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4826787257_46563946b911 ottobre 2012

Incontro nazionale dell’Ordo Virginum

Al cuore della vita battesimale

L’incontro nazionale di Mazara ha concluso un triennio di riflessione sui tria munera: il munus profetico trattato a Loreto nel 2010; il munus sacerdotale, affrontato a Bergamo nel 2011; e ora il munus regale che nella vita della vergine consacrata si fa annuncio di carità.

Voi invece siete stirpe eletta (1Pt 2,9). Ordo virginum, annuncio di carità: è stato questo il tema dell’Incontro nazionale annuale delle vergini consacrate delle diocesi che sono in Italia, svoltosi dal 25 al 29 agosto scorso nella suggestiva cornice di Mazara del Vallo (TP).
Affacciata sul Mediterraneo, a duecento chilometri dalle coste tunisine del nord Africa, la città ha accolto centotrenta donne provenienti da 52 diocesi italiane e da due estere (Malta e Germania) e alcuni sacerdoti che seguono da vicino il cammino dell’ordo della propria chiesa locale nella figura di delegati episcopali per l’Ordo virginum. Delle partecipanti all’incontro nazionale la maggior parte ha già ricevuto la consecratio virginis, alcune percorrono un cammino di formazione in vista della consacrazione e altre invece sono interessate a conoscere uno dei carismi femminili più antichi della Chiesa riportato alla luce dal concilio Vaticano II.

Elette per vivere secondo la regalità di Cristo
Il versetto della Prima Lettera di Pietro che ha ispirato il tema di quest’anno ha invitato a riflettere su argomenti quali l’elezione dei credenti, la regalità e il sacerdozio comune dei battezzati, e la testimonianza eloquente della carità in un mondo caratterizzato dall’individualismo, di grande interesse pastorale come è emerso negli interventi di alcuni vescovi della Conferenza episcopale siciliana che hanno presenziato all’Incontro: Mons. Mogavero, vescovo di Mazara, che ha dato il benvenuto alle partecipanti; Mons. Salvatore Di Cristina, arcivescovo di Monreale, che ha presieduto la celebrazione eucaristica nella cattedrale di Mazara; Mons. Paolo Romeo, cardinale di Palermo, che ha rivolto il suo incoraggiamento paterno alle partecipanti, consolidando l’amicizia avviata già all’incontro nazionale di Cetraro (CS) nel 2004; infine mons. Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina, che ha presieduto la Celebrazione Eucaristica conclusiva durante la quale ha rivolto alle consacrate l’augurio di un’«adesione senza riserve all’amore di Cristo» e di una «ricerca costante della santità attraverso la testimonianza umile e gioiosa del regno dei Cieli».
L’incontro nazionale di Mazara ha concluso un triennio di riflessione sui tria munera. Dopo il tema della profezia della fedeltà (munus profetico trattato a Loreto nel 2010) e del rendimento di grazie nella custodia della speranza (munus sacerdotale affrontato a Bergamo nel 2011), la riflessione si è soffermata sul munus regale che nella vita della vergine consacrata si fa annuncio di carità, a partire dalla consapevolezza di essere parte viva di una «stirpe eletta» (1Pt 2,9). L’attenzione delle relazioni si è concentrata in modo particolare sul valore dell’annuncio di carità che emerge dall’identità e dalla missione della vergine consacrata e su come il rapporto della vergine consacrata con la liturgia e la meditazione delle sacre Scritture debba essere declinato secondo lo stile della regalità di Cristo. Il tema della regalità di Cristo e del credente è stato poi sviluppato nello specifico sul piano liturgico, biblico e infine morale.

La liturgia luogo dell’incontro
La dottoressa Valeria Trapani, liturgista e docente presso la pontificia Facoltà teologica di Sicilia, ha trattato il tema del sacerdozio regale nella relazione dal titolo: Nati non dalla carne e dal sangue ma dallo Spirito. Il sacerdozio regale e la liturgia di consacrazione delle vergini. Dopo aver attribuito alla liturgia lo statuto di theologia prima – perché discorso con Dio e atto di comunicazione di Dio all’uomo – e aver mostrato la necessità per la teologia di riavvicinarsi alla liturgia per evitare che la liturgia diventi «spoglia ritualità» e la teologia solo una «conoscenza o piuttosto una scienza di Dio», la dott. ssa Trapani ha passato in rassegna alcuni testi biblici, documenti conciliari e testi eucologici del Messale romano dove appare il tema del sacerdozio regale. Ha poi mostrato che, pur non essendovi nel Rito Consecrationis Virginum un vocabolario specifico della regalità o dei riferimenti espliciti ad essa, tale dimensione la si può evincere dalla presenza di alcuni elementi formali che rimandano al sacerdozio regale, come la processione di ingresso delle vergini insieme ai ministri ordinati, le interrogazioni, la prostrazione durante le litanie dei santi, elementi sui quali poi i lavori di gruppo hanno approfondito la riflessione. Il Rito quindi mostra che la dimensione della regalità sacerdotale di cui le vergini sono investite si situa nell’orizzonte più ampio della regalità di ogni battezzato, all’interno del quale ogni vergine deve trovare la sua collocazione, consapevole del suo legame speciale con la liturgia. La missione pastorale delle vergini infatti trae la sua linfa vitale dall’esperienza della liturgia, luogo in cui esercita il proprio sacerdozio regale, sperimentando cioè quell’incontro con il Risorto che si traduce in lode, intercessione e testimonianza di gioiosa sponsalità con Cristo.

La martyria dell’offerta di se stesse
Il professor Tony Caronna, biblista, ha presentato poi la regalità del credente attraverso una relazione dal titolo: L’uomo come luogo del “darsi” di Gesù Cristo: i tria munera nella riflessione biblica. Partendo dalla riflessione sull’istituzione nel 1925 da parte di Pio XI della solennità di Cristo Re (compimento dell’anno liturgico in cui si ricorda che Cristo è principio e fine di ogni cosa), Caronna ha posto i fondamenti della regalità di Cristo, soffermandosi sulla tradizione giovannea, in particolare sul capitolo 18 del vangelo di Giovanni in cui si parla del regno di Cristo che non è di questo mondo e sul capitolo 5 del Libro dell’Apocalisse dove sono descritti i tratti della regalità dell’Agnello che regge i destini del mondo. Centrare la propria vita sulla regalità di Cristo significa essere alter Christus, consapevoli di appartenergli e di essere la stirpe da lui eletta, cioè messa a parte non solo in vista della sequela ma anche di una missione specifica che comporta la martyria dell’offerta di se stessi. Nel suo intervento la categoria della testimonianza infatti è emersa come espressione dell’offerta di tutta la propria persona «come sacrificio vivente » per realizzare il vero «culto spirituale» (Rm 12,1) ed evangelizzare con un agire improntato all’amore. Il biblista ha invitato a fare del proprio cuore – mediante l’ascolto attento della parola di Dio, a imitazione dei discepoli di Emmaus che riconoscono il “fuoco” trasmesso loro dalle parole di Cristo – il trono del Re e il talamo nuziale dell’incontro con lo Sposo. Ha concluso poi proponendo come stile cristiano quello della regalità che Maria ha incarnato a partire dall’annunciazione, cioè il servizio dell’accoglienza, dell’evangelizzazione e della carità.

Inviate a evangelizzare
Nell’ultimo intervento don Antonio Parisi, docente di teologia morale, ha sviluppato una relazione di taglio morale dal titolo La chiamata alla vita evangelica: il carattere regale della missione cristiana. Partendo dalla domanda «che cosa dobbiamo fare?», ha sottolineato l’importanza e l’urgenza di riformulare la nostra missione cristiana, cioè l’annuncio della carità. Rileggendo l’icona biblica dell’uomo ricco (Mt 19,16-22) ha mostrato quanto sia importare riscoprire che ciò che conta più dei doveri e degli adempimenti di leggi e precetti è l’incontro personale con Cristo. È solo l’esperienza dell’amore – l’annuncio di carità – che rivela all’uomo il suo destino. La conversazione di Gesù con quell’uomo, che ha tutto eppure prova ancora un vuoto, verte sulla questione dei comandamenti e dell’osservanza. Ciò che gli manca è il salto di qualità, quel «vieni e seguimi» che è la cifra della libertà dell’uomo. Cristo libera dai pregiudizi e dai condizionamenti che deformano la percezione dei valori autentici e spesso deformano anche l’immagine di Dio. Spesso anche il battezzato, come l’uomo ricco, perde la sua libertà in un’osservanza ossessiva del precetto e si rifugia nel possesso delle cose, credendo sia questa la via della felicità. Parisi ha richiamato poi l’attenzione sulla necessità di una nuova evangelizzazione che parta innanzitutto da una maturazione dell’identità regale dei battezzati perché sentano il “potere” di essere figli di Dio come capacità di lottare contro il peccato per liberare l’uomo dai suoi effetti mortiferi. Questa nuova evangelizzazione deve tradursi in missionarietà, in un servizio dei credenti che sia reale proposta salvifica di Cristo, pronunciando le parole della fede e traducendole in vita con una testimonianza perseverante per dare sale e luce al mondo e additare a ogni uomo il cammino della libertà.

Regnare nel servizio della lavanda dei piedi
Le relazioni sono state accompagnate inoltre da momenti di preghiera e di scambio, lavori di gruppo e testimonianze come quella sull’interculturalità di Papas Jani Pecoraro, parroco della cattedrale di Piana degli Albanesi, che ha presentato Abramo alle Querce di Mamre (cf. Gen 18) come icona dell’accoglienza dello straniero, e quelle di consacrate di diocesi diverse che hanno caratterizzato la tavola rotonda. I vari momenti dell’incontro hanno riportato l’attenzione sul cuore dell’identità battesimale: le vergini consacrate, come tutti i cristiani, sono popolo “eletto” non per merito ma gratuitamente perché edificate su Cristo «pietra… scelta e preziosa davanti a Dio» (1Pt 2,4). Questa elezione non può intendersi come esclusivismo e ripiegamento su di sé, ma piuttosto come memoria di un amore di predilezione del tutto gratuito (cf. Dt 7,6-8) che il Signore rinnova ogni giorno e che spinge ciascuna a una testimonianza esemplare. Questo amore divino di predilezione non può non essere tradotto in quella carità che, come scrive sant’Agostino nel De virginitate, si nutre di umiltà ed è la custode della verginità. La passione per Cristo Sposo diventa allora per la vergine consacrata la sorgente inesauribile dell’amore ai fratelli. Cristo infatti, attraverso la testimonianza delle Scritture, ci insegna la qualità del nostro “regnare”. Il suo modo di governare «non è quello del dominio, ma è l’umile e amoroso servizio della lavanda dei piedi» e la sua regalità «non è un trionfo terreno, ma trova il suo culmine sul legno della Croce, che diventa giudizio per il mondo e punto di riferimento per l’esercizio dell’autorità che sia vera espressione della carità pastorale» (udienza di Benedetto XVI, 26 maggio 2010).

Avere il volto dell’amore
La carità allora è per la vergine consacrata una sorta di “ministero” da vivere con quell’armonia e quella bellezza che lasciano trasparire la gioia di appartenere a Cristo e che si traducono in una nuova evangelizzazione fatta “con viscere di misericordia” e volto raggiante d’amore: «Se vuoi vedere Dio, hai a disposizione l’idea giusta: Dio è amore. Quale volto ha l’amore? Quale forma, quale statura, quali piedi, quali mani? Nessuno lo può dire. Esso tuttavia ha i piedi, che conducono alla Chiesa; ha le mani, che donano ai poveri; ha gli occhi, coi quali si viene a conoscere colui che è nel bisogno… chi ha la carità vede con la mente il tutto e allo stesso tempo. Tu dunque abita nella carità ed essa abiterà in te; resta in essa ed essa resterà in te» (Commento alla Prima Lettera di S. Giovanni di Sant’Agostino 7, 10).

(Rosalba Manes ov, biblista, su Testimoni 16 del 2012)