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Gentili

Maggio 2012

Don Gentili (Cei) al Convegno Nazionale delle Famiglie

“Una verginità stizzita non serve ne alla famiglia ne al prete”

Vorrei scoprire insieme con voi che la ministerialità dei coniugi è inscindibilmente legata alla missione dei presbiteri. Infatti, potremmo dire che: “Ordine e Matrimonio sono due ali per volare verso il Regno”. L’immagine è quella di una mongolfiera che ci getta dentro l’esperienza affascinante di uno splendido volo. Di solito, in mongolfiera  si può volare solo insieme e non da soli. Inoltre, occorre buttar via le zavorre, o meglio, quello che appesantisce la comunione, e soprattutto, per alzarsi in volo, è necessario il grande fuoco dello Spirito.

 


Per poter “spiccare il volo” possiamo allora lasciarci librare dalle parole che all’inizio del suo Pontificato Karol Woityla ci ha offerto al n. 10 dell’enciclica Redemptor Hominis :

“L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente.”.
Questa definizione di essere umano risulta molto pertinente per due vocazioni, quella del sacerdozio ministeriale e quella dell’amore sponsale, che, pur nella differenza, sono legate da un unico orizzonte: una scelta indirizzata alla totalità del dono di sé.

Il presbitero è infatti chiamato ad una scelta incondizionata per Cristo che si traduce nell’amore per la Chiesa sua sposa e quindi in un dono totale al servizio dei fratelli.

Nel caso dell’amore coniugale invece questa totalità del dono è rivolta verso la persona concreta con cui, come coppia sponsale, divenire una caro, una sola carne, al servizio della Chiesa e della società”.

È molto chiaro questo aspetto nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1534. “Due altri sacramenti, l’Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del popolo di Dio.”.

Mentre nel Catechismo degli Adulti al n. 718, descrivendo l’Ordine e il Matrimonio, si dice : “l’uno e l’altro direttamente finalizzati a formare e dilatare il popolo di Dio, l’uno e l’altro segno dell’amore sponsale di Cristo per la Chiesa”

È chiaro il riferimento al quinto capitolo della Lettera agli Efesini, a quel “mistero grande” (cfr. Ef 5,31-32) a cui sapientemente aveva già fatto riferimento Giovanni Paolo II nella Lettera alle Famiglie al n. 19 :
“Non esiste il « grande mistero », che è la Chiesa e l’umanità in Cristo, senza il « grande mistero » espresso nell’essere « una sola carne » (cfr Gn 2,24;Ef 5,31-32), cioè nella realtà del matrimonio e della famiglia”.
Quindi la coppia sponsale che diviene famiglia, nella dimensione di piccola chiesa domestica, illumina il Mistero della Chiesa.

Similmente, il presbitero, figura di Cristo Capo, è visibile presenza del sacerdozio di Nostro Signore e del desiderio ultimo che Gesù, riferendosi all’umanità, affida al Padre “perché siano una sola cosa, come noi” (cfr. Gv 17,11).

Insieme, questi due sacramenti possono allora fecondamente costruire la comunione ecclesiale. Il sacerdote è chiaramente ministro di comunione, ma, allo stesso tempo, la piccola chiesa domestica è chiamata ad essere segno visibile di comunione.
C’è quindi una missione comunionale che lega gli sposi ed i presbiteri.

Una promessa d’amore
Il Santo Padre Benedetto XVI nello splendido incontro di sacerdoti e sposi nella Cattedrale di San Ciriaco sottolineava infatti la ”necessità di ricondurre Ordine sacro e Matrimonio all’unica sorgente eucaristica. Entrambi questi stati di vita hanno, infatti, nell’amore di Cristo, che dona se stesso per la salvezza dell’umanità, la medesima radice; sono chiamati ad una missione comune: quella di testimoniare e rendere presente questo amore a servizio della comunità, per l’edificazione del Popolo di Dio”.

L’Eucarestia è infatti la sorgente che alimenta quotidianamente la promessa del presbitero di fedeltà a Cristo e alla Chiesa sua sposa; ma è anche ciò che permette agli sposi di lavarsi i piedi gli uni gli altri nell’amore di Cristo Sposo.
Oggi però molte persone non entrano più in chiesa e talvolta, pur professandosi cattolici, non ricevono il nutrimento dell’Eucarestia.

È proprio verso le “pecore perdute della casa di Israele”(Mt 10,6) che la vita eucaristica del proprio parroco, tradotta in quel sorriso, in quell’abbraccio, in quella richiesta fatta sulle condizioni di salute di un proprio familiare, può a volte ridestare la nostalgia della paternità di Dio.

Così anche la piccola chiesa domestica può portare, per chi da tempo non partecipa alla comunità cristiana, nei condomini, nei paesi e nelle città, il riflesso della luce che emana dal tabernacolo.

C’è infatti un aspetto importante che lega coniugi e presbiteri, che richiama la permanenza e stabilità del mistero eucaristico.
Si tratta della promessa di amore.

Questo aspetto diviene fondamentale nella “società liquida” di questo tempo, come la chiama Bauman, che si manifesta nella fragilità dei legami affettivi, o meglio si esprime in un’affettività liquida, nell’incapacità di legami stabili e orientati a un futuro, imprigionati dal presente.

La promessa è infatti fondamento dell’amore sponsale e base della vocazione presbiterale. Il seminario dovrebbe essere come la palestra dove verificare la fedeltà alla promessa, da farsi in modo definitivo il giorno della consacrazione sacerdotale.
Così il fidanzamento può essere realmente un tempo di grazia quando permette di leggere nel disegno di Dio il progetto della vita coniugale da costruire gradualmente, fino alla promessa definitiva nel giorno delle nozze.

C’è innanzitutto una promessa di amore da parte di Dio che sta alla base di ogni vocazione e che sollecita la risposta del cuore umano.

È lui che “ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19) e che con la sua promessa genera la risposta nel cuore dell’uomo. È la promessa di Dio che muove il cuore di Abramo, Padre della fede e lo chiama ad uscire dalla sua terra. (cfr. Gen 12,1).

Alla base della fedeltà alla promessa, sia per i presbiteri che per gli sposi, sta l’ascolto quotidiano della Parola di Dio, particolarmente nella forma della lectio divina.
È proprio la luce della Parola che permette di tener fede all’orizzonte della chiamata e di superare le innumerevoli cadute.

Non si tratta quindi solo di una coerenza da tenere: spesso si cade facilmente; piuttosto di una fedeltà da ritrovare quotidianamente.
È incontrarsi con la fedeltà di Dio che rinnova la nostra fedeltà alla chiamata.

Questo aspetto della promessa è ciò che più manca ai conviventi, che sono visibilmente in crescita, o alle famiglie costituite di fatto, che però mancano della promessa nuziale.

Come ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI ai fidanzati riuniti ad Ancona “l’indissolubilità, prima che una condizione, è un dono che va desiderato, chiesto e vissuto, oltre ogni mutevole situazione umana. E non pensate, secondo una mentalità diffusa, che la convivenza sia garanzia per il futuro. Bruciare le tappe finisce per bruciare l’amore, che invece ha bisogno di rispettare i tempi e la gradualità nelle espressioni; ha bisogno di dare spazio a Cristo, che è capace di rendere un amore umano fedele, felice e indissolubile”.

Si tratta allora di ri-affascinare le nuove generazioni alla bellezza dell’amore sponsale attraverso preti e sposi in comunione.

La fecondità del celibato
Vorrei allora andare con voi a quella che possiamo considerare la Magna Charta dei documenti sull’Amore Nuziale che è la Familiaris consortio, che al n° 16 afferma:

“La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l’unico Mistero dell’Alleanza di Dio con il suo popolo.”.

Per molti secoli i timori sulla corporeità hanno messo in competizione le due vocazioni fondamentali, alla verginità e al matrimonio. Spesso si è confuso corpo con peccato, e quindi si è calcato l’accento sulla verginità come via preferenziale per la santità. Va detto che, nei primi secoli, la Chiesa aveva presbiteri sposati  (la guarigione della suocera di Pietro) e tuttora ve ne sono nella Chiesa Cattolica di rito orientale.

Se la Chiesa di rito latino oggi, giustamente, ritiene particolarmente conveniente il celibato per i sacerdoti, lo fa solo perché chiede loro un rapporto esclusivo e sponsale con la comunità che gli è affidata.

Una Verginità stizzosa non è certo segno visibile del Regno dei Cieli. Le giovani generazioni, in particolare, si accorgono subito se un prete è un po’ aspro o se una suora manca di quella cordialità segno della sponsalità che la lega a Cristo.

Ma, possiamo dire che questo avviene anche per gli sposati. A volte ci sono persone sposate sulla carta, ma evidentemente individualiste e isolate.

È l’Amore che rende le persone accolte e accoglienti, libere e liberanti, amate e amanti.

Questo lo penso anche per i diaconi permanenti, che, nel caso siano sposati, occorre che diffondano il profumo della nuzialità, che resta per il diacono uxorato la prima vera vocazione. Questo poi riduce il rischio di un’eccessiva clericalizzazione del diacono e di riduzione del suo ministero in un ristretto orizzonte liturgico.

Pastori secondo il cuore sponsale di Cristo

Ultimamente la Chiesa Italiana sta focalizzando l’attenzione sulla Parrocchia e sull’educazione. In tal senso uno dei punti più importanti di questa riflessione è il rapporto del presbitero con la comunità che gli è affidata. È difficile immaginare questo rapporto senza la sponsalità : finirebbe per essere solo un ufficio, una prestazione d’opera.

Lo stesso Benedetto XVI ce lo ha ricordato nella Cattedrale di San Ciriaco invitandoci, come sacerdoti, ad essere immagine di Gesù Buon Pastore: “conformatevi a Lui, al suo stile di vita, con quel servizio totale ed esclusivo di cui il celibato è espressione. Anche il sacerdote ha una dimensione sponsale; è immedesimarsi con il cuore di Cristo Sposo, che dà la vita per la Chiesa sua sposa”.

Non c’è quindi competizione fra le due vocazioni, ma complementarietà.
“Il sacerdozio ministeriale conferito dal sacramento dell’Ordine e quello comune o « regale » dei fedeli, che differiscono tra loro per essenza e non solo per grado,sono tra loro coordinati, derivando entrambi — in forme diverse — dall’unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdozio ministeriale, infatti, non significa di per sé un maggiore grado di santità rispetto al sacerdozio comune dei fedeli; ma, attraverso di esso, ai presbiteri è dato da Cristo nello Spirito un particolare dono, perché possano aiutare il Popolo di Dio ad esercitare con fedeltà e pienezza il sacerdozio comune che gli è conferito”.

Ma, vediamo come su questo ci illumina la Parola, e andiamo al cap. 19 di Matteo.
Gesù riceve dai farisei la domanda provocatoria sulla indissolubilità del matrimonio. Loro pensano di conoscere già la risposta che gli darà. Mentre, Lui li esorta ad un ritorno al principio.

Non si tratta tanto di un fatto cronologico, ma di un ritorno al fondamento. Inaugura una nuova creazione e guarisce, con la Sua Grazia Sponsale, la durezza del cuore dell’uomo. Poi si ritira in disparte con i discepoli che, in un momento di intimità, gli fanno la domanda fondamentale : “se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, allora non conviene sposarsi”.(Mt 19,10)

Gesù ribalta completamente l’orizzonte, mostrando l’Amore come ciò che è davvero conveniente e che rende l’individuo persona, cioè capace di relazioni feconde. Infatti, fa l’esempio degli eunuchi.

Una facile interpretazione direbbe che sta spiegando le ragioni del celibato. Ma , teniamo presente il fatto che Gesù sta parlando a persone perlopiù sposate. Egli sta spiegando ai suoi più intimi la fecondità di qualsiasi vocazione.

La Parola si spiega con la Parola: proviamo allora a rileggere questo brano alla luce della parabola del seminatore.

Ci sono alcuni che nascono sterili e non aprono lo sguardo al cielo (è il seme caduto lungo la strada), altri che sono resi così dagli uomini cioè si conformano alla mentalità del mondo (è il seme caduto tra le spine), ed altri che si fanno eunuchi per il Regno dei Cieli. Cioè che, alzandosi la notte per accudire i figli o la suocera, oppure spendendo la loro vita per la comunità di cui sono Pastori, muoiono a sé stessi, sono sterili dinanzi al mondo economico, ma sono terra buona di Dio, manifestano agli altri la vita buona del Vangelo, quella che ricevono dal cielo, e sperimentano il centuplo (Abramo ha cento anni quando nasce Isacco).
Si può essere allora terra buona se Dio è “la nostra terra”.
Ce lo spiega in modo chiaro lo stesso Benedetto XVI:
“Il vero fondamento del celibato può essere racchiuso solo nella frase: Dominus pars – Tu sei la mia terra. Può essere solo teocentrico. Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con Lui a servire pure gli uomini”.
Ordine e Matrimonio sono dunque un vero Mistero Sponsale, non solo in se stessi, ma anche tra loro.

La ministerialità sponsale
Oggi è impensabile rispondere all’appello accorato degli ultimi Papi, sull’urgenza della nuova evangelizzazione, senza la reciprocità delle due vocazioni. Una comunità, Famiglia di famiglie ha necessità del presbitero ; ma anche i preti del post-Concilio si stanno rendendo pian piano conto di non avere la sintesi di tutti i ministeri, ma il ministero della sintesi, quello della paternità verso il popolo di Dio.

È la comunione che guarisce, e non una relazione funzionale, per quanto specialistica. Svolgere un ufficio non è sufficiente. È necessario far vivere un’esperienza di comunità, far divenire le nostre parrocchie la Famiglia di chi non ha famiglia e di chi non crede più alla Famiglia.

Non si tratta solo di promuovere nelle comunità parrocchiali la nascita di Gruppi per giovani sposi e di chiari itinerari di fede in chiave nuziale, ma di rendere le comunità cristiane una vera “Famiglia di famiglie”, come viene precisato negli Orientamenti dei Vescovi Italiani per il decennio:
La famiglia va dunque amata, sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione non solo per i figli, ma per l’intera comunità. Deve crescere la consapevolezza di una ministerialità che scaturisce dal sacramento del matrimonio e chiama l’uomo e la donna a essere segno dell’amore di Dio che si prende cura di ogni suo figlio. Corroborate da specifici itinerari di spiritualità, le famiglie devono a loro volta aiutare la parrocchia a diventare «famiglia di famiglie».

Questo modo di intendere la Parrocchia porterà nuova fecondità anche al nostro ministero sacerdotale, che è strettamente connesso alla “ministerialità che scaturisce dal sacramento del matrimonio”, di cui ci parlano i Vescovi negli Orientamenti.

Anche i sacerdoti hanno bisogno, infatti, nelle comunità parrocchiali di un vero clima familiare dove esprimere la propria paternità.

Dovremo sostenere ogni famiglia nello stupore di sperimentare che il proprio parroco gli appartiene : come non hanno scelto il padre e la madre che Dio ha donato loro, ma hanno dovuto sceglierli dopo, altrimenti non erano sé stessi, così sono chiamati a scegliere nell’amore il prete che Dio ha pensato per la propria comunità.

Chi sceglierebbe genitori diversi da quelli che ha avuto (con tutti i loro limiti), rischia di essere sempre in fuga, senza radici.
È dal rapporto tra sacerdozio battesimale dei laici e sacerdozio dell’Ordine che nasce una comunità Famiglia di famiglie, Famiglia anche di chi è senza famiglia.

Il Santo Padre nella sua preziosa Enciclica, al n. 54 di “Caritas in Veritate” dice che la Famiglia è ad immagine della Trinità, e poi fa un bellissimo paragone:

“Come l’Amore sacramentale tra i coniugi li unisce spiritualmente in < > e da due che erano fa di loro un’unità relazionale e reale, analogamente la verità unisce gli spiriti tra loro e li fa pensare all’unisono, attirandoli e unendoli a sè”.

C’è quindi una missione importante dei sacerdoti e delle famiglie all’interno della comunità ecclesiale. Vorrei però precisare che qui non sto parlando di sacerdoti o di famiglie perfette, che non credo che esistano. Ma di pastori e coniugi in continuo stato di conversione.

Fra queste rientrano anche quelle situazioni di famiglie ferite in forte aumento nelle nostre comunità. Negli ultimi anni ho vissuto un cammino fatto di lacrime e di momenti forti di condivisione con persone separate e divorziate. Ci sono stati incontri particolarmente toccanti e in cui si respirava una comunione particolare. Sono persone ferite, una vera risorsa per la comunità.

La comunità parrocchiale infatti, e anche noi sacerdoti, siamo chiamati a prenderci cura particolarmente delle famiglie ferite. La Parrocchia può così diventare la casa di chi non ha casa, e la Famiglia di chi non crede più alla famiglia.
Questa unità fra sposi e presbiteri è poi particolarmente efficace nell’accompagnare i fidanzati alle nozze.

Quando una coppia si presenta per fissare la data del matrimonio può essere affidata ad una cosiddetta “coppia angelo” che, in unità con il parroco può svolgere una vera opera di accompagnamento, e, quando occorre, di reinserimento nella comunità parrocchiale.

Ritengo anche che, delle belle famiglie, siano in qualche modo terapeutiche per quei sacerdoti che hanno affievolito la loro passione pastorale e si siano, in un certo senso, spenti.

Potremmo forse in futuro trovare anche dei modi in cui delle famiglie esemplari nella fede, consapevoli della loro debolezza e della Grazia del sacramento siano di aiuto e di accompagnamento durante l’itinerario di formazione nei seminari.

Far crescere le famiglie come autentiche chiese domestiche potrà poi dare un nuovo impulso alla carenza di vocazioni che stiamo vivendo. Non a caso Giovanni Paolo II si augurava che “le famiglie stesse, accogliendo generosamente il dono della vita umana, costituiscano < >, nel quale i figli possano acquisire dall’inizio il senso della pietà e della preghiera e l’amore verso la Chiesa”.

Allo stesso tempo, una buona guida spirituale e la sapiente paternità sacerdotale possono essere la vera salvezza per molte coppie che spesso rischiano di trasformare una semplice crisi in una separazione.

Itinerari di riscoperta del battesimo in chiave sponsale
C’è quindi una ministerialità specifica degli sposi che va stimolata e, se armoniosamente legata alla ministerialità di comunione dei presbiteri, può efficacemente edificare la comunità cristiana. L’orizzonte ce lo ha offerto il Santo Padre a San Ciriaco, quando, all’inizio del suo discorso ci ha rinviato al brano di 1Pt 2,4-5 :

Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, 5quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. (1Pt 2,4-5)

Si tratta allora di rendere feconde, come fu per Abramo e Sara, queste “pietre”, attraverso Colui che ha la potente Grazia di trasformare delle pietre in “figli di Abramo” (cfr. Mt 3,9).

Intendo dire, come accennavo, che tanti sacramenti del matrimonio, nelle nostre comunità parrocchiali, non sono mai germogliati pienamente, in tutta la feconda potenza della Grazia sponsale.
Molti non vivono più il battesimo che hanno ricevuto.

In molti casi ci troviamo dinanzi ad una pastorale molto spinta sull’individuo e non sulla Grazia sponsale dei coniugi.
In altri casi vi sono gruppi di sposi che sono un’elitè, ristretta a pochi membri.

Occorrono allora vie differenziate, itinerari di riscoperta del battesimo in chiave sponsale, per coinvolgere gli sposi già presenti nelle varie associazioni, movimenti, e nuove comunità, e per arrivare ad avvicinare anche coloro che da tempo si sono allontanati dalla comunità ecclesiale.

Per questo non potrà essere sufficiente un’unica modalità, ma occorrerà pensare la parrocchia a cerchi concentrici, con cammini differenziati, e attenti ad accogliere con cuore aperto, e con la stessa tenerezza del Padre misericordioso verso il figlio che si era smarrito, ogni fratello che torna, cioè i cosiddetti “ricomincianti”.

È davvero spiacevole quando in una Chiesa c’è una persona o addirittura un gruppo di persone che se ne sentono proprietarie e, magari guardano in modo ostile chi non è del proprio gruppo.
Credo che questo avvenga quando non si è conosciuto abbastanza il Padre, come nel caso del figlio che si ritiene fedele (cfr. Lc 15,31). Perché, se conosci davvero il Padre, ogni uomo è tuo fratello.

È proprio questo profumo di familiarità, la caratterista primaria della pastorale familiare, che anche rispetto ad altri Uffici pastorali può vivere il suo compito comunionale, così come invita il Direttorio dei Vescovi Italiani al n. 97:
“la famiglia è di sua natura il luogo unificante oggettivo di tutta l’azione pastorale e deve diventarlo sempre di più, sicché dovrà diventare abitudine acquisita considerare i riflessi e le possibili implicazioni familiari di ogni azione pastorale che viene promossa. La pastorale familiare, in altri termini, è e deve essere innestata e integrata con l’intera azione pastorale della Chiesa, la quale riconosce nella famiglia non solo un ambito o un settore particolare di intervento, ma una dimensione irrinunciabile di tutto il suo agire”

È proprio quel profumo di familiarità che scaturisce dalla fecondità dello Spirito Santo, il vero motore della comunione, che porterà attraverso le famiglie nuovo ossigeno alle nostre comunità ecclesiali.

Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza (cfr. Rom 8,26)
Tutto questo non si realizza con coppie di sposi fiere della loro forza, né con sacerdoti che ritengono di essere incrollabili; anzi, “chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere” (cfr.1 Cor 10,12): ma in coloro che vivono in un perenne stato di conversione.

La società attuale non sostiene il matrimonio e vivere la fedeltà coniugale, in ogni suo aspetto, è sempre più difficile.
Occorre allora spalancare le porte del cuore all’incontro fra la potenza dello Spirito e la nostra umana debolezza.

Oggi il peso dei ritmi lavorativi e dei servizi pastorali, la pressione della crisi economica, e la fatica nell’accompagnamento educativo dei ragazzi e degli adolescenti sta mettendo a dura prova tante famiglie e molti preti.

Occorre allora tornare ad offrire l’abbraccio della Trinità a tanti sposi e a tanti sacerdoti feriti da avvenimenti difficili e sentimenti contrastanti, o che magari hanno smarrito la speranza.
Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. 8In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; 9perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, 10portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. (2 Cor 4,7-10)
Vorrei allora concludere con delle bellissime parole sul fascino del nostro ministero presbiterale. “La promessa di Dio è di assicurare alla Chiesa non pastori qualunque, ma pastori « secondo il suo cuore ». Il « cuore » di Dio si è rivelato a noi pienamente nel cuore di Cristo buon Pastore. E il cuore di Cristo continua oggi ad avere compassione delle folle e a donare loro il pane della verità e il pane dell’amore e della vita, e chiede di palpitare in altri cuori — quelli dei sacerdoti —: « Voi stessi date loro da mangiare ». La gente ha bisogno di uscire dall’anonimato e dalla paura, ha bisogno di essere conosciuta e chiamata per nome, di camminare sicura sui sentieri della vita, di essere ritrovata se perduta, di essere amata, di ricevere la salvezza come supremo dono dell’amore di Dio: proprio questo fa Gesù, il buon Pastore; Lui e i presbiteri con lui. (…) Carissimi sacerdoti, lo fate perché il Signore stesso, con la forza del suo Spirito, vi ha chiamati a ripresentare nei vasi di creta della vostra semplice vita il tesoro inestimabile del suo amore di Pastore buono”.

(Don Paolo Gentili, Direttore ufficio per la famiglia della C.E.I. Su www.fanodiocesi.it. Postato da Angela Magnoni)