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543_Copertina_VolumeAprile 2012

Un servizio alla verità storica: una ricerca sul contributo degli istituti religiosi alla costruzione del welfare italiano

“Per carità e per giustizia”

Si tratta di una ricerca realizzata da CISM e USMI, in collaborazione con la Fondazione Emanuela Cancan, presentata a Roma, in Campidoglio il 25 febbraio, alla presenza del Card. Tarcisio Bertone, e, per il governo, della prof.ssa Elsa Foriero, ministro del lavoro e delle politiche sociali. La ricerca realizzata anche grazie al “Coordinamento storici religiosi”, guidati da p. Giancarlo Rocca, ha messo in luce, in modo organico, molte esperienze innovative che gli istituti religiosi hanno sviluppato, per affrontare i più disparati problemi sociali dell’Italia unificata. Una spiegazione sul titolo “per carità e per giustizia”. I fondatori delle congregazioni religiose impegnate nel “sociale”, si sono mossi essenzialmente sospinti dalla carità di Dio. Ma, attraverso gli innumerevoli servizi che hanno creato, essi,non solo sono diventati epifania dell’amore del Signore per l’uomo, ma hanno anche offerto, sia pure a livello di “segni”, piste concrete per l’attuazione della giustizia, che è compito essenziale dello stato a hanno dato un contributo efficace alla costruzione del futuro welfare. L’informazione sul contributo, offerto dalle congregazioni religiose allo sviluppo della vita sociale del nostro paese nell’arco degli ultimi 150 anni, va considerato perciò un tributo alla verità e una specie di celebrazione della “memoria”: l’apporto della Chiesa, infatti, non sempre trova nella ricerca storiografica il dovuto riconoscimento. Chi ha voluto la ricerca si poneva però anche un altro obiettivo, quello di stimolare le congregazioni religiose, partendo dal proprio carisma e dalle realizzazioni passate, a interrogarsi sull’apporto che oggi sono chiamate a dare per la costruzione del nuovo welfare. Permangono infatti, nel campo culturale, sanitario e assistenziale, al di là delle solenni dichiarazioni formali, diritti costituzionali non attuati o solo parzialmente attuati, disuguaglianze scandalose, permanenti e crescenti zone di povertà.

Opere di carità e germi di giustizia
Nell’insieme della ricerca sono individuabili quattro ambiti di intervento pionieristico nei quali si registra la maggiore concentrazione di presenze di istituti. Anzitutto l’ambito educativo, ispirato alla logica della prevenzione contro possibili devianze, attuato con strumenti accattivanti. Ricordiamo, uno per tutti, l’esempio di san Giovanni Bosco, che aprendo ai figli del popolo i suoi oratori per la gioventù, coltivava il progetto ambizioso di rigenerare la società, promuovendo buoni cristiani e buoni cittadini. Nel quadro della promozione integrale dei giovani, inoltre, particolare attenzione fu riservata alla formazione professionale, concepita come prevenzione alla povertà e strumento di autonomia e di libertà. Tra l’800 e il ‘900, fiorirono un po’ ovunque scuole professionali, laboratori di calzoleria, sartoria, falegnameria, tipografia, colonie agricole. Forte fu anche la preoccupazione della promozione della donna nell’istruzione scolastica e nel lavoro: da ricordare gli “educandati femminili” sviluppatisi numerosissimi alla fine dell’ ‘800 e le iniziative fiorite principalmente ad opera delle Figlie di Maria ausiliatrice: scuole di lavoro, laboratori, scuole professionali.

Un secondo ambito fu l’assistenza infermieristica ai malati, che coinvolse prevalentemente le congregazioni femminili.

Nella seconda parte dell’‘800 e nei primi decenni del ‘900, ci fu una vera gara, da parte dello stato, per avere le religiose negli ospedali. A loro erano richieste non solo attività infermieristiche, ma anche compiti di direzione e controllo del personale. Inoltre alcune congregazioni avevano creato scuole per la formazione per il personale ospedaliero. Quando la presenza negli ospedali non fu più possibile, l’impegno delle religiose si spostò nell’assistenza a domicilio. Molte congregazioni adottarono le regole di san Vincenzo de’ Paoli, che comportavano gratuità assoluta, servizio giorno e notte, disponibilità anche alla pulizia della casa e alla preparazione dei pasti. Alcune congregazioni aggiunsero alle regole un quarto voto: prestarsi alla cura dei malati anche in caso di epidemie o di peste.

Un terzo ambito fu la cura e il servizio degli ultimi tra i poveri.

Diverse congregazioni scelsero di impegnarsi a favore delle persone che, er i loro limiti, rischiavano maggiormente l’emarginazione e l’oblio: le persone qualificate come “deficienti”, i disabili psichici, gli internati in manicomio, i carcerati, i minorati. Il religioso rispetto per queste persone traspariva anche dalle piccole attenzioni, quale la decisione di san Giuseppe Cottolengo, di attrezzare alcune sale con tappeti e cuscini, onde impedire che gli epilettici, cadendo, si facessero male; don Guanella, profondamente convinto che le lacune intellettuali non intaccavano la sfera affettiva e le altre facoltà, si preoccupava di valorizzare le loro capacità residue nelle “colonie agricole”; don Luigi Palazzolo, fondatore delle Suore poverelle, affermava, con convinta umiltà:«Io cerco e raccolgo il rifiuto di tutti gli altri, perché dove altri provvede, lo fa assai meglio di me... ma dove altri non può giungere, cerco di fare qualcosa io, così come posso».

Il quarto ambito riguarda l’attenzione ai bisogni nuovi ed emergenti, affrontati con straordinaria capacità creativa.

Da ricordare i convitti per operaie, agli inizi del processo industriale dell’‘800, con le suore impegnate non solo a garantire accoglienza e servizi, ma in alcuni casi anche a lavorare in fabbrica e a partecipare alla difesa delle rivendicazioni sindacali; l’accompagnamento e l’assistenza agli emigrati all’estero; le cucine economiche che inizialmente, con una selezione di cibi adeguati, servivano anche per curare la malattia della pellagra e del rachitismo, causate dalla malnutrizione; la difesa degli ebrei, nascosti nei conventi o fatti fuggire all’estero, contro le persecuzioni naziste.

Come essere profezia nell’oggi?
Al convegno romano, che aveva prevalentemente un carattere di ricostruzione storica, sono stati presentati anche alcuni dati statistici relativi all’oggi e ricavati dall’ultimo censimento delle opere della Chiesa, completato nel 2011. Il censimento riguarda tutti i servizi sanitari, sociosanitari e socioassistenziali, direttamente o indirettamente collegati con la Chiesa. Si tratta di una quantità notevole di opere, gestite non soltanto da congregazioni religiose, ma anche da realtà laicali, da parrocchie, dal volontariato cristiano.

Al convegno dell’Usmi-Cism era presente l’interrogativo, cui si è già accennato: le realtà ecclesiali operanti oggi nell’ambito sociale, e in particolare le congregazioni religiose, stanno dimostrando la carica profetica, nei confronti della società civile e delle istituzioni pubbliche, rilevata alle loro origini? In che misura rispondono al bisogno di solidarietà e di giustizia?
Nel contesto del convegno è emersa anzitutto una constatazione: molte congregazioni religiose, sul piano dei servizi, sono impegnate seriamente nell’affrontare i nuovi bisogni e le nuove povertà: dipendenze di varia natura, difficoltà famigliari legate a separazioni e divorzi, accompagnamento di persone nella fase terminale della vita (Hospice), disagi legati alla disoccupazione o alla perdita di reddito famigliare, accoglienza di minori disadattati e di disabili, ecc. In sintesi offrono testimonianze esemplari. Meno evidente invece è la loro incisività agli effetti di promuovere una nuova cultura di solidarietà, di ridurre le disuguaglianze sociali, di proporsi esplicitamente come difensori dei poveri. In vista di questa maggiore presenza – s’è detto – le congregazioni religiose dovrebbero far emergere in maniera più trasparente alcune caratteristiche carismatiche evidenti nelle loro radici storiche, quali:

– Considerare la promozione della giustizia componente basilare della carità e di conseguenza assumere con maggiore convinzione il ruolo di advocacy nella difesa dei diritti dei poveri, e nella lotta contro la povertà. Già nei documenti del Vaticano II° ci veniva raccomandato: Stiano attenti a non dare per carità quello che è già dovuto a titolo di giustizia (A.A.8).
– Continuare e incarnare la scelta preferenziale degli ultimi e trasmettere questa logica alle istituzioni. Essa è anzitutto la scelta di Dio, ed è perciò irrinunciabile per i credenti. Ma è anche un dovere per la società civile. Infatti il bene comune è tale solo se comprende anche gli ultimi. Gli ultimi non sempre sono evidenti: vanno cercati con pazienza e con “intelletto d’amore”.
– Rafforzare l’identità della Chiesa come soggetto di carità. L’esercizio della carità in passato è stato spesso delegato dalle parrocchie alle congregazioni religiose o alle associazioni di volontariato. La dottrina conciliare ha ribadito l’esigenza di ricuperare la responsabilità dell’intera comunità cristiana alla testimonianza di carità. Lo ribadisce lo stesso santo padre nella sua prima enciclica:«Il vero soggetto delle varie organizzazioni cattoliche, che svolgono un servizio di carità, è la Chiesa stessa, e ciò a tutti i livelli, iniziando dalle parrocchie, attraverso le Chiese particolari fino alla Chiesa universale” (D.C.E. 32 ).
– Ribadire il valore della gratuità, che è sempre stato il vanto dei fondatori delle congregazioni. I servizi, fatti bene, indubbiamente hanno dei costi, che vanno coperti attraverso le strade possibili: le convenzioni, le offerte libere, il contributo degli utenti. Ma sarebbe triste che i servizi della Chiesa, per ragioni di ristrettezze economiche, fossero costretti a escludere i poveri. Rischierebbero di perdere gran parte del loro significato e della loro potenzialità di annuncio. In una società, profondamente intrisa della logica del profitto, «l’esercizio della carità nella sua purezza è la migliore testimonianza del Dio in cui crediamo» (Deus caritas est, 31).

(Don Giuseppe Pasini, su Testimoni 6 del 2012)