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puzzle-nola3-288x3001Giugno 2012

Settimana della vita consacrata in Spagna

Vocazione e missione un tutt'uno


L’evangelizzazione deve svilupparsi a partire da una profonda esperienza di Dio, vivendo intensamente la missione, che costituisce l’identità della vita consacrata,e accentuando la carità che è la credenziale di questa forma di vita non solo a parole, ma con i fatti.

Un forte risalto viene dato attualmente nella riflessione e nell’impegno della Chiesa al tema dell’evangelizzazione, soprattutto in questo anno che prelude al Sinodo dei vescovi del prossimo autunno e alla celebrazione dell’“anno della fede” che si aprirà l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II.
Ed è anche il tema prioritario che compare, un po’ dappertutto, nelle agende dei vari istituti di vita consacrata. I religiosi/e spagnoli l’hanno scelto come argomento centrale della loro 41a Settimana nazionale di vita religiosa, tenuta presso l’Istituto teologico di vita religiosa di Madrid, dal 10 al 14 aprile scorso, con la partecipazione di circa 500 persone.
I lavori hanno preso avvio dalla convinzione che l’evangelizzazione sta al centro di tutti i carismi e che la missione non è un’aggiunta alla vocazione ma un elemento che la costituisce. Lo ha affermato, in apertura della Settimana, il presidente della CONFER (Conferenza spagnola dei religiosi), p. Elías Royón, secondo il quale l’incontro dei religiosi sul tema dell’evangelizzazione è uno dei più significativi organizzato in Spagna.
Una seconda convinzione basilare che ha guidato l’assembla e i successivi incontri è quella sottolineata dal nunzio apostolico, mons. Renzo Fratini, nel discorso inaugurale, quando ha detto che è urgente ripensare l’evangelizzazione soprattutto nel campo della spiritualità e dell’educazione, per la trasmissione della vita cristiana. «La mancanza di zelo missionario – ha affermato – è sintomo di una mancanza di zelo per la fede». In effetti, «la missione è un’azione soprattutto spirituale che consiste nel far sì che Gesù sia sempre più conosciuto e amato». Ambedue le affermazioni sono state come i pilastri che hanno sostenuto i successivi interventi durante tutta la settimana dei lavori.

San Paolo come modello
Il tema è stato ripreso fin dall’inizio dalla religiosa domenicana Carmen Román Martínez nel suo intervento sulla Passione evangelizzatrice di san Paolo. È una passione, ha affermato, nata dall’incontro folgorante con il Cristo risorto sulla via di Damasco. Nell’irruzione di grazia che egli ha esperimentato, ha detto la religiosa, noi troviamo le radici profonde della sua missione. L’Apostolo, pertanto, ci ricorda che i requisiti dell’evangelizzazione nel nostro tempo consistono nel passare da un vangelo predicato a un vangelo manifestato, dalla fede creduta alla fede vissuta. Inoltre, il suo esempio mette in risalto alcuni tratti essenziali validi anche oggi ossia: parlare con parresia, con ardore e creare comunità evangeliche. La Chiesa, oggi, ha infatti bisogno di uomini e donne eccezionali per la loro fecondità creativa e la dedizione al dono che ciascuno ha ricevuto. A conferma di queste esigenze, il missionario claretiano Pedro Belderrain, riferendosi ai destinatari attuali del Vangelo, in particolare a quelli della Spagna contemporanea, ha citato, parafrasandolo, un testo del p. Pedro Arrupe, ex preposito generale dei gesuiti, il quale aveva detto che «il mondo attuale chiede visibilità e la principale è quella dell’amore, della riconciliazione e della fraternità».

Il filo del discorso ha poi continuato a dipanarsi su questa linea. Vi si è ricollegato anche mons. Manuel Sanchéz Monge, vescovo di Mondoñedo, il quale, riferendosi a un testo di Giovanni Paolo II, ha sottolineato che l’evangelizzazione deve svilupparsi a partire da una profonda esperienza di Dio, vivendo intensamente la missione, che costituisce l’identità della vita consacrata, e eccentuando la carità che rappresenta la credenziale di questa forma di vita non solo a parole, ma da parole sostenute dai fatti.

Un altro oratore, José Cristo Rey García Paredes, in una esposizione molto ricca di contenuto su La missione evangelizzatrice configura lavita evangelica, ha affermato che, nonostante la crisi attuale, se la missione è viva, tutto rivive in noi e la nostra vita diventa vangelo. Se la missione è in crisi, tutta la vita è in crisi. Ha poi proseguito affermando che oggi esiste una specie di crisi cardiaca, di scoraggiamento, per cui occorre ritrovare slancio dalle parole di Paolo: “Guai a me se non annuncio il Vangelo”. E questo è tanto più urgente in un continente come l’Europa che ha grande bisogno di essere evangelizzato. La dimensione religiosa sta conoscendo un processo di destrutturazione i cui fenomeni più appariscenti sono: il nuovo ateismo, a volte conflittuale; la falsificazione di Dio attraverso l’idolatria e la noncredenza; inoltre una vita spirituale di basso profilo, che non rende credibile il messaggio, e il fenomeno di alcuni cristiani che optano per un cristianesimo di identità più che di appartenenza, senza adesione cioè al magistero e alle sue istituzioni.
Per ovviare a questa “crisi cardiaca” che colpisce la Chiesa è necessario, ha sottolineato Paredes, ricorrere a un pacemaker che aiuti a tenere presenti i seguenti aspetti:
1. La missione che lo Spirito deve piantare nel nostro cuore è la missio Dei: bisogna pertanto passare da una concezione di missione antropocentrica a una missione teocentrica. La missione è ciò che Dio sta operando in noi, nel nostro mondo. Nasce dalle viscere di misericordia di Dio, nostro Padre, che ha inviato il suo Figlio nel mondo.
2. Anche la materia e l’universo collaborano a questa missione. Seguendo le intuizioni di Teilhard de Chardin si può affermare che lo sforzo umano ha in sé qualcosa di divino. La missione è mistica di comunione con l’universo.
3. Cominciare a sentire nuovi battiti del cuore. Il battito della nuova esperienza di Dio nel nostro tempo; quello di una nuova interpretazione dell’esperienza cristiana; il battito della maternità ecclesiale, ossia una pastorale della procreazione: la Chiesa deve diventare padre e madre degli orfani di questo mondo. Tutto questo si collega direttamente con la sua dimensione mariana. Inoltre il battito di avvicinamento ai cristiani di identità ma non di appartenenza e ai credenti delle altre religioni. Il battito, inoltre, di una leadership per la missione, di persone disposte a imparare, più comprensive di fronte alle differenze, capaci di essere arricchenti per gli altri. In una parola, ha concluso Paredes, urge «l’impianto di un nuovo pacemaker che faccia rivivere la nuova evangelizzazione».
Ma quali sono i tratti in grado di rendere luminosa la vita religiosa come strumento efficace di evangelizzazione? Ne ha parlato Yvonne Reungoat, superiora generale delle Salesiane, sottolineando che la vita religiosa nel mondo quale segno della vicinanza di Dio deve essere una memoria vivente del modo di vivere e di agire di Gesù. Essa sarà un segno luminoso del Vangelo per i giovani d’oggi infondendo in essi la gioia dell’incontro con Dio e offrendo un significato capace di riempire la loro vita. Ma per questo ha bisogno di creatività e di coraggio se vuole offrire credibilità.
– Come mediazione di vita e di speranza, la vita religiosa, ha affermato la Reungoat, è presente nella cultura della rete e affronta le sfide con senso critico, coraggio e creatività; in ogni momento si ispira alla pedagogia di Gesù, stimola la relazione reciproca tra educazione, comunicazione ed evangelizzazione, e annuncia il regno di Dio condividendo il carisma ricevuto nella sua molteplicità.
– Come profezia di vita nello Spirito, le persone consacrate vivono un’esistenza trasfigurata nelle diverse dimensioni del loro essere, incarna nella vita i tratti di Gesù, mostrando il volto umano della Chiesa portatrice di speranza.
– Come dialogo di vita senza frontiere, la vita religiosa deve essere “samaritana” e lavorare in rete per un umanesimo integrale e solidale, favorendo il dialogo interculturale, interreligioso e intercongregazionale. La vita religiosa è chiamata a essere una fiamma d’amore che illumina il presente e il cammino del futuro.

Le grandi sfide di oggi
Da parte sua,Carmen Pons, superiora generale delle Francescane dell’Immacolata, ha tratteggiato con tre pennellate le grandi sfide che si pongono oggi alla vita religiosa:
– Ascoltare e annunciare la Buona Notizia, vuol dire imparare ad ascoltare il grido dei poveri e aprire gli occhi di coloro che sono sordi alla giustizia e la bocca agli indifferenti.
– Vedere la Buona Notizia vuol dire imparare a distinguere la realtà dalla fantasia in base a un discernimento luminoso e sereno. È il momento, ha detto, di poggiare fermamente i nostri piedi per terra; è il momento dell’audacia evangelica che implica la capacità di suscitare domande e provocare inquietudini, facendoci compagni nel cammino comune dell’umanità.
– Toccare la Buona Notizia ossia abbracciare gli esclusi con viscere di compassione e toccare la realtà profonda in forza dell’amore: la cosa migliore che possiamo fare è dimenticarci di altre incombenze per far nostra l’unica che ci ha lasciato Gesù: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato.

La nostra, ha affermato Francesc Torralba, un laico diocesano, deve essere una evangelizzazione condivisa. Grande importanza ha, a suo modo di vedere, la capacità di essere persone che comunicano il dono della fede con un linguaggio adeguato. In effetti, per saper trasmettere il Vangelo alla società, ci vuole un’autocoscienza del dono e la capacità di saperlo articolare in modo significativo, sintonizzandosi con chi lo riceve. Grande importanza riveste, a questo proposito, la collaborazione tra i laici e la vita consacrata, nel superamento dei pregiudizi e favorendo una cooperazione in cui si dà la massima trasparenza insieme all’equità. I laici, ha detto, non solo devono conoscere la spiritualità delle congregazioni, ma partecipare a essa.
Questo che viviamo, ha sottolineato infine il claretiano Alberto Gonzalo Díez, è un tempo che ci offre numerose opportunità, ricordandoci soprattutto che l’unica Bibbia che molti leggeranno è la nostra stessa vita.

La grande sfida della comunione
All’assemblea è stato presente anche il card. prefetto della Congregazione per la vita consacrata, João Braz de Aviz. Parlando sul tema Comunione ed evangelizzazione, ha detto che la vita dei consacrati è una vita che si identifica con il Vangelo; la sua grande sfida è l’obiettivo della comunione che si configura come comunione missionaria.
Ha insistito molto su questo argomento affermando che la comunione costituisce il «cuore della vita ecclesiale e della risposta evangelizzatrice». Il suo fondamento teologico è la comunione trinitaria, radice, modello e orizzonte della comunione cristiana. Ma come tradurre una comunione, trinitariamente configurata, in dinamica che sia alla portata degli uomini e delle donne di oggi? Il cardinale ha risposto:
– con una identità a partire dalla comunione e per la comunione: secondo il modello trinitario, ogni vocazione ecclesiale può trovare la sua identità nella comunione con gli altri carismi. Ciò significa che per compiere il loro servizio, il vescovo, il laico o il religioso devono modellarsi sul proprio carisma;
– essere come amore: la rivoluzione della mentalità trinitaria sta nel fatto che cresce nella misura in cui si dà come dono, in una reciprocità di amore;
– con la misura kenotica di Gesù: dare la vita secondo la misura di amore di Cristo, che è la croce.
Frutto della comunione, ha concluso il cardinale, è Dio stesso, la presenza viva di Gesù nella comunità. Sarà il rapporto con Gesù a infondere credibilità al nostro messaggio e vitalità al nostro linguaggio. (A.D.)

(Su Testimoni 9 del 2012)