colonia_celebrazioni_giovaniMarzo 2012

Verso il Sinodo sulla "Nuova evangelizzazione"...ma quale il ruolo della vita consacrata, che pare un po’ lasciato in ombra?

Nuova evangelizzazione...nuova vita consacrata?

La preparazione alla prossima XIII Assemblea generale del sinodo dei vescovi sulla “nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, che si terrà a Roma dal 7 al 20 ottobre, sta procedendo speditamente. Il 16 febbraio scorso, i membri del Consiglio ordinario del Segretariato generale del sinodo si sono riuniti per lavorare all’elaborazione dell’Instrumentum laboris, in base alle indicazioni giunte da ogni parte del mondo sui Lineamenta. Erano presenti una ventina di cardinali e di vescovi, tra cui mons. Rino Fisichella, presidente del Consiglio pontificio per la nuova evangelizzazione, e il segretario generale del Sinodo mons. Nikola Eterovic, il quale ha suggerito che in vista del futuro sinodo si tenga presente non solo il Vaticano II, ma anche l’esortazione apostolica emanata da Paolo VI, Evangelii nuntiandi a seguito del Sinodo dell’ottobre 1974 sull’Evangelizzazione del mondo moderno. I partecipanti alla riunione, venuti da ogni parte del mondo, si sono interrogati soprattutto sulla “mancanza di fecondità dell’evangelizzazione attuale” dovuta soprattutto «alla presenza di certi influssi della cultura contemporanea che rendono particolarmente difficile la trasmissione della fede e rappresentano una sfida per i cristiani e per la Chiesa».
Uno dei temi centrali del dibattito ha riguardato la «famiglia come luogo in cui la fede è comunicata ai giovani i quali possono qui imparare sia i contenuti della fede sia la sua pratica». A partire da questo luogo “insostituibile” possono svilupparsi le catechesi proposte dalle istituzioni ecclesiali, dalle parrocchie, movimenti e comunità, attraverso la liturgia, i sacramenti e le omelie. Mentre procede questa preparazione, restano ancora degli interrogativi a cui è necessario dare una risposta più chiara. Per esempio, occorre precisare meglio il significato dell’espressione “nuova evangelizzazione” e, per quanto riguarda i soggetti che devono promuoverla, quale il ruolo della vita consacrata che nei Lineamenta è quasi del tutto ignorata? (cf. Testimoni, n. 4, p. 4).

Un’intervista a p. Pascual Chávez
Per quanto riguarda il significato di “nuova evangelizzazione” e il ruolo della vita consacrata, ci sembra interessante una intervista rilasciata nell’ottobre scorso in Spagna da don Pascual Chávez, rettore maggiore dei salesiani, e resa pubblica sul sito della CONFER (Confederazione spagnola dei religiosi). «Mi sembra opportuno precisare – ha affermato – a che cosa mi riferisco quando parlo di “Nuova Evangelizzazione”, per evitare di cadere nell’espressione, ormai classica, che la descrive come un’evangelizzazione “nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni”». Non si tratta evidentemente di una “rievangelizzazione” né di una “ripetizione della precedente”». Nei Lineamenta ci sono degli elementi che possono aiutare a definire la “nuova evangelizzazione”: «mi riferisco all’auspicio che la Chiesa assuma un atteggiamento di discernimento, con la capacità di ascolto, sia una Chiesa che si interroga su se stessa e cerca di affrontare con onestà le sfide attuali, in particolar modo quelle culturali e il cambiamento storico che stiamo vivendo.
Se è necessaria una “nuova” evangelizzazione, la ragione sta nel fatto che la Chiesa si trova davanti a un uomo “culturalmente nuovo”, più sensibile a certi valori, più refrattario ad altri e al margine di altri che sono non negoziabili per noi. In effetti, si sta riconoscendo la necessità di frequentare il cosiddetto “cortile dei gentili”, citato per la prima volta da Benedetto XVI durante il suo viaggio nella Repubblica Ceca, ossia, quel determinato spazio che la Chiesa dovrebbe riservare a quelle persone che “conoscono Dio soltanto da lontano” e che vivono insoddisfatte dei loro dei, dei loro riti e dei loro limiti. Si tratta di aprire spazi di dialogo con tutti coloro che non cessano di interrogarsi su Dio. È indubbio che la “nuova evangelizzazione” mette in risalto un problema ecclesiologico, dal momento che la Chiesa si trova di fronte a un processo di scristianizzazione e di perdita di valori umani essenziali, che spesso rendono sterile la sua opera attuale di evangelizzazione e di catechesi e manifestano la sua perdita di rilevanza sociale e culturale. Questo significa che c’è una evangelizzazione che non aiuta gli uomini a scoprire il cammino della vita e della felicità. Ciò implica per la Chiesa, prima di tutto, una apertura a tutto ciò che c’è di vero, bello, buono e autentico nella cultura del mondo. Oggi come ieri, la Chiesa deve cercare nella cultura che evangelizza i “semi del Verbo”, che le aprono una porta e le offrono uno spazio per il vangelo. L’evangelizzazione richiede sempre una funzione critica contro tutti quegli elementi culturali che sono contrari al Vangelo e che non possono essere assunti in base a un falso irenismo. Inoltre la nuova evangelizzazione dovrà essere davvero una “buona notizia” per l’umanità, e lo sarà nella misura in cui aiuterà l’uomo a rispondere alla domanda riguardante il cammino che lo conduce alla felicità, alla piena realizzazione.

Fattori da tenere presenti
Secondo don Pascual, l’orientamento che deve imprimere un impulso a questo processo di nuova evangelizzazione esige che si tenga conto di vari fattori. «Prima di tutto l’attenzione a recuperare la coscienza dell’invio degli Apostoli da parte di Gesù, prima della sua Ascensione, come un campo di missione, destinato a tutto il mondo. Se questo significa, da un lato, ricordare che il Vangelo è un diritto di tutti, ciò vuol dire anche che portarlo a tutti è un dovere di ogni credente e che si devono cercare nuove vie per poterlo fare, con un linguaggio che lo renda comprensibile e rilevante per l’uomo d’oggi. La “nuova evangelizzazione” non sarà tale se non ci saranno “nuovi evangelizzatori” che abbiano imparato ad essere discepoli che, in comunione e in intimità con Gesù, facciano propria la passione di Cristo per l’umanità e, come apostoli appassionati, si impegnino nella costruzione del Regno, finché il Signore venga. Senza dimenticare che se la Chiesa, oggi, è presente in pratica in tutti gli angoli del mondo, la “nuova evangelizzazione” dovrà ricordarsi anche che solamente una sesta parte dell’umanità ha ascoltato la “buona notizia” dell’immenso amore con il quale il Padre ci ha amato in Gesù. Questo dovrà renderci più umili, tanto più che non si pretende di dare il via a una campagna di proselitismo, e sapendo coniugare l’annuncio del kèrigma con l’impegno esigente dell’educazione della fede e la sollecitudine nel campo sociale, creare quindi quelle comunità che sono prima di tutto espressione dell’amore, della fede e della speranza comune, sostegno della propria fedeltà, soggetto di azione evangelizzatrice e di alternativa sociale... La “nuova evangelizzazione” richiede una conversione delle persone (evangelizzatori ed evangelizzati) e delle strutture pastorali, per evitare che queste mettano in ombra il volto di Dio ma, piuttosto, lascino vedere la forza del Dio vivente.

Ruolo importante dei religiosi
In questo impegno un ruolo importante spetta senza dubbio alle persone consacrate. Su questo aspetto, don Pascual si è diffuso piuttosto a lungo nella sua intervista. «La vita religiosa (VR), intesa nei suoi elementi essenziali, ha avuto origine nel Vangelo, e questo solo elemento l’ha sempre resa evangelica ed evangelizzatrice. Senza il bisogno di “fare” di più, ma solo per il fatto di “essere” vita consacrata a Dio e al prossimo. Per questa ragione essa è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale nella “nuova evangelizzazione”, soprattutto perché ha come missione fondamentale di annunciare, rendere visibile e credibile ciò che dice quel “mini-vangelo”, che è il testo di Gv 3,16-17: “Dio infatti ha tanto amato il mondo, da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. «La “nuova evangelizzazione”, ha proseguito, deve essere prima di tutto una buona notizia per l’umanità, capace di assumere tutto quello che è realmente umano, in grado di suscitare interrogativi che stimolino la ricerca di Dio, rivestita della simpatia propria di chi accoglie l’altro senza pregiudizi e cerca di comprenderlo, pronta a una grande apertura al dialogo senza che questo implichi mai una rinuncia a quello che non è negoziabile, impegnata in quelle cause alle quali oggi è più sensibile l’umanità (la salvaguardia della creazione, l’impegno per la giustizia, la libertà, la dignità e i diritti delle persone, lo sviluppo comune sostenibile...), con la capacità non solo di leggere la storia e interpretare i segni dei tempi, ma anche di generare nuovi segni dei tempi, che aiutino a rendere dinamica la società». Bisogna, inoltre, saper annunciare Cristo in situazioni molto complesse che, frequentemente, convivono tra di loro. Persone che non hanno mai sentito parlare di Dio e nemmeno ne avvertono il bisogno, perché abituate a vivere senza di lui. Persone che hanno abbandonato la religione e sono diventate atee convinte o agnostiche, ben installate nell’immanenza, senza altre aspirazioni che lo sviluppo illimitato ma senza trascendenza. Persone che vivono con una religiosità popolare, frutto di una cultura che fa loro credere in Dio senza che questa fede si traduca mai in coerenza di vita. Persone, infine, in possesso di una fede adulta, che hanno scoperto in Dio la Verità, e che, con il dono della fede in Cristo, hanno trovato nella Chiesa la loro casa... «Ebbene, per realizzare tutto questo oggi, la VR ha tutte le carte in regola: la sua prima grande missione, infatti, è stata e deve essere quella di testimoniare Dio, il suo Assoluto, percepito come Verum, Bonum et Pulchrum. E il primo contributo da offrire al mondo oggi è proprio quello di dare ad esso Dio». Il secondo compito della VR è di essere esperta di comunione, dove uomini e donne di età, culture, formazione e sensibilità diverse si integrano in comunità, come la prima comunità cristiana e, tenendo tutto in comune, sono un cuor solo e un’anima sola. E questa nuova forma di relazione produce quelle “minoranze creative” che incarnano un modello culturale alternativo al modello dominante. Il suo terzo grande apporto è di andare alle frontiere sociali, culturali e religiose e di inserirsi laddove si trovano gli uomini e le donne più poveri, di qualsiasi tipo di povertà (materiale, affettiva, morale e spirituale), gli emarginati o coloro che sono privati della loro dignità e dei loro diritti, per poter, insieme, collaborare alla costruzione della “civiltà dell’amore”. Nel corso della storia della Chiesa, ciò è quanto hanno fatto i diversi Ordini, congregazioni e istituti, trasformando la missione loro propria in finalità specifiche secondo i vari carismi, in modo tale da poter rispondere al piano di Dio e alle esigenze dell’umanità.

Quello che conta è la capacità profetica
Don Chávez si è detto, infine, convinto che la vita religiosa, anche oggi, nonostante le difficoltà che attraversa (invecchiamento degli effettivi, scarsità di vocazioni, ecc.) è in grado di rispondere a questa missione evangelizzatrice. Tra l’altro non si deve ignorare che la “nuova evangelizzazione” è un programma spirituale e pastorale pensato non solo per l’Europa ma per tutto il mondo. Inoltre, che la VR, oggi come sempre, sta rendendo presente la Chiesa sulle frontiere della società e della cultura attuale, dove termina la ricchezza e inizia il sottosviluppo, dove abitano gli emarginati e i rifiutati, si prende cura di bambini che nascono, dei malati senza speranza di cure e degli anziani che vivono da soli. Si ignora inoltre che, anche qui in Europa, c’è un dinamismo di rinnovamento delle congregazioni tramite un complesso processo di ristrutturazione delle opere, di ridisegno delle presenze e di ricollocazione delle comunità. Tutto ciò inteso non come un fatto amministrativo imprescindibile, ma come una conversione personale e pastorale, convinti che non si tratta di sopravvivenza ma di profezia. A questo si dovrebbe aggiungere l’impulso delle “nuove forme di vita religiosa”, che si propongono di essere icone autentiche della Chiesa nata nel Cenacolo e che si è diffusa poi in tutto il mondo. «Personalmente, ha concluso don Pascual, penso che la VR, soprattutto quella degli istituti con una storia piuttosto lunga, si gioca tutta nella capacità, maggiore o minore, di mostrare la radicalità evangelica e di testimoniarla nella gioia dei suoi membri, nella semplicità della vita, nella fraternità delle sue comunità e nella loro generosa donazione agli altri».

(Testimoni 5 del 2012)