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i-preti-cattolici-pregano-thumb15366595Aprile 2012

Convegno su agio e disagio nel lavoro pastorale

Attenti allo stress!

 

 

 

Decidere di prendere sul serio la sofferenza psichica di chi opera nella pastorale non può più essere un optional, ma deve essere parte di una responsabilità comune, che coinvolge anche i laici. Per questo è urgente trovare nuove vie per la formazione dei sacerdoti.

Come diceva un direttore spirituale ai suoi novizi: se sei un curatore d’anime, smettila di trascurare te stesso e allenati a reagire, ripristinando il sostegno interiore centrato sulle motivazioni di fondo. È il suggerimento rivolto da padre Giuseppe Crea, missionario comboniano e psicoterapeuta, ai partecipanti al convegno Preti sul lettino. Agio e disagio nel lavoro pastorale che si è svolto il 12 marzo a Roma, per iniziativa dell’Istituto di Psicologia della Università Pontificia Salesiana. «La situazione di disagio – ha spiegato padre Crea – può verificarsi anche nel lavoro quotidiano di chi opera nella pastorale, e soprattutto per quanto riguarda i sacerdoti è sempre più urgente affrontarla in maniera esplicita e diretta: quando si temporeggia, pensando di fronte a un problema di poterlo risolvere da soli, magari cercando qualche scappatoia, le ferite si amplificano e diventa poi più difficile e doloroso intervenire in maniera adeguata». Perché accade? Perché «non è semplice lavorare nella pastorale e i sacerdoti sono i primi a essere attenti alle sfide sempre nuove che li interpellano. Ci sono, poi, le fragilità intrapsichiche. Per questo è urgente trovare nuove forme di collaborazione, a partire da quella tra i sacerdoti: non è facile che i preti collaborino tra di loro, soprattutto in campi vari e disparati come quelli in cui ci si trova concretamente a svolgere la propria azione pastorale. Eppure, queste forme di collaborazione sono sempre più necessarie oggi, altrimenti il rischio per i sacerdoti è il sovraccarico, lo stress o, nella peggiore delle ipotesi, la sindrome del burnout cioè quando lo stress diventa condizione patologica e demotivazione costante».
Inoltre «quando la persona avverte il peso delle proprie inconsistenze deve imparare a individuare i tanti segnali di un malessere che si sta accumulando dentro di sé, senza negare le problematiche ma al contrario riconoscendole come parte della propria storia. Decidere di prendere sul serio la sofferenza psichica di chi opera nella pastorale, allora, non può più essere un optional, ma deve essere parte di una responsabilità comune, che coinvolge anche i laici». Per questo «è urgente trovare nuove vie per la formazione dei sacerdoti. Esistono già buoni segnali operativi, perché si sono ormai intrapresi nuovi percorsi, come quello di facilitare la formazione psicologica e spirituale, non solo intellettuale, dei candidati al sacerdozio».

Trovare i giusti equilibri
Sul tema della formazione il seminario ha trovato una sintonia tra i relatori, nonostante la varietà delle impostazioni. Ad esempio il prof. Hans Zollner, gesuita, direttore dell’Istituto di Psicologia dell’Università Gregoriana, ha messo l’accento sulle differenze tra le situazioni culturali, sociali e dunque anche formative. Occorre trovare – ha proposto – un equilibrio tra la persona, il contesto, le caratteristiche della formazione in seminario. E anche trovare un equilibrio tra diritto canonico e psicologia, per arrivare a una vera formazione umana integrale, che oggi manca. Il prof. Zollner ha portato diversi esempi di quanto accade in molte parti del mondo ed è poi arrivato a toccare il tema scottante della pedofilia, sottolineando che esiste un ritardo da parte della Chiesa nell’analizzare questo fenomeno. La teologia, ha notato con forza, deve fare i conti con la psicanalisi. Che ne è oggi del senso del peccato, cento anni dopo Freud? Si tratta dunque di aggiornare le categorie teologiche e gli strumenti per dialogare con la realtà, uscendo dal chiuso del linguaggio specialistico e specifico per incontrare i reali problemi delle persone.
Un aiuto in questo senso è venuto dagli altri due relatori. Il primo, il prof. Leslie Francis, anglicano, teologo e psicologo, docente all’Università di Warwick in Gran Bretagna. In base ai numerosi studi da lui effettuati sulle dinamiche e sulla realtà del clero, cattolico e protestante, nel Regno Unito, negli Usa, in Australia, e utilizzando gli strumenti di analisi psicologica di Eysenck (rivisti dallo stesso Francis si tratta del test che misura le categorie di estroversione-introversione), il relatore ha notato che i sacerdoti appartengono alla categoria psicologica degli introversi in una percentuale significativamente più alta rispetto alla media della popolazione maschile. Il prof. Francis nei suoi studi ha verificato che la caratteristica di introversione significa preferire lavorare per conto proprio su obiettivi piuttosto che in gruppo, privilegiare il contatto interpersonale (confessione e direzione spirituale), propria vita di preghiera, cura dei dettagli e capacità organizzativa per la vita parrocchiale, scarsa flessibilità nel cambiare i progetti o adattarli per rispondere a nuove urgenze. Il che significa che secondo gli studi compiuti i sacerdoti sono più a rischio di stress. L’introversione, nel resto della popolazione, è una caratteristica di personalità più femminile che maschile; nelle suore si osservano punteggi più alti nella scala dell’estroversione, che nella popolazione generale è piuttosto una caratteristica maschile.
Il secondo relatore, prof. Alberto Oliverio, psicobiologo, docente tra l’altro alla Università salesiana, nella sua relazione è partito dalle «frizioni» che in passato hanno opposto psicoterapia e cura dell’anima, in particolare alle diffidenze nei riguardi del mondo dell’inconscio da parte della Chiesa. In realtà, quello che Freud ha denominato contro-transfert «non si manifesta soltanto sul setting terapeutico ma anche nelle relazioni tra sacerdote e fedeli attraverso un’empatia che consente alla persona di sentirsi compresa e accolta».
In Italia, in particolare, c’è stata una lunga diffidenza e larvata conflittualità tra le figure dello psicoterapeuta e del prete «ma a partire dagli anni settanta del novecento, lo sviluppo dei corsi di laurea in psicologia ha innovato la situazione: il mondo dell’inconscio ha trovato una maggiore accettazione, un crescente numero di preti ha seguito corsi di laurea in psicologia. Certo, come indica Jean Claude Larchet ne L’inconscio spirituale, viene spesso operata una distinzione tra il piano psichico e quello spirituale dove quest’ultimo viene inteso come un rapporto positivo o negativo con Dio e la malattia spirituale come una turba del normale rapporto dell’uomo con Dio, mentre la malattia psichica è considerata come una disfunzione dei rapporti con se stessi e con gli altri». Malgrado queste differenze, ha aggiunto il prof. Oliverio, il piano della psiche «comporta un approccio metacognitivo, termine che rimanda alla consapevolezza e conoscenza che noi abbiamo della mente, del suo modo di lavorare, di andare incontro ad alcuni problemi e così via».
Conoscere come funziona la nostra mente costituisce un primo, essenziale passo per comprendere e gestire le proprie esperienze e i rapporti con gli altri, indipendentemente da un approccio laico o religioso. Quest’aspetto è particolarmente rilevante a seguito del forte sviluppo delle neuroscienze che ci dicono, sostanzialmente, che siamo esseri umani perché abbiamo il cervello che abbiamo: un cervello che ha i suoi pregi e difetti, regole e condizionamenti ma anche i suoi gradi di libertà. Ovviamente, non tutto ciò che facciamo dipende da come siamo fatti in quanto l’esperienza cambia le regole della mente e dello stesso cervello. Infine «se consideriamo le diverse dimensioni dell’esperienza, ci rendiamo conto che esse riguardano il conoscere se stessi, vale a dire sperimentare le capacità della nostra mente e del nostro corpo. L’esplorare diversi settori della conoscenza umana, apprendere ad aiutare gli altri, esplorare la dimensione dello spirito e della religione, fare esperienza nel campo delle relazioni interpersonali, imparare a esprimersi, a vivere. Questi aspetti sfaccettati dell’esperienza riguardano tutti noi, in particolare quanti si rivolgono all’aiuto e alla comprensione degli altri, tra cui il sacerdozio».

Non solo l’uso della psicologia
Nel convegno un’altra voce è stata quella della prof.ssa Lucetta Scaraffia, docente di storia alla Università «La Sapienza» ed editorialista de L’Osservatore Romano. La prof.ssa Scaraffia ha espresso delle riserve su quello che ha definito un eccessivo utilizzo della psicologia e ha piuttosto esortato ad aprirsi alla parola di Dio e a un atteggiamento di fiducia e di richiesta di aiuto verso la Provvidenza piuttosto che verso le scienze umane. Per quanto però riguarda il ruolo delle donne, ha sottolineato che restano troppo spesso ai margini e sarebbe auspicabile e in tempi brevi un loro coinvolgimento, ad esempio nelle docenze nelle università pontificie, negli istituti e facoltà teologiche.
Secondo il prof. Francis il lavoro da svolgere per migliorare la salute psicologica del clero è basato su un approccio che ha chiamato «teologia delle differenze individuali», su cui innestare un approccio pastorale e formativo che utilizza le scienze umane. «La teologia delle differenze individuali si fonda su un approccio sistematico che prende molto sul serio gli elementi costitutivi della dottrina cristiana: le dottrine della creazione, caduta, la redenzione e la santificazione.
Questa nozione della teologia delle differenze individuali è prima di tutto basata sul racconto della creazione: Genesi 1,27 dice che Dio creò l’uomo a immagine di Dio, e li creò maschio e femmina. L’intuizione chiave è che Dio abbraccia la diversità e che tale diversità si riflette in quelli che vengono creati a immagine di Dio. Uomini e donne vengono dunque creati a immagine di Dio e le differenze individuali sono ricomprese nella creazione, ne fanno parte, tutti dunque hanno pari valore e dignità. Se una tale teologia delle differenze individuali vale per le differenze di sesso poi, per estensione, tale teologia dovrebbe valere anche per altre differenze ugualmente radicate nella creazione, vale a dire l’intenzionalità del creatore divino. Tali differenze possono includere l’etnia o la personalità».

Occorre ripensare la formazione permanente
A questo proposito è stato sottolineato nel corso dell’ampio dibattito che occorre ripensare profondamente la formazione permanente, svincolandola da una concezione superficiale oppure da una visione semplicistica che la relega a eventi straordinari di aggiornamento. In qualche caso è emersa la comunicazione difficile tra sacerdoti e vescovi, in altri casi come lo scontento dei fedeli non trovi la strada per incanalarsi in un dibattito e resti a livello di pettegolezzo dannoso. Da qui l’attualità del lavoro del prof. Francis secondo il quale una competenza psicologica aiuta moltissimo in un’ottica che vede le differenze individuali come frutto della creazione, in quanto radicate profondamente nell’umanità degli uomini e delle donne concrete. E allo stesso tempo costituisce un richiamo costante al cambiamento, al miglioramento, alla presa di coscienza. Un aspetto, quest’ultimo, richiamato dal rettore dell’Università Salesiana, don Carlo Nanni, che ha ribadito la mission dell’università nei campi della formazione. E la giornata di studio è terminata con l’impegno a ritrovarsi per un nuovo approfondimento, integrando sempre più strettamente teologia, psicologia, pastorale, spiritualità.

(Fabrizio Mastrofini, su Testimoni 7 del 2012)