Stampa
Visite: 4097

ImmagineGennaio 2013

S. Giovanni d’Avila, dottore della chiesa

Predicatore teologo e mistico

 

Figura serena e umile di predicatore evangelico, fu contemporaneo, amico e consigliere di grandi Santi, profondo conoscitore della parola, formatore e guida spirituale, teologo e missionario, appassionato di Cristo e della sua vocazione sacerdotale.

«San Giovanni d’Avila visse in Spagna nel secolo XVI. Profondo conoscitore delle Sacre Scritture, era dotato di ardente spirito missionario. Seppe penetrare con singolare profondità i misteri della redenzione operata da Cristo per l’umanità. Uomo di Dio, univa la preghiera costante all’azione apostolica. Si dedicò alla predicazione e all’incremento della pratica dei sacramenti, concentrando il suo impegno nel migliorare la formazione dei candidati al sacerdozio, dei religiosi e dei laici, in vista di una feconda riforma della Chiesa». Così Benedetto XVI ha presentato in sintesi questa ricca esemplare figura di sacerdote nel proclamarlo “Dottore della Chiesa” il 7 ottobre 2012.
Era stato beatificato il 4 aprile 1894 da Leone XIII, proclamato patrono del clero diocesano spagnolo dal venerabile Pio XII nel 1946 e canonizzato il 31 maggio 1970 da Paolo VI, che lo presentò come “modello attuale di sacerdote vissuto in un tempo di riforme e di discussioni conciliari e lo donò «alla Chiesa pellegrinante in terra come un intercessore nuovo e potente, un maestro di vita spirituale, provvido e sapiente; un rinnovatore esemplare di vita ecclesiastica e di costume cristiano».

Apostolo dell’Andalusia
Giovanni d’Avila nacque il 6 gennaio 1499 ad Almodóvar del Campo (diocesi di Toledo), figlio unico di Alonso e di Catalina Gijón, cristiani di origini giudaiche e benestanti. A 14 anni andò a studiare legge all’università di Salamanca. Rimasto orfano, abbandonò gli studi al termine del quarto corso per ritornare nella dimora familiare e dedicarsi alla riflessione e alla preghiera. Sentì con passione la chiamata al sacerdozio. Nel 1520 andò a studiare arti e teologia nell’università di Alcalá de Henares, aperta alle grandi scuole teologiche del tempo e alla corrente dell’umanesimo rinascimentale. Ordinato sacerdote nel 1526, celebrò la sua prima messa nella parrocchia del suo paese e, con il proposito di recarsi missionario nelle indie, decise di distribuire la sua consistente eredità ai più poveri.
Mentre preparava il viaggio, cominciò a predicare e a organizzare missioni popolari a Siviglia, Cordova, Granada. Si diffuse rapidamente la fama di oratore straordinario, tanto che venne presto chiamato «l’Apostolo dell’Andalusia». Durante l’omelia in occasione dei funerali della regina Isabella di Portogallo, nel 1538, Francesco Borgia si sentì chiamato alla conversione tanto da abbandonare la carica di viceré di Catalogna per entrare nella Compagnia di Gesù, della quale diventerà preposito generale. Il venerabile Servo di Dio Fernando de Contreras, dottore ad Alcalá e noto catechista, entusiasmato dalla testimonianza di vita del giovane Giovanni d’Avila, riuscì a convincere l’arcivescovo di Siviglia a farlo desistere dalla sua idea di partire missionario.
Nel frattempo, l’estremo rigore che caratterizzava gli insegnamenti di Giovanni, portò l’inquisizione ad accusarlo di eresia. Nel 1531 fu incarcerato. L’esperienza di quegli anni lo portò a riflettere con singolare profondità sul mistero dell’amore di Dio e sul grande dono fatto all’umanità da Gesù Cristo, nostro redentore. Da allora in poi sarà quello il fondamento della sua vita spirituale e il tema centrale della sua predicazione. Ricevuta la sentenza assolutoria nel 1533, giovanni continuò a predicare, si incardinò nella diocesi di Cordova e completò gli studi all’università di Granada.
Dal 1554 il suo corpo fu segnato dalla malattia, ma nonostante ciò proseguì il suo apostolato sino alla morte, avvenuta a Montilla il 10 maggio 1569.

Maestro di vita spirituale
Giovanni d’Avila fu contemporaneo, amico, consigliere, maestro spirituale di grandi santi. sant’Ignazio di Loyola, che lo stimava molto, desiderava che entrasse nella nascente Compagnia di Gesù; ciò non avvenne ma il maestro orientò verso di essa una trentina dei suoi migliori alunni. Giovanni Ciudad, – San Giovanni di Dio – fondatore dell’ordine ospedaliero, si convertì ascoltando il maestro e si affidò alla sua guida spirituale. San Tommaso da Villanova, arcivescovo di Valencia, diffuse nelle sue diocesi il suo metodo catechetico. Suoi amici furono pure San Pietro de Alcántara, provinciale dei francescani e riformatore dell’ordine; San Giovanni de Ribera, vescovo di Badajoz, che gli chiese dei predicatori per rinnovare la sua diocesi. Santa Teresa di Gesù e San Giovanni della Croce furono sostenuti e consigliati nella riforma del carmelo; il Beato Bartolomeo dei Martiri, venendo a conoscenza della sua vita e della sua santità, si affidò all’autorità morale e spirituale del maestro.

Teologo e umanista
Attento alle realtà del suo tempo e con un’ottima formazione accademica, Giovanni d’Avila unì alle sue conoscenze teologiche una profonda sensibilità umana. Propose la creazione di un tribunale internazionale di arbitrato per evitare le guerre. Si impegnò per la promozione della vita cristiana di quanti lo ascoltavano e lo seguivano ovunque. Particolarmente preoccupato dell’educazione e dell’istruzione dei bambini e dei giovani, soprattutto di quanti si preparavano al sacerdozio, fondò vari collegi minori e maggiori che, dopo il Concilio di Trento, sarebbero diventati seminari conciliari. Fondò anche l’università di Baeza, che per secoli sarà importante punto di riferimento per una qualificata formazione di religiosi e sacerdoti diocesani.
Il maestro Avila non spiegò la teologia da una cattedra, ma impartì lezioni di Sacra Scrittura a laici, religiosi e chierici. Non elaborò mai una sintesi sistematica del suo insegnamento teologico, ma la sua teologia è orante e sapienziale. Come autentico umanista e buon conoscitore della realtà, la sua è anche una teologia vicina alla vita, che risponde alle questioni poste in quel momento e lo fa in modo didattico e comprensibile. Profondo conoscitore della Bibbia, che desiderava vedere nelle mani di tutti, la spiegava sia nella sua predicazione quotidiana sia offrendo lezioni su determinati libri sacri. Conosceva i commenti patristici più importanti ed era convinto che per ricevere adeguatamente la rivelazione erano necessari lo studio e la preghiera, insieme all’aiuto della tradizione e del magistero.

Scrittore fecondo
Sebbene Giovanni d’Avila sia stato, prima di tutto, un predicatore, non trascurò di fare un uso magistrale della sua penna per esporre i suoi insegnamenti.
La sua opera principale, l’ "Audi, filia", un classico della spiritualità, è il suo trattato più sistematico, ampio e completo, la cui edizione definitiva fu preparata da Giovanni negli ultimi anni di vita. Il Catechismo o Dottrina Cristiana, unica opera che fece stampare in vita (1554), è una sintesi pedagogica, per bambini e adulti, dei contenuti della fede. Il trattato dell’Amore di Dio, ricco per lo stile letterario e per il contenuto, riflette la sua intensa spiritualità radicata nel mistero di Cristo, Verbo Incarnato e Redentore. Il Trattato sul Sacerdozio è un breve compendio che si completa con le conversazioni, i Sermoni e le Lettere. Ci sono anche altri scritti minori, che consistono in orientamenti o avvisi per la vita spirituale. I Trattati di Riforma sono legati al Concilio di Trento e ai Sinodi Provinciali che lo applicarono e si riferiscono al rinnovamento personale ed ecclesiale. I Sermoni e le Conversazioni, come l’Epistolario, sono scritti che abbracciano tutto l’anno liturgico e l’ampia cronologia del suo ministero sacerdotale. I Commenti Biblici — dalla Lettera ai Galati alla Prima Lettera di Giovanni — sono esposizioni sistematiche di notevole profondità biblica e di grande valore pastorale.

L’ epistolario spirituale
L’opera più celebre di San Giovanni d’Avila è l’ "Epistolario spiritual para todos los estados", consistente in un grande numero di lettere a preti, vescovi, cardinali, discepoli, cavalieri, dame che gli chiedevano consigli. Sono circa 260 le lettere giunte fino a noi. Le prime che è stato possibile datare sono del 1538, quando Giovanni si trovava a Granada. Tuttavia la maggior parte di queste lettere appartiene all’ultimo periodo della sua vita, soprattutto a quello del suo soggiorno a Montilla, quando era già malato. Le Lettere erano in genere risposte a interrogativi concreti, ma spesso offrivano una base biblica e teologica molto profonda, oltre che un’esperienza straordinaria di direzione spirituale. Il maestro invitava il suo interlocutore a vedere sempre il suo problema dal punto di vista della fede, alla luce del Vangelo. Il suo obiettivo era sempre quello di portare le persone ad impegnarsi per una vita cristiana autentica. Invitava a riconoscere le inevitabili sofferenze e le prove dure della vita come possibilità di condivisione della stessa croce di Cristo. Le lettere ai sacerdoti sono molto numerose e in esse spesso Giovanni usava paragoni spiritosi mostrando una certa nota di umorismo e offrendo sempre consigli pratici per la vita quotidiana.

Dimensione missionaria della spiritualità
Nei suoi insegnamenti Giovanni d’Avila spiegava che la vita spirituale cristiana, che è partecipazione alla Vita Trinitaria, parte dalla fede in Dio amore, si basa sulla bontà e sulla misericordia divina espressa da Cristo ed è interamente mossa dallo spirito.
Il cammino del cuore è cammino di semplicità, di bontà, di amore, di atteggiamento filiale. Questa vita secondo lo spirito è ecclesiale ed è anche mariana: la configurazione con Cristo, sotto l’azione dello Spirito Santo, guarda a Maria come modello e come madre. La dimensione missionaria della spiritualità, come derivazione della dimensione ecclesiale e mariana, evidente negli scritti di Giovanni d’Avila, invita allo zelo apostolico a partire dalla contemplazione e da un maggiore impegno nella santità. Nel corso dei secoli i suoi scritti sono stati fonte d’ispirazione per la spiritualità sacerdotale. L’affermazione centrale è che come sacerdoti «nella messa ci poniamo sull’altare nella persona di cristo a fare l’ufficio dello stesso Redentore» (Lettera 157), e che agire in persona Christi comporta incarnare, con umiltà, l’amore paterno e materno di Dio. Tutto ciò richiede alcune condizioni di vita, come frequentare la Parola e l’Eucaristia, avere spirito di povertà, prepararsi alla predicazione con lo studio e la preghiera, amare la Chiesa, gioire per il semplice fatto di essere stati chiamati da Cristo a condividere la sua vita e annunciare gratuitamente il suo vangelo.

(Anna Maria Gellini, su Testimoni 21 del 2012)