102A191Maggio 2012

J.Tobin al Convegno diocesano di Napoli sulla vita consacrata

Vita consacrata: esegesi vivente della Parola di Dio

In un momento di dubbi e di incertezze come il presente crediamo che solo un’autentica fame della Parola, se accolta nella ferialità e nel dubbio, nell’affaticamento e nelle incertezze, ci condurrà a nuovo vigore, verso una creazione nuova.

Uno dei primi nomi con cui è stata designata la vita monastica è “vita evangelica”, perché nata dal Vangelo, dal desiderio di vivere con radicalità gli insegnamenti di Gesù, di condividere appieno la sua vita in comunione di ideali e di destino. La regola suprema di ogni forma di vita consacrata e di ogni istituto è e rimane il Vangelo. Il concilio Vaticano II ha interpretato rettamente l’esperienza della vita consacrata quando ha scritto che seguire Cristo, come viene proposto nel Vangelo, è la «norma ultima della vita religiosa», «la regola suprema» di tutti gli istituti «seguire Cristo come viene proposto dal Vangelo (Perfectae caritatis, 2).

Il Vangelo: regola suprema
Un interessante studio di Fabio Ciardi, fatto per il periodico del nostro Dicastero, individua gli inizi di ogni forma “nuova” di vita consacrata apparsa lungo la secolare storia della Chiesa, legandola alla comprensione misterica delle Sacre Scritture. Gli iniziatori delle diverse espressioni di vita consacrata testimoniano l’ispirazione evangelica della loro esperienza di vita, a cominciare da Antonio del deserto. La sua storia, e con essa la storia di ogni successiva espressione di vita religiosa, inizia quando un giorno ascolta la parola di Cristo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21).
Antonio accoglie quelle parole come indirizzate proprio a lui: si sente interpellato personalmente. Per Antonio la parola ascoltata è diventata un appello da tradurre in vita. La sua avventura inizia con l’obbedienza alle Scritture. È la prima grande lezione offertaci dalla Vita Antonii: il cammino spirituale, qualunque esso sia, per essere tale – “spirituale” nel senso forte del termine – domanda di essere ispirato dalla parola di Dio. «Qualunque cosa tu faccia o dica – raccomanda Antonio a chi gli chiede come piacere a Dio – básati sulla testimonianza delle Sante Scritture».
Da Antonio in poi la tradizione monastica farà della Scrittura la regola della propria vita. Quando nascono le prime Regole esse sono semplici norme pratiche, senza alcuna pretesa di contenuti spirituali, perché la sola regola del monaco è la Scrittura, nessun’altra regola era ammissibile. Riguardo alle regole di Pacomio, i compagni tengono a precisare che si tratta di norme ricavate dalle sante Scritture. «Abbiamo cura di leggere e di apprendere le Scritture – scrive Orsiesi, discepolo e successore di Pacomio – e di consacrarci incessantemente alla loro meditazione (...). Sono le Scritture che ci guidano alla vita eterna e il nostro padre [Pacomio] ce le ha consegnate e ci ha ordinato di meditarle continuamente (...)». Anche per Basilio l’unica regola è la Scrittura. Quando viene redatto l’Asketicon, il libro contenente le sue risposte alle domande dei discepoli, destinato a diventare il manuale di vita monastica, egli si rifiuta di chiamarlo Regola, come invece si farà in seguito. Il suo punto di riferimento sono piuttosto i Moralia, libro che consiste semplicemente in una raccolta di testi biblici ordinati per temi: circa 1500 versetti del Nuovo Testamento. Ecco la vera regola: la Scrittura!
La Bibbia è, a tutti gli effetti, il libro del monaco; e questo anche materialmente. Spesso infatti era l’unico libro che egli possedeva. Secondo Evagrio Pontico il monaco poteva possedere solo «la cella, il mantello, la tunica e il Vangelo». I monaci erano soliti leggere costantemente la Sacra Scrittura, fino a impararne a memoria molti libri, a cominciare dai Salmi e dal Nuovo Testamento. La recitavano mentre camminavano, mentre lavoravano... Si diceva che i monaci ruminassero la Scrittura; la lasciavano penetrare lentamente e costantemente nel cuore, in modo che ispirasse il loro comportamento, il pensiero, la preghiera. Pacomio ammonisce: «Medita in ogni momento le parole di Dio».
Giovanni Paolo II, guardando a queste espressioni del monachesimo orientale, ha scritto in proposito: «È la parola di Dio il punto di partenza del monaco, una Parola che chiama, che invita, che personalmente interpella, come accadde agli apostoli. Quando una persona è raggiunta dalla Parola, nasce l’obbedienza, cioè l’ascolto che cambia la vita. Ogni giorno il monaco si nutre del pane della Parola. Privato di esso è come morto, e non ha più nulla da comunicare ai fratelli, perché la Parola è Cristo, al quale il monaco è chiamato a conformarsi» (Orientale lumen, n. 10).
In occidente il cammino si muove nella stessa direzione. Emblematica la regola di Benedetto interamente posta sotto l’insegna dell’ascolto della parola di Dio: «Ascoltiamo la voce di Dio che ogni giorno si rivolge a noi…»; «Che cosa vi può essere di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci chiama?». Si tratta di diventare discepoli della Parola, di ascoltarla, di accoglierla, di metterla in pratica: «Il Signore aspetta che noi ogni giorno rispondiamo con i fatti ai suoi santi ammonimenti». Rivolgendosi poi ai suoi monaci li ammonisce: «Se qualcuno vi domanda di che professione o di che regola o di che ordine siete, rispondete che siete della regola prima e principale della religione cristiana, vale a dire del vangelo, sorgente e principio di tutte le regole». È infatti intimamente convinto che «non c’è altra regola che il Vangelo».
Col nascere dei Mendicanti il movimento di ritorno al Vangelo si fa ancora più intenso, se mai fosse possibile. Domenico, «dovunque si manifestava come un uomo evangelico, nelle parole come nelle opere». Egli era dunque un Vangelo vivo, capace di annunciare ciò che viveva, e tali voleva che fossero anche i suoi predicatori, «uomini evangelici». Per Francesco d’Assisi la regola è «la vita del vangelo di Gesù Cristo», avendogli l’Altissimo rivelato che avrebbe dovuto vivere «sotto la forma del santo vangelo». Non diversamente Chiara d’Assisi che ricalca appieno l’esperienza di Francesco: «La Forma di vita dell’Ordine delle Sorelle povere (…) è questo: Osservare il santo vangelo del Signore nostro Gesù Cristo». Anche lei con le sorelle, «per divina ispirazione» ha scelto di «vivere secondo la perfezione del santo Vangelo».
Nel 1500, mentre alcuni teologi, come Melchior Cano, asserivano che le donne non avrebbero dovuto mai prendere in mano la Bibbia perché per esse è un cibo pericoloso, Teresa d’Avila attingeva abbondantemente alla fonte della parola di Dio, convinta che «tutto il danno che si trova nel mondo dipende dal non conoscere la verità della Scrittura con chiara verità». L’inizio della fondazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane è frutto di una lectio divina tenuta da Giovanni Battista de la Salle al primo gruppo di maestri che aveva accolto a casa sua. Da allora la Sacra Scrittura diviene per lui e per i suoi il nutrimento quotidiano, un pane da mangiare, che si trasforma in vita, criterio di discernimento vocazionale.
Il 1700 si apre con il libro di Grignon de Montfort L’Amore dell’eterna Sapienza, lettura cristiana della corrente sapienziale che percorre l’intera Bibbia. La stessa sapienza, poco dopo, è tradotta in vita da Paolo della Croce e dai Passionisti. Nel 1732, a Scala – nel Regno di Napoli – sant’Alfonso de’ Liguori, mosso a compassione della povera gente di campagna che costituiva allora la maggioranza della popolazione, fondò la Congregazione dei Missionari del Santissimo Salvatore, chiamata poi (1749) del Santissimo Redentore, col fine di seguire lo stesso Redentore predicando ai poveri il Vangelo:“Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4, 18).
Anche l’Ottocento, il periodo più fecondo di congregazioni, trova nella parola di Dio il fondamento per la nascita di ogni nuovo istituto di vita consacrata. Brigida Maria Postorino, fondatrice delle Figlie di Maria Immacolata, narrando le origini del suo istituto annota: «(…) pensai che una sposa di Gesù diverrà perfetta se perfettamente praticherà la dottrina di Gesù. Col Vangelo alle mani, volgendo e rivolgendo, scegliemmo le parole di Gesù e su di esse tracciammo i nostri doveri». La serva di Dio Francesca Streitel, fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Addolorata, inizia la sua regola, stampata nel 1884, riprendendo l’inizio della regola di san Francesco: «La Regola di vita delle suore è come segue: Seguire il santo vangelo di Gesù Cristo». Non meno evidente l’ispirazione biblica delle fondazioni del Novecento. Don Luigi Orione sembra anticipare il documento conciliare Perfectae caritatis n. 2 quando scrive: «Nostra prima Regola e vita sia di osservare, in umiltà grande e amore dolcissimo e affocato di Dio, il Santo Vangelo». Don Giacomo
Alberione asserisce che la Famiglia Paolina «aspira a vivere integralmente il vangelo di Gesù Cristo». E la piccola sorella Magdeleine: «Noi dobbiamo costruire una cosa nuova. Una cosa nuova che è antica, che è l’autentico cristianesimo dei primi discepoli di Gesù. È necessario che riprendiamo il Vangelo parola per parola».

“Verbum Domini” e “Vita consecrata” ci accompagnano
La Verbum Domini, riferendosi in modo particolare alla vita consacrata, ne offre una definizione ricca di significato.
La vita consacrata nasce dall’ascolto della parola di Dio e accoglie il Vangelo come sua norma di vita. Vivere nella sequela di Cristo casto, povero e obbediente è in tal modo una «esegesi vivente della parola di Dio». Lo Spirito Santo, in forza del quale è stata scritta la Bibbia, è il medesimo che illumina «di luce nuova la parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola vuole essere espressione», dando origine ad itinerari di vita cristiana segnati dalla radicalità evangelica.
E il papa fa memoria: «Vorrei ricordare che la grande tradizione monastica ha sempre avuto come “fattore costitutivo” della propria spiritualità la meditazione della sacra Scrittura, in particolare nella forma della lectio divina. Anche oggi, le realtà antiche e nuove di speciale consacrazione sono chiamate ad essere vere scuole di vita spirituale in cui leggere le Scritture secondo lo Spirito Santo nella Chiesa, così che tutto il popolo di Dio ne possa beneficiare. Il sinodo, pertanto, raccomanda che non manchi mai nelle comunità di vita consacrata una formazione solida alla lettura credente della Bibbia (Verbum Domini 83).
Anche i Lineamenta, strumento su cui e con cui abbiamo lavorato intensamente, offrono degli spunti efficaci per stimolare la nostra riflessione. Indico tre paradigmi propositivi, delle sfide, per i consacrati e le consacrate. La prima sfida la definirei vocazionale:“la parola di Dio divenuta in Cristo Evangelo o lieta notizia (…) continua la sua corsa” (Lineamenta 14) ascoltata, compresa e accolta, nella traditio e nella Sacra Scrittura (cf. ibidem), da coloro che hanno creduto alla Novella Buona, tanto da accoglierla in obbedienza come forma di vita, ‘abbandonando tutto per seguirlo’ (cf. Mc 1, 16-20; 2,14; 10, 21.28). La seconda sfida la definirei configurativa: la Parola ascoltata e «incontrata con l’animo del povero, interiormente ed esteriormente, corrispondendo cioè pienamente al Verbo di Dio, il Signore nostro Gesù Cristo che da ricco che era si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà (2 Cor 8,9) povero» (Lineamenta 25) diventa per i consacrati uno stato di vita permanente, configurativo, la decisione di collocarsi “povero tra i poveri”. Questo stato di vita è “basato sullo stesso modo di Gesù di ascoltare la parola del Padre e di annunciarla a noi, con totale distacco dalle cose, sempre pronto ad evangelizzare i poveri (cf. Lc 4,18)” (idem).
La terza sfida la chiamerei caritativa: “Nutrirci della Parola, per essere ‘servi della Parola’ nell’impegno della evangelizzazione”. Ciò richiede di andare alla scuola del Maestro, notando che la sua Parola ha al centro l’annuncio del regno di Dio” (Lineamenta 26). Per i consacrati l’annuncio del Regno è la necessaria verifica della loro verginità, passione d’amore unificante per Dio e per il prossimo, il motivo dominante della loro consacrazione apostolica, la verifica della loro vita di orazione, un imperativo caritativo della Parola “Guai a me se non predicassi il vangelo” (1 Cor 9,16).
Un’ulteriore serie di riflessioni ci può venire dall’accostamento della Parola a Vita consecrata in cui Giovanni Paolo II indica i consacrati come cristiani, o meglio, persone evangeliche che si sentono chiamate a vivere il Vangelo fino alla perfezione. La loro vita nasce dal Vangelo e intende vivere il Vangelo con radicalità. Per questo è chiamata a ricordare che la Chiesa è stata convocata dalla Parola e che vive della Parola: ricorda la signoria della Parola su di essa. Giovanni Paolo II individua come «compito peculiare» della vita consacrata quello di «tener viva nei battezzati la consapevolezza dei valori fondamentali del Vangelo», in modo particolare le beatitudini. Essa reca alla Chiesa «un prezioso impulso verso una sempre maggiore coerenza evangelica». È una «eloquente, anche se spesso silenziosa, predicazione del Vangelo». Le persone consacrate «non possono non manifestare visibilmente (...) la pienezza del Vangelo dell’amore».

Dalle tre grandi icone di Vita consecrata riceviamo ancora un invito all’accostamento alla Parola.
• La prima icona: confessio Trinitatis (cf. VC 14-22).
Non è forse la Parola ascoltata, accolta, contemplata, celebrata quotidianamente, vissuta come imperativo di vita - una confessio Trinitatis? “Chiamati dal Padre ad ascoltare Cristo non possono non avvertire una profonda esigenza di conversione e di santità” (Vita consecrata 35). Santità che confessa la gloria d’amore della Trinità.

• La seconda icona: signum fraternitatis (cf. VC 45.64).
Non è forse la Parola a convocare, a istruire, a revisionare le incongruenze e il peccato della nostra vita fraterna; non è forse la Parola che conducendo a conversione conduce a comunione? Giovanni Paolo II esorta i consacrati e le consacrate a seguire “l’esempio dei primi cristiani di Gerusalemme, che erano assidui nell’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, nella preghiera comune, nella partecipazione all’Eucaristia, nella condivisione dei beni di natura e di grazia (cf. At 2, 42-47)” (VC 45). Tale esperienza diventa, appunto, segno di fraternità adatto a porre l’invito evangelico del ”Venite e vedrete” (Gv 1,39). Cosa vedranno gli invitati? “(…) la bellezza del totale dono di sé alla causa del Vangelo” (ivi 64).

• La terza icona: servitium caritatis (cf. VC 72; 78;81).
È naturale, in questa accezione, il riferimento della vita consacrata alla Parola: “La professione dei consigli evangelici, rende la persona totalmente libera per la causa del Vangelo” (cf. ivi 72). “A causa di Cristo e del suo Vangelo”: ha inizio con queste parole la Regola di vita di ordini, di istituti e di nuove comunità, indicando lo stretto legame della vita di sequela con la Parola. Ma ancora,“L’amore del Cristo ci spinge” (2 Cor 5,14). Giovanni Paolo II cita Paolo per affermare che “compito della vita consacrata è di lavorare in ogni parte della terra per consolidare e dilatare il regno di Cristo, portando l’annuncio del Vangelo dappertutto” (VC 78; cf. Lumen gentium, 44).
Un’ultima citazione. Essa colloca la vita consacrata nella storia, legandola in modo indissolubile alla Parola: “Per affrontare adeguatamente le grandi sfide che alla nuova evangelizzazione pone la storia attuale, è necessaria innanzitutto una vita consacrata che si lasci continuamente interpellare dalla Parola rivelata e dai segni dei tempi (VC 81; cf. Evangelii Nuntiandi, 13-15)

Il cammino compiuto e che si va compiendo
Vorrei dare verità a questa riflessione con un dato di fatto. Gli istituti nel tempo lungo e complesso del post-concilio hanno riscoperto la Parola e si sono impegnati e si impegnano a una frequentazione sempre più assidua di essa. Penso che si siano impegnati, in modo più o meno costante a:

• “ri-creare” il proprio stile di vita a partire dalla parola di Dio ascoltata, pregata, condivisa, applicata e valorizzano il discernimento come stato permanente di valutazione degli accadimenti ordinari e straordinari alla luce dello Spirito Santo;

• “inventare” i cammini secondo la cifra “esigente” della Parola che chiama a comunione all’interno delle comunità, tra congregazioni, tra consacrati e consacrate, con i laici e la chiesa particolare, tra vita contemplativa e vita apostolica, tra i consacrati di diverse nazionalità. Nascono così numerose iniziative e progetti condivisi di missione e di solidarietà; si genera un tessuto di vita nuovo e creativo, che dà ragione alla Parola che converte;

•  dare il “giusto” posto nel progetto personale e comunitario alla Parola, all’orazione contemplativa della Parola; essere assidui nella lettura nella riflessione biblica, valorizzando le proposte offerte dal proprio istituto e dalle diverse conferenze.

Prendo ancora dai dati concreti in possesso del nostro Dicastero: «Dai dati che ci provengono dalle relazioni sullo stato e la vita degli istituti che i moderatori, inviano alla Sede Apostolica da ogni parte del mondo (a norma del CIC can. 592 § 1) possiamo leggere con un ottimo quorum sul totale di testi inviati, che la parola di Dio è posta al centro della prassi di vita personale e di comunità. I cammini riferiti narrano della Parola in opera: costruisce la vita spirituale, illumina il discernimento, giudica lo stile di vita, chiama a conversione, sostanzia la comunione, provoca le decisioni fraterne per la comunità e la missione, sostiene il servizio dell’autorità. Un cammino certo lento, a volte ferito da ristagni e smarrimenti e, se disatteso, recuperato con umiltà, ma comunque un cammino in atto nella vita consacrata».

Per cammini alla luce della Parola, verso il futuro

Quali stimoli derivano per i consacrati /e nel confronto con la parola di Dio?

1. Il primo orientamento lega l’identità dei consacrati alla Parola, intesa come comprensione del mistero di Cristo e dynamis che unifica la vita.
“Tra le più feconde acquisizioni del concilio Vaticano II per la Chiesa cattolica vi è certamente la riscoperta della valenza propria della Scrittura nella vita ecclesiale. La Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione (Dei verbum) le attribuisce il ruolo unificante degli ambiti essenziali della vita della chiesa. Nella liturgia, infatti, le Scritture «fanno risuonare … la voce dello Spirito Santo» e per mezzo di esse «Dio viene … incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro» (DV 21); la predicazione «deve essere nutrita e regolata dalla sacra Scrittura» (DV 21; cf. DV 24); la teologia deve basarsi «sulla parola di Dio come fondamento perenne» e lo studio della Scrittura deve essere «come l’anima della teologia» (DV 24); la vita quotidiana dei fedeli deve essere segnata dalla frequentazione assidua e orante della Scrittura (DV 25). Questa centralità della Scrittura nella chiesa è volta ad apprendere «la sovreminente conoscenza di Gesù Cristo» (Fil 3,8) attraverso l’assiduità con essa”.
Rileggendo l’espressione: «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo», come affermava s. Girolamo, tutto appare più chiaro: al cuore della vita consacrata non sta un libro, ma la persona vivente di Gesù Cristo. I consacrati, dunque sono invitati ad entrare nella “conoscenza di Cristo”’ attraverso l’esercizio obbediente della Parola.

2. Il secondo orientamento lega il carisma fondazionale alla Parola e quindi, la necessità di una rivisitazione continua e creativa da parte dei consacrati per vivificare la loro presenza nella Chiesa.
Uno dei primi nomi con cui è stata designata la vita monastica è “vita evangelica” perché nata dal Vangelo, dal desiderio di vivere con radicalità gli insegnamenti di Gesù, di condividere appieno la sua vita in comunione di ideali e di destino.
Se, come si legge in Ripartire da Cristo, «è stato lo Spirito Santo a illuminare di luce nuova la parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici», se «da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola vuole essere espressione», ne segue che «in continuità con i fondatori e le fondatrici anche oggi noi, loro discepoli, siamo chiamati ad accogliere e custodire nel cuore la parola di Dio perché continui a essere lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino (cf. Sal 118, 105). Lo Spirito Santo potrà allora condurci alla verità tutta intera (cf. Gv 16, 13)» (n. 24).
Se i fondatori e le fondatrici appaiono parole dell’unica Parola, aspetti particolari della totalità del Vangelo, ogni istituto deve tornare a essere parola nell’unica Parola. Si tratta di immergere nuovamente la “parola” evangelica su cui è nata ogni famiglia religiosa e che la alimenta, nell’intero Vangelo. Vivendo il Vangelo in pienezza si avrà poi luce per cogliere la particolare dimensione evangelica su cui si è innestato il proprio istituto. Il rinnovamento a cui costantemente sono invitate le persone consacrate consiste innanzitutto nel riandare alle radici evangeliche dei carismi per trovarvi sempre nuove ispirazioni.

3. Il terzo orientamento lega Parola e profezia. Solo la Parola rende ragione di una risposta adatta alla storia, immettendo sulle sue strade la potenza creatrice dello Spirito.
Nella vita consacrata è inutile parlare di dimensione profetica, di funzione profetica, di testimonianza profetica, di natura profetica, e via dicendo, se non si parte da questo punto. Se la parola di Dio non diviene davvero la sorgente dei progetti e del senso della vita, non diviene fuoco divorante e lievito che fermenta la nostra stessa vita, la profezia è una pia illusione, anzi è sonnambulismo collettivo in piena luce del giorno. Dove la parola di Dio è uno dei tanti elementi, e
neppure il più importante, del vivere e del pensare del gruppo; dove la parola di Dio figura come libro fra i libri, sapienza fra le sapienze, lettura fra le letture, devozione fra le devozioni: mai possiamo aspettarci un sussulto profetico, mai si uscirà dalla gestione annoiata e tutt’al più devota delle intenzioni dei fondatori e della stessa radicalità evangelica.

Un banco di prova
A conclusione non si può tacere che la vita consacrata sta attraversando un banco di prova, un tempo con forti segnali di morte e di vita. Da questa constatazione storica emerge la domanda ineludibile e necessaria: chi potrà renderci capaci di vita piena e di amore, chi ricostruirà la vita consacrata, secondo le esigenze dello Spirito? Crediamo che in questa domanda sia riconoscibile un’autentica fame della Parola, che se accolta nella ferialità e nel dubbio, nell’affaticamento e nelle incertezze, ci condurrà a nuovo vigore, verso una creazione nuova.
“Non è l’uomo che può penetrare la parola di Dio, ma solo questa può conquistarlo e convertirlo, facendogli scoprire le sue ricchezze e i suoi segreti e aprendogli orizzonti di senso, proposte di libertà e di piena maturazione umana” (Lineamenta, Sinodo 2008, 34).
Ha scritto Carlo Maria Martini: «Questo mondo richiede personalità contemplative, attente, critiche,
coraggiose. Esso richiederà di volta in volta scelte nuove e inedite. Richiederà attenzioni e sottolineature che non vengono dalla pura abitudine né dall’opinione comune, bensì dall’ascolto della parola del Signore e dalla percezione dell’azione misteriosa dello Spirito Santo nei cuori».
Il contatto assiduo, impegnato, obbediente dei religiosi con la Parola, è la sola condizione perché riescano a ritrovare l’audacia delle scelte profetiche e il fervore nel portarle a compimento con parresia e robustezza d’animo.
E c’è bisogno oggi, dell’una e dell’altra, dato il momento che stiamo passando. Se vogliamo “rifondare” la vita consacrata, perché sia all’altezza delle sfide attuali e non sia pura manutenzione di vecchie storie isterilite, dobbiamo percepire questa “urgenza profetica”, non cercando ricette e istruzioni pronto uso, ma esercitando la nostra immaginazione, e ricuperando quella funzione simbolica, critica, trasformatrice di cui facciamo credito ai nostri fondatori e in genere alla storia della vita consacrata.
Sarà proprio la capacità di esercitare la nostra immaginazione profetica, nella sequela Cristi, nella forma Ecclesiae, nella imago mundi, che potrà garantire il nostro futuro, non come sopravvivenza archeologica e folcloristica, ma come stile che manifesta e attesta l’unità fra passione per Dio e passione per l’umanità. La passione che anima i profeti è soffio divino, è la passione stessa di Dio: un amore infinito per tutta l’umanità, un amore tenace, audace, fiero, sempre possibile, nonostante tutto.
Dice il profeta Amos:“Ecco, verranno giorni – dice il Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore” (Amos 8,11). Il Signore ci conceda sempre fame e sete della Parola, unite al coraggio di imbandire con essa una nuova mensa di vita, affinché in umiltà possiamo ascoltare, sfamarci e rallegrarci con tutti i poveri della terra (cf. Sal 33).

(Mons. Joseph Tobin, Cssr, arcivescovo segretario CIVCSVA, su Testimoni 8 del 2012)