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missionaricomboniani2Aprile 2012

I comboniani e la loro missione in Europa

Un progetto di missione globale

L’Assemblea europea di animazione missionaria e evangelizzazione dei missionari comboniani si è interrogata sul proprio ruolo, oggi, in Europa. Un modello di missione da rivedere per rispondere alle esigenze attuali.

Come identificare nuovi progetti comuni da realizzare in Europa? È la domanda che si sono posti i comboniani nell’Assemblea europea della evangelizzazione e animazione che hanno tenuto a Pesaro dal 7 al 16 febbraio scorso. Di fronte alle tante novità che hanno caratterizzato gli ultimi decenni del vecchio continente, i comboniani da tempo si stanno interrogando su come rispondervi a partire dalla loro vocazione e carisma missionario.
Provocati da uno specifico invito del capitolo generale del 2009, una cinquantina di missionari comboniani, insieme a laici che con loro condividono il carisma e la loro spiritualità, si sono domandati quale sia il loro posto oggi all’interno della società e delle chiese d’Europa, aiutati in ciò da alcuni esperti, come il biblista Alberto Maggi, l’economista Santo Vicari, il direttore della Radio vaticana Séan-Patrick Lovett, il catecheta Enzo Biemmi e il direttore della rivista Popoli e missioni, il comboniano Giulio Albanese.

Ascolto e progettazione
Il lavoro assembleare si è sviluppato lungo due direttrici: quella dell’ascolto, della condivisione di esperienze e prospettive a livello provinciale e interprovinciale, e quella della formulazione di progetti concreti per la presenza comboniana in Europa.
La sezione di ascolto – in particolare dei relatori sopra citati – ha sottolineato l’essenzialità della parola di Dio come fondamento di ogni progetto missionario, vista soprattutto l’attuale situazione a livello mondiale, dove prevale la legge di mercato, cinica e indiscutibile, dove domina la finanza con la logica intrinseca che inevitabilmente favorisce l’arricchimento dei soliti pochi, rende difficile una convivenza pacifica e solidale e mina il futuro delle nuove generazioni.
Per un valido progetto missionario, si è detto ancora, è necessario comprendere maggiormente il valore della comunicazione e apprenderne le modalità più efficaci, vista la necessità di un “secondo” annuncio al nostro vecchio continente, dove tutte le chiese, al di là della loro identità confessionale, faticano a intercettare le coordinate di una effettiva comunicazione con l’europeo medio, che sembra organizzarsi bene la vita anche senza Dio. Di particolare rilevanza è stato l’intervento del superiore generale, p. Enrique Sánchez González, che ha parlato da Roma attraverso un contatto video.
Nel suo intervento, egli ha posto all’attenzione dell’assemblea due aspetti:

1) non rimanere in una missione che conosciamo e che viviamo da protagonisti e da padroni, poiché questa è una modalità che non funziona più. La sfida per aprirsi a un nuovo modello di missione, ancora tutta da scoprire nelle sue forme, è di «aprirsi a nuove forme di vita personale e comunitaria», che il superiore generale identifica soprattutto «nell’annuncio della parola di Dio, l’invito a fare esperienze di comunione e di fraternità, di riscoprirsi fratelli e sorelle capaci di inventare una vita nuova che nasce dal Vangelo e dall’incontro con il Signore»;

2) come missionari e come comboniani oggi non possiamo rispondere a tutte le richieste, a tutte le urgenze: anche se può rivelarsi un compito difficile, «dobbiamo essere umili e fare delle scelte che ci fanno soffrire», in particolare «dobbiamo andare dove c’è un forte bisogno di Dio», e farlo imparando a collaborare come province comboniane d’Europa. Secondo p. Sánchez, «la sfida è quella della testimonianza», poiché ciò che provoca la curiosità e l’interesse della gente non è tanto il fare, «ma lo stile di vita, i valori che portiamo dentro, fondamento del nostro agire». Apertura, comunione, vita comunitaria forte: sono gli ingredienti indispensabili per una missione che risponda ai bisogni dell’uomo europeo oggi, alla sua «povertà fatta di vuoto, di mancanza di senso di vita, di preoccupazione esagerata per il benessere, la comodità»…
Perciò, ha insistito il superiore generale, «abbiamo un servizio da fare partendo dal nostro essere uomini di Dio», e ciò richiede «un cammino di ricerca e di conversione», poiché «dobbiamo finirla con un agire che non è in sintonia con l’essere uomini di Dio».

Nuovi stili di presenza
Per chi ha scoperto la propria vocazione missionaria in un modello che contemplava l’andare tra i pagani in terre d’oltremare, è un’impresa non facile cercare un nuovo ruolo missionario nel vecchio continente. Ma le trasformazioni degli ultimi cinquant’anni – ha fatto notare p. Zolli, membro del coordinamento dell’Assemblea – hanno contribuito a una rilettura del modello di missione che per alcuni secoli ha caratterizzato la vita della Chiesa.
Raccogliendo germi di rinnovamento già presenti nella Chiesa, il concilio Vaticano II aveva riconosciuto come elemento qualificante la propria identità l’apertura al mondo, il dialogo con la società e le altre religioni, l’impegno per la giustizia, la pace, la riconciliazione, la scelta dei poveri, la centralità della parola di Dio più che la dottrina, la celebrazione liturgica legata alla vita e alla partecipazione alla comunità al mistero pasquale più che all’adempimento di precetti e servizi di culto.
Ma «l’entusiasmo iniziale e il movimento di rinnovamento – ha ricordato p. Zolli – è andato man mano scemando, anche perché parte della gerarchia ecclesiastica lo ha frenato, spesso svuotando il messaggio e la portata del concilio e tornando su posizioni preconciliari, a volte anche reazionarie e oscurantiste, specialmente nell’ultimo trentennio». Tutto questo «ha messo ancora più in difficoltà il mondo missionario e aumentato lo smarrimento anche in larghi segmenti di cattolici, non potendo più contare sul supporto di un paradigma teologico-pastorale adeguato per affrontare le sfide epocali».
Se a ciò si aggiunge il panorama squallido della scena mondiale, risultato di una scelta liberista e mercantilista da parte della società delle nazioni, si concretizza un mondo in cui il valore della persona è stato surclassato da quello del denaro che, nei “giochi” finanziari e di borsa, vede protagonista la spregiudicatezza e la stoltezza di persone e nazioni.
«La crisi finanziaria e sistemica di questi ultimi anni, la ribellione e l’esodo dei poveri ha riportato al centro l’urgenza e la necessità di cambiare stile di vita, di nuove prospettive e ri-partire per un rinnovamento nella visione della missione e del ruolo della chiesa missionaria nel vecchio continente e nel mondo intero». La situazione attuale del mondo globalizzato, ha reso ormai necessario il ricorso alla formula di worldwide mission, missione globale, intendendo con ciò che la missione «può e deve esser vissuta ovunque, in ogni continente, inculturandosi nelle realtà locali e dando risposte efficaci alla sete di giustizia, pace e riconciliazione».
Si tratta di una grande novità, che esige trasformazioni nella mentalità e nello stile di vita che costano non poco. Abituata a inviare missionari, l’Europa deve ora accogliere milioni di immigrati che cercano un’opportunità per vivere meglio e in modo più libero; faro di civiltà e di fede, il nostro continente deve ora mettersi alla scuola di altri popoli e culture, per quanto questo possa urtare o meno la nostra suscettibilità. I comboniani hanno deciso di vivere questo capovolgimento di prospettiva, riconoscendo che la loro missione li spinge all’incontro e alla condivisione, oltre ogni resistenza, sospetto, esclusione o violenza nei confronti dell’altro.
P. Zolli identifica almeno tre atteggiamenti caratterizzanti questo passaggio evolutivo del modo di vivere la missione. Anzitutto, «inserirsi e vivere sempre di più tra la gente, promuovendo rapporti umani e vitali: di ascolto, di fiducia, di rispetto e di condivisione di vita, pronti a dare ragione della nostra speranza. L’opera comboniana ha un grande vantaggio e non lo deve inventare: nel suo DNA ha sempre saputo che la missione va fatta a partire dal “cuore”, attraverso una convivenza comunitaria, ispirata ai “cenacoli”, piccoli centri di vita e di preghiera, di condivisione e di ricerca, inseriti tra la gente, non importa se nei villaggi, nelle foreste o nelle periferie delle città, certo non in strutture grandi e immobili ingestibili. Piccoli nuclei di accoglienza e inclusione, aperti alla presenza e convivenza di uomini e donne, laici e consacrati, sposati e celibi o nubili, ispirati al carisma comboniano e mostrando con la stessa presenza sul territorio la freschezza e la novità della proposta evangelica».
In secondo luogo, «essere attenti ai segni dei tempi e dei luoghi, con cuore e occhi contempla-attivi. Respingendo la mercificazione secondo le leggi del mercato, adottando uno stile di vita sobrio, sostenibile, rispettoso dell’ambiente e soprattutto solidale con i poveri. Pronti alla condivisione di vita e della conoscenza acquisita, come ospiti, in diversi ambienti culturali presso altri popoli e nazioni. Fare la scelta preferenziale degli immigrati, profughi e rifugiati politici e di quanti sono alla ricerca di condizioni di vita in abbondanza». E «dedicare tempo, energie e mezzi al mondo giovanile, soprattutto a quei giovani che sono condannati a una vita precaria e derubati del loro futuro».
Infine, «rivestirsi di coraggio, di parresia e di trasparenza nel rapporto con i rappresentanti delle istituzioni, sia ecclesiastiche, come con le autorità all’interno delle stesse congregazioni missionarie; con gli amministratori, i politici e gli operatori sociali ».

«È tempo di semina!»
Con queste parole, presenti nelle Regole del 1871, san Daniele Comboni esortava i suoi missionari a dare tutto, senza risparmio e senza calcolo, animati semplicemente dal desiderio di contribuire con il dono totale di sé, nel nascondimento, all’opera della Provvidenza. Non si è mai fuori dalla logica del Vangelo quando si sceglie di vivere incarnati e al servizio dell’uomo, e i comboniani hanno percepito che è in questa linea carismatica del Comboni che si deve continuare.
«In una missione sempre più globale – fa notare p. Zolli – il rinnovamento non arriverà dall’alto, né sarà promosso da chi esercita la leadership, oggi purtroppo molto impaurita e spesso in trincea, nella difesa di privilegi di casta accumulati nel tempo e gelosa di paradigmi obsoleti e inefficaci per affrontare le sfide epocali. Il rinnovamento verrà dal basso, a partire dalla testimonianza di questi piccoli gruppi inseriti sul territorio, specialmente ai margini e tra gli emarginati». Il ruolo del governo dovrebbe essere di promuovere, decentrare, per valorizzare le intuizioni e le iniziative dei singoli e delle comunità impegnate sul campo, responsabilizzando, promuovendo la convergenza del contributo di tutti in un’unica visione, profetica e realizzativa, in un coinvolgimento effettivo anche del movimento dei laici comboniani.
Pastorale giovanile missionaria, internazionalizzazione delle comunità, collaborazione con i laici anche nella riflessione teologica e pastorale, necessità di trasparenza etica nelle scelte economiche e finanziarie, riduzione delle strutture, comunità di frontiera… sono aree che i partecipanti all’Assemblea hanno evidenziato e raccomandato ai superiori maggiori come punti su cui tornare. I lavori dell’Assemblea hanno condotto alla formulazione di tre progetti concreti per la missione Europa: un centro europeo di comunicazione, probabilmente a Londra; l’impegno con e tra gli immigrati, anche con scambi di personale con altri continenti; un centro di spiritualità e riflessione sulla missione, a Limone del Garda, paese natale del Comboni.

(Enzo Brena, su Testimoni 6 del 2012)