72718_444759670035_282389360035_5437128_3286238_n09 Aprile 2014

Sulla scia di Giovanni Paolo II e Francesco...e di tanti altri

La misericordia non fa proseliti, ma innamorati di Dio

Chi non si sente colpito dagli appelli di papa Francesco sulla misericordia “più grande di ogni pregiudizio”? Il suo stile di vita, i suoi gesti, le sue iniziative, non ultima la “Giornata penitenziale” del 28 marzo, sono per tutti uno stimolo a riscoprire la gioia del perdono, anche quello sacramentale. Gli effetti sono visibili ad occhio nudo soprattutto nei santuari, dove la fila dei penitenti al confessionale si è allungata in questi ultimi tempi.

Per esempio quello di San Leopoldo Mandic di Padova e quello dell’Amore  Misericordioso di Collevalenza, dove Madre Speranza, prossima beata e fondatrice dei Figli dell’Amore Misericordioso, chiedeva ai sacerdoti di fare del confessionale il luogo della tenerezza di Dio, o, per usare una pittoresca espressione di Papa Francesco, “a non essere asettici”.

Sarebbe, però, alquanto deviante valutare l’incidenza di Papa Bergoglio sulla vita dei cristiani partendo dal numero di persone che si accostano al sacramento della Penitenza. La sua azione va ben oltre e la si può capire partendo dall’etimologia della parola misericordia: avere un cuore (cor) vicino a coloro che vivono situazioni di miseria (miseri), di povertà, di emarginazione, di lontananza. Non dissimile il principio di tenerezza che troviamo nell’enciclica “Dives in misericordia” di Giovanni Paolo II e che è alla base della Festa della Divina Misericordia, ispirata da Gesù alla suora polacca Santa Faustina Kowalska.        

La storia della Chiesa è costellata di santi  che hanno fatto  della tenerezza misericordiosa lo stile di un’evangelizzazione non mirata a fare proseliti, ma innamorati. Ogni epoca ha conosciuto figure di confessori che hanno riportato a Dio generazioni di penitenti e  si sono dimostrati ottime guide nel discernimento vocazionale. Dal confessionale di San Giovanni Bosco sono usciti giovani spiritualmente maturi, molti dei quali hanno abbracciato la vita religiosa. Di San Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, si ricorda l’efficacia pedagogica di cui era maestro nell’ascoltare le confessioni. San Leopoldo Mandic, ricercatissimo confessore, una volta confidò: "Dicono che sono troppo buono; ma se qualcuno viene a inginocchiarsi davanti a me, non è questa una sufficiente prova che vuole avere il perdono di Dio? Se il crocifisso mi avesse a rimproverare della manica larga, gli risponderei: questo cattivo esempio me lo hai dato tu! Ancora io non sono giunto alla follia di morire per le anime!".

Nello scenario attuale, dominato com’è dalla logica del profitto e segnato dalla cultura dell’individualismo, la parola misericordia sembra essere una profezia straniera. Lo psicoanalista Luigi Zoja in un  libro, “La morte del prossimo”, scrive: “Per millenni un doppio comandamento ha retto la morale ebraico-cristiana: ama Dio e il prossimo come te stesso. Alla fine dell’Ottocento, Nietzsche ha annunciato: Dio è morto. Passato il Novecento non è tempo di dire quel che tutti vediamo? E’ morto anche il prossimo”. Promuovere oggi una cultura della misericordia è al limite dell’impossibile, eppure i richiami continui di un papa, che si dimostra premuroso e credibile, che invita a curare le ferite, basta a far balenare una nuova stagione di misericordia.

Occorre, però, che soprattutto i sacerdoti si facciano carico delle qualità  di cui il Papa ha parlato al clero romano all’inizio della quaresima: ascoltare la persona attentamente, accostarsi con rispetto e verità alla sua situazione, accompagnarla nel cammino della riconciliazione. Che di questa misericordia ci sia oggi bisogno se ne è accorto da tempo anche il cinema. “La mano sinistra di Dio”, “Dio ha bisogno degli uomini”, ma anche le serie di “Don Camillo e don Peppone“ e di “Don Matteo” evidenziano esigenze attualissime della misericordia attraverso storie di sacerdoti di finzione. Più interessanti i film che raccontano la vita di sacerdoti veri, come Don Puglisi (“Alla luce del sole”) e don Diana (“Per amore del mio popolo”), che hanno testimoniato il vangelo fino al martirio.

(Vito Magno su Avvenire del 09 Aprile 2014)