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amore_cristianoMarzo 2013

Il card. João Braz de Aviz ai religiosi della CLAR

La via dell’amore

Due sono le sfide oggi da assumere: il ritorno al carisma iniziale e il dialogo con la cultura moderna. La domanda cruciale che i religiosi devono porsi è se sono realmente degli innamorati di Dio e da qui ripensare anche il significato dei consigli evangelici.

Durante la XVIII Assemblea generale della CLAR Confederazione latinoamericana dei religiosi che ha avuto luogo in Ecuador, a Quito dal 18 al 22 giugno 2012, dedicata alla riflessione sulla realtà della vita religiosa latinoamericana a 50 anni dal Concilio, era presente anche il Prefetto della Congregazione per la vita consacrata, il card. João Braz de Aviz, il quale ha parlato sul tema La vita religiosa nei tempi attuali. Non ha voluto di proposito proporre una riflessione dottrinale, ma ha preferito essere molto concreto, parlando quasi a braccio e servendosi di alcuni appunti. È partito esponendo anzitutto due grandi sfide che la vita consacrata deve oggi affrontare, ossia il ritorno al carisma dei fondatori e il dialogo con la cultura contemporanea. È passato poi a descrivere le chiavi indispensabili per costruire la comunione. Di questa relazione riprendiamo qui in forma un po’ abbreviata i punti essenziali, data l’importanza che essi rivestono per tutta la vita consacrata, dovunque essa si trovi.

Ritorno al carisma dei fondatori
È necessario in primo luogo ritornare decisamente al carisma del fondatore o della fondatrice per accogliere e vivere l’essenziale del carisma. Se una congregazione deve oppure no portare un determinato abito, può essere un problema importante, ma non lo è come lasciar perdere ciò che il fondatore o la fondatrice hanno proposto come contenuto rilevante per la vita della loro famiglia religiosa. Ciò sarebbe pericoloso. Per questa ragione è necessario ritornare alle fonti per comprendere bene quale è stata la loro esperienza, quale la luce che ha illuminato il loro cuore e che continua come dono per l’oggi.
In mezzo a tante difficoltà attuali, purtroppo ci sono anche alcune situazioni particolari in cui riconosciamo che alcuni fondatori e fondatrici non sono degni del carisma che hanno ricevuto. Abbiamo delle congregazioni per le quali è necessario lasciar da parte il fondatore o la fondatrice. Ma si tratta, a dire il vero, di casi eccezionali. La cosa normale è che i fondatori siano figure fondamentali in un cammino, e questo non può perdersi con l’andare del tempo.

Dialogo con la cultura contemporanea
In secondo luogo siamo invitati a essere sensibili alle caratteristiche della cultura attuale. Se non dialoghiamo costantemente con l’ottica delle donne e degli uomini d’oggi, corriamo il rischio di avere un tesoro e di non sapere come offrirlo. È davvero tragico avere un tesoro che non si può condividere. Per questo, è indispensabile entrare nella sensibilità e nella dinamica della cultura contemporanea. Il Dio della Bibbia non parla in astratto, ma a persone e a realtà concrete. Dio parla ad Abramo, a Mosè, ai profeti, ai re, ai giudici. Parla ad essi nel loro momento storico concreto; in ogni circostanza, sia di vittoria o di difficoltà. C’è sempre una parola di Dio detta per ciascun tempo. Dio non tace. Questo non possiamo mai dimenticarlo.

Dobbiamo chiederci sempre: qual è oggi il modo adeguato di manifestare e comunicare Dio? Siamo persone consacrate, persone che ascoltano Dio nei fondatori, ma che ascoltano Dio anche nell’uomo e nella donna di oggi, anche se essi non la pensano del tutto come noi? Il carisma stesso è una parola di Dio incarnata nella storia. Non c’è nessun dubbio. Se guardiamo alla storia dei nostri Ordini e congregazioni, potremo sentirci superati dal volume di amore, di carità e di misericordia che si è diffuso nel mondo con una dedizione fino alla morte, fino al rischio della loro stessa vita. Tutto ciò perché furono persone che sapevano di portare al mondo una verità profonda, la parola di Dio incarnata e la seppero comunicare alle donne e agli uomini del loro tempo. Il carisma non è solo della e per la congregazione, ma per la Chiesa, per il mondo. Essi seppero dare una risposta adeguata ai segni dei tempi. Tocca a noi oggi fare altrettanto.

In questa linea non bisogna fare dei paragoni con i carismi nuovi. Amarli sì, perché lo Spirito di Dio non è piccolo, né contradditorio. Lo Spirito di Dio è limpido, abbondante ed è sempre all’opera e noi non sappiamo esattamente dove spira il suo soffio di vita. Perciò bisogna avere un atteggiamento di ascolto e di discernimento, anche per questa novità che ci giunge da varie parti. Lo Spirito sta preparando qualcosa di nuovo che non sappiamo fin dove ci condurrà.

È certo che le nuove forme stiano avvicinando realtà che in passato erano rimaste molto lontane. Noi, per esempio, siamo stati educati in una teologia che parlava di stati di perfezione. Noi facevamo parte dello stato della perfezione, mentre gli altri, gli sposati, per esempio, erano ritenuti, in certo senso, come dei proletari della spiritualità. Una madre di famiglia non può essere in molte occasioni più virtuosa di una suora? Ci sono delle disfunzioni che creano distanze e che, grazie a Dio, stiamo correggendo attraverso un nuovo modo di pensare, di sentire, di vivere l’esperienza della fede.

Sentiamo, inoltre la necessità di una mistica che corrisponda alle due realtà: da una parte al carisma che ci è stato dato, e dall’altra, anche al momento presente della storia umana e alle nuove vie dello Spirito.

D’altra parte c’è anche ai nostri tempi una riflessione che riguarda l’ars moriendi o l’arte del morire e si applica alle congregazioni che avvertono di stare finendo, di essere all’ultimo respiro. Mi domando chi può determinare la fine di un carisma? È una domanda che in me non aveva risposta. Ma un bel giorno andando in macchina per le strade di Roma – dovevo far visita ai padri mariani – mi trovai in mezzo a un traffico caotico. Ci volle un’ora e mezza per percorrere sei chilometri. Il padre che guidava mi raccontò la storia dell’istituto. Essi erano nati ed erano cresciuti fino a diventare abbastanza numerosi. Poi la congregazione fu perseguitata in un determinato paese. Furono uccisi quasi tutti e fu proibito loro di esistere. Alla fine ne rimase uno solo. Questi fu fedele fin al termine della sua vita. Due anni prima di morire, un avvocato e altre due persone gli dissero: “vogliamo essere come te”. Questo avvocato divenne vescovo e la congregazione riprese a crescere. Non è un caso isolato, è il caso di altre congregazioni anch’esse assistite dall’imprevedibile azione dello Spirito. C’è qualcosa che è di Dio e non nostro. Noi possiamo misurare con le nostre misure che sono molto ridotte.

Chiavi per la comunione
Mi sembra che sia il tempo di aiutare le congregazioni che hanno pochi membri, che si trovano in difficoltà. Non possiamo lasciarli soli, isolati, senza attenzione, messi ai margini della nostra vita di consacrati. Bisogna integrarli in questa dinamica di speranza.
Vorrei approfondire alcuni aspetti che mi sembrano indispensabili per attraversare questo tunnel che tutti stiamo oggi percorrendo.

Innamorati di Dio
Dio rende felice un consacrato. Non è forse così? Perché allora incontriamo tante facce serie e scure? Forse che Dio è scuro, serio? L’uomo e la donna rivelano l’immagine del divino. Cosa trasmettono i nostri volti della verità di Dio? E questo ci pone un’altra domanda: quale Dio seguiamo? Per molti Dio è il centro, come condizione ma non come realtà. Ma il Dio che mi ha affascinato quando mi ha chiamato mi rende stolto per Lui o sono uno che segue delle regole, strutture, compiti monotoni?
Lo ripeto perché è una questione realmente cruciale: sono un innamorato di Dio? Questo mi pare un punto fondamentale se vogliamo progredire nella spiritualità di comunione. Infatti ciò che sembra impossibile, è invece possibile per un innamorato. Un innamorato è uno stolto che si reca molto lontano per incontrare la sua innamorata. Incontra difficoltà, ma va avanti. Non ha denaro, ma possiede ciò che è necessario per l’incontro. Non ha salute ma si alza. Bisogna che recuperiamo la stoltezza degli innamorati. Che Dio sia la nostra casa. Il mio invito è di essere felici perché abbiamo Dio.

Ci sono oggi due tendenze spirituali che meritano attenzione e discernimento: c’è un tipo di santità basata sul volontarismo. La persona crede molto nella sua capacità. Il volontarismo ha dentro di sé un inganno perché Dio non rappresenta veramente il centro, ma è la persona che compie il cammino. Il volontarismo crede fortemente nella propria capacità personale, ma non necessariamente in quella di Dio. Oggi ci sono molti che ritornano a pratiche ascetiche, perfino molto dure. Sono tendenze forti che possiamo vedere all’orizzonte.

L’alternativa che presento è un’altra: essere innamorati di Dio. Un Dio sempre davanti. Consegnarsi a lui. Credere nel suo amore. Dobbiamo dire: “Sono un peccatore, ma per la storia della mia vita, credo nel tuo amore. Mi alzo, così come sono, pieno di problemi e di limiti, perché voglio corrispondere al tuo amore”. Questo è molto importante. Io stesso personalmente tenderei a essere uno scrupoloso, incapace di serenità, ma ho cambiato quando ho acquisito la capacità di riconoscere che basta affidarsi a Dio e credere che lui lavora. È necessario scoprire questa presenza di protagonista di Dio nella nostra vita. Allora ascetica e mistica si equilibrano.

Vivere la Trinità
È necessario poi fondare la nostra teologia, antropologia e spiritualità della comunione sul mistero trinitario. Per molti di noi il mistero trinitario rimane un mistero da adorare, un mistero per parlare correttamente, ma che rimane un teorema molto lontano. Karl Rahner diceva che se separiamo dalla fede cattolica il mistero della Santissima Trinità non cambierebbe in nulla la vita ordinaria dei cristiani. Questo è tremendo. La realtà cambia, ma certamente arriviamo a questo punto. L’antropologia, se vuole avere una base solida, deve comprendere qual è il rapporto di Dio con noi, uomini e donne. La Genesi (1,17) ci ricorda che siamo immagine e somiglianza di Dio. Questo è importante.

Il grande Sant’Agostino contemplò la Trinità come l’Amante, l’Amato e l’Amore. Rimase stupefatto davanti a questo mistero così grande. Si concentrò allora sulla Trinità che si rivela nell’uomo nella sua intelligenza, nella sua memoria, nella sua volontà. È importante, ma non basta. Dobbiamo entrare più in profondità nella Trinità. Scoprire in che modo siamo immagine e somiglianza di Dio. Egli ci creò, pertanto siamo creature e non Dio. Ci creò uomo e donna in pari dignità, sullo stesso livello. Che cosa vuol dire essere immagine di Dio? Questo è il problema fondamentale. Quelli della mia età hanno imparato nel catechismo che Dio è spirito perfettissimo, creatore del cielo e della terra, ma non è la cosa fondamentale: Dio è Amore (1Gv 4,8-16). Non c’è antropologia che si sostenga se non capisce che l’uomo e la donna sono, essi stessi, amore. La cosa principale non è il potere, né l’intelligenza, ma l’amore. Questo è il cambiamento di mentalità che dobbiamo compiere.

Amore kenotico
Non è facile sapere che cos’è l’Amore. Noi esperimentiamo l’amore nel cuore dell’uomo e della donna, nella storia umana, ma in Dio che cos’è l’amore? Per questo bisogna osservare ciò che Dio fa quando il suo Figlio viene per compiere il mistero della salvezza. Il Figlio prese una strada molto difficile da capire. Dio è tutto, ma quando viene a noi si fa piccolo per incontrarsi con l’uomo e la donna. In quale altro modo comprendere Betlemme? Nessuno sapeva che a Betlemme era nato Dio, figlio di Maria e di Giuseppe. I pastori, gli Angeli, i magi, solo una manciata. Chi è questo Dio che si abbassa, che va alla croce? La croce è esattamente il contrario di ciò che è Dio. Dio è santo, la croce è peccato. Dio è eterno, la croce è morte. Dio è bellezza, la croce è bruttezza. Allora, perché questa via?... Dobbiamo assumere Con maggior decisione la via di questa kenosi che costituisce l’essenza dell’amore. L’amore non si impone, si dà. Sembra una debolezza, ma è una forza. Ci introduce nella problematica, ma per trasformarla...

Consigli evangelici
I voti o le promesse di povertà, castità e obbedienza non sono dei comandamenti, ma dei consigli a cui una persona risponde liberamente perché si sente amata e vuole amare. Se i voti ci rendono persone meno libere, più stanche, allora perdiamo questa forza che è presente nella nostra vita....

I consigli evangelici Devono recuperare la loro originalità e vitalità in vista della comunione profonda. Sono povero perché condivido il tempo che ho, ciò che sono, quello che penso; perché riconosco che tutto è dono? Sono casto perché il mio cuore è buono e sono capace di amare serenamente e con pace? Sono obbediente perché non mi impongo agli altri, ma cerco la volontà di Dio assieme a loro?

Il mistero della Chiesa
Infine, è il tempo opportuno di riconoscere che la Chiesa non è solo gerarchica, né solo carismatica, ma che possiede le due dimensioni come ricchezze in una comunione basata sull’Amore. Il sistema di governo della Chiesa non è una monarchia e nemmeno una democrazia; questi sono elementi della sociologia che applichiamo alla Chiesa, ma non danno ragione della profondità del suo mistero. Fin dall’inizio, i carismi furono parte della Chiesa, basta leggere Paolo. Pensiamo anche che Maria non ebbe nessun potere, ma Maria esiste prima degli Apostoli. Pertanto, bisogna pensare che in questa dimensione mariana della Chiesa sta già la dimensione carismatica. Per questa ragione, la vita consacrata deve camminare in maniera co-essenziale assieme ai pastori. Questa vicinanza fedele provocherà in noi pastori una costante conversione. Anche se abbiamo la missione di maestri, di santificatori, di autorità, non possiamo dimenticare che tutto questo può essere esercitato solo in una costante lavanda dei piedi. La via è l’amore, la spogliazione fino alla morte.

(su Testimoni 2 del 2013)