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StpetersbasilicaholyspiritwindowGiugno 2012

Alcuni importanti chiarimenti

Carisma, carismi e vita nello Spirito

Di carisma si può parlare solo in una prospettiva pneumatologica.  I carismi sono doni dello Spirito e solo all’interno della vita nello Spirito si possono capire. Essi sono dati per l’edificazione della Chiesa: sono doni da mettere a disposizione, ed è il discorso sulla missione.
Si parla continuamente dei carismi, del carisma del fondatore o dell’istituto, ma troppo spesso ci si trova di fronte ad affermazioni che si danno per scontate, ma in realtà non sono state chiarite e per conseguenza non convincono. Vorrei provare a esplicitare alcune cose fondamentali che penso possano servire a un chiarimento e soprattutto possono aiutare il discernimento, sia personale che comunitario e di istituto.

In una prospettiva pneumatologica
La prima cosa da dire – e che terremo stretta in tutto il nostro percorso – è che di carisma si può parlare solo in una prospettiva pneumatologica. I carismi sono doni dello Spirito e solo all’interno della vita nello Spirito si possono capire. Perciò ho intitolato Carisma, carismi e vita nello Spirito. È un dato paolino da cui non si può prescindere e che offre i fondamenti teologici di tutto il discorso. Proviamo a precisare alcune cose in questa linea, rimandando a un secondo momento il discorso sul carisma del fondatore.

La vita redenta come carisma
San Paolo parla di carisma al singolare in Rm 6,23 (testo greco), e intende con questa parola tutta l’opera di salvezza realizzata gratuitamente per noi in Cristo Gesù. Se consideriamo questo in riferimento alle persone, vi sono incluse due cose: ciò che siamo come opera e dono dello Spirito; ciò che siamo chiamati a diventare con la nostra libera adesione all’opera e alla grazia dello Spirito.
Ne viene già da qui un dato fondamentale che non deve sfuggire: carisma non è qualcosa – soltanto “qualcosa” – che si aggiunge per così dire dall’esterno, in un secondo momento; è piuttosto tutto ciò che siamo come opera gratuita di Dio e del suo Spirito. Da mettere a disposizione, come preciseremo subito.

I carismi al plurale
In 1Cor 12-14 Paolo parla dei carismi al plurale, e li presenta come doni dati a ciascuno per l’edificazione della Chiesa. Ci sono molti doni e molti carismi perché molte sono le esigenze della comunità, e Dio vi provvede con la sovrabbondanza della grazia che ci è data in Cristo. Ognuno ha il suo dono, uno in un modo, l’altro in un altro, e tutto è per il bene della comunità.

Sotto l’azione dello Spirito Santo
Se volessimo tentare già da qui una prima definizione del carisma lo potremmo indicare come l’azione dello Spirito Santo nelle coscienze e nei cuori, con i frutti che ne derivano, se tale azione ci trova docili. Ne vengono due prospettive – semplici e insieme illuminanti: visto dall’alto, il carisma è l’azione dello Spirito nelle coscienze e nei cuori; visto dal basso, nella persona, indica i frutti di quest’opera quando c’è la docilità che il Signore si aspetta. Tutte e due le cose ugualmente fondamentali, anche la docilità. Senza questa, il carisma non diventerebbe mai vita vissuta. Mentre è proprio qui il carisma: non in dati esteriori oggettivi, ma nel vissuto della persona.

Lo Spirito Santo protagonista assoluto
Questa assoluta centralità dello Spirito Santo nel nostro discorso esige che si presti attenzione a come agisce lo Spirito di Gesù nella vita del cristiano: solo in questa luce si potrà capire che cos’è “vita carismatica”. Lo dobbiamo un po’ esplicitare, perché non succeda che vada disatteso proprio ciò che costituisce l’anima stessa del nostro discorso.
Per san Paolo la vita cristiana è vita nello Spirito, e sarebbe interessante notare come tutte le grandi parole che dicono i contenuti della vita redenta – non solo in san Paolo ma in tutto il NT – hanno per soggetto e protagonista lo Spirito santo: la fede (1Cor 12,3), la speranza e l’amore (Rm 5,5), la preghiera (Rm 8,15.26), e tutto il resto, fino all’affermazione riassuntiva di tutto: Coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio costoro sono figli di Dio (Rm 8,14). La stessa cosa e in modo perfino più specifico vale per il carisma e la vita carismatica.

Un’azione radicalmente cristocentrica
La risposta diretta su come agisce lo Spirito nella nostra vita ce la dà Gesù nel discorso dell’ultima cena, quando promette lo Spirito Santo (cf. Gv 14,16s.; 14,26; 16,12-15; 15,26s.; 16,7-11). Il dato fondamentale che ne emerge è che tutto nell’azione dello Spirito rimanda a lui, a Gesù: “Quando verrà lo Spirito, egli mi renderà testimonianza, e allora anche voi mi renderete testimonianza” (Gv 15,26s.); “egli vi guiderà alla verità tutta intera. Non parlerà da se stesso, ma prenderà del mio e ve lo annuncerà” (Gv 16,12-15).
Non c’è spazio per esplicitare queste affermazioni fondamentali. Significano che l’azione dello Spirito Santo è sempre essenzialmente cristocentrica: unico compito dello Spirito è di portarci a Gesù e di stringerci a lui, e c’è già qui un punto fondamentale, che non si potrà mai dare per scontato, a meno che si possa dare per scontata la fede e la vita di fede. Il dove e il come del nostro essere “carismatici”, ciascuno secondo la propria vocazione e il proprio dono, è la vita nello Spirito, cioè la vita di fede. Non bisogna cercare altrove quando si parla di queste cose.

La fede e la Parola
La fede e la vita di fede chiamano subito in causa la parola di Dio, e troviamo qui un altro riferimento sostanziale per il nostro discorso. Proprio perché tutta l’azione dello Spirito rimanda a Gesù e alla sua parola, questa è anche la via, l’unica via possibile, per vivere il carisma. Lo Spirito ci guida attraverso la parola di Dio: ce la apre e ce la spiega, perché la possiamo accogliere e ne possiamo
vivere.

La fede che opera nella carità – la missione (Gal 5,6)
Dicevamo già sopra che i carismi sono dati per l’edificazione della chiesa: sono doni da mettere a disposizione, ed è il discorso sulla missione. Ma che cosa significa? Qui è opportuna una precisazione sul linguaggio. Anche la vocazione di ciascuno ha per soggetto operatore lo Spirito Santo, e ogni vocazione è per la missione. Questo significa che dire carisma (che è sempre per l’edificazione) e dire “vocazione per la missione” è di per sé la stessa cosa. Dunque è legittimo parlare di vocazione per la missione in termini di carisma. Lo si fa abitualmente, ma bisogna farlo con lucidità, perché è proprio qui che scattano le molte trappole che poi portano fuori strada. La parola carisma può essere significativa, perché sottolinea che vocazione e missione sono delle realtà di grazia. Ma, appunto, bisogna che siano vissute così, cioè nello Spirito Santo. Fuori di questo intervengono altre logiche e, sul piano apostolico, per esempio, l’efficientismo, la semplice gestione delle opere, o la preoccupazione di realizzare se stessi e i propri progetti, ecc. È quanto dire che la missione intesa in prospettiva carismatica è un fatto essenzialmente spirituale, ha senso e si realizza solo all’interno della vita nello Spirito.

Non l’efficientismo ma la gratuità, i “mezzi poveri”
Per ciò che concerne la missione, la prospettiva carismatica, se ben intesa, potrebbe far chiarezza su molte cose, che possiamo soltanto accennare. Noi veniamo da una tradizione di VR intesa come mezzo per l’apostolato. Con cose straordinarie realizzate ma anche con problemi. L’apostolato difatti si concretizzava nelle “opere”, per cui c’era – e c’è – una pratica identificazione della missione con le opere, dell’apostolato con il “fare”. La stessa cosa avveniva e avviene nella pastorale della Chiesa e delle parrocchie, troppo spesso ridotta al “buon funzionamento” della pastorale ordinaria e all’“aggiornamento” della medesima. Ci siamo ormai resi conto che così non funziona: bisogna andare oltre e più in profondità, a una concezione diversa e appunto più spirituale e carismatica della missione e della stessa pastorale.

La via indicata da Gesù e dai santi
Qui come altrove, per capire il carisma e la missione nel senso che stiamo dicendo, la via sicura è vedere “come ha fatto Gesù”, e con lui i suoi veri discepoli, i santi.
Gesù non ha salvato il mondo organizzando grandi opere di apostolato,ma dando la sua vita in obbedienza al Padre e al suo Santo Spirito. Avendo rinunciato a ogni logica di potenza, non aveva altro che la sua vita da dare e l’ha data.
San Paolo riassume la sua missione non nel molto lavoro – che pure rivendica come importante – ma piuttosto, come hanno dimostrato studi approfonditi, nell’amore/sacrificio di sé che sta dentro il suo apostolato. L’apostolo vede in questo la sua partecipazione alla sorte di Gesù, agnello immolato per la salvezza del mondo, ed è qui il suo contribuire alla salvezza. La spina nella carne (2 Cor 12,7-10) che egli sperimenta come impedimento invalicabile alla prosecuzione della sua opera, è in realtà – gli dice Gesù – il luogo dove si manifesta appieno la potenza della grazia.
È la legge fondamentale dell’apostolato secondo san Paolo, come diceva p. Lyonnet, ed è proprio questa la prospettiva carismatica: viene a ricordarci che il regno di Dio, proprio perché opera di grazia, è una questione di mezzi poveri, non di risorse umane che noi potremmo esprimere. Discorso scomodo ma imprescindibile. Significa, tra le molte altre cose, che c’è una connessione strettissima tra carisma e croce, tra missione e croce.

Il carisma del fondatore – alcune note
Quanto abbiamo fin qui esposto è indispensabile anche per dire qualcosa di comprensibile sul cosiddetto “carisma del fondatore” e dell’istituto. Che cosa significano queste parole? In che senso si può parlare di carisma per indicare l’identità di un istituto religioso? Ecco alcune annotazioni, molto sintetiche.

Un dono che chiede fedeltà
Il fondatore è un credente che legge e vive il Vangelo con sincerità guidato dallo Spirito Santo, il quale, oltre a dargli di vivere in profondità la fede, lo fa attento alla situazione della Chiesa e alle attese del suo tempo. C’è nel fondatore una chiara e forte spiritualità e insieme la passione per la causa di Gesù e del Vangelo. Altri credenti lo incontrano e si ritrovano nell’ispirazione che lo ha mosso a vivere e a operare come sta facendo. Si uniscono a lui ed è il primo nucleo dell’istituto.
Si può notare subito che c’è di mezzo un dono di grazia vissuto dal fondatore, ma anche quello dei suoi primi compagni: sono tutti loro insieme – fondatore e primi compagni – che definiscono il cosiddetto “carisma di fondazione”, più vasto di quello del fondatore.
Generalmente passa molto tempo prima che la Chiesa intervenga con la sua approvazione, ma quando questo accade è come il sigillo che all’origine dell’ “opera” si deve riconoscere l’intervento del Signore e che anche la missione di cui l’istituto si è fatto carico viene da Dio. È evidentemente molto importante questa sanzione da parte della Chiesa; essa viene a significare e a stabilire un dovere di fedeltà da parte dell’istituto e dei suoi membri al dono che li ha definiti fin dall’inizio e che li costituisce come realtà di Chiesa.
Tanto che – come giustamente si ripete – una famiglia religiosa ha senso nella misura in cui adempie al compito per cui Dio l’ha voluta. Su questo non ci sono dubbi, ma il problema è vedere che cosa significa e che cosa comporta questa fedeltà, se la leggiamo – come è legittimo leggerla – in una prospettiva carismatica.

Solo se tutto è vissuto “nello Spirito Santo”.
Notiamo innanzitutto il fatto che il carisma del fondatore e dell’istituto ha anche un contenuto oggettivo, tematico. Ci sono dei contenuti e delle esigenze che possono essere descritti, giustificati anche teologicamente, sia sul versante della spiritualità/modi di rapportarsi a Cristo, che della missione. E possono anche essere istituzionalizzati, definiti in un particolare modo di vivere e di operare, sia come singoli che come comunità e istituto.
Tutto questo ha un suo significato ma, strettamente parlando, il carisma dell’istituto – se lo si vuol leggere nel significato vero di questa parola – non è il dato oggettivo di cui stiamo dicendo; sta sull’altro versante, quello della vita vissuta. Carisma, come abbiamo già visto, è l’azione dello Spirito nelle coscienze e nei cuori: qualcosa che accade se si è docili alla sua opera.
La conseguenza che subito ne deriva è che nella realizzazione del “carisma dell’istituto” ciò che entra prima di tutto in gioco è la qualità della vita spirituale dei membri. Tutto si gioca qui, e ci sono di mezzo due fattori: la forza del carisma delle origini, da una parte e, dall’altra, la fedeltà “carismatica” di coloro che oggi ne sono eredi. Molti problemi nella VR dipendono da qui: può essere debole il carisma delle origini, ma può anche essere che sia debole o manchi o non sia vissuta secondo lo Spirito la fedeltà di chi ne dovrebbe vivere. Questo è tanto vero che molto spesso chi salva o rilancia una famiglia religiosa, anche in casi in cui il carisma delle origini potrebbe apparire “debole”, è la qualità di vita cristiana – la “santità” – di chi ne è depositario o di qualcuno tra di essi. Dunque, ancora una volta, la vita nello Spirito. Su questo ci sono alcune cose da richiamare proprio in riferimento al carisma dell’istituto.

Non c’è un passaggio diretto
Fondamentale da tutti i punti di vista è ricordare il cristocentrismo assoluto dell’azione dello Spirito Santo. Che cosa significa questo nei nostri discorsi sul carisma del fondatore e dell’istituto? Significa molte cose e prima di tutto, mi si permetta la battuta, che prima viene Cristo e poi il fondatore. Intendo dire che non c’è un passaggio diretto dal carisma al fondatore. L’affermazione è fondamentale, anche se, pure questa, abitualmente saltata. Noi diciamo “carisma o carisma dell’istituto” e andiamo direttamente al fondatore. Non si può, non c’è questo passaggio diretto. Oppure c’è, ma non si tratta più di carisma. Il percorso è più lungo e passa sempre da Cristo: soltanto “in lui” e vivendo di lui possiamo incontrare il fondatore e il carisma dell’istituto nel suo vero senso.
Forse è un punto su cui bisognerebbe riflettere di più. Per i consacrati come per tutti i battezzati l’unica strada per essere se stessi anche in senso carismatico è vivere da cristiani la propria avventura vocazionale. Il carisma realizzato è una conseguenza di questo. Non c’è il carisma dell’istituto al punto di partenza, c’è il battesimo!

Quando si mette al centro l’istituto
Il nostro discorso ha dei risvolti concreti quanto mai significativi che fanno molto riflettere e chiedono discernimento. Ne cito alcuni. Se dicendo carisma vado direttamente all’istituto o al fondatore, è proprio il carisma a rimanere compromesso. E difatti, se vado subito al fondatore:
– metto il fondatore al posto di Cristo e la tradizione dell’istituto prima del Vangelo. Non è una battuta mia: proprio a questo ci ha richiamato il concilio, chiedendoci di ritornare al Vangelo;
– non si nega il riferimento a Cristo, è chiaro, ma lo si dà per scontato: cioè lo si mette da parte e ci si concentra su tutto ciò che viene dopo: l’istituto e le cose dell’istituto – poi magari ci si meraviglia che sia stata tanto diffusa dentro la VR la mentalità di istituto;
– oppure ancora: parlando di missione, si va direttamente alle opere e al “fare”, saltando ciò da cui questo proviene – o “dovrebbe provenire” – che è poi il carisma nella sua natura specifica;
– o ancora: quando si tratta del rinnovamento dell’istituto, tutto viene ridotto all’aggiornamento, con tutto ciò che ci abbiamo messo dentro di riqualificazione professionale, riscrittura della regole, riorganizzazione di tutto ciò che andava riorganizzato, ecc…
Tutto questo andava preso in esame e anche fatto, ma ci sono tanti punti interrogativi che non possono essere saltati, per esempio: quando il carisma/spiritualità dell’istituto non si realizza nel suo vero significato dentro la vita delle persone e delle comunità, tutto può andare anche “molto bene”: le regole sono state “aggiornate”; le opere funzionano e sono molto apprezzate e frequentate; si può avere anche una vita molto ordinata ed efficiente; si parla molto e insistentemente del carisma del fondatore, le fonti sono state studiate a fondo, con significative pubblicazioni; magari c’è stata anche la beatificazione/canonizzazione del fondatore…
Ma la vita non decolla, i frutti sperati non ci sono e neanche le vocazioni, e non si sa che fare…
Si parla spesso oggi di individualismo, di crisi del senso di appartenenza e di crisi anche più profonde, di vere e proprie crisi di identità: da che cosa dipendono? dal fatto che non si prende sul serio il carisma dell’istituto? La ragione è molto più profonda: se definisco e misuro il senso di appartenenza – che poi è la gioia della propria vocazione – sull’istituto e le cose dell’istituto, sulle opere e il modello di vita religiosa che portiamo avanti, una volta che tutto questo va in crisi – esattamente questo sta succedendo – viene meno anche il senso di appartenenza e la stessa vocazione perde la sua forza. Bisogna risalire più in alto, alla vera natura della vocazione e del carisma dell’istituto: allora ci si trova rimandati a ciò che mantiene pienezza di significato anche nella prova e nelle difficoltà, e anche il senso di appartenenza trova il suo fondamento.

Fedeli al carisma del fondatore, cioè?
Certamente non va trascurata l’eredità del fondatore e dell’istituto, così come è stata tematizzata e a cui si può attingere, già lo notavamo. Ma ci sono due cose da osservare. La prima è che dell’eredità del fondatore bisogna dare una lettura spirituale, veramente carismatica. Una lettura che vada all’essenziale dell’eredità del fondatore, a ciò che rimane al di là dei cambiamenti e delle diversità storiche e culturali. La seconda cosa, più importante, è che l’eredità del fondatore sia lasciata al suo posto, rispettata nel suo vero significato, senza sovrapporla al Vangelo.

La specificità carismatica, una nota
E la specificità carismatica, che ne è della specificità carismatica? Una cosa per lo meno è certa: se è vero quanto veniamo dicendo, la specificità carismatica di ogni famiglia religiosa, così come dei singoli, può fiorire e realizzarsi solo come frutto di una vita vissuta veramente “nella fede”, e dunque sotto la guida dello Spirito.
Non è senza importanza saperlo ricordare. C’è un equivoco che può facilmente intervenire ed è analogo a ciò che succede a livello personale: uno crede di conoscere “a priori” il suo carisma, perciò imposta/programma tutta la sua vita in modo da realizzarlo. Purtroppo questo è l’opposto del carisma: nessuno lo conosce a priori e per realizzarlo l’unica strada è farsi guidare dallo Spirito Santo non dai propri progetti: La medesima cosa può avvenire a livello di istituto: si studiano le fonti, se ne deducono le norme di comportamento, ovviamente aggiornate, si definiscono progetti i più diversi, per lo più stabiliti “a tavolino”…, e si crede che carisma sia mettere in pratica tutto questo. Ma questo è l’esatto contrario del carisma, è moralismo. Perciò i frutti non ci sono.

Far conoscere il carisma dell’istituto, come?
C’è anche, molto sentito, il problema di come far conoscere il carisma del proprio istituto. Su questo io dubito che serva molto parlarne e tanto meno pubblicizzarlo. Il carisma/vita nello Spirito non è un fatto mediatico: lo si può far vedere solo con la vita. La gente deve respirare il carisma dell’istituto quando viene in contatto con la comunità e le persone che la costituiscono. Mi riferisco al nostro modo di vivere e di operare, la nostra mentalità e sensibilità, il modo di vivere i rapporti, ciò che si coglie dalla nostra predicazione, dal modo di accostare le coscienze, di servire i poveri, ecc.
Questo non avverrà se la preoccupazione è sempre subito quella di esplicitare il carisma a parole, riducendolo, come a volte si fa, a etichetta, o più banalmente a propaganda. Non si può fare del carisma – proprio del carisma – un’etichetta! Quando si incontrano gli altri, e si vogliono veramente incontrare, ci si deve riferire non a ciò che distingue, ma a ciò che accomuna, nel nostro caso ancora Gesù e il Vangelo: il comune battesimo, che ha fatto di noi – preti, religiosi e laici – una cosa sola in Cristo. Chi esibisce se stesso – anche come istituto – non fa vedere niente di carismatico, allontana e appunto “si distingue”, invece di accogliere e aprirsi all’incontro.
Anche l’incontro tra diversi carismi nella collaborazione tra istituti – per non parlare del rapporto con i laici – rimanda qui. Non c’è bisogno di esibire se stessi quando ci si incontra tra vocazioni diverse. Qui come non mai è la vita che parla, mentre tutto il resto deve rimanere come dietro le quinte, perché tutto lo spazio, se così si può dire, venga lasciato agli altri. E a Gesù nostro comune Signore, con la sua Chiesa. Paradossalmente proprio questo – che è poi la vera gratuità – fa emergere la qualità, e perfino la potenza, di un carisma. Perché lo Spirito Santo è amore e l’amore dà la precedenza, non si impone mai: l’amore è gratuità e “i grandi” secondo il vangelo non sono coloro che rivendicano o si impongono e chiedono spazio, ma piuttosto quelli che si mettono a servizio e preferiscono la “minorità”, proprio la minorità francescana.

Per concludere: una nota sulla comunità.
Il carisma, come dono dato a ciascuno, è un fatto squisitamente personale, che ci definisce nella specificità più nostra. Questo potrebbe indurre a pensarlo in prospettiva solo autoreferenziale – come vorrebbe la cultura e la mentalità di oggi – dimenticando la comunità. I carismi però sono dati per l’edificazione della Chiesa e rimandano all’unità di un solo corpo. Significa che uno può essere/diventare se stesso solo se sta a questo gioco, essenziale in una prospettiva cristiana. E oltre a questo c’è il fatto, soprattutto in un contesto di VR, che il carisma/vocazione personale sono dati per la missione e la missione è affidata alla comunità. Quando uno fa la professione religiosa, si consegna per una missione che non è data ai singoli in quanto singoli ma all’istituto e alla comunità, e ai singoli come membri della comunità. È una missione e carisma, per conseguenza, che si può realizzare soltanto insieme, in una dinamica di obbedienza/sequela non solo personale ma comunitaria.
Già i Corinzi, a un livello più generale di Chiesa, avevano avuto difficoltà a capire questo, e facevano dei doni dello Spirito un motivo di vanto e dunque di individualismo e di divisione. Oggi capita lo stesso e anche più, o per lo meno bisogna avere consapevolezza che può capitare. Mentre, in ogni modo, solo insieme possiamo vivere il carisma dell’istituto.
Se c’è oggi – e ci sarà sempre – un motivo di debolezza e inautenticità dei carismi, dipende soprattutto da due fattori: prima di tutto dal fatto che – come abbiamo detto e ripetuto – è troppo debole la vita spirituale come vita di fede; e poi dal fatto che… abbiamo come perso la strada del vivere davvero insieme la vocazione che abbiamo ricevuto.
Ho detto questo alla fine, perché questo dato centrale non vada perduto dentro troppe parole, ma rimanga davvero, insieme alla fede/vita di fede, il punto sintesi di tutto.

Per concludere davvero. Tante discussioni e fraintendimenti in questo campo – e non solo qui – dipendono dal fatto che abbiamo troppo dimenticato lo Spirito Santo. Parliamo di realtà che sono comprensibili solo in una prospettiva pneumatologica, e spendiamo tutte le nostre risorse – almeno a livello di istituti (le persone per fortuna sono più facilmente guidate dallo Spirito di Dio!) – attorno al nostro “fare” e ai problemi istituzionali, con tutti gli interminabili discorsi che ci facciamo sopra. Così tutto decade al livello delle “cose di quaggiù”, e i frutti non ci sono. Ma Dio ci aiuterà a “ritornare al cuore” e allora tutto rifiorirà.

(Luigi Guccini scj, su Testimoni 10 del 2012)