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blog_2Luglio 2012

Le condizioni per essere significativi oggi

Il futuro è sempre di Dio!

Avere gli occhi rivolti al futuro.Se vogliamo essere significativi oggi dobbiamo centrarci nel Signore, concentrarci sull’essenziale della nostra forma di vita e de-centrarci per andare agli altri portando loro la buona notizia del Vangelo.

La vita di ogni istituto è necessariamente accompagnata da un insieme di gioie e di preoccupazioni. Ma al di là di tutto, rimane sempre vitale la domanda: che cosa fare per essere significativi, nel momento storico in cui viviamo, e che cosa comporta? Come ravvivare la grazia ricevuta e la missione? Sono altrettanti interrogativi che Fr. José Rodríguez Carballo, ministro generale dei minori francescani ha posto e inteso sviluppare durante il Capitolo delle stuoie celebrato in Messico, dal 2 al 10 giugno scorso, sul tema Aspicientes in Iesum (cf. Heb 12,2), parlando a Guadalajara, ai giovani under ten, ossia con meno di dieci anni di professione. Da questa lunga relazione, riprendiamo qui quelle parti che ci sembrano quanto mai indicate anche per una approfondita riflessione di ogni istituto e di tutti i consacrati, cominciando dalle gioie e preoccupazioni espresse del ministero generale in cui molti superiori/e generali potrebbero ritrovarsi.

Gioie e preoccupazioni
In un clima di famiglia, che dovrebbe caratterizzare un Capitolo delle Stuoie, vi manifesto alcune gioie e preoccupazioni che si affacciano, con maggiore o minore intensità, nella mia vita quotidiana. Con ciò desidero anche invitarvi a condividere le vostre gioie e le vostre preoccupazioni in questi giorni tra di voi e con il Ministro e servo della Fraternità, e nella vita di ogni giorno con i Fratelli che il Signore vi ha posto accanto.

Le gioie
Mi rallegra, e per questo rendo continuamente grazie al Signore, perché, nonostante le condizioni attuali non sembrino le più idonee per seguire il Signore nella vita religiosa e francescana, il Padrone della messa continua a chiamare operai in questa porzione della sua vigna che è il nostro Ordine; e perché il Signore, malgrado le tante infedeltà, grandi e piccole, continui a contare su di noi e a servirsi di noi per fare il bene in tanti campi in cui i frati svolgono il loro servizio.
Mi rallegra costatare la ricchezza di santità, riconosciuta o silenziosa, con la quale il Signore continua a benedire la nostra Fraternità, così come la varietà dei doni che l’altissimo, onnipotente e buon Signore riversa nei Fratelli; e di vedere come molti di essi pongono la loro “ricchezza” a servizio di tutti, con indicibile generosità e totale gratuità.
Mi rallegra trovare frati che resistono all’invecchiamento e che, lungi dal rassegnarsi a respirare apaticamente e a morire prima del tempo, scelgono con coraggio la vita e di dare significatività evangelica ai propri giorni; frati che, lungi dal cadere nella depressione di chi soffre la malattia del numero o ha l’angoscia per la sopravvivenza, si impegnano a proseguire con una vita caratterizzata da: lavoro fatto di buona lena, fiducia senza ragionamenti, preghiera incessante e speranza senza fine.
Mi rallegra costatare la passione e la dedizione di tanti frati – anziani, adulti e giovani – nella loro donazione al Signore e agli altri. La qualità e non la quantità segnano la loro presenza. Sono coscienti che la loro missione nel mondo non è tanto quella di essere della manodopera, ma voce e chiamata, presenza e profezia. Inoltre, la loro fedeltà nel vivere quanto hanno abbracciato nella professione e le priorità della nostra vita è per molti uno stimolo continuo a fare il bene e un esempio da seguire nei momenti di difficoltà.
Mi rallegra incontrarmi con frati che hanno un profondo senso di appartenenza alla Chiesa e all’Ordine, disposti ad attraversare frontiere di ogni tipo e, seguendo le inspirazioni dello Spirito del Signore, in obbedienza caritativa, andare ai vicini e ai lontani per restituire, con la vita e la parola, il dono del Vangelo.
Mi rallegra vedere come tanti frati continuano ad essere i frati del popolo, condividendo il cammino della gente semplice, senza altro potere se non quello che proviene dal loro atteggiamento di servizio; frati che scelgono missioni di periferia e di abitare nei chiostri disumani, e nel vedere come la gente risponde con generosità a tanta dedizione.
Mi rallegra incontrare tanti frati, in una società come la nostra che calcola il valore in cifre, misura l’importanza dal volume e basa la pubblicità nella grandezza delle cose anziché nella loro qualità, che scelgono di vivere l’impotenza, la debolezza e la pochezza secondo la logica della kenosis e la spiritualità della piccolezza, che ha molto a che vedere con la minorità, nota caratterizzante la nostra vita. Essi sanno molto bene che la nostra vita per essere valida e significativa non ha bisogno di masse e che il suo valore non dipende dalle moltitudini.
Mi rallegra vedere tanti frati, che, mossi dalla fede nel Dio dell’impossibile e nel Dio che fa nuove tutte le cose, vivono in costante atteggiamento di conversione e optano per un ridimensionamento coraggioso in vista della rivitalizzazione del carisma e dare maggiore significatività alla loro vita nella logica del Vangelo, pronti a donare tutto quello sono e che hanno, poiché sanno che l’unica cosa che Dio chiede è l’abbandono totale e la fiducia senza limiti.
Mi rallegra veder crescere la collaborazione tra le varie Entità, nella Famiglia Francescana e con gli altri religiosi, soprattutto nel campo della formazione e anche in quello missionario e dell’evangelizzazione.
Mi rallegra, infine, vedere che in molte nostre Entità sorgono nuove presenze evangelizzatrici, caratterizzate da uno stile di vita sobrio, da una intensa vita di fraternità, da una forte esperienza contemplativa e dalla vicinanza alla gente, particolarmente alla gente semplice.

Le preoccupazioni
Mi preoccupano i giovani che scelgono la nostra vita per una ricerca di stabilità sociale che né la vita religiosa né la vita francescana sono in grado di garantire, carismaticamente parlando. Queste persone vengono nel posto sbagliato. La vita religiosa e francescana dovrebbe essere il contrario. Dovrebbe essere caratterizzata dal rischio di chi lascia tutto per seguire Colui che noi confessiamo unica via, verità e vita; di chi lascia tutto per seguire il Figlio dell’uomo che non ha dove posare il capo; di chi lascia tutto per seguire colui che è il Tutto.
Mi preoccupano gli anziani che sono assenti per paura o per comodità, giustificandosi dicendo “questo non è per me”, privando le altre generazioni della loro saggezza ed esperienza. La verità è che la vecchiaia non è una stagione per rendersi assenti, ma per intraprendere nuove cose con sapienza e creatività. Agli assenti bisognerà ricordare che vivere fino alla morte dovrebbe essere l’obiettivo finale di una vita dedicata al Signore e agli altri.
Mi preoccupano gli adulti che sono immersi in una specie di morte pur vivendo, nei quali ogni sforzo è eccessivo e ogni energia si consuma nel continuare a respirare apaticamente. Mi preoccupano quanti entrano indifferenti in una lunga e oscura notte e scelgono di morire di inazione. Il fatto è che, mentre coloro che vivono fanno della morte un anacronismo, quelli che smettono di vivere cominciano a morire, indipendentemente dalla loro età.
Mi preoccupano i frati che trovano rifugio nel moltiplicare il lavoro (attivismo), non avendo altro scopo che di riempire i giorni e gli anni di attività, cercando in quello che fanno un protagonismo che non è proprio di coloro che vogliono essere minori tra i minori. In questi casi il rischio di un vuoto esistenziale è più di una semplice ipotesi. L’attività e il lavoro non sono un male né contrastano con la nostra forma di vita, tutto il contrario, ma dobbiamo chiederci il motivo della nostra attività, senza dimenticare che il Signore ci chiede di di-sfarci per ri-farci, così che l’attività non sminuisca l’importanza di altri valori che ci definiscono come consacrati e francescani. Mi preoccupano quelli che stanno per ore e ore interconnessi, ma poi non riescono a mantenere rapporti interpersonali normali e una comunicazione che non sia solo virtuale. Mi preoccupano quelli che sono talmente occupati nelle “loro cose” da non aver tempo né per Dio né per gli altri.
Mi preoccupa la diminuzione delle vocazioni, non tanto per la questione del numero, ma perché tale diminuzione, che potrebbe condurci a ricuperare ciò che veramente conta ed è essenziale nella nostra vita, potrebbe portarci a una psicosi di vecchiaia e a un’autogiustificazione della nostra inerzia. Mi preoccupa la poca perseveranza, come indica il numero degli abbandoni, che, pur essendo un fenomeno molto complesso e molteplici le loro cause, dovrebbero invitarci a rivedere la qualità spirituale e carismatica della nostra vita, così pure gli itinerari formativi, rendendoli più esigenti, evangelicamente parlando, più esperienziali e più personalizzati.
Mi preoccupa non tanto la sopravvivenza delle strutture, ma il fatto che non riusciamo a vivere una vita francescana in pienezza e l’incapacità a elaborare un progetto di vita e missione che tenga conto della gerarchia e armonia dei valori della nostra forma di vita e di viverli con gioia, così che manifestino la bellezza della sequela di Cristo nella vita francescana.
Mi preoccupa il fatto che siamo ancora troppo autoreferenziali e che continuiamo ad essere molto provinciali. Questa autoreferenzialità favorisce l’immobilismo missionario ed evangelizzatore, e spiega la difficoltà che incontrano alcuni progetti missionari dell’Ordine, sia a livello di personale, sia a livello economico. Inoltre, questa autoreferenzialità, in molti casi, frena la collaborazione interprovinciale. Dobbiamo crescere molto di più nel senso di appartenenza all’Ordine e alla Chiesa.
Mi preoccupano i frati stanchi e rassegnati. Mi preoccupa l’imborghesimento progressivo della nostra vita e il fatto che ci allontaniamo dalla gente a causa del nostro stile di vita, soprattutto dalla gente semplice. Mi preoccupa il calo che stiamo attraversando nel campo intellettuale, nonostante i numerosi titoli¸ perché questo ci impedirà di dialogare con la cultura. Mi preoccupa e mi fa paura la mediocrità, che è sempre indice di infedeltà, poiché la forma di vita che abbiamo abbracciato esige radicalità. Questa mediocrità/infedeltà a volte si manifesta in relazione ai voti che abbiamo abbracciato con la nostra professione.

Cosa evitare e cosa fare per una vita significativa
Non pretendo di fare una diagnosi completa della nostra vita oggi e delle sfide che ci attendono affinché ogni giorno la nostra vita sia più religiosa e più francescana. Desidero semplicemente sottolineare alcuni aspetti che ci aiutano a crescere in significatività e, così, rispondere meglio a ciò che il mondo e la Chiesa si aspettano da noi e a quello che comporta la forma di vita che abbiamo abbracciato.
Penso che ci sia troppo realismo soffocante e ci manchi lucidità e discernimento. Una cosa è la lucidità per individuare i segni del malessere che ci affligge, e altra cosa molto diversa è lasciarsi condurre da ciò che, purtroppo, chiamiamo realismo e che ci porta a vedere solo il negativo. Credo che ci siano diagnosi sulla nostra vita che comportano una carica molto forte di amarezza, di mancanza di fede nel Dio della storia e di lucidità affinché l’albero caduto non ci impedisca di vedere la bellezza della foresta che rimane in piedi. Nella nostra vita, come nella vita della Chiesa, il peccato va di pari passo con la grazia, le tenebre si mescolano con la chiarezza e la santità e il radicalismo evangelico convivono con la mediocrità. Una diagnosi unilaterale non fa altro che nascondere la realtà o ci impedisce di abbracciare il futuro con speranza. Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento è di una maggiore chiarezza e di discernimento per non lasciarci accecare: né dal solo positivo, né solamente dal negativo. Abbiamo bisogno di entrare in un clima di discernimento per poter separare, come dice l’etimologia del termine discernere, il bene dal male, il grano dalla zizzania, ciò che viene dallo Spirito e ciò che gli è contrario.
Abbiamo troppe paure per il domani e ci mancano speranza, audacia e coraggio evangelici. Spesso abbiamo paura del domani, perché non sappiamo che cosa ci riserverà. Il fatto è che in fin dei conti vorremmo programmarlo noi e non accettiamo che sia Dio a farlo. Altre volte abbiamo paura perché sappiamo che il domani comporterà cambiamenti che possono smuovere certe convinzioni che consideriamo sacre. Abbiamo bisogno di assumere il rischio come essenza di una vita spirituale integrata, come scommessa rischiosa su ciò che è desiderabile ma incerto. Abbiamo bisogno di assumere il rischio che cammina con Dio, come suo unico compagno, e della fede che la ragione non limita. C’è troppo immobilismo e ci manca una maggiore fedeltà creativa. Troppo spesso confondiamo la stabilità fisica o mentale con la stabilità del cuore, e giustifichiamo quella stabilità con una malintesa fedeltà. Dimentichiamo che la fedeltà che ci chiedono la Chiesa e la nostra forma di vita vuol dire cambiare per continuare a essere se stessi. Dimentichiamo che la fedeltà non vuol dire rimanere nello stesso posto, ma nel camminare verso ciò che ci dà pienezza di vita. Dimentichiamo che fedeltà vuol dire camminare fino alla fine della vita senza dare nulla per scontato, lottando fino al termine della battaglia. Dimentichiamo che la fedeltà ci obbliga a scegliere in ogni momento: tra quello che siamo e quello che possiamo e dobbiamo essere, e a cercare nuove forme di presenza nel mondo, in conformità con la nostra forma di vita. C’è troppo immobilismo e ci manca una maggiore fedeltà creativa che cerca unicamente la volontà di Dio e l’appassionata presenza dello Spirito nel mondo. Nella vita religiosa e francescana ci sono troppe persone che si ritengono importanti e mancano fratelli che vogliono essere utili. L’ossessione del successo deve cedere il passo alla speranza che rischia e si mette accanto a quelli che meno contano nella società; la logica del potere e dell’apparire devono cedere il posto alla logica del servizio.
La vita religiosa e francescana ha bisogno oggi di persone appassionate e capaci di una donazione di sé senza riserve; persone di speranza, che si lasciano sedurre dall’eterna novità del Vangelo; persone che, consapevoli dei propri limiti, accettano il rischio di fidarsi di Colui per il quale nulla è impossibile; persone che invece di essere angustiate della sopravvivenza sono davvero convinte che solo Dio è colui che fa crescere, mentre a noi spetta seminare e piantare; persone creatrici che sanno che tale creatività comporta necessariamente l’austerità e la semplicità di vita, persone critiche per quanto riguarda la testimonianza e aperte a una vera condivisione; persone impegnate in una missione di frontiera, di rischio e di esigenza evangelica.
Nella vita religiosa e francescana abbondano persone rassegnate, alle quali manca la mistica o la motivazione per donare la loro vita, mancano loro l’ascesi o i mezzi per portare a buon fine tale donazione. Abbondano i profeti di sventura e mancano persone che vogliano essere il lievito che fermenti la stessa massa della nostra vita, persone che non solo guardano indietro, ma anche avanti, offrendo un’alternativa e identificando i germi di una vita che stanno sorgendo. In questo momento la nostra vita richiede immaginazione e determinazione per attuare importanti cambiamenti strutturali e, soprattutto, della forma di vita, in modo da offrire una sintesi nuova e alternativa che tocchi e rinnovi l’identità e sia apportatrice di significato per la Chiesa e per la società. Questo è il momento per i frati che vogliono essere fuoco che accende altri fuochi; frati che scelgono la sequela appassionata di Gesù e si dedicano agli altri, particolarmente ai poveri.
Nella nostra vita si fanno troppi discorsi che sanno di retorica o di ideologia e incapaci di situarsi in una linea sapienziale, profondamente segnata dalla fede e in continuo dialogo culturale e religioso, aperta ai poveri di sempre e di oggi, e a quanti generano un nuovo modo di pensare e un nuovo modo di procedere. La vita francescana attuale, e quella del futuro, deve essere fuoco, ma questo presuppone intensità di vita cristiana e dedizione missionaria. La vita francescana del presente e del futuro deve avvicinarsi in modo nuovo, con il linguaggio e con nuovi atteggiamenti, alla cultura di oggi, deve sapere dialogare e lasciarsi arricchire dalle domande e dagli interrogativi degli uomini e delle donne dei nostri popoli, e offrire, con la vita e la parola, la proposta di una vita piena di significato e segnata dalla generosità, dalla compassione, dal generosa dedizione al servizio...
I nostri sono tempi in cui giocarci tutto o per “bruciare le navi”, se vogliamo una vita religiosa e francescana contro-culturale, capace di offrire un’alternativa di vita alla nostra società. Si tratta di un’impresa a cui noi tutti dobbiamo puntare, ma principalmente i giovani frati. Poiché vi conosco e conosco la vostra generosità, non esito a chiedervi tutto ciò che manca alla vita religiosa e francescana in questo momento, perché sia per davvero significativa. E ricordatevi: non c’è futuro senza di me; il futuro del francescano è dentro di me. Uno degli slogan degli indignati della Puerta del Sol, a Madrid, era: poiché non ci lasciate sognare, non vi facciamo dormire. Sognate, cari Fratelli, una vita religiosa e francescana diversa. Sognate e non lasciateci dormire, affinché anche noi possiamo sognare con voi.

Verso una rivitalizzazione della nostra vita e missione
Un’esigenza avvertita da molti religiosi e anche da molti frati minori è la necessità e l’urgenza di ravvivare la nostra vita e missione. Tale esigenza non deriva solo dalla perdita di rilevanza sociale che la vita religiosa e francescana sta esperimentando in molti luoghi, ma piuttosto dalla situazione interna della stessa vita religiosa e francescana, a cui abbiamo appena accennato.
A nessuno sfugge il fatto che stiamo vivendo in un momento di transazione segnato da una crisi che, come suggerisce il termine, richiede da noi un discernimento lucido e coraggioso che ci porti a prendere decisioni importanti nella nostra vita e missione, perché siano veramente significative nel mondo di oggi.
Se la nostra vita è in crisi non lo è perché diminuiamo o la nostra età media aumenta, ma perché forse stiamo diventando insignificanti e stiamo cessando di essere sale e luce (cf. Mt 5,13-16), in un mondo che ha bisogno di sapore e che spesso cammina nelle tenebre. Se così fosse, sarebbe un segno quanto mai chiaro del nostro declino. La vita religiosa e francescana non moriranno in futuro, a meno che non siano già morte nella nostra vita in questo momento. Naturalmente quando parliamo di significatività, stiamo parlando di qualcosa che fa riferimento al Vangelo, nucleo centrale della forma di vita che ci lasciò Francesco e che noi abbiamo professato; stiamo parlando di una significatività che comporta il declinare nella vita quotidiana il linguaggio evangelico nella sua lingua materna: il radicalismo. Parlare di significatività è parlare della necessità di essere segni visibili, credibili, eloquenti e, nel nostro caso, francescani. Il segno è valido se è chiaro, eloquente e trasparente. Così pure la nostra vita.
Tutto ciò implica un cammino verso la nostra interiorità. La significatività scompare quando si pensa solo a migliorare la realtà esterna: le opere, le forme, l’ “estetica”, dimenticando le radici, l’essenziale. Il segno deve essere spiegato dalla vita, altrimenti diventa un contro-segno. Questo vuol dire che dobbiamo lavorare sulle radici, sull’essenziale, senza dimenticare, tuttavia, che l’essenziale è fatto di molte cose che non sempre si presentano come essenziali o importanti. La stagione invernale che stiamo vivendo nella vita religiosa e francescana deve essere assunta come un kairós per crescere in profondità e tornare all’essenziale della nostra forma di vita; un tempo di potatura, e come ogni potatura anche questa è sanguinante, perché germoglino nuovi rami e possano tornare i frutti.

In questo contesto essere significativi comporta:
– Essere uomini di fede. Non si può seguire Gesù senza una fede retta. Non si può assumere la radicalità richiesta dalla nostra forma di vita senza una fede che coinvolga tutto ciò che siamo, e si trasformi in sorgente della nostra gioia e speranza, della nostra sequela di Gesù e della nostra testimonianza nel mondo. Al centro del progetto di vita francescana c’è un’esperienza originale di fede in Dio come il Tutto, che si realizza in un incontro personale con Cristo. La fede è l’unico solido fondamento su cui si può costruire una vita in spirito di orazione e devozione, e in fraternità e minorità.

– Assumere la radicalità. Ciò comporta la sequela di Cristo secondo la forma di vita che ci diede il padre e fratello Francesco. La sequela di Cristo, alla quale siamo chiamati, porta con sé la radicalità:
la radicalità di fronte ai beni materiali (cf. Mt 19,28; Lc 14,33); radicalità con se stessi (cf. Lc 9,23); radicalità nei riguardi di ciò che uno ama di più, la propria famiglia (cf. Lc 14,26). Gesù continua, oggi come ieri, ad esigere esclusività (cf. Mt 8,22), una scelta definitiva per lui (cf. Lc 9,62), ad entrare per la porta stretta (cf. Mt 7,13). A chi vuole seguirlo, Gesù chiede di abbandonare la tana, qualsiasi tipo di sicurezza e di assumere il rischio; chiede di abbandonare il nido, cioè affrontare la durezza della vita (cf. Mt 8,20). Gesù chiede tutto, perché prima lui ha dato tutto. Non è il momento degli sconti per quanto riguarda le esigenze evangeliche. Non lo è stato mai, e meno ancora lo è oggi.

– Vivere in fedeltà creativa. Non abbiamo solo ricevuto una chiamata all’inizio dell’avventura vocazionale. Né la risposta si dà una volta per sempre. La chiamata si ripete giorno per giorno, attimo per attimo, e la risposta deve rinnovarsi costantemente. La fedeltà, come già si è detto, non è stabilità di luogo e di mente, ma poter dire con il salmista: “saldo è il mio cuore” (Sal 57,8). La fedeltà esige costante discernimento per poter capire “ciò che è gradito al Signore” (Ef 5,10). La fedeltà esige costanza per non venir meno nelle difficoltà o persecuzioni (cf. Mc 4,17), per non darsi per vinti, sapendo che «non c’è fallimento – dice Kin Hubbard – tranne che nello smettere di provare. Non c’è sconfitta tranne quella che imponiamo a noi stessi; non c’è nessuna barriera insormontabile se non la nostra debolezza nell’intenzione».

– Vivere nello spirito delle beatitudini. Chiamati, come siamo, a seguire le orme di Gesù (cf. 1Pt 2,21), ad avere i suoi stessi sentimenti (cf. Fil 2,5), a configurarci a lui, siamo chiamati a incarnare lo spirito delle beatitudini. Esse devono essere il criterio della nostra vita e missione. La nostra vita è impensabile senza le beatitudini, senza il loro radicalismo e senza il loro spirito. Nelle beatitudini Gesù parla al nostro cuore inquieto, alla nostra sete di amore, al nostro bisogno di felicità. La forma di vita che ci ha lasciato Francesco ci chiede di assumere le beatitudini e il radicalismo che questa pagina evangelica comporta, come cammino verso la felicità. Se vogliamo una vita francescana significativa non possiamo prescindere da questa pagina che compendia tutto il Vangelo, che è il ritratto stesso di Gesù e, di conseguenza, è il ritratto del discepolo.

– Rinnovare il dinamismo missionario. Siamo un Ordine missionario, Siamo una Fraternità contemplativa in missione, chiamati a riempire la terra del Vangelo di Cristo. Chi ha incontrato Cristo non può tenerlo per sé (cf. NMI 40). La fede si rafforza, donandola. La risposta missionaria è indicatrice di come sta la nostra vocazione e se abbiamo incontrato veramente o no il Signore. D’altra parte dobbiamo aver ben chiaro che solo da una forte esperienza di fede nel Dio missionario – il Padre che invia il Figlio e il Figlio che comunica lo Spirito – siamo in grado di riaccendere l’ardore missionario e rispondere ai progetti missionari dell’Ordine e della Chiesa, così come alla nuova evangelizzazione.

– Essere cercatori nella notte. Cercare nella notte, è un aspetto importante della nostra vocazione in questo tempo in cui le certezze sono scarse, e le domande si moltiplicano. Questo significa coltivare una spiritualità autentica che porta a una continua creazione e ri-creazione (cf. Ger 18,1-6): una spiritualità plasmata dalla parola di Dio, dalla Liturgia e dalla preghiera assidua (personale e fraterna), fondata su una fede retta, una speranza certa e in una costanza e pazienza che consolidano i nostri cuori (cf. Gc 5,8); una spiritualità unificata che ci faccia figli del cielo e figli della terra; una spiritualità dinamica che ci trasformi nello stesso tempo in mistici e profeti; una spiritualità apostolica e di presenza, che ci faccia diventare discepoli e testimoni.

– Lasciarci muovere dall’amore, coltivare la passione per Dio e per l’umanità. I voti di obbedienza, senza niente di proprio e in castità trovano in questo amore e in questa passione tutto il loro significato e tutto il loro valore profetico. Vissuti da persone equilibrate e realizzate, senza cercare surrogati di nessun genere, i voti parlano di una vita alternativa, di un modo di vivere diverso da quello che ci offre il mondo. I voti vissuti in una libertà autentica e profonda – una libertà che orienta la nostra passione del potere a Colui che è umiltà e si è fatto servo; la nostra passione dell’avere a Colui che è la nostra ricchezza a sazietà e verso la solidarietà con i poveri, e la nostra passione del piacere a Colui che è la bellezza – sono un segno profetico davanti a un mondo come il nostro che pone la sua sicurezza nei beni, il suo sguardo sul piacere e la sua realizzazione nel proprio progetto.

– Assumere, in base a una personalità adulta, le proprie responsabilità nei riguardi della vita, in quanto uomini, e nei riguardi della vita religiosa e francescana, in quanto consacrati e frati minori, superare la sindrome di Peter Pan, ossia una vita senza responsabilità e impegni; assumere con coraggio la rinuncia, il sacrificio e la radicalità evangelica, come componenti normali di una vita che assume il Vangelo come regola e vita; lavorare senza stancarsi per mantenersi fedeli a ciò che abbiamo promesso, consapevoli delle nostre debolezze e vulnerabilità; passare dalla logica della autorealizzazione a quella del perdersi a causa del Vangelo, dalla logica dei risultati a quella del servizio gratuito, dalla logica del calcolo egoista a quella della donazione totale e senza riserve; lasciarsi plasmare dall’eterno vasaio (cf. Ger 18,1-6) come Gesù stesso chiede ai suoi discepoli (cf. Mc 1,17); lasciarsi svuotare per lasciarsi riempire da colui che tutto riempie; morire a se stessi, per poter portare frutto (cf. Gv 15,1.8).

– Essere uomini di ascolto per essere uomini di parola Uno dei drammi dell’uomo d’oggi è che viviamo in una full immersion, in cui non c’è tempo per fare una sosta nel cammino, per riflettere e ascoltare. Corriamo il rischio di essere chiusi alla realtà, ma perennemente collegati con scenari virtuali intrascendenti. Il nostro è un tempo di messaggi sms/mms e non tanto di dialogo e di comunicazione interpersonale calorosa e vera. Se vogliamo dare qualità alla nostra vita e percorrere la strada buona che “porta pace ai nostri cuori, alla nostra vita” (cf. Ger. 6,16), dobbiamo essere uomini di ascolto e di silenzio. In breve, se vogliamo essere significativi oggi dobbiamo centrarci nel Signore, concentrarci sull’essenziale della nostra forma di vita e de-centrarci per andare agli altri portando loro la buona notizia del Vangelo.

(Fr. José Rodríguez Carballo, ofm, Ministro generale, OFM, su Testimoni 13 del 2012)