, che assecondi il dono e l'appello di Dio quali si vanno progressivamente rivelando nel tempo.
L'atteggiamento dev'essere quello di chi si lascia convertire dalla Parola e dai sacramenti, perché per loro tramite il Padre fa conoscere all'uomo la sua condizione di peccatore, gli offre il perdono e lo sospinge alla sequela del Figlio suo.

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125. La disposizione interiore della penitenza, per la quale continuamente si rinnova il desiderio di seguire il Signore, è alimentata dalla ricchezza della liturgia nelle singole celebrazioni e nei tempi dell'anno, e trova la sua consacrazione e la sua ratifica in occasione del sacramento della riconciliazione (cf. RaF 55; FLS 35-36). Di qui scaturirà il senso dell'ascesi e della disciplina, delle quali non possono fare a meno coloro che, per essere di Cristo, scelgono di crocifiggere la carne con le sue passioni (cf. Gal 5,16-25).
Lo spirito di sacrificio e l'accettazione della fatica, fino a rinunce molto costose, allena a subordinare con prontezza le preferenze istintive della natura alle attese di Dio e dei fratelli.
Nell'impostare la vita spirituale, perٍ, si eviti ogni volontarismo che misconosca il valore primario dell'azione segreta di Dio nel cuore dell'uomo e sopravvaluti lo sforzo ascetico dell'uomo, fino ad attribuirgli un'efficacia che da solo non ha (cf. Mc 4,26-29). Bisogna accettare con animo paziente e fiducioso i tempi lunghi nei quali il Padre fa crescere nei chiamati le virtù di Cristo pastore.
E' anzi importante che il futuro presbitero impari a godere del dono di Dio e nello stesso tempo a riconoscere il valore salvifico della sofferenza, dell'umiliazione e dell'insuccesso.
La celebrazione dell'eucaristia trasmette il senso pasquale del sacrificio cristiano e prepara coloro che saranno configurati a Cristo, sacerdote e vittima, a vivere nella speranza e nella gioia, anche quando sono associati a lui nella passione a vantaggio della Chiesa e del mondo (cf. Col 1,24; SVS 72).

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126. E' la parola di Dio che chiama l'uomo a salvezza, e lo introduce nei misteri del Regno.
Perciٍ, attraverso momenti prolungati di ascolto e di meditazione personale, il futuro presbitero sperimenterà la Parola come presenza di Dio e di Gesù Cristo, che in essa parla alle sue membra nell'oggi della Chiesa e del mondo, e l'accoglierà come norma di fede e di vita (cf. DV 21).
Per adempiere alla sua missione egli deve anche prepararsi a intendere rettamente e a trasmettere fedelmente ai fratelli l'autentica parola divina, come la Chiesa la interpreta, "affinché una scelta arbitraria non coarti il disegno di Dio" (Paolo VI, Esortazione apostolica Quinque iam anni, 8.12.1970, parte II).
Per amore della Parola e della missione, si corregga progressivamente l'inclinazione naturale dell'uomo a ispirare i propri giudizi e le proprie scelte a criteri e sicurezze soltanto personali o di sola logica umana, si superi ogni irrigidimento dovuto a malintesa fedeltà, tale da non permettere l'irruzione delle novità dello Spirito, e si dominino passioni o tendenze che rendono difficile l'ascolto.
Si apprenda, inoltre, quello sguardo contemplativo che, sulla scorta della Parola ascoltata, permette di "scoprire nelle vicende della vita i segni della volontà di Dio e gli impulsi della grazia" (PO 18). L'iniziazione al ministero del lettorato, con il conseguente servizio, sarà il momento privilegiato per questa formazione all'accoglienza e al servizio della Parola (cf. MQ V; MnC 7).
"Il secondo e terzo anno del corso teologico sono il tempo idoneo per il conferimento del lettorato, avendo i candidati al presbiterato possibilità di un accostamento sistematico e approfondito alla parola di Dio e all'ecclesiologia; avendo modo di partecipare già attivamente alla vita pastorale della Chiesa; e potendo così trovare, intorno a questi motivi, l'ispirazione e la grazia per il cammino ascetico necessario" (MnC 28).

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127. Ogni cristiano è chiamato, pur nella diversità dei doni di grazia, ad esprimere nella propria vita il mistero di Cristo senza deformazioni e parzialità, imitando Gesù nell'azione come nella contemplazione (cf. Mc 3,20; Lc 6,12); nell'incarnazione come nella trascendenza (cf. Fil 2,5-11; Gv 8,23); il Cristo che sa stare con i poveri e con i ricchi (cf. Mc 1,29-34; Lc 19, 1-10); il Signore della trasfigurazione e della gloria, dell'umiliazione e della croce (cf. Mt 17,1-9,; Gv 12,12-36).
Ma questo impegno diventa radicale per il prete, al quale è chiesto di annunziare e di testimoniare l'integrale Vangelo di salvezza. Gesù ha pazientemente catechizzati gli apostoli per introdurli nell'intero mistero della sua persona (cf. Mt 16,13-20), della sua pasqua (cf. Mt 16,21-28) e della missione che doveva loro affidare (cf. Mt 20,20-28; Mc 10,35-45; Gv 13,1-7; At 1,1-11), correggendo la tendenza a isolare l'una o l'altra delle esigenze della loro vocazione.
Per questo ai candidati al presbiterato è chiesta una partecipazione profondamente personale alla liturgia, la quale, soprattutto alla scuola dell'anno liturgico (cf. FLS 32), "contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della Chiesa" (SC 2), alimentandoli con il pane della vita alla mensa della parola di Dio e del corpo di Cristo (cf. DV 21). Essi comprendano la sacra liturgia come fonte, culmine e manifestazione della vita della Chiesa, riattualizzazione di tutta la storia della salvezza e azione mistagogica, con la quale la Chiesa, nello Spirito santo, in tale storia inserisce il credente.
Le esigenze della futura missione domandano anche un'iniziazione ai riti liturgici, attraverso la conoscenza delle grandi costituzioni che precedono i libri del Messale e della Liturgia delle ore e attraverso l'esperienza di collaborazione con i ministri ordinati nell'animazione delle assemblee celebranti, in seminario o nelle parrocchie (cf. FLS 20-21).
Tale formazione liturgica ha il suo momento culminante nella preparazione e nell'esercizio del ministero dell'accolitato (cf. MP VI; MnC 8), il cui conferimento è fissato "fra il terzo e il quarto anno di teologia, potendo già il candidato approfondire il mistero eucaristico e le sue connessioni con la comunità della Chiesa, negli studi teologici e nel cammino ascetico" (MnC 29).

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128. Più volte il Vangelo ricorda come i discepoli trovarono il Maestro in preghiera o lo videro ritirarsi in solitudine per dialogare con il Padre (cf. Mc 1,35-37; Lc 6,12), mentre altre volte fu lui stesso a volerli testimoni della sua preghiera (cf. Gv 17,1-26; Lc 22,39-45).
I giovani seminaristi devono imparare l'abitudine a incontrare Dio nella preghiera solitaria e silenziosa, fatta di ascolto e di contemplazione, ma devono anche considerare che i fratelli hanno il diritto di intravedere la loro preghiera, sia quando sono ministri di orazione nella liturgia, sia nei momenti che essi riservano al colloquio personale con Dio (cf. LG 28; SVS 76).
La preghiera del pastore diventa, infatti, un appello e una testimonianza che propone a tutti il primato dell'accoglienza, dell'iniziativa di Dio.

Nella comunione ecclesiale

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129. La comunione con Cristo pastore conduce necessariamente alla comunione con la Chiesa, alla quale i presbiteri sono mandati come fratelli e guide.
Questa comunione avviene nella docilità sia allo Spirito che agisce e parla nell'intero popolo di Dio, con il dono dei suoi carismi, sia a coloro che dallo stesso Spirito hanno ricevuto il carisma dell'autorità a servizio di tutti (cf. Paolo VI, Discorso durante l'udienza generale, 18.5.1966).
Consapevoli che lo Spirito ha già parlato in Cristo alla Chiesa, i futuri presbiteri ascoltino e accolgano fiduciosamente la fede della Chiesa, così da nutrire con essa la loro mentalità.
La ricerca appassionata delle vere parole che Dio va dicendo agli uomini li deve abitualmente disporre a un religioso rispetto di volontà e di intelligenza nei confronti del magistero del Papa e dei vescovi, per ispirare la propria fede al loro autorevole insegnamento (cf. LG 25).

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130. L'esercizio del ministero diaconale ha la funzione precisa di far esperimentare in modo più approfondito il senso e i modi della comunione e del servizio nella comunità cristiana.
Infatti il diaconato, in forza della sacra ordinazione, introduce i candidati al ministero presbiterale nella comunione sacramentale con il vescovo e con i presbiteri, e aiuta a cogliere la stretta relazione fra il servizio all'altare e il servizio ai poveri. Esso insegna anche a vedere nello spirito di servizio la forma autentica e originale dell'autorità cristiana, espressa da colui che, come Pastore, è venuto per servire e non per essere servito (cf. Gv 13,1-17).
L'ordinazione diaconale sarà conferita "trascorso almeno un anno dalla recezione dell'accolitato, durante l'ultimo anno di teologia, mentre il candidato al presbiterato è inserito tuttora nella comunità del seminario e non ha ancora portato a termine gli studi teologici" (MnC 33). Tale ministero deve essere compiuto:
- "non riducendo il diaconato a pochi mesi di esercizio, quasi solamente liturgico e rituale, ma ponendo un notevole intervallo fra ordinazione diaconale e presbiterale;
- inserendo profondamente il diacono nella vita pastorale di comunità vive e operose, in stretto rapporto con i confratelli diaconi e in frequente contatto (con i preti) e il vescovo;
- guidando e sostenendo, mediante l'aiuto di sacerdoti e laici idonei, i primi passi di questo ministero ordinato, nella nella consapevolezza che lo stesso ministero presbiterale ricaverà, da questo sostegno e dalla relativa esperienza, non pochi benefici e un'ulteriore verifica dopo gli anni del seminario" (MnC 34).

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131. I giovani avviati al presbiterato giungano ad amare e a riconoscere la Chiesa come sacramento privilegiato della presenza e dell'azione di Dio. La carità pastorale deve progressivamente insegnare loro ciòche veramente serve alla comunità cristiana, suggerendo i tempi e i modi nei quali è richiesto di estirpare dal campo la zizzania e quelli nei quali una superiore carità persuade a sopportarne la presenza, per non desolare ulteriormente il campo di Dio (cf. Mt 13,24-30).
La consapevolezza di appartenere a una Chiesa in cammino, operosamente attenta alla propria missione e insieme tutta protesa alla venuta del suo Signore (cf. Ap 22,17), mantiene vivace l'esercizio della speranza grazie alla quale si supera ogni tentazione di scoraggiamento di fronte al lento maturare del regno di Dio (cf. 1 Cor 3,9) e si esulta nella lode di fronte a ciòche lo Spirito continua a far germinare tra i credenti, nonostante il peccato dell'uomo.

Per il servizio all'uomo

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132. La fedeltà alla missione esige che i candidati al presbiterato assumano sempre più la disposizione a servire tutti, per poter guadagnare il maggior numero di fratelli a Cristo (cf. 1 Cor 9,19). Essi debbono sapere che la "Chiesa non ha altra vita all'infuori di quella che le dona il suo sposo e Signore. Difatti, proprio perché Cristo nel mistero della sua redenzione si è unito a essa, la Chiesa deve essere saldamente unita con ciascun uomo. Questa unione del Cristo con l'uomo è in se stessa un mistero, dal quale nasce l'uomo nuovo, chiamato a partecipare alla vita di Dio, creato nuovamente in Cristo alla pienezza della grazia e della verità" (RH 18).
Si preparino, perciٍ, a «servire la verità e la giustizia nelle dimensioni della "temporalità umana", ma sempre in una prospettiva che sia quella della salvezza eterna» (Giovanni Paolo II, Lettera a tutti i sacerdoti della Chiesa, n. 7).

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133. Il primo dovere di ogni futuro presbitero è quello di plasmarsi per la missione una personalità che, per quanto è possibile, sia ponte e non diaframma per gli altri nell'incontro con Cristo, imparando da colui che, essendo Dio, impoverì se stesso e divenne simile agli uomini, per fare della sua umanità il "sacramento" dell'incontro con il Padre (cf. Fil 2,5-8; Gv 14,9; Eb 5,1-3).
I giovani, consapevoli dei propri limiti, sviluppino nel modo più opportuno le qualità umane che rendono accetto e credibile un uomo tra gli uomini, quali il rispetto per ogni persona, il senso della giustizia, la lealtà, la coerenza e un adeguato equilibrio di giudizio e di comportamento (cf. OT 11; PO 3; RaF 51; SVS 71).
Da questa maturazione personale deriva la capacità di adattarsi alla condizione degli uomini ai quali si vuole servire, rinunciando ai privilegi e alle distanze che sono di ostacolo all'annunzio del Vangelo. La fedeltà alla parola incarnata esige anche, in virtù della dinamica dell'incarnazione, che il messaggio sia recato non a un'umanità astratta, ma all'uomo d'oggi. "Cristo si è fatto contemporaneo ad alcuni uomini e ha parlato nel loro linguaggio. La fedeltà a lui chiede che questa contemporaneità continui" (Paolo VI, Discorso ai Partecipanti alla XXI settimana biblica italiana, 25.9.1970).
In questa prospettiva i giovani approfittino di ogni incontro con persone e categorie particolari per verificare il proprio linguaggio e le proprie capacità di dialogo, pur ricordando che l'adattamento non va confuso con cedimenti e compromessi: la parola di Cristo dev'essere proclamata integralmente, anche quando essa conduce al rifiuto e alla emarginazione dell'apostolo.

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134. Cristo coglieva ciòche realmente era nell'uomo, perché sapeva ascoltare, compatire, perdonare, e riconoscere la verità di quell'amore che la sua stessa presenza domandava e suscitava e nel quale ogni persona era chiamata a trovare la piena realizzazione di sè( cf. Gv 8,3-11).
Perciògli alunni del seminario avvicinino ogni uomo e ogni problema, senza valutazioni astratte, affrettate o preconcette.
Coltivino "quelle particolari attitudini che contribuiscono moltissimo a stabilire un dialogo con gli uomini, quali sono le capacità di ascoltare gli altri e di aprire l'animo in spirito di carità ai vari aspetti dell'umana convivenza" (OT 19).

Con il segno dei consigli evangelici

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135. La configurazione a Cristo pastore, nella carità pastorale di chi dà se stesso per la comunione ecclesiale e il servizio all'uomo, si esprime mirabilmente, anche se non soltanto, nella pratica dei segni evangelici dell'obbedienza, del celibato e della povertà, incarnati secondo i modi propri della vita e della missione del presbitero (cf. SVS 73).
La formazione spirituale del seminario maggiore tende a condurre i giovani a scoprire il loro valore e a tradurlo in vita, per rendere concreta la sequela di Cristo e per essere nella Chiesa e nel mondo testimoni dell'iniziativa di Dio.

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136. I candidati al presbiterato imparino un'obbedienza autentica e responsabile, non come fatto puramente esterno ma come progressiva conformazione interiore a Cristo, quale dev'essere quella di chi per amore fa dono della propria volontà nel servizio di Dio e dei fratelli.
Già la vita del seminario offre la possibilità di sperimentare le esigenze, le fatiche e i modi di un esercizio cristiano dell'obbedienza e dell'autorità.
I superiori mostrino in questo di essere i primi a sottomettersi alla volontà di Dio; gli alunni per parte loro devono offrire ai superiori un'obbedienza piena di carità e di riconoscenza (cf. Eb 13, 17) e una collaborazione responsabile nelle scelte riguardanti la vita comunitaria (cf. RaF 24), senza far mancare l'apporto della parola e dell'azione, e nel rispetto della complementare diversità di ministeri, che caratterizza ogni comunità cristiana.
In un'epoca nella quale "gli uomini diventano sempre più consapevoli della dignità della persona umana e cresce il numero di coloro i quali esigono che gli uomini nell'agire seguano la loro iniziativa e godano di una libertà responsabile, non mossi da coercizione bensì guidati dalla coscienza del dovere" (DH 1), l'esercizio della libertà cristiana, intesa come interiore capacità di obbedire prima a Dio che agli uomini, di subordinare alle esigenze della comune edificazione le aspirazioni personali, è una preziosa ed eloquente testimonianza.

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137. Con il carisma del celibato, colui che è chiamato al ministero presbiterale viene persuaso dallo Spirito a offrire alla grande famiglia di Dio la totalità del suo amore e della sua sollecitudine, rinunciando, per questa superiore fecondità, alla ricchezza dell'amore coniugale e della paternità che ne consegue (cf. SaC).
La formazione al celibato dei futuri presbiteri si alimenta anzitutto di un amore che sgorga come risposta a Dio da un cuore indiviso, e da un amore "sincero, umano, fraterno, personale e immolato, sull'esempio di Cristo, verso tutti e verso ciascuno" (RaF 48).
La vocazione al celibato, per essere compresa e vissuta, richiede uno spirito di fede che dia particolare concretezza al mistero di Dio e della Chiesa. E' quindi un dono che va continuamente chiesto nella preghiera, perché ogni fedeltà è possibile solo quando il Padre mostra il suo volto o rende capaci di sostenere le sue apparenti lontananze.
L'impegno celibatario è il risultato di un lungo cammino di maturazione umana, cristiana e vocazionale (cf. FCS 18-33), che sfocia in una scelta libera e consapevole (cf. OT 10), espressa dal candidato nel rito liturgico previsto prima del diaconato.

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138. A questo fine i futuri presbiteri, ben conoscendo la fragilità della natura e senza presumere delle proprie forze, si devono avvalere in forma permanente delle norme ascetiche che consentono un'effettiva capacità di restare fedeli, nel corpo e nello spirito, al carisma del celibato.
Si raccomanda di aderire alla saggia disciplina che insegna a vigilare sulle proprie letture, sugli spettacoli, sull'uso degli audiovisivi, così da restare immuni da concessioni e ripiegamenti, che impoveriscono e insidiano la freschezza del dono (cf. SaC 70, 77).
Poiché il carisma del celibato, anche quando è autentico e provato, lascia intatte le inclinazioni dell'affettività e della sessualità, essi devono imparare anche un modo di relazione con la donna pieno di prudenza, di rispetto e di stima, comprendendone la psicologia e la specifica vocazione senza idealizzazioni ingenue e senza rifiuti.
Con una simile testimonianza i fratelli saranno felicemente aiutati a scorgere e ad apprezzare i rapporti nuovi che questo dono di Dio sa far nascere tra le persone.

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139. La testimonianza di una povertà autentica ha oggi un particolare valore di credibilità nell'esercizio della missione pastorale (cf. GM III).
Lo spirito di povertà si manifesta in vari modi nelle molteplici circostanze della vita: di volta in volta è un atteggiamento di distacco dalle cose, di accettazione dei propri limiti, di rinunzia a ogni forma di potere.
I giovani lo coltivino nel modo di condurre la vita personale e comunitaria, senza confondere la povertà con la trascuratezza, e nella propensione abituale a preferire, anche per l'apostolato, quei mezzi poveri che rendono visibili le realtà profonde, delle quali sono solo strumenti, e il primato della potente azione di Dio (cf. 1 Cor 1,26-29).
Pur essendo il presbitero inviato a tutti, a lui però"sono affidati in modo speciale i poveri e i più deboli, ai quali lo stesso Signore volle dimostrarsi particolarmente unito, e la cui evangelizzazione è mostrata come segno dell'opera messianica" (PO 6).
Consapevoli di ciòi giovani impareranno a non anteporre i problemi alte persone e a prestare il loro concreto servizio anzitutto a quei poveri che sono più vicini e sono resi tali dall'incomprensione e dall'emarginazione di cui la comunità è responsabile.

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140. "La dimensione stupenda e penetrante della vicinanza alla Madre di Cristo" (Giovanni Paolo II, Lettera a tutti i sacerdoti della Chiesa, n. 11; cf. SVS 74), che esiste nel ministero presbiterale, non sia dimenticata nella formazione spirituale dei giovani del seminario. Maria è la credente che seppe attuare fedelmente la sua missione, perché fu interiormente libera e aperta a quanto lo Spirito le andava insegnando e chiedendo, anche quando le sue parole risultavano nuove e oscure per lei.
In tale modo essa cooperò"all'opera del Salvatore con l'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità" (LG 61), divenendo "modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini" (LG 65).
Guardando a lei, i futuri presbiteri impareranno che cosa significhi una totale dedizione di amore alla missione, a lode di Dio e per la salvezza dei fratelli.
La formazione intellettuale

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141. Nella formazione pastorale impartita dal seminario maggiore, la scuola di teologia assolve il compito di far acquisire ai futuri presbiteri gli atteggiamenti e le competenze necessarie perché possano assumere il ministero di maestri di fede, così che il vescovo possa affidare a essi, come a propri collaboratori, il mandato di radunare e alimentare la comunità cristiana. Essi si devono provvedere, perciٍ, di quell'autorevole competenza e di quell'efficace comunicativa, che derivano da un'adeguata conoscenza del mistero da annunziare e dell'uomo al quale viene offerta la buona novella (cf. LG 25, 28; PO 4).
Per raggiungere tale finalità è necessario che agli alunni sia trasmessa autorevolmente la sacra dottrina, ancorata al messaggio di Dio, in maniera organica e vivificata dalla testimonianza di coloro che, a loro volta, l'hanno fedelmente ricevuta e sono abilitati a insegnarla dal mandato del vescovo (cf. RaF 87).
Inoltre la formazione teologica del futuro presbitero dev'essere attenta ai problemi e ai segni del mondo contemporaneo, alle nuove istanze del ministero pastorale e ai nuovi compiti della teologia (cf. GS 44; FTS 9-16).

Orientamenti generaii della formazione teologica

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142. Il primo compito della scuola di teologia, nella prospettiva pastorale, è quello di promuovere la "progressiva apertura delle menti degli alunni verso il mistero di Cristo, il quale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella Chiesa e opera principalmente attraverso il ministero sacerdotale" (OT 14).
Gli studi teologici hanno la funzione di favorire una comprensione scientifica della fede, per promuoverne l'autocoscienza critica, e si muovono all'interno della fede, senza la quale si potrebbe avere una cultura religiosa ma non la vera e propria teologia. Questa, infatti, tende non solo a elaborare una "scienza", ma a permeare di fede tutto l'uomo e le sue facoltà, perché la rivelazione divina non puòessere conosciuta senza un'intelligenza credente e amante, frutto dello sviluppo della vita teologale.

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143. Di conseguenza l'insegnamento teologico sarà svolto nelle condizioni migliori quando lo studio delle varie discipline sarà opportunamente armonizzato con i ritmi secondo i quali gli alunni crescono nella fede (cf. n. 120).
Per lo stretto legame che intercorre tra fede e teologia è importante che docenti e alunni ricordino che lo studio ha bisogno di essere accompagnato dalla preghiera e dall'esercizio maturo della vita cristiana, in modo da mettere in luce la continuità e la reciprocità che intercorrono tra parola di Dio, liturgia e vita, e da assicurare anche l'unità della formazione pastorale (cf. DV 25; SC 16; RaF 59; FTS 25; OT 4).
Tutto ciòche viene approfondito sul piano intellettuale dallo studio teologico sia armonizzato con quanto è proposto e vissuto nella liturgia, nella pietà individuale, nell'esperienza comunitaria e nei servizi pastorali.

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144. La parola di Dio si è incarnata nella storia dell'uomo e nella storia va riespressa e ricompresa: e questa è la mediazione culturale a cui è chiamata la teologia.
La riflessione teologica ha poi un compito analogo anche verso l'esperienza cristiana dei singoli e delle comunità, in quanto considera la vita della Chiesa come "luogo teologico" imprescindibile ed esercita nei confronti di essa una funzione critica. Di qui l'altra finalità degli studi teologici nei seminari: fornire ai futuri pastori le competenze culturali necessarie all'esercizio del ministero (cf. OT 19; FTS 26).
Perciòaffermare, in questo senso specifico e particolare, la pastoralità della teologia non significa prevedere una teologia non dottrinale destituita di dignità scientifica; significa riconoscere che l'insegnamento teologico abilita i futuri presbiteri ad annunziare il messaggio cristiano attraverso i modi culturali propri dell'uomo del loro tempo e a impostare l'azione secondo un'autentica visione teologica.
Per questo, l'insegnamento della teologia venga condotto secondo una sensibilità antropologica, spirituale, missionaria ed ecumenica, grazie alla quale sarà più evidente il significato pastorale degli studi (cf. FTS 27-28).

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145. La teologia deve sempre mantenersi consapevole della propria dimensione ecclesiale. Perciòl'insegnamento teologico nei seminari non puòmai prescindere dalla dottrina e dall'esperienza vissuta nella Chiesa, alle quali si riferisce con l'autorevole guida del magistero e sulle quali rifluisce attivamente con l'apporto di una più profonda intelligenza della fede (cf. Paolo VI, Quinque iam anni, parte II).

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146. Per una corretta formazione intellettuale dei futuri presbiteri è poi necessario un uso equilibrato della dimensione storica e di quella teoretica, che risultano inseparabili e costitutive del metodo teologico.
Attraverso la prima si otterrà un'adeguata ricognizione dell'evento salvifico nella sua progressiva manifestazione, ricuperando la ricchezza del passato e consentendo una lettura profonda e critica del presente.
La seconda permetterà di dare consistenza e chiarezza alla coscienza riflessa della fede fornendo quelle certezze che, pur sempre aperte a nuovi e organici sviluppi, sono necessarie a un maturo esercizio dell'esistenza cristiana (cf. ETS 68).
A questo proposito dev'essere mantenuta alla formazione teologica dei seminari l'indispensabile caratteristica di completezza, organicità e istituzionalità (cf. FTS 94), anche se nell'ambito di un'applicazione corretta e rigorosamente scientifica del metodo.
Analoga attenzione dovrà essere riservata a un'equilibrata presentazione dei valori e dei limiti del pluralismo delle scuole teologiche, così che l'alunno possa operare una sintesi personale e valida sul nucleo delle certezze irrinunciabili, senza correre il rischio di una radicale sfiducia nel processo sistematico del pensiero teologico (cf. FTS 64-71).

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147. Infine va affermata la necessità di valorizzare opportunamente la dimensione metodologico-critica della teologia.
L'alunno dovrà essere condotto alla maturità del pensiero tecnico, che esclude sia l'atteggiamento di uno studio che si limita all'acquisizione passiva di un repertorio di verità, sia un insegnamento che presenti verità rigide e chiuse in se stesse.
L'insegnante avvii al pensiero teologico critico e creativo, grazie al quale l'alunno progressivamente sperimenti maturità intellettuale e di fede. Tale esercizio, se per ogni credente è compito sempre nuovo e mai esaurito, diventa dovere irrinunciabile per il presbitero, il quale non è responsabile solo della propria fede ma anche della fede dei fratelli, davanti a Dio, da cui la sua missione deriva.
Occorre, quindi, che la formazione intellettuale offra all'alunno la possibilità di una personale acquisizione del metodo teologico, che egli dovrà imparare a esercitare di fronte alle risonanze sempre nuove della parola di Dio, nella limpida fedeltà alla proclamazione tradizionale e autorevole che ne fa la Chiesa, per comunicare all'uomo di oggi - nel suo linguaggio e partendo dalle sue domande - il messaggio della salvezza (cf. FTS 28, 33, 44-46, 49, 59-62).

Orientamenti specifici delle singole discipline

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148. All'inizio degli studi teologici va collocato un corso introduttivo, da protrarsi per un conveniente periodo di tempo, sul mistero di Cristo e la storia della salvezza.
Il corso ha questa finalità:
- far percepire agli alunni il significato degli studi ecclesiastici, la loro struttura e il fine pastorale; - aiutarli ad abbracciare la loro vocazione con piena dedizione e con lieto animo (cf. OT 14).
A tale corso, secondo l'opportunità e le esigenze degli alunni che iniziano il curriculum teologico, puòessere affidata anche la funzione di una prima organica e completa introduzione ai fondamenti della fede nei suoi aspetti formali e nei suoi contenuti.

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149. Senza confondersi con le scienze umane, la teologia, anche a livello di corso istituzionale, non puòignorare i problemi che vengono posti all'uomo d'oggi dallo sviluppo della psicologia, della sociologia, dell'antropologia culturale, della fenomenologia religiosa( cf. FTS 14, 20, 55, 134). E' opportuno che, nella chiara distinzione dei metodi e in misura proporzionata, si includano nella formazione dei futuri presbiteri alcune discipline complementari, obbligatorie o facoltative, atte a introdurli alle questioni fondamentali delle scienze umane.

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150. Lo studio della filosofia va condotto con rigore scientifico, tenendo conto delle complesse problematiche e dei profondi interrogativi dell'uomo del nostro tempo.
Una solida preparazione filosofica, portando l'alunno alla consapevolezza critica delle grandi questioni sull'uomo, sul mondo, su Dio, e alla scoperta della loro soluzione, ancorata al patrimonio filosofico perennemente valido, contribuisce notevolmente alla sua formazione umana.
Tale studio inserisce il giovane al centro dei dialogo culturale del nostro tempo e lo educa a un confronto critico con le altre correnti filosofiche. Infine, lo studio della filosofia, oltre a essere presupposto all'itinerario teologico, viene richiesto per il contributo dei concetti che essa puòoffrire all'elaborazione speculativa del dogma (cf. IFS; GS 61-62; OT 15).

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151. Equilibrando opportunamente l'aspetto storico e quello propriamente teoretico dei problemi, l'insegnamento della filosofia, oltre a prestare il dovuto riguardo alle correnti filosofiche più vivaci e incisive del nostro tempo, deve offrire le prospettive di una visione unitaria della soluzione dei principali problemi che si pongono alla riflessione dell'uomo: la sua dignità di essere spirituale e libero, storico e sociale, aperto alla conoscenza della verità e dei valori; il senso e la strutturazione dell'essere, il problema di Dio e della relazione con lui (cf. IFS).

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152. In merito al complesso problema del rapporto che intercorre tra filosofia e teologia, valgano le seguenti osservazioni: - - Innanzitutto la ricerca fondamentale della verità e la sua espressione adeguata è compito già presente nella teologia, dato il suo intrinseco carattere di "scienza della fede". Ma la portata e il rigore di questa istanza comportano un confronto con il sapere critico e incondizionato, che si attua nella filosofia. Nascono di qui la convergenza naturale e la specifica distinzione tra le due discipline. Tale distinzione non sembra peròessere abbastanza garantita con trattazioni "a temi", nelle quali il discorso filosofico viene mescolato con quello teologico, fino a non rispettare i confini reciproci.
- Inoltre nel necessario confronto della teologia con le varie filosofie succedutesi nella storia del pensiero e presenti nella cultura contemporanea, si mirerà soprattutto a recepire il rigore critico con cui esse si muovono, da qualunque parte esso provenga. Si avrà peròanche cura di indicare le parzialità, le imprecisioni e i veri e propri errori che si sono di volta in volta presentati alla coscienza dell'uomo e che ancora oggi vengono proposti. Si concederà inoltre particolare attenzione a quelle filosofie che, procedendo con rigoroso metodo razionale, dimostrano una più feconda possibilità di sintonia con i dati della rivelazione, riprendendo soprattutto le massime espressioni dal pensiero patristico, medievale e scolastico (cf. FTS 50-53; 68c).

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153. All'inizio degli studi teologici è opportuno prevedere un corso propedeutico di metodologia teologica, per mezzo del quale l'alunno si rende conto del diverso modo di procedere nella riflessione filosofica e in quella teologica, si prepari a trarre frutto dagli studi che dovrà affrontare e insieme sia aiutato a maturare la propria fede. E' necessario cioè approfondire fin da principio le fonti e i criteri della ricerca teologica, per sapersi quindi dedicare a questo studio con maggior rigore, e procedere in esso, ispirandosi all'esempio, tuttora attuale, e alla guida sicura di san Tommaso d'Aquino.

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154. Lo studio della sacra Scrittura, anima della teologia (cf. DV 24; OT 16; RaF 78; FTS 79-84), dovrebbe incominciare con una presentazione della storia della salvezza contenuta nei libri sacri, a meno che ciònon sia già stato fatto nel corso introduttivo. Dopo un'introduzione generale sui problemi della formazione del testo sacro e la sua ispirazione, lo studio si approfondirà in saggi di esegesi scientificamente condotti, per avviare lo studente alla lettura esatta dei libri della Bibbia, secondo la loro struttura letteraria, il loro valore storico, il loro significato teologico, e nello studio dei principali temi biblici. In tal modo l'alunno imparerà a studiare unitariamente e teologicamente la Scrittura, ne apprenderà i fondamentali insegnamenti e ne farà il primo alimento della riflessione teologica e della vita spirituale.

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155. La patrologia ha il compito di offrire gli strumenti per una lettura corretta e storicamente ambientata dei Padri della Chiesa orientale e occidentale, che ne illustri il contributo nella fedele trasmissione e chiarificazione delle singole verità rivelate (cf. OT 16; FTS 85-88) e faccia notare agli alunni il valore di "luogo teologico" della loro testimonianza (cf. DV 8).

Si abbia cura, inoltre, di porre nel giusto rilievo il valore del metodo teologico dei Padri, determinante anche per le epoche successive, di illustrare il legame tra l'insegnamento della patrologia e quello della storia della Chiesa, per contribuire a una conoscenza unitaria dei problemi e delle esperienze della Chiesa nelle varie epoche.

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156. La liturgia studia le azioni rituali della Chiesa, nelle quali sono presenti e operanti i misteri della salvezza, ed è chiamata a svolgere una preziosa funzione formativa e interdidisciplinare (cf. FLS 43-61; Appendice). Va quindi computata tra le discipline necessarie e più importanti e dev'essere insegnata tanto nell'aspetto teologico e storico che in quello spirituale, giuridico e tipicamente pastorale.
La liturgia infatti, oltre a rappresentare un "luogo teologico di particolare importanza" (RaF 79), assume una specifica nota pastorale, in quanto tende a fare dell'alunno un "pastore celebrante", in grado di penetrare "il senso dei sacri riti e prendervi parte personalmente con tutto l'animo" (SC 17), e nello stesso tempo capace di condurre i fedeli all'azione sacra, in una chiara comprensione ottenuta per mezzo dei riti e delle preghiere.
Si provvederà anche a formare gli alunni all'impiego del canto e della musica sacra quali parti integranti della liturgia, e si introdurranno accuratamente ai problemi dell'arte sacra, anche contemporanea, illuminandone i legami con la liturgia e con la storia del pensiero e del culto cattolico (cf. FLS 56).

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157. Tutte le materie teologiche suppongono come base del proprio procedimento la teologia fondamentale, che ha per oggetto di studio il fatto della rivelazione cristiana e la sua trasmissione nella Chiesa: sono questi i temi che rientrano in ogni problematica sui rapporti tra ragione e fede.
La teologia fondamentale deve essere quindi studiata come disciplina introduttiva alla dogmatica, ma rappresenta anche una dimensione permanente di tutta la teologia, per rispondere ai problemi attuali presentati dagli alunni e dall'ambiente in cui essi vivono e nel quale domani svolgeranno il loro ministero.
Motivo di fondo della teologia fondamentale è la riflessione razionale che il teologo, insieme con la Chiesa e partendo dalla fede, fa sul cristianesimo come opera di Dio che si è rivelato e si è reso presente nel Cristo, e sulla Chiesa stessa come istituzione voluta dal Cristo per prolungare la sua opera nel mondo.
Per le ragioni suddette, la teologia fondamentale è da giudicarsi materia necessaria alla formazione teologica e pastorale, e pertanto il suo atteggiamento occupi nei programmi di studio un posto corrispondente alla sua importanza (cf. FTS 107-113).

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158. L'insegnamento della teologia dogmatica guidi a una visione organica e attuale della fede della Chiesa attraverso un metodo genetico (cf. FTS 89), che, partendo dalla rivelazione biblica e accogliendo la tradizione nelle varie espressioni (da quelle dogmatiche a quelle teologiche, liturgiche, spirituali, ecc.) e nelle varie epoche (da quella patristica a quella attuale), tenda a cogliere il dato rivelato nella sua completezza obiettiva, nelle istanze unitarie variamente evidenziate nella storia, nell'apertura alla nuova attualizzazione. "Per realizzare tutte le possibilità di tale metodo e superare le difficoltà che esso presenta, la prima condizione è di rispettare e applicare il principio della continuità della fede, pur nella necessità, per le generazioni successive, di comprenderla in modo sempre più pieno e sempre più adeguato alle necessità del mondo".
"Nella linea di questa continuità si devono considerare:
- il riferimento necessario e continuo alla rivelazione, che in quanto principio oggettivo e inesauribile della fede genera il dogma e le diverse espressioni della vita cristiana, in particolare la teologia;
- l'intervento del magistero ecclesiastico per precisare e definire le esigenze permanenti e irrinunziabili della fede;
- la necessità e insieme la relatività della teologia, che scopre e mette in evidenza la profondità della fede; recepita - l'esigenza della comprensione attuale della fede, integralmente recepita e professata, in riferimento alla nuova situazione culturale e quindi al compito proprio della teologia" (FTS 90; cf. OT 16).

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159. L'insegnamento della teologia morale, rifacendosi alla parola di Dio meditata nella comunità ecclesiale sotto la guida del magistero, illustra l'altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutti nella carità per la vita del mondo. L'obiettiva unità di questa disciplina con la teologia dogmatica impedirà che si ingeneri nella mente dell'alunno l'impressione pericolosa di una dissociazione tra ciòche va creduto e ciòche va praticato nella vita cristiana. La radicale ridiscussione del problema etico e le profonde trasformazioni in atto nella cultura e nel costume, come la perdita del senso della virtù e del peccato, invitano la teologia morale a tenere particolarmente conto della mediazione filosofica, degli apporti delle scienze umane e naturali e delle utili aperture alla teologia pastorale (cf. FTS 99, 101; RaF 79; OT 16).

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160. In stretto collegamento con la teologia dogmatica e morale venga svolta la teologia spirituale, quale studio della pienezza della vita teologale del cristiano, in risposta alle esigenze dell'adozione a figlio di Dio e alle leggi del processo spirituale descritto nell'ascetica e nella mistica cristiana (cf. OT 19; FTS 100).

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161. Si impartirà l'insegnamento della teologia pastorale o "pratica" come scienza che studia metodi, strutture e condizioni delle varie attività (catechetica, caritativa, missionaria, ecc.) con cui la comunità cristiana porta l'evento cristiano nella vita delle persone, e insieme interpreta le genuine istanze del ministero pastorale (cf. RaF 79; FTS 102).
Tale disciplina sarà collocata presso il compimento degli studi ecclesiastici, così che si presenti non come a sè stante o addirittura contrapposta alla riflessione teologica precedente, bensì come uno sviluppo consequenziale.

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162. Lo studio del diritto canonico, introducendo anch'esso alla visione del mistero della Chiesa sotto una specifica angolatura, che è quella della sua struttura giuridica e della sua organizzazione visibile, sarà condotto in modo da evitare ogni identificazione assoluta, ma anche ogni opposizione tra Chiesa del diritto e Chiesa della carità, tra Vangelo e diritto, tra istituzione e vita (cf. OT 16; Paolo VI, Discorso al tribunale della Sacra Romana Rota, 27.1. 1969: AAS 61 [1969], pp. 174-178).
Le leggi della Chiesa siano presentate nello spirito di dipendenza gerarchica e di servizio per adempiere il ministero pastorale, tanto più che l'osservanza di certe norme canoniche obbliga il pastore in coscienza, anche in ordine alla validità di alcuni atti giuridici.
Appare oggi opportuna una più approfondita trattazione del diritto pubblico, soprattutto nei temi della libertà religiosa, del rapporto tra Chiesa e comunità politica, del regime concordatario.

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163. L'insegnamento della storia della Chiesa deve essere sviluppato nella sua dimensione teologica, avendo cioè per oggetto la Chiesa conosciuta alla luce della fede nel suo cammino nel tempo.
Nell'ambito della storia generale della Chiesa è necessario un coordinamento con le discipline specializzate che da essa derivano, come la patrologia e la storia del diritto ecclesiastico, della liturgia, della spiritualità e delle missioni.
Si abbia anche cura di soffermarsi sulla storia della propria Chiesa locale e sulla storia della Chiesa in Italia di questi ultimi decenni (con attenzione alle vicende delle associazioni laicali che l'hanno caratterizzata), perché essa illumina molte situazioni spirituali e sociologiche d'oggi.

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164. A una completa formazione teologica dei futuri presbiteri concorrono anche altre discipline ausiliarie, quali l'insegnamento sociale della Chiesa, la teologia ecumenica, la missiologia, la religiosità popolare, l'uso pastorale dei mezzi di comunicazione sociale, ecc. Esse possono, secondo l'opportunità, o affiancare le discipline principali o connettersi variamente con alcune di esse (per esempio la catechetica e l'uso pastorale dei mass-media nell'ambito della teologia pastorale) (cf. FTS 114).

Indicazioni e norme concrete didattico-pedagogiche

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165. Il curriculum degli studi è costituito da un primo biennio prevalentemente filosofico-fondamentale e da un successivo quadriennio teologico, o da periodi equivalenti qualora si optasse per una distribuzione "parallela" degli insegnamenti filosofico e teologico, pur nella dovuta distinzione dei due settori.
Ne deriva il fatto che il sesto anno di teologia, pur assumendo un particolare carattere di sintesi e un più vivo riferimento alle esperienze pastorali, va considerato parte integrante della formazione e del curriculum di studio del seminario, e deve quindi essere espletato prima dell'ordinazione sacerdotale (cf. RaF 61, 82-82; SapC II, 74). Il sesto anno andrà introdotto tenendo conto della situazione locale e dei molteplici rapporti che l'istituzione seminaristica mantiene con facoltà e istituti superiori di insegnamento teologico (cf. SapC I, 62).
I singoli seminari devono quindi provvedere a riordinare gli studi, qualora non corrispondessero già a questo piano di massima, adeguandovisi senza ammettere decurtazioni.
Durante il biennio o subito prima di esso vanno anche previste le necessarie integrazioni culturali e filosofiche, che si mostreranno di volta in volta necessarie per gli alunni che provengono dalla scuola media superiore così da facilitare il loro inserimento nel curriculum teologico (cf. FTS 129-130).

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166. Nel corso teologico istituzionale gli alunni sono tenuti alla frequenza delle lezioni. L'incontro con un maestro è insostituibile nella trasmissione della fede. L'insegnamento diventa così discorso del teologo credente e orante, nel quale coincidono l'intelligenza del mistero e l'intimità di vita con esso (cf. FTS 131).

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167. Nelle sessioni stabilite, senza ingiustificati rinvii, gli alunni dovranno dare prova del loro profitto negli studi con colloqui, dissertazioni scritte ed esami, al fine di verificare e testimoniare alla Chiesa la crescita della loro capacità di sintesi, dell'assimilazione e dell'espressione fedele dei contenuti del messaggio cristiano (cf. RaF 93).

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168. Nello spirito di collaborazione degli alunni all'intera vita del seminario, è necessario che essi offrano il loro volonteroso apporto per un migliore andamento della scuola nel rispetto e nella consapevolezza della complessità di un settore che di sua natura esige una visione d'insieme e la costante attenzione sia ai contenuti da trasmettere sia alle finalità ultime da raggiungere.
Resta comunque importante che sia nella revisione finale dell'andamento scolastico (programmi, metodi, orari, ecc.), sia nella periodica ricerca di miglioramenti, si sollecitino anche la valutazione e le proposte degli alunni, specialmente di coloro che, avendo quasi ultimati i corsi di studio, sono maggiormente in grado di offrire dati, informazioni e suggerimenti che saranno poi affidati alla riflessione e decisione del rettore, del preside e degli insegnanti.

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169. Per lo stesso motivo si dovranno avviare progressivamente gli alunni alla ricerca personale e di gruppo, a lavori di "seminario", con la guida dell'insegnante, dando via via più spazio a forme di insegnamento attivo (cf. RaF 91; FTS 128).
La scuola di teologia dovrebbe essere fatta in modo che ogni studente sia effettivamente impegnato secondo le sue possibilità intellettuali e particolari attitudini.

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170. La scuola di teologia deve anche preoccuparsi di esaminare articoli di riviste e giornali riguardanti argomenti religiosi o filosofici, in modo da avviare i giovani a una lettura critica dei mezzi di informazione e di studio, con i quali entreranno in contatto nella loro vita pastorale e che in certa misura influenzeranno il loro modo di pensare e giudicare.

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171. Sono anche da valorizzare, per una più profonda intuizione del carattere unitario dell'insegnamento, momenti di approfondimento interdisciplinare guidati da docenti diversi intorno a temi di interesse comune.
Tale collaborazione favorisce più efficacemente l'acquisizione di una visione personale e globale dei trattati teologici da parte degli alunni, in vista della loro missione di maestri e testimoni della fede( cf. FTS 70-71, 125).

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172. L'intero ordinamento delle diverse discipline filosofico-teologiche sarà organizzato in modo che l'orario scolastico negli ultimi anni conceda più spazio per la ricerca personale e per i lavori di gruppo, sotto la guida e il controllo dell'insegnante, al fine di non cadere nella genericità e nella dispersione.
Considerando il rapido e continuo progresso delle scienze, lo studio compiuto durante il periodo del seminario non sia ritenuto esaustivo di quanto si richiede dalla missione del prete. Si tenda, piuttosto, a formare negli alunni un habitus mentale disposto all'aggiornamento permanente.

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173. A conclusione del discorso appare con chiarezza il fatto che la preparazione dei futuri presbiteri non potrà essere assicurata senza l'esistenza di un corpo docente efficiente e qualificato. Perciòi vescovi non devono esitare a concedere ai candidati particolarmente idonei agli studi superiori la possibilità di conseguire i gradi accademici riconosciuti dalla Chiesa, assicurando adeguati strumenti di lavoro (biblioteca, libri, riviste) e concedendo loro volentieri dei periodi per l'aggiornamento (cf. FTS 118).
Spesso peròtutte le condizioni richieste si trovano a fare i conti con situazioni diocesane non ottimali, determinate dalla scarsità di mezzi, di alunni, ecc., soprattutto considerando l'opportunità di mantenere separati i corsi di teologia.
Perciòin molti casi si deve pensare a una più stretta collaborazione tra gli istituti teologici diocesani e religiosi di uno stesso centro o tra quelli di più diocesi.

La formazione pastorale

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174. Tutta la pedagogia seminaristica, in quanto mira a conformare i futuri presbiteri a Cristo pastore, ha un carattere essenzialmente pastorale. La vita comunitaria, la formazione spirituale e lo stesso impegno culturale nella scuola si configurano secondo tale esigenza.
Oggi peròappaiono sempre più rilevanti l'importanza e lo spazio accordati alle esperienze pastorali compiute nelle parrocchie o in altre situazioni di evangelizzazione; di qui l'opportunità di dare alcune indicazioni perché tali aperture conseguano quel frutto che da esse si attende.

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175. Anzitutto dev'essere garantito il loro carattere formativo: perciònel programmarle e nell'impostarle si tengano ben presenti l'alunno, le sue condizioni personali e il grado di capacità richiesto dalla situazione.
Si faccia in modo che esista una certa reciprocità tra la vita vissuta in seminario e le situazioni affrontate nella comunità cristiana, regolando il rapporto fra i due momenti secondo i criteri già dati per ogni occasione di interscambio tra la vita seminaristica e l'ambiente esterno (cf. SVS 79).
Una continua verifica educativa, personale e comunitaria, degli esiti prodotti dalle esperienze pastorali nella crescita della persona verso il ministero presbiterale, consentirà alla convivenza comunitaria di beneficiare di molti proficui stimoli e di armonizzarne i contributi.

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176. In secondo luogo le esperienze pastorali assumono un chiaro carattere ministeriale, rimanendo strettamente connesse alle esigenze dell'iniziazione al presbiterato, con i conseguenti servizi dell'annunzio della Parola, del culto e della presidenza. Esse perciòdovranno tradursi anzitutto nell'esercizio dei ministeri del lettorato, dell'accolitato e del diaconato (cf. MnC 7-8; ReDP 22-26).
"Questa presenza del candidato al presbiterato nelle comunità ecclesiali non si giustificherà in tal modo come semplice tirocinio pastorale o esercitazione scolastica, ma si qualificherà come autentico ministero, sostenuto dalla grazia e offerto alla comunità" (MnC 24).
Ne deriverà che i giovani potranno verificare i propri carismi, riconoscere e far crescere la propria capacità di inserirsi e di operare nel presbiterio e nella Chiesa locale.
Nello stesso tempo si consentirà al presbiterio e al popolo di Dio di discernere concretamente e per tempo l'idoneità dei candidati al ministero presbiterale (cf. OT 9, 21; PO 8; RaF 98-99).

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177. E' importante, nella prospettiva del ministero futuro, che i giovani sviluppino le capacità di far collaborare i laici e di svolgere nei loro confronti una funzione di guida spirituale, nel rispetto e nella valorizzazione dei doni inerenti alla loro vocazione per la Chiesa e per il mondo (cf. PO 6).
Sarà di particolare aiuto il servizio di animazione svolto all'interno delle diverse forme associative, nelle quali i laici hanno la possibilità di intraprendere un organico itinerario formativo e di esplicare la dimensione ministeriale e apostolica della loro vocazione( cf. AA 18-21; EN 70-73; EvM 72-82).
I giovani saranno così progressivamente aiutati a introdursi nella cura tipicamente presbiterale di farsi carico della formazione spirituale delle singole persone (cf. PO 6) e di proporsi come segno di comunione all'interno della Chiesa (cf. AA 24-25), senza identificarsi con alcuna delle forme suddette, privilegiandola nel proprio ministero in modo tendenzialmente esclusivo.

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178. Evidentemente ha importanza decisiva la scelta dei preti e delle comunità cristiane presso cui i futuri presbiteri compiranno le loro esperienze. E' necessario infatti individuare persone e ambienti non condizionati da uno stile meramente pragmatistico, nè da convinzioni unilaterali sull'esperienza e sull'educazione cristiana, ma contrassegnati dalla volontà di accompagnare il cammino dei giovani con discreta e fraterna sollecitudine (per esempio, l'Azione cattolica).
I preti delle parrocchie e degli altri organismi pastorali sono chiamati a svolgere una delicata e perseverante funzione di guida e di verifica (cf. RaF 58) in dialogo con gli educatori del seminario. La loro presenza e il loro aiuto saranno determinanti per favorire il progressivo inserimento dei candidati al ministero nella comunione e nell'attività del presbiterio diocesano.
Gli alunni del seminario, dal canto loro, venendo a contatto con persone e istituzioni che formano il tessuto vivo e concreto della Chiesa, si addestreranno allo spirito di accettazione, imparando a non imporre agli altri un tipo e un ritmo di cammino commisurato solo su se stessi e ricordandosi della pazienza di Dio, che fa crescere tutti, mentre lascia a ciascuno il tempo necessario (cf. Lc 13,6-9).

Conclusione


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179. Questo documento è rivolto primariamente agli educatori dei seminari e a quanti altri sono direttamente impegnati nella formazione dei presbiteri nelle diocesi italiane. A loro i vescovi raccomandano uno studio attento del testo. Ben conoscendo la disponibilità con la quale svolgono il loro delicato compito, desiderano ringraziarli vivamente, mentre assicurano la particolare preghiera di tutta la comunità cristiana perché il Signore renda fecondo il loro impegno.

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180. Con un pensiero di grande fiducia, i vescovi consegnano questo testo direttamente anche ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani che vivono nei seminari o nelle altre comunità destinate alla formazione dei presbiteri.
A mano a mano che si sviluppa la loro crescita, essi possono prendere coscienza sempre più chiara dei doni di cui lo Spirito santo li arricchisce, sul piano umano e sul piano cristiano, perché a loro volta si preparino a spenderli per il servizio a tutti i fratelli.
In questi orientamenti e in queste norme, che potranno conoscere con la necessaria gradualità, vogliano essi leggere la trepidazione gioiosa e la speranza con cui tutta la Chiesa li segue e attende la loro coraggiosa risposta.

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181. Il documento è offerto, inoltre, all'attenzione dei responsabili dell'opera di animazione vocazionale, che costituisce una stupenda tradizione del nostro paese e che ora deve trovare nuovo slancio, nuova genialità, nuova corresponsabilità.
Quando si tratta di promuovere la pastorale delle vocazioni dei presbiteri, è importante riferire sempre ogni programma e iniziativa al progetto di Dio, che la Chiesa con i suoi pastori deve continuamente scrutare e tradurre in scelte operative ispirate alla fede, alla carità, alla speranza.

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182. Con la collaborazione dei sacerdoti e di quanti hanno particolare competenza nella pastorale vocazionale, questo documento dovrà raggiungere anche tutta la comunità cristiana. Nella Chiesa, infatti, tutti hanno responsabilità nell'accogliere le vocazioni dei futuri presbiteri e nel seguirne la formazione, ciascuno per la sua parte, in una collaborazione ordinata.
I vescovi invitano soprattutto i sacerdoti in cura d'anime a risvegliare tra i fedeli questa consapevolezza, a nutrirla nella preghiera incessante, a svilupparla con una buona pastorale dei fanciulli, dei ragazzi e dei giovani.

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183. Non mancheranno, poi, le possibilità di rivolgersi alle famiglie cristiane. Esse sono come le "Chiese domestiche". E' dalla loro misteriosa realtà e nel loro ambito che normalmente nascono i germi di queste singolari vocazioni; e sono spesso i genitori i primi testimoni e i primi educatori della vocazione che nasce.
"Se animate da spirito di fede, di carità e di pietà, [le famiglie] costituiscono come il primo seminario" (OT 2); in questa esperienza di inestimabile valore, esse non devono essere lasciate sole, ma devono poter contare sull'attenzione e solidarietà di tutta la comunità cristiana.

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184. A Maria, madre di Cristo, madre della Chiesa, regina degli apostoli, i vescovi raccomandano le intenzioni che li hanno guidati a compilare questo documento; alla sua intercessione affidano ora l'azione pastorale che l'intera comunità cristiana vorrà generosamente sviluppare per l'accoglienza e la formazione dei futuri presbiteri.

Roma, 15 maggio 1980



Appendice La formazione Permanente


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1. La necessità di un proseguimento e perfezionamento della formazione sacerdotale nel suo triplice aspetto, spirituale, intellettuale, pastorale, anche dopo la sacra ordinazione fu affermata chiaramente dal concilio (cf. OT 22; CD 16; PO 19); è stata ribadita nel motu proprio Ecclesiae sanctae, n. 7; nella lettera circolare della Sacra Congregazione per il clero del 4 novembre 1969, nella Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (nn. 100 e 101) e anche dall'episcopato italiano (cf. SVS 81-86).

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2. Essa si rivela di giorno in giorno più urgente, sia per intrinseca legge di sviluppo d'ogni esistenza, sia per il progresso delle discipline teologiche e delle scienze umane e sia per il mutarsi rapido delle condizioni culturali e sociali.
Oggi tutti i settori dell'umana convivenza avvertono che non si puòfare a meno di una formazione permanente, non solo in vista d'un aggiornamento di conoscenze, ma, più ancora, per prevenire o sanare incomprensioni e disagi, che facilmente sorgono quando gruppi di età diversa debbono operare insieme.
Nella vita dei presbiteri questo impegno, di cui si fa interprete, sotto la guida del vescovo, anche la comunità educante della Chiesa particolare, altro non è che un'incessante conversione all'appello e al dinamismo dello Spirito.
La chiamata di Dio esige infatti una fedeltà sempre rinnovata: "potrebbe altrimenti accadere che nel presbiterio se ne attutisca la percezione, s'impigrisca la risposta, quando non si giunga alla interruzione del dialogo" (SVS 81).

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3. Non è difficile rendersi conto che questo argomento attende una trattazione ampia e autorevole.
Qui, tuttavia, se ne fa almeno un cenno per lo stretto legame che dovrebbe unire la formazione del seminario e quella successiva. Se, infatti, apparisse che v'è discontinuità o addirittura difformità tra di esse, ne soffrirebbero un contraccolpo grave l'attività pastorale e la comunione fraterna tra i presbiteri di differente età.

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4. Questa continuità deve risultare chiara e naturale tanto per i contenuti di dottrina, di vita spirituale e di indirizzo pastorale, quanto per il metodo, il linguaggio e le forme didattico-pedagogiche.
La formazione permanente non è una semplice ripetizione, appena riveduta o ampliata con suggerimenti applicativi, di quella acquisita in seminario; essa deve svilupparsi come un fatto, vitale, che ha inizio in seminario e nel suo progresso richiede adattamenti, aggiornamenti e modifiche, senza subire rotture o soluzioni di continuità.
Ne segue che della formazione permanente occorre tener conto fin dal corso teologico, e a essa aprire l'animo dei futuri presbiteri dimostrandone la necessità, i vantaggi e lo spirito.

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5. Una formazione permanente ben impostata e condotta secondo i diversi livelli di età è per il presbitero un provvidenziale e insostituibile aiuto e risolverebbe molte incertezze e annebbiamenti che, col passare degli anni e col moltiplicarsi delle più disparate difficoltà, costituiscono motivo di crisi nello svolgimento del ministero.
Questo problema merita un serio esame, perché dalla sua corretta soluzione dipende lo sviluppo di comunione e di crescita di tutto il presbiterio della diocesi.

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6. Si debbono distinguere due fasi di formazione permanente: la prima segue immediatamente la sacra ordinazione; la seconda comprende l'intero arco della vita del prete, salvo ulteriori divisioni di maggiore specializzazione per cicli di anni o per diverse mansioni (esempio: parroci, cooperatori, catechisti, ecc.).

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7. Per il primo tempo, si propone:
a) introdurre gradualmente il giovane prete nelle esperienze e nelle responsabilità personali, a contatto con la situazione concreta e in una verifica sempre più accurata delle proprie doti e attitudini, allenandolo a realizzare in sè, in sintesi armonica di interiorità e di azione, quella unità di vita, cui egli deve costantemente tendere, sull'esempio di Cristo, il cui cibo era il compimento della volontà di colui che lo aveva inviato a realizzare la sua opera (cf. PO 14);
b) di perfezionare le attitudini ministeriali trasferendo nel contesto pastorale a dottrina delle varie discipline teologiche (sacra Scrittura, liturgia, teologia sistematica e morale, ecc.) e aggiungendone qualche altra di natura più applicativa (come: catechetica, psicologia, pedagogia, sociologia, pastorale giovanile, pastorale del mondo del lavoro, ecc.);
c) di inserirlo a pieno titolo in un clima di reciproca fiducia e di rispetto, nella vita comunitaria del presbiterio diocesano, favorendo la progressiva partecipazione all'esperienza e alla responsabilità del ministero.

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8. Per raggiungere tali scopi si devono creare strutture adeguate, che offrono al tempo stesso possibilità d'azione pastorale diretta e responsabile, sotto la guida di un prete sperimentato, e momenti di riflessione spirituale, dottrinale e pastorale.
Per questo motivo sembra meno opportuno pensare a un convitto, dove i preti continuino una vita simile a quella del seminario, anche se è manifesta l'utilità di mantenere il rapporto con gli educatori del seminario. Occorre, invece, prevedere un ambiente particolare, che permetta una vera, concreta e continuata esperienza pastorale, e periodi sufficientemente lunghi di riflessione, secondo una frequenza adeguata (settimanale, mensile), vissuti comunitariamente in modo residenziale.
Nel luogo dell'azione pastorale diretta, che normalmente sarà una parrocchia, il giovane prete potrà saggiare e irrobustire le sue doti di guida del popolo di Dio, di evangelizzatore, di presidente della liturgia, in una prima verifica confidente col presbiterio e con la comunità parrocchiale.
Nel luogo e nel tempo di riflessione e di convivenza fraterna potrà sviluppare un lavoro più ampio di verifica, di ripensamento della sua attività pastorale e della sua vita spirituale, insieme a un'organica partecipazione a corsi di studio di tipo pastorale.

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9. Il lavoro di formazione - individuale e comunitario - non potrà limitarsi al settore culturale di studio e di discussione su problemi pastorali, ma dovrà estendersi a quello spirituale, con l'aiuto di persone esperte e capaci, e in un confidenziale dialogo, frequente quanto più è possibile, con il vescovo.
La "residenza", anche limitata a due soli giorni per settimana o quindicina, favorisce un clima di distensione, fraternità e spiritualità, che più difficilmente si potrebbe conseguire in incontri fugaci di poche ore.

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10. Il periodo per il completamento della formazione dei giovani preti non potrà limitarsi a un solo anno, ma dovrà estendersi a tre o più anni, favorendo progressivamente una maggiore libertà di frequenza, di iniziativa e di scelta.
Se le singole diocesi non potessero offrire questo servizio con le sole proprie risorse, sarà opportuno che si uniscano ad altre diocesi (per esempio quelle di una stessa regione).

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11. La formazione permanente del secondo tempo mira soprattutto a impedire quell'impoverimento di cultura, intesa nella sua più ampia accezione, e di capacità critica, a ovviare a quella sclerosi di vita spirituale, a superare quell'empirismo superficiale, che possono facilmente verificarsi in persone che non tengono vivo lo studio e la riflessione; inoltre, tende a sviluppare la comunione del presbiterio e la circolazione di idee e di esperienze d'arricchimento reciproco.

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12. Concretamente si tratta di tenere la propria cultura e mentalità al passo con i tempi, soprattutto oggi, quando il rapido svolgersi della vita sociale, dell'approfondimento della fede e delle scienze teologiche introduce in brevi periodi variazioni vaste e profonde. Si tratta anche di abilitare i presbiteri ad alcuni uffici pastorali nuovi, che venissero loro affidati, o che si mostrassero necessari per l'evolversi delle situazioni.
Si tratta, infine, di riflettere, alla luce della fede e delle scienze dell'uomo, sulle iniziative pastorali concrete, per coglierne e farne cogliere i valori e i significati profondi e per determinarne i modi di attuazione.

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13. L'obiettivo più importante della formazione permanente, specialmente oggi, dovrebbe essere quello di stimolare a una costante verifica di sè e delle proprie attività di ministero nel confronto con gli altri e con la situazione; di sviluppare una capacità di ascolto, di comprensione e di collaborazione con gli altri presbiteri, religiosi e laici; di far superare quei diaframmi che troppo spesso dividono generazioni e mansioni diverse (giovani e anziani, parroci e cooperatori, ecc.).
La formazione permanente puòcosì diventare uno degli strumenti più validi per la crescita di quello spirito comunitario che è indice di maturità e che oggi spesso si auspica, ma non frequentemente si riesce ad attuare, anche tra preti.

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14. Per ottenere questi scopi, sembrano necessarie varie iniziative e strutture:
a) corsi e lezioni di aggiornamento teologico; specializzazione nelle varie attività pastorali, per fornire ai sacerdoti l'idoneità a compiti nuovi e specifici; potrà rivelarsi utile un istituto pastorale dotato di insegnamenti veri e propri per corsi di specializzazione: di catechesi, di pastorale liturgica, di pastorale di settore (giovanile, del lavoro, ecc.), di alcune discipline tecniche correlative;
b) riflessione sull'azione pastorale di unità sufficientemente vaste (diocesi o vicariati) e relativamente a programmi di ampio respiro; la riflessione sarà offerta nel rispetto dell'obiettività e sarà guidata da persone competenti;
c) riflessioni e attività spirituali, come ritiri e esercizi.

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15. Le iniziative della formazione permanente potranno consistere in corsi annuali o bimestrali continuativi; oppure in corsi estivi, in settimane di studio. Siano distribuite in località accessibili alla maggior parte del clero.

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16. Alcune condizioni generali sono indispensabili ad un'efficace formazione permanente:
a) ci siano garanzie di fedeltà e sicurezza dottrinale e di seria impostazione scientifica, ma si eviti di gravare con un'eccessiva specializzazione;
b) si richieda una partecipazione regolare e attivamente impegnata;
c) si offra un'organica programmazione di temi e di scopi; si proceda con un metodo analitico-induttivo che utilizzi il livello di esperienza umana e pastorale dei partecipanti;
d) ci si preoccupi di una genuina spiritualità liturgica e biblica, riservando un adeguato spazio a celebrazioni, esercizi e ritiri, ecc.;
e) si promuova un effettivo incontro di presbiteri di diversa età ed esperienza, così che ne possa nascere un dialogo sereno, rispettoso e proficuo per tutti.

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17. Non si dimentichi che, accanto alle occasioni istituzionali di formazione permanente, devono essere adeguatamente valorizzati tutti i mezzi ordinari e quotidiani che possono stimolare la crescita personale e comunitaria dei presbiteri (per esempio: la pratica della direzione spirituale, gli incontri di amicizia fra compagni di ordinazione, momenti particolari di preghiera, ecc.).
Le case religiose e le case di esercizi spirituali, che si aprono cordialmente all'accoglienza dei presbiteri per occasioni di riflessione e di preghiera personale, svolgono un servizio prezioso, degno della massima stima.
Così pure dev'essere costantemente valorizzato il ruolo delle associazioni e dei movimenti sacerdotali, quando rispondono alle esigenze spirituali e di comunione dei singoli, e contemporaneamente promuovono nei presbiteri una spiritualità e uno stile di servizio fedele alla missione diocesana, senza particolarismi o limitazioni.