dscf0060.jpg_webAprile 2012

Il movimento internazionale delle suore domenicane

Le Domenicane e l'evangelizzazione

 

«Il progetto principale che abbiamo nel cuore è l’impegno per donare noi stesse nella nuova evangelizzazione senza frontiere, con coraggio e volontà, sapendo utilizzare i nostri talenti femminili».

«In questo anno che l’Ordine domenicano ha dedicato alla riflessione sulla “predicazione al femminile” è opportuno domandarsi... noi, donne domenicane, predichiamo veramente? Quali sono gli ambiti del nostro annuncio? Qual è il nostro messaggio?». Questi interrogativi espressi da sr. Edvige Tamburini, presidente dell’Unione superiore maggiori domenicane d’Italia-Malta (USMID), ci hanno spinto a intervistare sr. Maria Fabiola Velásquez Maya, attuale coordinatrice del Movimento internazionale delle suore domenicane (DSI).

Da quanto tempo è sorto il “Movimento internazionale delle suore domenicane” (DSI) e in che cosa consiste il ruolo di coordinatrice che lei ricopre?
Il DSI è nato ufficialmente nel 1995, ma è stato il frutto di parecchi anni di ricerca di diverse superiore generali che desideravano avere un Segretariato generale o un altro organismo come punto di riferimento o di sostegno per le loro relazioni e la collaborazione, tenendo conto del fatto che il numero delle congregazioni domenicane di vita apostolica si andava moltiplicando. Il ruolo di coordinatrice internazionale che io ricopro in questo momento è molto vario e ricco, esigente e con spirito formatore.
Nel complesso ho le seguenti responsabilità: a) lavorare con il Consiglio coordinatore, composto da 5 suore, una per continente, per promuovere le priorità stabilite dall’Assemblea generale; b) rappresentare il Movimento DSI, in particolare negli altri organismi dell’ordine domenicano e della Chiesa; c) mantenere la comunicazione con le congregazioni, i gruppi continentali e gli altri rami della Famiglia domenicana; d) collaborare con le rappresentanti delle domenicane internazionali di Giustizia e Pace, del volontariato domenicano internazionale, del Movimento internazionale dei giovani; e) partecipare alle assemblee continentali più importanti.

Un movimento di consacrate di vita apostolica
Come si inserisce il DSI nella struttura organica dell’ordine di san Domenico?
Dominican Sisters International si propone di creare una rete di contatti tra le domenicane di vita apostolica in tutto il mondo, nell’interesse della missione della predicazione e dell’evangelizzazione dell’Ordine. Gli obiettivi principali sono: aiutarci reciprocamente nella realizzazione del carisma; promuovere la nostra identità di donne predicatrici nella nuova evangelizzazione; promuovere il più possibile la comunicazione e il lavoro in rete (internet, skype, facebook ecc…), anche se in certi luoghi questo non è ancora possibile; impegnarci seriamente per sviluppare nel mondo una cultura più consapevole, promuovendo pace e giustizia, integrità del creato e diritti umani, in particolare quelli di donne e bambini; sperimentare e sviluppare iniziative di collaborazione all’interno della Famiglia domenicana; lavorare con più attenzione al servizio delle fusioni tra congregazioni piccole o in difficoltà; creare nuove forme di collaborazione tra le congregazioni stesse, per vivere meglio la missione in generale, per consolidare la formazione e per prenderci cura più adeguatamente delle suore anziane in difficoltà.
In particolare, nel percorso verso il Giubileo di fondazione dell’Ordine dei Predicatori (l’800° centenario si celebrerà nel 2016) è molto significativo che il tema del 2012 sia Le domenicane e la predicazione: c’è in questo un riconoscimento esplicito della nostra identità. Mi sembra importante ricordare che san Domenico ha prima di tutto fondato il Monastero de Prouilhe, in Francia, per la vita domenicana contemplativa; che quelle donne monache fin dall’inizio hanno avuto come missione quella di predicare con la preghiera e con l’esistenza il vangelo dell’Amore, della misericordia e della compassione di Dio. Oggi tutte le donne domenicane (sia monache che suore e laiche) sono chiamate a vivere la stessa missione, come membri della stessa famiglia.

Il Maestro generale nella sua ultima lettera incoraggia la vostra Famiglia all’annuncio insieme della parola di Dio...
Per me, la scelta che ha fatto l’attuale Maestro dell’Ordine, fra Bruno Cadoré, di riprendere l’espressione risalente all’epoca della fondazione di un ordine come quello domenicano “totalmente impegnato nell’evangelizzazione della parola di Dio”, mi sembra rispondere meglio alla nostra realtà di donne: tenendo anche conto che in gran parte del mondo noi non possiamo “predicare” in senso stretto, perché questo è riservato agli uomini... anche se nessuno può impedirci di essere portatrici della parola di Vita. Attraverso opere e attività molto diversificate e con la testimonianza di una vita totalmente dedita agli altri, noi facciamo l’annuncio della Buona Novella e siamo davvero coinvolte a tempo pieno nella nuova evangelizzazione. Certamente l’espressione di fra Bruno, condensata nel termine “evangelizzazione” al posto del termine “predicazione”, mi sembra molto più profonda e ampia.

Com’è oggi il Movimento internazionale delle domenicane e cosa apporta all’evangelizzazione?
Nel DSI siamo più di 24mila suore, presenti in 111 paesi, suddivise in 151 congregazioni: la nostra collaborazione nella missione dell’Ordine è concreta, reale… Come donne, abbiamo tantissime possibilità d’approccio che continuiamo a scoprire e a utilizzare. Per noi l’essere e l’agire sono strettamente uniti: a partire dall’insegnamento, dal servizio alla salute e alla parrocchia, noi abbiamo numerose possibilità d’incontro con tutte le categorie di persone a livello umano, psicologico e spirituale.
La nostra presenza, l’esercizio dell’ascolto e il vero dialogo interpersonale sono tutti i “ponti” utili per far passare il Vangelo. Sono convinta che nel nostro oggi, come ancor più nel futuro, se continuiamo a focalizzare, come senso centrale della vita, la persona e la missione che Gesù ci ha lasciato (vedi i suoi rapporti con Maria Maddalena e la Samaritana), noi donne saremo capaci di superare le difficoltà che abbiamo talvolta anche per collaborare insieme ai fratelli domenicani. Vogliamo essere oggi donne consapevoli della condizione di consacrate, vivendo lo stesso carisma di san Domenico.
In verità so bene quanta strada ci sia ancora davanti a noi, per passare dalla splendida teoria alla pratica! Il progetto principale che abbiamo nel cuore è comunque l’impegno per donare tutte noi stesse nella nuova evangelizzazione senza frontiere, con coraggio e volontà, sapendo utilizzare i nostri talenti femminili. Ho constatato un po’ dappertutto, attraverso i tanti viaggi che compio, che una competenza nuova ci caratterizza come donne domenicane e che si moltiplicano figure femminili autorevoli nei vari campi: dalla direzione spirituale alla guida di uffici diocesani e nazionali, alla responsabilità in parrocchie o in comunità prive di sacerdoti.

Pensare il femminile nella VC
Queste affermazioni riecheggiano alcuni recenti pensieri della teologa domenicana Antonietta Potente, che invita a pensare il femminile per inglobarvi l’annuncio di una liberazione integrale. Ella così ricorda tutte «quelle donne i cui cammini di predicazione hanno coinciso con cammini di liberazione interiore e sociale. In questo senso la predicazione è diventata allora: riprendere e riprendersi la parola, partecipare senza chiedere permesso o chiedendolo con strategie di liberazione; inserirsi nella vita della città o di uno stato, nel mondo culturale e lavorativo».
La storia della predicazione al femminile comprende infatti le mistiche nell’Europa incorporate nella predicazione dei padri – vedi Eckart,Tauler, Enrico Susone – diventati famosi come creatori delle correnti spirituali, ma in realtà sostenuti dalla forza di molte donne. Così pure tale evangelizzazione si riappropria della fonte della democrazia moderna – si ricordi che nella rivoluzione francese la categoria di “uguaglianza tra fratelli” esclude le donne dalla cittadinanza politica – soprattutto nel conflitto generato dalla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1792 (fatta da Olympe de Gouges, ghigliottinata). Questa predicazione arriva anche alla riflessione di Virginia Wolf, che nel 1938, mentre avanzava il sistema nazi-fascista, formula una critica serrata al concetto di patria e alla politica competitiva degli uomini nel saggio La società delle estranee. Sua la frase: “non ho patria, non voglio patria alcuna, in quanto donna la mia patria è il mondo intero”.
«La questione del genere, dice la Potente, riguarda qualcosa di molto più profondo e complesso che va dalla costruzione sociale e culturale (ciò che pensano gli altri su noi donne e tutti i modelli relativi che si sono creati e che anche noi abbiamo assunto) fino ad arrivare alla questione della identità che riguarda ciascuna di noi. È certo che anche nell’ordine così come nella Chiesa e nella società, esiste una discriminazione del nostro genere, ma per questo è urgente ripensarci e ripensare».

L’evangelizzazione come allargamento di spazi
La teologa ritiene che discriminante su questo punto sia il concetto di grazia, intesa come possibilità di allargare lo spazio, il contrario della chiusura, dell’esclusione ma anche della paura. Ella ritiene che «la predicazione è femminile, perché Domenico ha una personalità femminile, una personalità del prendersi cura con tutta la passione che questo comporta»: uno stile che «si perde tutte le volte che la predicazione diventa un ruolo istituzionale, di una élite o di un gruppo. La predicazione della grazia è una predicazione di riscatto e il riscatto è la grazia; questa possibilità di stabilire un incontro, riscattare il bello, il vero, quello che sta accadendo nella vita degli altri… In questo senso allora, la predicazione non è un fatto pastorale ma piuttosto teologico. La predicazione non è un tema, è uno stile di vita, è uno stare in un certo modo nella realtà della storia».
La predicazione poi si definisce come riconoscimento. «Noi pensiamo quasi sempre che l’annuncio è una questione di ripetizione di contenuti, invece si tratta di uno sforzo di riconoscimento, una ricerca costante. Allora la predicazione nasce da un riconoscimento di ciò che vediamo: il dare il nome a ciò che accade… Ma purtroppo abbiamo fatto della predicazione e del dare il nome, una pura sacramentalizzazione, il “dare il nome” per noi è quasi un segno di proprietà, il Battesimo di qualcuno, e non di immersione: il nostro Battesimo. La predicazione è perché l’altro ci riveli qualcosa che sa; è suscitare e ricercare sintonie. Quindi la predicazione è una ricerca costante, è questa itineranza della mente, del cuore, del corpo intero… La storia è in costante movimento e noi, invece, preoccupate di come possiamo salvarci, bloccando e stando ferme, mentre gli altri per salvarsi rischiano la vita, attraversano i mari, le frontiere, i muri, le barriere, i confini…».
Occorre infine comprendere la predicazione come parresia: non un’evangelizzazione di attacco o di difesa, ma una predicazione libera, che non ha bisogno di giustificazioni e di orpelli a cui rifarsi per volersi spiegare a tutti i costi. Preferibile «stare sulla soglia che abitare nelle tende degli empi, perché abbiamo ottenuto privilegi o vantaggi.
Credo che la nostra predicazione oggi è troppo debole o insignificante, perché siamo ancora troppo legati a un concetto di predicazione che è un mandato dall’alto, siamo ancora troppo gerarchici, istituzionali e, allora, la predicazione è un metterci sempre sulla cattedra per insegnare e non la ricerca di un dialogo e di un incontro e lo stupore che ne deriva. Abbiamo ancora troppe paure di perdere spazi, riconoscimenti... La predicazione è fatta di desiderio di incontro perché altri prendano la parola».
La predicazione domenicana e femminile è insomma uno stile di chi non ha appoggi, di chi non ha bisogno di giustificazioni religiose o gerarchiche. C’è bisogno solo della grande passione di aprire dialoghi con la realtà, con gli altri. La nuova evangelizzazione è legata all’ascolto e l’ascolto è legato al dialogo-riconoscimento degli altri. «Quasi sempre i nostri spazi, conclude sr. Potente, sono spazi di troppe sicurezze e sono poche le volte che noi dialoghiamo con gli altri, perché a noi piace insegnare agli altri e allora gli spazi si restringono: cerchiamo categorie di persone più deboli, non per intraprendere dei cammini di liberazione di dignità, ma perché la maggior parte delle volte ci danno più soddisfazione, sono più docili. Invece i più inquieti restano fuori...».
Nel percorso verso il Giubileo fondativo, le domenicane ci invitano davvero a contemplare la bellezza della navicella di Domenico in cui, come dice Caterina, tutti stanno bene, perfetti e non perfetti.

(Mario Chiaro, su Testimoni 7 del 2012)