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Non_solo_pallone18 luglio 2014

Quelle vocazioni nate e cresciute sui campi di calcio

Non solo "pallone" ai mondiali...

Archiviati i mondiali di calcio, che hanno incantato milioni di persone e accresciuto in molti il desiderio di ridare dignità ad uno sport troppo dipendente da fattori non appartenenti ai campi di gioco, l’estate prosegue il suo corso regalando felicità a quanti coltivano la passione di giocare con la palla in un cortile o su un prato. Basta pensare agli oltre un milione e mezzo di ragazzi, guidati da 250.000 animatori, che in Italia stanno vivendo il Grest e i campi scuola. Il passaggio dallo sport di vertice, inquinato da affari milionari e da violenze, a quello di base che tutti  possono facilmente praticare, dà al calcio il posto che gli spetta tra le discipline  salutari per il corpo e per la mente.   “Tutto quello che so della vita -diceva Albert Camus- l’ho imparato dal calcio”, e Jean Paul Sartre: “Il gioco del  calcio è la metafora della vita”.

Come dargli torto? Le partite, come ogni giornata, sono uniche e irrepetibili: non si sa mai da dove arriva il pallone! Ci sono gol segnati quando si riesce a realizzare ciò che si vuole, ci sono gol subiti quando questo non avviene, ci sono pali e traverse presi quando la sorte impedisce di essere vincenti. La sfida, il rispetto, la lealtà, l’impegno, la voglia di vincere, sono valori che educano a diventare buoni cittadini e anche buoni cristiani, e hanno la capacità di generare amicizia, solidarietà, partecipazione, assumendo, in prospettiva cristiana, la connotazione di appello del Signore, Fare sport, infatti, non significa solo prevenire patologie, ma anche maturare personalità aperte al dono di sé. Già Giovenale, con uno dei suoi aforismi, che tanto piacevano a Giovanni Paolo II, “mens sana in corpore sano”, sosteneva il principio che le facoltà dell’anima sono sane se parimenti lo sono quelle del corpo. Allo stesso modo la pensavano tanti santi e beati. come Pier Giorgio Frassati e Alberto Marvelli, che univano allo sforzo fisico quello spirituale,.

Quante vocazioni sacerdotali e  religiose sono passate dai campi di calcio! Lo ha rimarcato Papa Francesco il 7 giugno alla festa per i 70 anni del Centro Sportivo Italiano. Fu così anche per il padre salesiano Lorenzo Massa, fondatore della squadra di calcio amata proprio da Bergoglio. A Boedo, quartiere difficile di Buenos Aires, realizzò un campetto nel terreno della parrocchia. Non si accontentò di togliere dalla strada i ragazzi invitati a giocare a pallone, ma li educò a crescere, ad imparare il senso del risultato ottenuto con fatica, ma sorridendo. Quei giovani furono talmente entusiasti che “santificarono” padre Massa ancora in vita, dando alla squadra il nome di San Lorenzo. Così il vero successo – più che i titoli argentini raccolti negli anni – fu quello di avere creato una comunità, dove prima c'era il nulla.

Tra le tante storie di atleti professionisti che hanno lasciato l’agonismo per seguire la vocazione, raccolte nel libro di Lorenzo Galliani, Un assist dal cielo (Elle Di Ci), c’è quella di Graziano Lorusso che nel 1991 giocò i mondiali di calcio under 17 con Alessandro Del Piero e con altri futuri campioni della serie A. Anche lui entrò in quel mondo, per poi uscirne da solo, confuso ma con dentro un germe di vocazione che ha portato frutto. Graziano oggi è frate francescano e cappellano d'ospedale. Mentre Philip Mulryne, domenicano, ha nel curriculum una trentina di presenze nella nazionale nordirlandese e un passato nel ManchesterUnited. E’sempre  affascinante, ma non comodo, abbandonare le reti per seguire Gesù, ma lo è stato specialmente per loro che con le reti avevano raggiunto successo e ricchezza.

Si capisce allora perché gli educatori guardano alla disciplina sportiva, quella del calcio in particolare, come ad una componente del discernimento vocazionale. “Estate e calcio” per altro legano bene; non sono nemici della fede, al contrario sono profezia e testimonianza di una cultura del tempo libero capace di favorire l’incontro con Dio. Una cultura che fa dello sportivo un dilettante, un amateur, l’ha chiamato Papa Francesco ricevendo le nazionali di calcio di Argentina e Italia un anno fa.

(Vito Magno su "Avvenire" del 18 Luglio 2014)