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27latiniLuglio 2012

I Fratelli e la Vita Consacrata

Fratelli di Cristo, fratelli di tutti

La vocazione dei Fratelli è qualcosa di completo in se stesso, ma ancora molti, prigionieri di una mentalità clericale, fanno fatica a riconoscerlo. Il Fratello esprime in primo luogo nella Chiesa il suo essere fratello di Cristo e fratello di tutti. È un vero costruttore di ponti.

Qualche tempo fa ho letto un articolo sulla Cina in cui il giornalista cominciava dicendo che era praticamente impossibile scrivere sulla Cina come paese. Più avanti ne spiegava le ragioni: il paese, diceva, è talmente grande che ciò che si può dire di una sua parte, non necessariamente si può applicare a un’altra. Un’altra difficoltà era il cambiamento che stava avvenendo così rapidamente che quando si scriveva e si pubblicava un articolo, già questo era superato. In certo senso mi trovo in una situazione simile riflettendo sulla vita religiosa attuale, e in modo speciale, sulla vocazione del religioso fratello. Si potrebbe dire che fra tutti i gruppi che sono stati profondamente toccati dalle sfide dovute ai cambiamenti avvenuti in seguito al concilio Vaticano II, i più colpiti sono i fratelli.

Tuttavia, uno degli aspetti positivi è il fatto che, nonostante che il numero dei fratelli nella Chiesa si sia molto ridotto, in certo senso essi si sono liberati in qualche modo dall’essere considerati come dei “semi-chierici”, benché resti ancora molta strada da fare in questo senso. La vocazione del fratello comincia a essere riconosciuta come qualcosa di completo in se stesso.
A questo punto è necessario che faccia una chiarificazione. Noterete che uso spesso e con facilità il termine “fratello” interscambiandolo con quella di “religioso”. La mia personale esperienza come Fratello Ospedaliero di S. Giovanni di Dio e come missionario per lunghi anni in Corea mi aiuta a farmi sentire molto a mio agio nel lavorare con i laici. Un altro punto che potrebbe essere interessante per il lettore è che, anche se siamo un Ordine di fratelli approvato dalla santa Sede, abbiamo un certo numero di membri che sono chiamati o sollecitati dai superiori maggiori a ricevere l’ordinazione sacerdotale per poter rispondere ai bisogni pastorali e ministeriali della missione dell’Ordine e delle nostre comunità. Così pure per altri ministeri nell’Ordine, quando viene chiesto a un fratello di studiare in vista del sacerdozio, questi ha la possibilità – e molti lo fanno realmente – di chiedere di non essere preso in considerazione in vista del ministero sacerdotale. Normalmente si rispettano i suoi desideri al riguardo.

Un altro punto che voglio ricordare come substrato è che il nostro Ordine riconosce che i suoi collaboratori costituiscono la risorsa più importante su cui fare affidamento per attuare la propria missione. Nel corso degli anni abbiamo studiato una serie di modalità affinché i laici, nostri collaboratori, possano condividere, a un livello più profondo, la missione, il carisma e la spiritualità dell’Ordine e stabilire dei vincoli di maggiore vicinanza con i fratelli. Ciò che è sorto è il modello di famiglia, e attualmente noi stessi ci riconosciamo come Famiglia Ospedaliera di San Giovanni di Dio.

I. Chi è un fratello?
C’è una domanda che viene posta da molte persone, compresi alcuni fratelli: chi siamo? A questa domanda non hanno ancora risposto in modo soddisfacente né la chiesa gerarchica né altre istanze della stessa vita consacrata. Per dirlo semplicemente, e questa è stata la mia stessa esperienza, molti di coloro che occupano una posizione di guida nella Chiesa, e che dovrebbero capire la vocazione del fratello, in realtà non l’hanno compresa. Spesso mi hanno chiesto: “perché non sei andato fino in fondo?” volendo sapere perché non mi sono fatto sacerdote. C’è abbastanza confusione sulla vocazione del religioso fratello. Anche noi come fratelli dobbiamo accettare la nostra parte di responsabilità in proposito.
Per non insistere troppo su questo punto, in questo contesto potrebbe essere una buona idea cercare di definire ciò che è un religioso fratello. Siccome, un fratello è una persona consacrata a Dio con i voti pubblici, egli è perciò un religioso la cui vocazione è completa in se stessa. Il beato Giovanni Paolo II parla così della vocazione del fratello: «Il termine fratello esprime in maniera significativa la novità evangelica del “comandamento nuovo” dell’amore. Il fatto di essere fratelli deve caratterizzare i vostri atteggiamenti nei riguardi di Dio, di voi stessi, del prossimo e di tutte le creature. Questa forma di vita in fraternità costituisce una sfida e una proposta nel mondo attuale, spesso lacerato dall’odio etnico o da follie omicide » (VC 60).

1. Il fratello è un luminoso testimone di Cristo, nostro fratello.
I fratelli vivono in comunità e servono la Chiesa e l’umanità secondo il carisma specifico ricevuto. Ciò che rivela la vera identità del fratello è dare testimonianza della presenza di Dio nella propria vita e nel mondo. Questo egli lo fa più con l’esempio che dando spiegazioni, ossia, più con le sue azioni che con le definizioni. La vita del fratello è radicata nel rapporto con il suo fratello Gesù e nella relazione con gli altri esseri umani, sia dentro che fuori della comunità. Dovrebbe esserci una unità tra il messaggio dell’amore fraterno, con tutto ciò che questo significa, e il messaggero, ossia il fratello. Questo è uno strumento formidabile per l’evangelizzazione, dal momento che «l‘uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (EN, 41).
Un fratello si mette in relazione con gli altri e agisce come fratello. Nei suoi rapporti è inclusivo, non esclude nessuno, si riferisce agli altri come a uguali. I fratelli hanno nella Chiesa e nella società una posizione idonea per promuovere la riconciliazione, la pace, l’uguaglianza e l’ecumenismo. L’esempio dei fratelli che vivono insieme in comunità costituisce un esempio vivo che indica come tutti i popoli, indipendentemente dalle loro origini, dalla loro etnia o dalle loro differenze culturali, possono vivere insieme nella pace e nell’armonia. Una siffatta testimonianza mai è stata tanto necessaria quanto oggi.

2. Un costruttore di ponti
Detto in breve, la vocazione del fratello consiste nell’essere costruttore di ponti tra i cuori, mediante l’amicizia, un’amicizia verso tutta l’umanità, fino a far sì che il credente parli in nome del non credente attraverso il ponte della morte; parli tra il clero e i laici, i ricchi e i poveri, fra chiese cristiane, per essere il volto di Cristo per i non cristiani.
Il fratello fa affidamento sul sostegno di persone con idee affini nella comunità, con coloro con cui vive, prega e lavora fraternamente. Un fratello ha la libertà di rispondere con una varietà di maniere pratiche insieme ad altre persone per promuovere e difendere la dignità umana e la giustizia. Mediante la sua posizione profetica e la sua perizia professionale, il fratello può essere più facilmente coscienza critica, guida morale e presenza profetica. Il fratello è flessibile, disponibile, aperto ai nuovi bisogni ed è disposto a lavorare con i laici e con altre persone o organizzazioni che condividono la sua filosofia, i suoi principi e valori, anche se non condividono la sua teologia.

II. Dal caos sorgono segni di speranza
Il cambiamento attuale sta avvenendo così rapidamente e ha un impatto così grande su tutti gli aspetti della vita religiosa con mai prima d’ora. La molteplicità degli istituti, e le diverse situazioni in cui si trovano i religiosi in ogni parte del mondo, è ampia e varia. Anche il modo in cui le congregazioni religiose hanno risposto all’invito del concilio Vaticano II è molto diverso. Alcune congregazioni hanno optato perfino di morire con dignità, mentre altre hanno riveduto la loro storia fondazionale e hanno trovato un nuovo orientamento, energie nuove e ritrovato la speranza nel loro futuro. Altri istituti hanno scelto di unirsi ad altri già esistenti con un carisma simile al loro. Stanno nascendo nuove forme di vita religiosa e di istituti religiosi. A mio parere, è evidente che il futuro della vita religiosa, e in particolar modo dei fratelli, sarà molto diverso dal passato e si baserà su una collaborazione stretta con i laici, con cui hanno molte cose in comune, e non già nell’isolamento.

1. Chiamati a tuffarci nelle acque turbolente della vita
Il cammino verso il futuro è pieno di ogni genere di sfide per la Chiesa e per la vita religiosa. In questo non c’è nulla di nuovo: basta dare uno sguardo alla storia della Chiesa e potrebbe “scioccarci”, oppure no, il fatto di scoprire che in essa ci sono sempre stati corruzione, scandali, infedeltà e divisioni. Dall’esterno ci sono state persecuzioni, manipolazioni e alterazioni dei fatti. Questo continua a succedere anche oggi in vari modi nelle diverse parti del mondo. Tuttavia la Chiesa è stata in grado, grazie alla forza dello Spirito Santo, non solo di sopravvivere, ma di rinnovarsi. Lo Spirito Santo non è in crisi, è lui che guida la barca che è la Chiesa. La Chiesa non è come il Titanic destinato alla rovina e alla scomparsa perché alcuni suoi marinai, i capi della Chiesa, rifiutano di leggere la mappa dei logaritmi del concilio Vaticano II. Ignorare l’invito del concilio al rinnovamento equivarrebbe a comportarsi come l’equipaggio del Titanic il quale vedendo ciò che stava davanti, l’iceberg di infausta memoria, non ha fatto altro che mettersi a spostare le sedie sul ponte.
Oggi ci sono molte sedie che vengono spostate nella Chiesa, mentre il cambiamento richiesto è quello di un rinnovamento radicale, nello spirito di Lumen gentium, Gaudium et spes, Christifideles laici, Vita consecrata, ecc. Si tratta anche di lasciarci ispirare dalla ricerca teologica, dalle riflessioni e dalle esperienze del processo di rinnovamento della Chiesa che si sono accumulate fino ad oggi, in particolare, potremmo dire da parte di molti religiosi/e. Purtroppo molti di questi non sono ascoltati o incoraggiati nei loro studi ad offrire chiarezza, orientamento e speranza nel futuro. Chissà che dai sogni infranti e dalle rovine delle speranze frustrate non possa sorgere  una Chiesa più umile, inclusiva e comprensiva. È certo che alcuni fedeli, compresi i sacerdoti, i fratelli e le suore, avvertono che la loro fede è messa alla prova in questi tempi. La loro fedeltà e il loro amore a Gesù e alla sua Chiesa non sono messi in questione, anche se vacillano quando si tratta della Chiesa come istituzione.

2. Fratelli di avanguardia
Come fratelli, così come i nostri compagni religiosi, siamo all’avanguardia della missione evangelizzatrice della Chiesa; i nostri voti ci liberano per realizzare questa missione, e nello stesso tempo siamo al cuore della Chiesa.  I religiosi sono essenziali per la vita della Chiesa. Tuttavia, per essere efficaci come evangelizzatori, dobbiamo avere chiara la percezione di essere stati chiamati e inviati. Inoltre dobbiamo essere liberi e disponibili per la missione, con entusiasmo, gioia e impegno. Devo dire che alcuni fratelli, e alcuni religiosi in generale, si sono molto accomodati, si sono istituzionalizzati, a volte hanno assunto una mentalità chiusa e hanno paura di correre dei rischi.
La vita religiosa in quanto tale sarà sempre una parte fondamentale della vita e della struttura della Chiesa. Perciò, i religiosi sono chiamati a stare nel cuore della Chiesa e alle frontiere della sua missione evangelizzatrice. Questo posto carismatico a volte provoca tensione tra i religiosi, una tensione salutare, in alcune occasioni, con la chiesa gerarchica. Qualcuno ha affermato di rallegrarsi quando sente dire che un religioso ha dei problemi con un vescovo, perché vuol dire che il religioso è profetico. Un religioso non dovrebbe assumere un atteggiamento di opposizione sistematica, ma una posizione profetica, cosa che può essere fonte di tensione, la gente si sente sfidata, si stanno ponendo delle domande importanti, ecc. «La vita religiosa nelle sue origini è nata per tenere viva la pericolosa memoria di Gesù. Questo è quanto dovrebbero fare i religiosi: mantenere viva la pericolosa memoria di Gesù. Ci deve essere tensione quando manteniamo viva la pericolosa memoria di Gesù.
La Chiesa è una istituzione umana che cerca sempre di compiacere i poteri forti, la cultura dominante. Pensiamo a ciò che è successo in America Latina. La Chiesa è sempre stata accanto all’oppressore. C’è voluto un Mons. Romero per farcelo vedere (l’arcivescovo di San Salvador, assassinato nel 1980 dopo aver sollecitato la popolazione locale a lottare per i propri diritti).Tuttavia, non possiamo prescindere dalla gerarchia perché ci controlli.  Se non fosse così potremmo diventare una organizzazione troppo libera».
Timothy Radcliffe, ex maestro generale dei domenicani, pone la seguente domanda: ai religiosi di oggi viene chiesto di andare fin dove si preferirebbe non andare? Abbandonare la sicurezza dei nostri numeri, le risorse disponibili, essere riconosciuti come “diversi”, essere separati e, tuttavia, in certo modo essere apprezzati e rispettati? Rimanere con le mani vuote...
Per essere rilevanti nella società di oggi dobbiamo reinventarci, ritornare a nascere e a gestire bene il cambiamento. «Il Regno di Dio è l’unica cosa che, in fin dei conti, dovrebbe importarci... tutte le altre considerazioni dovranno sostenere e servire i bisogni evangelici del nostro tempo. Se non lo si fa chiaramente, saranno necessarie correzioni maggiori alla luce della realtà attuale per poter essere significativi, efficaci e fecondi».
In questo contesto, il nostro principale titolo di riconoscimento come religiosi sta nel dare testimonianza della radicalità del Vangelo mediante la ricerca di Dio e nel condividere questa ricerca con gli altri. Siamo chiamati a lasciarci assorbire interamente da Dio e dalle cose di Dio.

III. Sta sorgendo qualcosa di nuovo
Ai religiosi viene chiesto di lasciar perdere molte cose, di uscire dalle sicurezze del passato, dalle posizioni che un tempo ci offrivano stima e apprezzamento. Stiamo affrontando un futuro molto incerto. C’è una sensazione diffusa di vulnerabilità, di essere anonimi in termini di riconoscimento pubblico. «È come se Dio ci stesse dicendo che nel nostro stato attuale siamo irrilevanti per il mondo. Dobbiamo morire perché possa nascere qualcos’altro?  4 Certamente siamo chiamati a uscire dalla nostra zona di sicurezza e a entrare nel mercato. In breve, essere missionari vuol dire non prendere né bastone né borsa.... “Non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada” (Lc 10,4)... portare soltanto amore senza limiti, fede nel Signore, convinzione e umiltà.
I nostri voti ci liberano per questo compito santo. Ciò mi ricorda il famoso episodio narrato da Luca 5,4, e nel Vangelo di Marco: Duc in altum! Pietro e i suoi amici sapevano pescare, vivevano della pesca, essa costituiva, per così dire, il loro pane quotidiano. Gesù veniva da una zona montagnosa ed era un carpentiere che evidentemente si intendeva molto poco di pesca. Perciò, quando disse a Pietro di andare al largo, in circostanze normali i pescatori avrebbero accolto questo comando al minimo con scetticismo, per non dire con totale incredulità. Gli uomini che pescavano nel mare di Galilea sapevano che i pesci erano nascosti nelle acque più calde vicino alla riva. Facendo ciò che comandava loro Gesù e andare al largo, sapevano che i grandi banchi di pesci si trovavano nelle acque più calde della costa. Tuttavia, Pietro conoscendo Gesù, benché non fosse ancora stato chiamato a seguirlo, avvertiva che ciò che Gesù gli chiedeva aveva poco a che fare con la pesca e che piuttosto si trattava di imparare ad avere fiducia in lui, anche quando le cose non avevano molto senso dal punto di vista umano, quando tutto sembrava perduto, comprese le speranze. Che cosa dice l’episodio del Duc in altum ai fratelli e agli altri religiosi d’oggi? In primo luogo dobbiamo ammettere che ci siamo abituati a servire nelle acque calde in cui godevamo di grande successo gestendo scuole, ospedali, servizi sociali, nell’essere pionieri di servizi per gruppi emarginati, per esempio, per persone con disabilità fisiche e intellettuali, per anziani, quando creavamo alloggi per i senza tetto e offrivamo aiuto e amicizia agli immigrati con i nostri programmi, ecc. Avevamo la sicurezza che derivava dai nostri numeri, eravamo indipendenti e tutti volevano accorrere ai nostri servizi.
Ricordiamo le parole di Giovanni Paolo II, quando affermava che «la prima condizione per “andare al largo” richiede un profondo spirito di preghiera, alimentato dall’ascolto quotidiano della parola di Dio. L’autentica vita cristiana si misura dalla profondità della preghiera, arte che si impara umilmente dalle stesse labbra del divino Maestro, implorando come i primi discepoli: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1). Nella preghiera si sviluppa questo dialogo con Cristo che ci converte in suoi intimi: “Rimanete in me, e io in voi” (Gv 15,4)».
Al giorno d’oggi i laici stanno prestando gli stessi nostri servizi, altrettanto bene e anche in alcuni casi meglio di noi. E io dico: Deo gratias! Ma questa è solo in parte una delle ragioni per cui i fratelli si trovano in crisi. Che cosa facciamo, qual è la nostra identità, la nostra missione, forse non siamo più necessari? Come a Pietro, ora ci viene chiesto di allontanarci dalla sicurezza della riva e inoltrarci verso profondità sconosciute, per realizzare nuovi servizi, nuovi modi di presenza.
Come diceva Giovanni Paolo II, questo mandato del Signore è particolarmente importante nei nostri tempi, in cui si è diffusa una mentalità che, davanti alle difficoltà, è preferibile non impegnarsi. Quando Pietro cominciò a pescare, scoperse subito di aver bisogno di maggiore aiuto rispetto a quello di quanti erano nella sua barca, e così fece un segno ai suoi amici perché si avvicinassero a dargli una mano. Nella nuova situazione in cui ci troviamo, anche noi fratelli abbiamo bisogno di aiuto, e le persone pronte ad aiutarci sono i laici.

Conclusione
I fratelli hanno molto lavoro da fare per promuovere una comprensione chiara della loro vocazione e del loro stile di vita nella Chiesa. Dobbiamo definire la nostra identità e offrirla alla Chiesa istituzionale e universale come un’interpretazione valida e autentica, più ancora, come un dono, quale realmente è. Finché i fratelli non saranno percepiti dagli altri come persone rilevanti, competenti, professionisti, testimoni credibili e sicuri di sé, come giocatori dello stesso livello nel campo della evangelizzazione, non saremo presi sul serio. Una volta o l’altra ci chiederanno perché non “siamo andati fino in fondo”; in effetti, potrebbero anche considerarci come una minaccia per il sistema burocratico e avremo poco aiuto da parte della Chiesa. I giovani non si uniranno a noi se non presentiamo la nostra forma di vita come qualcosa di completo in se stesso, come una forma valida per qualsiasi giovane che stia considerando le diverse opzioni per il suo futuro.
In breve, la forma di vita dei fratelli è un’espressione autentica della sequela radicale di Cristo che dà contentezza, realizzazione personale e la gioia di avvicinare gli altri al Signore, allo stesso modo di Andrea. Andrea fu il primo dei discepoli a chiamare e ad avvicinare gli altri a Gesù. “Egli incontrò per primo suo fratello Simon Pietro e gli disse: Abbiamo trovato il Messia. E lo condusse da Gesù” (Gv 1,40). Questa è anche la nostra missione, aiutare gli altri a vivere la presenza di Dio nella loro vita; questo significa anche evangelizzare. Lo facciamo principalmente attraverso la nostra fedeltà al Signore, alla Chiesa e al nostro carisma particolare.

Un elemento centrale per il significato di testimonianza della vita del fratello è la fraternità. «Vivere la fraternità come autentici discepoli di Gesù è una benedizione per la Chiesa e una terapia spirituale per l’umanità» (Vita consecrata 87). In effetti, la fraternità evangelica, ponendosi “quasi come modello e fermento di vita sociale, invita gli uomini a promuovere tra loro relazioni fraterne e a unire le forze in vista dello sviluppo e della liberazione di tutta la persona, come anche in vista dell’autentico progresso sociale» (Costituzioni dei frati minori cappuccini, 11,4)
Abbiamo sempre ritenuto che la vita fraterna in comunità sia una forma radicale di seguire il mandato trasmesso a tutti i cristiani desiderosi di seguire Gesù “e voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8). La comunità religiosa indica in modo chiaro la comunione che costituisce la Chiesa e, allo stesso tempo, annuncia l’unità profetica che siamo chiamati a raggiungere alla fine dei tempi.
In sintesi, la forma di vita dei fratelli è caratterizzata dalla semplicità, dalla sincerità, dall’umiltà e dalla gioia. La consacrazione dei fratelli è completa in se stessa e gli istituti religiosi dei fratelli presentano una ricca spiritualità. Noi come religiosi fratelli siamo chiamati a essere fratelli di Cristo, fratelli gli uni gli altri. Come persone consacrate a Dio con la nostra professione religiosa, mediante i consigli evangelici, approfittiamo di tutte le occasioni per dare testimonianza della presenza del regno di Dio e per promuoverlo. Come ho già detto sopra, i fratelli devono essere flessibili nella realizzazione della loro missione, aperti al cambiamento, coraggiosi, innovatori e mobili. Uno dei doni dell’essere fratelli è la relazione libera e matura che possiamo tenere con le donne. Forse per la nostra stessa vocazione abbiamo la capacità di identificarci con la situazione della donna e pertanto possiamo cooperare a promuovere la sua piena integrazione e i suoi diritti nella società e nella Chiesa.

(Donatus Forkan, OH, su Testimoni 12 del 2012)