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UsmiGiugno 2012

59a Assemblea nei 50 anni dell'Usmi

Percorsi di vita comunitaria

Assemblea generale dell’Unione superiore maggiori d’Italia (USMI): tre giorni di riflessione, preghiera e commento alla Scrittura, per confermare le scelte conciliari della vita consacrata e dare futuro alla memoria evangelica in esse contenuta.

Nell’aula magna della pontificia Università urbaniana di Roma si sono radunate 350 suore (fra generali e provinciali) l’11-13 aprile. Età medioalta, fogge e vestiti assai diversi, clima di famiglia. Si tratta della 59ma assemblea generale dell’Unione superiore maggiori d’Italia, con il titolo In Cristo nella Chiesa per il mondo. Percorsi di vita comunitaria. La piccola ma efficiente segreteria è messa alla prova dall’improvviso venire meno della corrente elettrica che ritornerà da lì a poco in tutto il settore della città, mentre la presidente, madre Viviana Ballarin, e l’intero consiglio avviano i lavori. Prima di darne nota e cronaca va subito detto che incominciano qui le celebrazioni del cinquantesimo dell’istituzione. Lo statuto è del 1961 e le prime forme del convenire delle suore risalgono agli inizi degli anni ’50, ma è con le assemblee del 1962-63 che la sigla prende forza e assume le forme strutturali stabili, con le modifiche successive in relazione ai mutamenti delle condizioni complessive. Un libro, curato da Biancarosa Magliano (Sognare si può… USMI fra storia e profezia) racconta l’intera vicenda e viene presentato in assemblea da suor Enrica Rosanna.

Chiamate all’unione
La forza che assume nel concilio Vaticano II la dimensione della chiesa locale e delle forme collegiali trova immediato riscontro nelle forme della vita consacrata anche femminile. La tradizione secolare che vedeva la totale autonomia delle singole famiglie monastiche e di vita attiva, con l’unico controllo da parte della Santa Sede, viene rapidamente articolata con una serie di legami trasversali, sia a livello mondiale come nazionale e locale. Il compito e la sfida dell’aggiornamento non possono essere risolti solo dalle forze interne delle singole congregazioni. Si realizzano attraverso il confronto reciproco e per questo nascono nuove strutture e luoghi di incontro. Come racconta il volume citato: Unite per meglio servire la Chiesa e l’umanità. Unite perché ogni istituto possa crescere nella propria individualità, attraverso la conoscenza degli altri, il confronto, la compartecipazione nelle fatiche, nelle iniziative, negli esiti. Al movimento infatti faceva capo tutta l’organizzazione e l’aggiornamento della vita religiosa e dell’apostolato delle religiose in Italia. E il tutto senza schemi precostituiti, né modelli predefiniti e indiscutibili. Le cronache di quei tempi parlano di dibattiti, di chiarimenti richiesti e avuti, senza nessun spirito monopolista. L’USMI, quindi, struttura di comunione, sarà centro di riferimento, punto di incontro, di sostegno, di animazione: uno spazio “teologale” che qualificherà e arricchirà chiunque vi acceda. Aiuterà a superare le possibili miopie congregazionali o locali» (p. 41).
Per dare un’idea dei servizi forniti alle congregazioni, si può accennare sommariamente all’attuale struttura dell’USMI con un ufficio scuola e cultura, sanità, famiglia, mobilità etnica, servizi sociali, tratta donne e minori, animazione liturgica, evangelizzazione e catechesi, formazione ecc. Sono migliaia le suore che utilizzano l’uno o l’altro servizio, l’uno e l’altro corso di aggiornamento. È l’Unione a fornire alcuni essenziali, seppur sommari, stimoli alle riflessioni teologiche e storiche, che poi rifluiscono e si arricchiscono nelle singole famiglie religiose. Solo nel primo decennio del secolo i temi affrontati comprendono la globalizzazione, l’immigrazione, la mobilità etnica, il pluralismo religioso, la crisi delle trasmissioni valoriali e di fede (famiglia, scuola, generazioni), il territorio ecc. Sono anche gli anni del calo verticale delle vocazioni (le suore erano 160.000 negli anni ’60, ora non superano le 80.000): «Si è chiuso il tempo della grandezza e del prestigio delle nostre opere, il tempo dell’esplosione numerica e delle sicurezze fondate anche sulle nostre capacità e autosufficienza. Si è chiusa la stagione dell’abbondanza delle messi che sembrava non finire mai, mentre si preparava il tempo della purificazione e della potatura. Consapevoli che la potatura è un dono di Dio per portare più frutto, abbiamo cercato di entrare responsabilmente in questa nuova stagione» (suor Teresa Simionato).
Radicalizzazione evangelica e affinamento del giudizio sui segni dei tempi sono proseguite sotto la presidenza di suor Viviana Ballarin che guida l’Unione dal 2008. È sufficiente ricordare i titoli delle assemblee: Quale profezia per la vita religiosa femminile oggi in ascolto della Parola (2009), Affidate a una promessa. In Cristo per umanizzare la vita (2010), Persone nuove in Cristo. Percorsi di vita comunitaria (2011). Un cammino complessivo a cui Testimoni non è stato estraneo o marginale, mentre prosegue e si approfondisce il dialogo fra le congregazioni maschili italiane (CISM) e il riferimento a quelle internazionali (USG per gli istituti maschili e UISG per quelli femminili).

Figura di Chiesa
Tornando alla cronaca dell’Assemblea è necessario fare riferimento alla relazione della prof.ssa Cettina Militello Le comunità religiose membra vive del “corpo crismato”. La riflessione parte dalla considerazione che il tempo di crisi, vissuto dalla società, coinvolge pienamente anche la vita religiosa; una crisi che in modo particolare è scaturita dalla difficoltà di accogliere e attuare il paradigma ecclesiologico del concilio Vaticano II. La profezia del concilio «parte dalla riscoperta del soggetto concelebrante (SC), consapevole del proprio statuto (LG), in ascolto della Parola (DV), in dialogo al suo interno e con il mondo (GS)». Lo stimolo offerto dalla riflessione teologica prende le mosse dal desiderio e dalla necessità di elaborare strumenti teorici che abbiano risvolti pratici, che possano, cioè, incidere sulla ricomprensione dell’identità stessa della vita consacrata, della sua collocazione ecclesiale, del rapporto tra carisma e ministerialità. La vita consacrata è chiamata a riscoprire la propria identità in analogia con le dimensioni costitutive della Chiesa. Come popolo di Dio, innanzi tutto. «Si è popolo di Dio prima d’essere altro, prima che venga operata ogni distinzione operativa e funzionale». Popolo significa appartenenza sigillata dal Battesimo, significa cammino di chi non ha stabile dimora nel tempo e che pur attraversa con simpatia. Chiesa come Corpo di Cristo richiama termini come condivisione e sinergia della e nella diversità. Dal dono dello Spirito si effondono i singoli doni, messi a servizio del mondo e dell’umanità e da questo dono accolto si rende possibile e necessario il discernimento dei carismi personali e, nel caso della vita consacrata, il discernimento del carisma comune e condiviso. «La vita consacrata nasce appunto da un progetto di condivisione. Più persone convergono in una specifica modalità di sequela Christi». Si tratta di scelte che, nel corso dei secoli, si sono mostrate capaci di tradursi in coraggioso servizio alla comunità. La vita consacrata realizza la vocazione all’“alterità”, che indica l’incolmabile distanza-vicinanza di Dio ed ecclesialmente si esprime nel paradigma nuziale, «come la Chiesa anche la comunità religiosa vive dello Spirito e dei suoi doni che traduce a servizio della Chiesa stessa e del mondo». La comunità religiosa nel suo essere pellegrina è fedele alla storia e alle mutazioni epocali e culturali, ma interiorizzando i valori del Regno e la radicalità della sequela rende visibile il suo far parte del Corpo di Cristo dentro una fraternità. «Occorre riscoprire la nuzialità della comunità come tale. Sperimentare in essa la sacra mentalità della mensa comune, dell’agape reciproco, della preghiera comune in gioia e unanimità di sentire». La comunità religiosa animata dal dono dello Spirito, si mostra segno di unione con Dio e di unità con il genere umano vivendo della ricchezza dei reciproci doni condivisi.

Parlare di felicità
All’uomo contemporaneo, cercatore di felicità, la vita consacrata può offrirsi come buona compagnia, come reciprocità, impegno solidale, come pienezza di vita assunta e proposta. La felicità condivisa si innesta nella gratuità del dono ricevuto e offerto. Al centro dell’esperienza di salvezza è posta l’iniziativa gratuita di Dio, che chiama l’uomo alla condivisione con lui, come soggetto di relazione. La gratuità di Dio è lo Spirito, dono eccedente che genera eccedenza, gratuita e gratificante. «Una cultura della gratuità fa spazio allo Spirito, fa spazio ai suoi doni. Li pone come principio del nostro essere al mondo. Fa di lui stesso la condizione previa alla vita». La gratuità dell’esistenza genera la libertà e la creatività dell’incontro con un altro/a, per essere insieme immagine di Dio Trinità, attraverso la relazione con Dio, con gli altri e con il creato. La visibilità di “un’estetica della gratuità” dovrebbe manifestarsi attraverso la comunione vissuta nella fraternità, che dà forma alla vita consacrata stessa. Il legame fraterno non è più stabilito da vincoli di sangue, ma dalla risposta personale che nasce dall’ascolto della parola di Dio e dall’adesione ai valori del Regno. Un sentire comune che si esprime, si riconosce e si ripropone nel segno agapico delle nozze.  Alla vita consacrata si chiede, inoltre, di suscitare la nostalgia di una casa accogliente, memoria provocatoria e profetica della chiesa domestica, luogo d’incontro per coloro che ci vivono e per coloro che in questi spazi trovano accoglienza, supporto e condivisione. Una comunità che abbia come modello di condivisione Cristo e come modello di consolazione lo Spirito. «Le comunità religiose, membra vive del corpo crismato, possono dunque accogliere e disegnare l’utopia di una vita “bella”, di una vita “donata”, di una vita “compartita” e “compassionata”. Possono e devono profetizzarla e con ciò discernere e promuovere una vita cristiana autentica». L’eccedenza della gratuità viene espressa dall’immagine dell’olio profumato, che cura, lenisce e dona benessere, olio che è mistura di elementi diversi amalgamati perfettamente, olio che ha valenza festiva e solenne, olio che nutre e che guarisce attraverso la dolcezza, la luminosa brillantezza e il profumo. «È Cristo presente e vivo che la comunità religiosa testimonia, annuncia, sperimenta, malgrado la sua fragilità, forte appunto di lui che risorto più non muore».

Dare forma ai desideri
Le giornate dell’Assemblea si sono aperte, ogni mattina, con la lectio sulla parola di Dio. Sr. Grazia Papola ha proposto una riflessione circa il servizio nella comunità dei discepoli (Mc 9,31-37). La strada che Gesù percorre nel cammino verso Gerusalemme, diventa l’occasione per parlare del suo personale cammino e per coinvolgere i discepoli in questo percorso. Discepoli che non comprendono o fraintendono la consegna di Gesù e del suo tragitto e che portano Gesù stesso a esplicitare la comunicazione attraverso l’eloquenza di gesti. Gesù riconosce il desiderio dei discepoli, la ricerca e lo sforzo di essere grandi, accoglie le loro istanze e le ri-orienta, comunicando la vera misura della grandezza. Il primo, il grande, è colui che si mette a disposizione, chi si interessa dei bisogni dell’altro e agisce in suo favore. Coloro che vogliono essere grandi hanno bisogno di imparare a orientare le loro risorse e le loro energie verso le necessità di altri, come disposizione fondamentale dell’esistenza. Il criterio è quindi la necessità e il bisogno dell’altro. Gesù rende visibile il suo insegnamento attraverso l’abbraccio e la tenerezza dei confronti dei bambini, bisognosi e dipendenti, simbolo della croce che nella debolezza e impotenza salva. Accogliere il Signore Gesù è accogliere Dio, questo è il definitivo criterio per entrare nella grandezza del Regno.
La riflessione è continuata il secondo giorno, a partire dal testo di Atti 8,26-40, l’incontro tra Filippo e l’etiope, incontro che propone un modello di evangelizzazione capace di stare a fianco per condividere il cammino. Uomini diversi che si incontrano e che al temine percorrono la loro strada in direzioni diverse. Filippo inizia il suo percorso in un luogo e in un tempo poco favorevoli (su una strada deserta e a mezzogiorno), lui abituato a incontrare le folle ora indirizza la sua cura, su di una strada inattesa, incontro a un singolo, straniero, viandante e ferito. Filippo ha il merito di lasciarsi guidare dallo Spirito non solo sulla strada da percorrere ma anche nelle vie della sua interiorità, per accostarsi all’eunuco, infatti, e per salire sul suo carro è necessario che si lasci formare a criteri nuovi di accoglienza, abbandonando vecchi riferimenti provenienti dal culto, dalla tradizione e dalla cultura. È lo Spirito di Dio a orientare verso la novità e a condurre fino all’incontro, Spirito che si mette da parte per lasciare a Filippo l’iniziativa di comprendere qual è il modo migliore per avvicinarsi all’etiope nella prossimità. La vicinanza permette ai due di scoprire qualcosa di comune: la lettura della parola di Dio, nello specifico il testo di Isaia. Da questa parola comune entrambi scoprono e si aprono alla possibilità di dialogo. Il Vangelo diventa buona notizia per tutti e due, evangelizzatore ed evangelizzato; la Parola condivisa apre a una comprensione nuova della parola stessa e della propria esistenza. La chiave di una evangelizzazione efficace risiede nella capacità di sentire e trasmettere che la parola di Dio riguarda ciascuno e parla di ciascuno.
Di chi parla il profeta? Chiede l’etiope. La risposta non è immediata. Filippo concentra la sua testimonianza attorno alla persona di Gesù, dichiarando che, anche a chi sembra umanamente escluso dalla vita, viene offerta la possibilità di riconoscersi pienamente figlio nell’amore del Padre. L’insegnamento di Filippo permette all’etiope di trarre le sue conseguenze, l’immersione nella morte e resurrezione di Gesù attraverso il Battesimo e la gioia che ne è derivata sono il segno di una Buona Notizia accolta e assunta.

La danza di Miriam
Questa riflessione, che pone la prossimità e la creatività come criteri di un’efficace evangelizzazione, ha introdotto il dialogo che il dott. Marco Guzzi, ha avviato con l’assemblea; riflessione e dialogo mirati a meglio comprendere la fase storica e culturale contemporanea. I rapidi mutamenti a cui assistiamo, spesso portano allo smarrimento e alla perdita di sicurezze; questo tempo si rivela come un’opportunità perché un’identità legata al passato ceda il passo alla nascita di una nuova umanità: più l’identità viene rafforzata, più cresce la consapevolezza della missione, luogo in cui diviene possibile esercitare nuove e creative forme evangelizzatrici. Nel passato il soggetto si afferma contrapponendosi all’altro, oggi è chiamato a lasciarsi plasmare dalla relazione. Una comunicazione autentica e profonda, che coinvolge integralmente l’uomo nelle sue molteplici dimensioni, si offre come via privilegiata di trasformazione, comunicazione e trasformazione che hanno come modello l’umanità riuscita di Cristo e come obiettivo l’umanizzazione di quanti entreranno in relazione con una comunità trasformata e trasformante.
La parola di Dio che ha guidato l’apertura dell’assembleanel terzo giorno è tratta dal libro dell’Esodo (Es 15,19-21). È il racconto di Miriam, sorella di Mosè e Aronne, che postasi alla guida di un gruppo di donne insieme a loro inizia a danzare, quando le acque del Mar Rosso si sono richiuse travolgendo gli egiziani e salvando Israele. Un canto e una danza che conferiscono solennità e forza alla celebrazione della liberazione. Chiara è la consapevolezza che il vero artefice della vittoria è il Signore e che la vittoria è stata l’attraversamento del confine tra la vita e la morte. La mano di Miriam che afferra il tamburello per avviare alla danza sembra essere il prolungamento della mano di Dio. Lei come il Signore d’Israele guida le donne fuori dall’acqua e nell’uscire celebra, con il canto e la danza, l’azione salvifica di Dio. Nella danza di queste donne si esprime la complessità del momento: gioia per la liberazione insieme a dolore, movimenti che evocano il contorcersi del parto. Danza, quindi, che celebra la nascita di Israele assieme alla lode che riconosce l’intervento di Dio. La grandezza di Miriam è di coinvolgere altri in questa lode, perché anch’essi divengano protagonisti degli avvenimenti; questa donna è testimone di una fede che coglie l’invisibile, fede nel Dio che non si vede ma che si riconosce presente nelle vicende del popolo.

Esigenze del governo
Don M. Aldegani ha continuato la riflessione offrendo cammini pastorali di comunione e di speranza nella realtà, nella Chiesa e nella società. I riferimenti per la narrazione testimoniale della vita consacrata sono riconducibili alla memoria della vita di Cristo e al carisma fondazionale che genera capacità di uno sguardo benevolo sul presente e sul futuro. Camminando nel mondo, a fianco di fratelli e sorelle, i consacrati costruiscono uno stile di vita che rende visibile la possibile armonia tra diversità. L’identità della consacrazione religiosa va oggi compresa come relazione, che, a partire dalla comune consacrazione battesimale, si fonda sulla fraternità e sul cammino, in riferimento alla vita di Gesù e alle diverse situazioni storiche concrete. La comunione diventa così l’urgenza della vita consacrata: comunione con la vita ecclesiale, con le sfide della postmodernità, col mondo globalizzato, con il cambiamento epocale e i nuovi contesti e linguaggi… I cammini percorribili dalla vita consacrata «in comunione» riscoprono la capacità di mettersi dalla parte dei poveri, dei più deboli e vulnerabili, e riaprono il dialogo e una nuova qualità della relazione e della formazione, nel rapporto rinnovato tra identità e alterità. La “via” da sempre è la via del samaritano che, consapevole di essere lui stesso povero e ferito, vede, ha compassione, si pone accanto e cura le ferite. Il futuro è proporzionale alla capacità di commozione rispetto alle vicende drammatiche che vivono gli esseri umani. I religiosi e le religiose assumono un atteggiamento “benedicente” sul tempo attuale, attenti più a ciò che nasce che a quanto muore, capaci di ricondurre all’uno il molteplice e il diverso. Non sempre è possibile formulare risposte adeguate, ma è sempre possibile vivere le domande, tracciare cammini di speranza, creare spazi e luoghi per restituire all’umano la sua dignità.
Percorsi di comunione e di speranza che coinvolgono in modo particolare l’azione dei governi degli istituti, vengono tratteggiati da quattro icone evangeliche. Il brano del grano e la zizzania (Mt 13,24-43) mette in luce lo zelo inopportuno dei discepoli nel voler separare il bene dal male e la pazienza di Dio che è mitezza, capacità di attesa, fiducia e ricerca del buono che è presente nell’altro. Quello del tesoro nel campo (Mt 13,44-52), invita a riflettere sull’insipienza di chi possiede il tesoro e la perla e li vende. Si governa consapevoli di possedere un dono: una famiglia religiosa, un carisma, un’appartenenza. La terza icona è l’invito di Gesù ai discepoli di dare da mangiare (Mt 14,13-21), cioè la sollecitazione a non guardare al poco pane disponibile ma alla molta fame del popolo. E il pane avanzato, che non va perduto, allude alle persone come risorse custodite, apprezzate e valorizzate. Infine la domanda decisiva: voi chi dite che io sia? (Mt 16,13-20). Essa richiama la centralità della relazione viva, quotidiana ed esistenziale con il Maestro. Compito del governo nella vita consacrata è indicare l’essenziale: il primato di Dio, l’ascolto dello Spirito, la radicalità del dono della vita, l’impegno alla profezia e alla speranza, il servizio come elaborazione di senso e progettazione di futuro. In altre parole, accompagnare il cambiamento, governarlo, orientarlo offrendo una direzione percorribile e creativamente fedele al carisma.

Quattro parole-chiave
Della conclusione (affidata a sr. G. Alberghina e p. L. Prezzi), articolata in una cronaca dei tre giorni e in un piccolo dizionario di 11 parole, ne riprendo solo alcune.

Affanno-umorismo. Di affanno ha parlato nelle brevi note introduttive la presidente, suor Viviana Ballarin, quando ha ricordato il dovere di dare ragione della identità e del futuro della vita religiosa in Italia e di farlo «senza calcoli e senza affanni perché l’affanno è il contrario dell’affidarsi della fede». All’umorismo ha accennato il card. Braz de Aviz prefetto della Congregazione per i religiosi. È il caso di ricordare una battuta di p. Bernardo Olivera, ex-superiore generale dei trappisti: «Il rinnovamento domanda uno sforzo ed è causa di conflitti; possono perseverare soltanto quelli che hanno una buona dose di umorismo. In effetti, quando si prende la vita con umorismo Dio ci libera dal tragico, quando si sa distinguere fra un granello di polvere e una montagna si evitano molte preoccupazioni. Più concretamente: riflettere prima di agire e ridere prima di riflettere fa evitare molte sciocchezze».

Comunità. È ormai una evidenza. Abbiamo alle spalle decenni di riflessione, di sperimentazione e di vissuti. Molte le tensioni già sperimentate: la polarità fra comunità grandi e piccole, fra comunità e opera, fra comunità omogenee e disomogenee, fra comunità inserite o profetiche e comunità secondo la tradizione, fra comunità di regola e comunità di relazione. Da anni si sperimentano e vivono comunità multiculturali, accorpamenti di comunità, comunità con pluralità di servizi e di professionalità. Nella storia della vita religiosa la comunità e la vita fraterna non hanno mai avuto una così convinta adesione e piena valorizzazione, ben sapendo che cedere su questo aspetto significherebbe una colpevole dimissione dai nostri carismi. «Parte costitutiva della vostra missione
è la vita comunitaria. Impegnandovi a realizzare comunità fraterne voi mostrate che, grazie al Vangelo, anche i rapporti umani possono cambiare, che l’amore non è una utopia, ma anzi il segreto per costruire un mondo fraterno» (Benedetto XVI, 2005).

Donne. Il tema dell’identità femminile nella Chiesa e nella vita consacrata non è certo risolto. Lo ricordava spesso p. C. Maccise, recentemente scomparso. Suor N. Hausman ne parla così: «Nel momento in cui le donne rassomigliano sempre più agli uomini e gli uomini alle donne ci si può domandare se i dinamismi narcisistici, omosessuali e infantili di onnipotenza che è necessario rapire all’altro (parlo in quanto donna) non abbiano investito in molti aspetti la vita consacrata. Ora uno dei problemi più difficili per la Chiesa di domani non sarà la questione del ruolo delle donne, ma quella del posto ancora lasciato agli uomini per essere se stessi secondo Dio»; «Per essere come l’uomo, la donna impone così all’uomo di essere meno che se stesso. E l’uomo, per una sorta di affezione al contrario, dona alla donna di accedere con lui al mondo narcisistico ove ciascuno rende
l’altro infecondo a forza di rassomigliargli»; «Ora tocca alla donna di ridonare l’uomo a se stesso rendendolo sposo e padre, come tocca all’uomo di ridare la donna a se stessa nell’amore e nella maternità».

Opera. La preoccupazione e l’inquietudine rispetto alle nostre opere si percepisce soprattutto dalle domande, dalle chiacchiere nei corridoi, dal dibattito in aula. Come dare a esse continuità, quale valutazione complessiva ed equilibrata inducono, con quale personale e quali alleanze proseguire, come arrivare eventualmente alla dismissione. Non è saggio formulare giudizi complessivi di validità o meno, quanto piuttosto avvertire la necessità di cambiare ottica: passare dall’ottica delle opere e dei numeri a quella dei «segni» e della rete. Un segno efficace può essere un’opera educativa, ma anche una presenza discreta e silenziosa, può essere un servizio mirato e occasionale come anche una convivenza interculturale, può essere vissuto in un luogo solitario come nel centro della città, può richiedere una complessa competenza professionale e un lavoro di gruppo o può esprimersi nella semplice vicinanza umana e cristiana ai feriti della vita.
La vita religiosa, in particolare quella femminile, vive da tempo in un cono d’ombra. Anche alcune espressioni della vita ecclesiale la ritengono ormai residuale. Un giudizio sbagliato e superficiale che affida a numeri e statistiche i doni dello Spirito. La presenza dell’USMI e dei gruppi dirigenti che l’hanno finora guidata esprimono una sapienza mite e coraggiosa, che affida il futuro della vita consacrata alla memoria del Vangelo contenuta nel vissuto di donne di ogni età che vivono con letizia e fedeltà la loro consacrazione al Signore.

(Francesca Balocco, su Testimoni 9 del 2012)