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societa_-_per_le_vie_di_scutari_in_albania_padre_luciano_fozzer_novantaquattrenne_gesuita_trenti_imagelargeGiugno 2012

Una ricerca dei Gesuiti sui “Diritti in costruzione”. Per una società della dignità

Gesuiti e nuova società

“Investi in diritti, guadagni in sviluppo”: questa è la proposta dei gesuiti italiani per ripensare l’assistenza sociale in Italia. Pur in un tempo di crisi come l’attuale, non si può rinunciare alla tutela di livelli essenziali di vita decente.

Nella girandola di proiezioni, tabelle e dati statistici che ci vengono quotidianamente proposti dai mass media in questa lunga stagione di recessione politico-economica, un dato dovrebbe invece far riflettere: le organizzazioni non profit, nell’ultimo decennio, sono pressoché raddoppiate arrivando alle 435mila unità. Siamo al superamento del paradigma bipolare pubblico e privato per andare verso un'amministrazione condivisa”, in una logica di democrazia partecipativa e deliberativa. La società civile conosce un nuovo protagonismo nel welfare solidaristico, per promuovere meglio, e a minor costo, la salute psico-sociale dei cittadini garantendo una soglia di servizi essenziali e una risposta di qualità ai diritti esigibili.
In tal modo appare ancora vivo quell’albero che presenta radici antiche, tra le quali c’è quella rappresentata proprio dagli istituti religiosi (vedi la rivisitazione storica nel recente volume curato dalla Fondazione Zancan “Per carità e per giustizia”), che perseguono il valore di una “società decente” o, meglio, di una società della dignità. Conferme su questa linea sono venute, a livello internazionale, sia dal Forum sulla Copertura Sanitaria Universale (Città del Messico, 2 aprile 2012) che dalla 65ª Assemblea mondiale della Salute (Ginevra, 21-26 maggio 2012). In quest’ultima occasione mons. Zimowski, capo delegazione del Vaticano, ha sottolineato che una società più equa non può essere solo uno sforzo dell’apparatostatale: «esso richiede il sostegnodella società civile e delle diverse realtà aggregative e comunitarie... Al contempo gli stati devono generosamente riconoscere e sostenere, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. Le organizzazioni basate sulla fede e gli istituti sanitari della Chiesa, ispirati dalla carità, fanno parte a pieno titolo di queste forze vive che operano nell’ambito della salute. Con oltre 120mila istituzioni sociali e sanitarie presenti nel mondo, la Chiesa cattolica costituisce, in molti paesi economicamente svantaggiati, un partner chiave dello stato nella fornitura di servizi sanitari».

L’esercizio di diritti fondamentali
Il contributo degli istituti religiosi alla costruzione del welfare italiano nel tempo si è concretizzato, tra l’altro, proprio nell’ampliamento del catalogo dei diritti delle persone, arricchendo tutta la riflessione che porta oggi a ripensare l’azione complessiva dell’amministrazione pubblica secondo il modello di welfare community: termine che definisce il passaggio di un modo di governare dalla “gestione” alla “regolazione” dei servizi sociali, con partecipazione e nuove forme di controllo-garanzia. In tale contesto si segnala un’importante ricerca, dal titolo Diritti in costruzione, curata dal Jesuit Social Network (JSN), che nasce dall’impossibilità sperimentata da molte persone nell’esercizio concreto dei propri diritti fondamentali. Significativi i contesti di riferimento di tale monitoraggio: quartieri di Napoli, Palermo, Genova e Roma. In questi luoghi la necessità di politiche sociali non improvvisate ha portato a esaminare le difficoltà su cui si è incagliato il processo di definizione dei Livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS) e a immaginare piste per fare dei passi in avanti.
La definizione di tali Livelli è chiave significativa per affrontare il nodo dello sviluppo delle politiche, dei servizi e degli interventi sociali. Infatti, la riduzione sempre più drastica delle risorse pubbliche e private, destinate ai servizi di welfare e al sistema previdenziale, sta colpendo fasce crescenti di anziani, minori, persone e famiglie: sono gli interlocutori delle 40 realtà del JSN, rete della Compagnia di Gesù che in Italia attiva percorsi per riappropriarsi di una vita dignitosa. Nel volume “Diritti in costruzione” (a cura di Giacomo Costa, Bruno Mondadori Ed.) troviamo un’analisi interdisciplinare a partire da tali percorsi di vita. Uno strumento per accompagnare i soggetti che partecipano alla programmazione e attuazione di politiche e servizi sociali (enti pubblici nazionali e locali, terzo settore, sindacato, associazioni di volontariato), in un momento in cui si mostrano le falle del cosiddetto welfare capitalism (fase del capitalismo che copre il “trentennio glorioso” dopo la Seconda Guerra mondiale), ove le politiche sociali significano soprattutto redistribuire parte delle ricchezze accumulate, al fine di contenere gli effetti dei fallimenti del mercato e di agire con soggetti ai margini o esclusi dallo stesso.

Diritti sociali di cittadinanza
Lo sforzo è quello di immaginare un vero cambiamento culturale, alla luce di una visione antropologica alta, per andare oltre la separazione tra l’economico e il sociale nella vita delle persone. In questo senso, la promozione dei diritti, anziché un peso per la crescita o un lusso a cui dobbiamo rinunciare, può rappresentare al contrario un autentico investimento per il nostro sviluppo. Perciò c’è necessità di un’equità sostanziale che non si fermi ai principi o alle procedure burocratiche. Va abbandonata una prospettiva statalista (che accomuna sia chi pretende tutto dallo stato sia chi lo vuole ridurre invece al minimo), per aprirsi a un orizzonte in cui ci si educhi a generare e spostare risorse (non esclusivamente o prevalentemente economiche) a favore delle persone più vulnerabili, con meccanismi in grado di affrontare però i bisogni reali.
L’EUROSTAT ci fornisce, in proposito, una fotografia della spesa per la protezione sociale in Italia in comparazione coi paesi europei. La vistosa anomalia del nostro sistema consiste in una quota del Prodotto interno lordo destinata alla protezione sociale in linea con la media europea, mentre profondamente diversa ne è la ripartizione: la spesa pensionistica italiana (vecchiaia e reversibilità) costituisce il 60% della spesa totale per la protezione sociale(la media europea è del 44%), mentre risultano marginali le quote destinate all’assistenza, appena di 50-60 miliardi l’anno (4% del Pil).
L’area di spesa per l’assistenza è per di più una galassia di interventi nazionali e locali in cui manca una definizione certa dei Livelli essenziali: da qui anche il forte divario fra aree del paese che penalizza il meridione, ad es. per il tasso di copertura di asili nido e assistenza domiciliare agli anziani. Secondo l’Istituto di ricerca dell’Associazione Comuni italiani (IFEL), la spesa per l’assistenza sociale dei comuni, oggi pari allo 0,42% del Pil, si ridurrà ancora del 13% nel 2012, come effetto dei tagli ai fondi sociali e dei trasferimenti ai comuni stessi delle ultime manovre. Giova a questo punto richiamare in estrema sintesi la “cronologia” dei cosiddetti Livelli essenziali: essi hanno fatto il loro ingresso con la Legge quadro per un sistema integrato di interventi e servizi sociali (n. 328 del 2000); in seguito, in vista di un riassetto federale, la riforma del Titolo V della nostra Costituzione ha introdotto l’art. 117 (comma 2, lett. m), in base al quale lo stato mantiene la legislazione esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Ebbene, assistiamo da anni alle diverse giustificazioni adottate dai nostri governanti per non attuare tale disposizione: tra le tante si citano la difficoltà di una standardizzazione delle prestazioni attraverso i livelli e la penuria di risorse da destinare al sistema dei servizi sociali. Di fatto, questa latitanza della politica rischia di far fallire l’intento di creare un sistema uniforme di prestazioni su tutto il territorio nazionale e vanifica la previsione di ulteriori livelli regionali.

La fede nello spazio pubblico
Si pone dunque un problema per il non profit, anche quello che vede coinvolte le organizzazioni basate sulla fede e, nello specifico, quelle di VC: non basta che i diritti sociali siano scritti in norme giuridiche; essi devono essere fruiti effettivamente dai cittadini nella pratica quotidiana. Perciò l’attuale fase storica dello stato sociale richiede una nuova capacità di difendere i più deboli cercando anche finanziamenti privati (per mantenere più autonomia di azione) e imparando a utilizzare strumenti quali la figura del Difensore civico, la Carta dei servizi, l’adesione al tavolo del terzo settore nei Piani di Zona.
Alla luce di un bilancio del proprio servizio tra i poveri e di alcune esperienze promettenti, la ricerca dei Gesuiti tenta una via di uscita dalla logica di quella mentalità assistenzialistica che non emancipa veramente. I LIVEAS, in questa nuova prospettiva, vanno interpretati come strumenti per definire sistemi flessibili di intervento o contenitori adattabili alla diversità e dinamicità delle situazioni. Per fare un solo esempio, una borsa-lavoro può essere giocata diversamente in base ai differenti equilibri tra le sue variabili e diventare così un mezzo o di reinserimento sociale o di recupero di apprendimento oppure un contributo economico in presenza di contropartita verificabile.
Le conoscenze disponibili consentono oggi di fare valutazioni su ampie casistiche tenendo conto delle fragilità connesse alle condizioni socioeconomiche, ai passaggi dei cicli di vita e ai rapporti intergenerazionali.
In questo modo contribuiamo a trasformare gli standard amministrativi – misura minima erogabile dei servizi esistenti a fronte di domande sociali previste e codificate – in indicatori dinamici che misurano l’efficacia di un servizio variabile tra una soglia minima e una ottimale.
Da sottolineare che questa riflessione è sostenuta nella piena consapevolezza che la fede è lievito per relazioni più giuste (altrimenti si nega coi fatti l’annuncio a parole). La fede cioè non è solo una questione di culto in spazi separati o fatto che si consuma nell’intimo della coscienza; ma al contrario entra nello spazio pubblico. Il suo nesso con la giustizia indica come la fede dia forma alle relazioni tra le persone e possa ispirare anche il funzionamento delle istituzioni. La ricerca “Diritti in costruzione” si fa apprezzare dunque come segno di una VC che costruisce ponti tra diversi presupposti del conoscere, secondo quel modo di procedere tipico che, anche nel sociale, punta sulla circolarità tra esperienza, riflessione e pratiche. Il messaggio è quello di coinvolgersi tutti, credenti e non, nella costruzione di relazioni in cui cresca fiducia e riconoscimento dell’altro.

(Mario Chiaro, su Testimoni11 del 2012)