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I maristi verso i 200 anni di fondazione

Una Chiesa dal volto mariano

I fratelli Maristi in vista del bicentenario di fondazione ribadiscono con rinnovato slancio l’impegno insito nel loro carisma di contribuire a dare alla Chiesa un volto mariano. Spunti da una lettera del sup. gen. Fr. Emili Turú.

L’istituto dei Fratelli Maristi, fondati da san Marcellino Champagnat, il 2 gennaio 2017 celebreranno i 200 anni di fondazione. Il superiore generale fratel Emili Turú in una lunga lettera in data 2 gennaio 2012, dal titolo Ci ha dato il nome di Maria, in vista di quell’evento, ha scritto: «(è) un’eccellente momento per celebrare e ringraziare il Signore e la nostra buona Madre per tutto il bene che si è fatto nel mondo attraverso l’istituto durante questi anni. Sarà anche un’occasione per ricordare nomi, avvenimenti, persone».
Ma mentre si ricorda il passato, lo sguardo è però rivolto al futuro. Senza fare pronostici su come questo sarà, fr. Turú tuttavia si domanda: «Non sarebbe meraviglioso se nel cammino verso il bicentenario potessimo sprigionare entusiasmo, tanto da generare una specie di contagio collettivo, incoraggiandoci gli uni gli altri nella nostra fedeltà al progetto marista? Maria, aurora dei tempi nuovi, cammina al nostro fianco per essere la nostra fonte di rinnovamento».

Un’epoca di crisi “di fragilità”
Di questo rinnovato entusiasmo c’è molto bisogno, non perché manchi la fiducia, ma perché il momento attuale che attraversa l’istituto è improntato alla crisi, come del resto avviene anche in tutti gli altri istituti in questa nostra epoca. È una crisi, scrive fr. Turú, caratterizzata dalla fragilità”
dovuta in parte al fatto che, almeno in alcune regioni, la media di età dei fratelli è molto alta, ma anche perché l’impegno per sempre si rompe con facilità. Fragilità, inoltre, «anche in molte delle nostre vite personali o comunitarie, dove si riscontrano superficialità e mancanza di radici profonde».
Preoccupante è il fatto che ogni anno l’istituto conta circa cento fratelli in meno. Ma, se in passato la causa della diminuzione era determinata dal gran numero dei fratelli che lasciavano l’istituto, oggi è dovuta a coloro che muoiono, ed è una tendenza che continuerà anche nei prossimi anni. Più ancora, «continua a preoccupare il numero di fratelli che chiedono di non continuare come religiosi: in questi ultimi anni il loro numero è quasi uguale, se non superiore, a coloro che fanno la prima professione».
Davanti a una situazione del genere, fr.Turú osserva: «Siamo come una barca in mezzo a un mare agitato, che non siamo in grado di controllare e dalla quale scendono più persone di quelle che salgono, e delle quali rispettiamo la loro libertà. Se in qualche momento abbiamo pensato che la nostra barca fosse potente e inaffondabile... la traversata ci ha insegnato che è meglio assumere la nostra fragilità e metterci con fiducia nelle mani di Colui che sta in mezzo a noi e che, a volte, finge di essere addormentato in mezzo alla tempesta». Ma, la fiducia nel futuro nasce anche da uno sguardo confidente rivolto a Maria, fonte di ispirazione e di rinnovamento per l’istituto. Come era stato detto nell’ultimo capitolo generale, «ci sentiamo sospinti da Dio a uscire verso una nuova stagione per il carisma marista. Questo esige che siamo disposti a muoverci, a staccarci, a impegnarci in un itinerario di conversione tanto personale come istituzionale durante i prossimi otto anni. Facciamo questa strada con Maria, nostra guida e compagna. La sua fede e la sua disponibilità ci incoraggiano a intraprendere questo pellegrinaggio».
L’impegno a cui l’istituto intende dedicarsi con rinnovato slancio è insito nel suo carisma stesso, e può essere così formulato, come ha ben sottolineato fr. Turú: “siamo chiamati a costruire il volto mariano della Chiesa”. L’aveva ricordato anche Giovanni Paolo II nell’udienza concessa ai capitoli generali della Famiglia marista, nel 2001: «Ai nostri giorni avete il compito di manifestare in modo originale e specifico la presenza della Vergine Maria nella vita della Chiesa e degli uomini e quindi favorire uno stile di vita mariano. Questo atteggiamento – aveva proseguito il Papa – si esprime mediante una disponibilità festosa alle chiamate dello Spirito Santo, una fiducia senza limiti nella parola del Signore, un itinerario spirituale legato ai misteri della vita di Cristo e una sensibilità materna verso i bisogni e le sofferenze degli uomini, specialmente per i più piccoli».


Ma cosa significa, volto mariano della Chiesa?

Si tratta di un’espressione introdotta abbastanza di recente nella teologia. Il primo a usarla fu Urs von Balthasar e dopo di lui Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Parlare di volto mariano della Chiesa, aveva spiegato Urs von Balthasar, è un invito a condividere l’esperienza e la missione di Maria. E «se oggi noi come maristi, la facciamo nostra – commenta p. Turú – è perché sentiamo che è in una sintonia profonda con le nostre origini e perché crediamo che sintetizza bene la nostra missione nella Chiesa».
Come presentarla oggi? Fr. Turú, prima di scrivere la sua lettera circolare, ha voluto raccogliere delle idee e ascoltare anche altre persone al riguardo. Si è servito di una pagina in Facebook chiamandola Chiesa mariana dove ha posto questo interrogativo: “Secondo te, quali sono le principali caratteristiche di una Chiesa dal volto mariano?”. Una volta ricevuto le risposte, le aveva raccolte nei seguenti tre grandi gruppi:
– Servizio: attenzione alle persone più bisognose, giustizia sociale, liberazione dell’uomo.
– Madre: che crea famiglia, dove tutti hanno uguale dignità, dove si rispetta la diversità e si accoglie la differenza. Semplicità e umiltà. Vive l’amore, le tenerezza, la compassione. Accompagna, consola, accoglie invece di condannare. Umana.
– Fede pratica: aperta allo Spirito Santo, senza paure. Medita le parole di Gesù, le conserva nel suo cuore e le mette in pratica.

L’icona della Visitazione
Tre, secondo fr. Turú, sono le icone atte a descrivere le caratteristiche di una Chiesa dal volto mariano: la Visitazione, la Pentecoste e quella dell’Annunciazione.
Anzitutto l’icona della Visitazione. «Con Maria, che parte in fretta, scrive fr. Turú, ci sentiamo chiamati a vivere la nostra vita come un servizio e a portare Gesù agli altri... La nostra prospettiva nel guardare il mondo è come quella di Gesù che mettendosi a lavare i piedi, lo guarda dal basso». Cita quindi un’immagine di mons. Tonino Bello, il quale parlava della Chiesa del grembiule poiché, diceva, «questo è l’unico ornamento liturgico che possiamo attribuire a Gesù».
In questa prospettiva “dal basso”, rileva fr. Turú, «si tratta di servire, ma non da protagonisti o come chi possiede tutte le risposte, ma in ginocchio, ossia a partire dall’umiltà di chi serve perché ama, senza cercare nulla in contraccambio».
Pertanto «coloro che governano si lasciano guidare dallo spirito della Serva del Signore. Come lei ascoltano, riflettono e agiscono in vista della crescita spirituale dei Fratelli». Questa è leadership mariana che tutti condividiamo, una leadership che parte del basso, che non ha risposte prefabbricate, bensì con l’ascolto attento e con l’atteggiamento umile di Maria che sa lasciarsi interpellare da Dio e dagli altri».

L’icona della Pentecoste
La seconda icona è quella della Pentecoste. «Costruiamo comunità riunite attorno a Maria, come gli apostoli alla Pentecoste. Le nostre comunità religiose o laicali sono luoghi dove si sviluppano le nostre qualità umane e spirituali, e che diventano evangelizzatrici mediante la testimonianza dell’amore fraterno. Fedeli al nostro spirito di famiglia, accogliamo come fratello o sorella, senza riserve, qualunque persona. Da Maria, nostra buona Madre, impariamo a esercitare la tenerezza e la compassione».
Fr. Turú cita, a questo riguardo, un’altra bella immagine, questa volta del papa Giovanni XXIII, il quale diceva: «La Chiesa cattolica non è museo di archeologia. Essa è l’antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato».
Anche «le nostre comunità – commenta fr. Turú – non sono musei da visitare, ma luoghi vivi dove chi si affaccia può saziare la sua sete e condividere l’acqua di vita con altre persone». Perciò, «sappiamo di essere fonti e non l’acqua che disseta. Questo ci rende umili e lo sentiamo come un invito costante a mantenersi aperti e generosi. È la comunità della Pentecoste, riunita attorno a Maria che sa di essere portatrice di un dono più grande di lei».
Di conseguenza, «le nostre comunità e istituzioni (devono essere) delle oasi dove qualsiasi persona possa sentirsi accolta, semplicemente perché è una persona, senza necessità di dare altre spiegazioni. Maria ha ispirato ai primi fratelli un nuovo modo di essere Chiesa sull’esempio dei primi cristiani. Questa Chiesa mariana ha un cuore di madre: nessuno si sente abbandonato. Una madre crede alla bontà del cuore di una persona e perdona volentieri. Rispettiamo il percorso di ognuno. C’è un posto per tutti, per i dubbiosi e per coloro che vivono nell’incertezza spirituale. C’è ascolto e dialogo. Si affrontano le sfide e le difficoltà con chiarezza e apertura».
Sono i tratti che caratterizzavano i primi fratelli dell’istituto, i quali «vicino alla buona Madre, approfondivano il senso della fraternità, della dedizione e dell’abnegazione per il servizio degli altri. Le nostre comunità e opere educative, cellule vive della Chiesa, sono chiamate a continuare ad essere un riflesso di questo volto materno».

L’icona dell’Annunciazione
Infine, l’icona dell’Annunciazione. «Maria nell’Annunciazione è il nostro modello di apertura allo Spirito, che ascolta attentamente nel silenzio e alla cui azione ella si abbandona». Maria, commenta fr. Turú, «ancora una volta ci indica la strada da seguire. La Madonna del silenzio, dell’accoglienza, dell’ascolto attento. Lei che “custodiva ogni cosa meditandola nel suo cuore”».
Di qui la necessità di tornare alla vita interiore, in un mondo che vive in superficie. Il rischio della superficialità infatti esiste anche per i religiosi. A volte, scrive fr. Turú, «perfino sotto l’apparenza dell’impegno apostolico, possiamo vivere inghiottiti in una spirale di attivismo». Perciò, «dobbiamo pregare e pregare come maristi. E la strada che ci indica Maria è quella della contemplazione: abbandonarci come un bambino nelle braccia di sua madre. Un abbandono attivo che apre il cuore alle persone e agli avvenimenti lasciandoci toccare nel più profondo di noi stessi, come Maria che cercava di discernere in ogni avvenimento le orme del Dio delle sorprese. Percorrendo questa strada ci trasformeremo in contemplativi nell’azione».

Questo è l’impegno che i maristi intendono assumere con rinnovato slancio in preparazione al bicentenario della loro fondazione. In altre parole, impegnarsi a costruire una Chiesa dal volto mariano, con i tratti che una laica italiana, certa Marina, ha così ben descritto in Facebook: «Una Chiesa capace di accogliere sempre e in modo incondizionato. Una Chiesa che sorride e asciuga le lacrime. Una Chiesa che offre tenerezza e vive la povertà. Una Chiesa che perdona. Una Chiesa che ama con gli occhi e con il cuore. Una Chiesa che porta all’incontro e all’abbraccio totalizzante con Cristo».

(Antonio Dall’Osto, su Testimoni 9 del 2012)