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Il Capitolo dei Cistercensi di stretta osservanza

Formati per Dio

 

Il capitolo generale dei Cistercensi della stretta osservanza, nella sua forma di «riunione generale mista», ha visto convenire ad Assisi, dal 6 al 29 settembre 2011, 105 abati o superiori e 78 abbadesse o priore titolari. Al centro della loro riflessione il tema della formazione, a proposito del quale presentiamo una sintesi dell’interessante intervento di dom Patrick Olive ocso, dell’abbazia di Sept-Fons, in Francia.

Visione d’insieme e chiarezza sui principi
La convinzione di fondo di dom Olive è che la situazione attuale in cui si è chiamati a fare formazione non sia molto diversa da quella di cinque o dieci anni fa. È una considerazione dettata dall’esperienza personale, che lo porta a richiamare con determinazione gli elementi fondamentali della formazione monastica. Una formazione autentica – afferma dom Olive – ha come caratteristica basilare la «chiarezza sulla visione e i principi da trasmettere». Una comunità deve sapere chi è e che cosa vuole per poter essere formatrice, e «questa chiarezza deve esprimersi prima di tutto nella pratica, vegliando affinché i fratelli non si dedichino soltanto a far sì che gli altri siano contemplativi! ». Il senso delle priorità, sia per quel che riguarda i testi fondativi come per quanto riguarda la pratica di essi e dei valori della propria vocazione, è indispensabile e deve essere verificato regolarmente. Un’attenzione necessaria, questa, per rendere possibile «una capacità di giudizio che distingue le persone dal loro punto di vista, i dati oggettivi dai sentimenti, e che può far emergere il vero dal falso senza ferire nessuno». La comunità capace di questa attenzione si ritrova più libera e dinamica: più dinamica perché sollevata da falsi problemi che ostacolano la comunicazione, e più libera di affrontare le questioni attuali. E chi entra potrà trovare l’appoggio necessario per portare le proprie fragilità e lo slancio per vivere un’esperienza costruttiva. Dom Olive è dell’avviso che una formazione di qualità debba necessariamente poter contare sull’apporto di una équipe di formatori. L’aspetto qualificante non dovrebbe essere tanto che lavorino insieme, quanto nella stessa direzione, cioè chiari e concordi su quale sia la finalità teorica e pratica della formazione: non solo circa i contenuti, ma anche su come esprimerli hic et nunc. Senza armonia su questi punti tra i formatori, il lavoro si rivela sterile e controproducente. L’unità d’intenti e di azione si estende come necessità a tutti coloro che partecipano alla formazione. «Non si tratta di un’uniformità esterna che impedisce alle diverse personalità di esprimersi o svilupparsi, ma di una coscienza comune che, invece, dà una grande libertà d’espressione ai formatori come ai formandi poiché, allora, i rischi d’individualismo o di divisione diminuiscono considerevolmente».Tale formazione chiede ai formatori capacità di adattamento e senso dell’attesa – da non confondere con la debolezza – che è condizione di relazioni equilibrate e costruttive, e la capacità di riflettere insieme per valutare lucidamente il loro lavoro.

Formazione globale
Per essere efficace, afferma dom Olive, è necessario che la formazione sia globale, cioè abbracci tutti gli aspetti della vita in una prospettiva unificante. La formazione spirituale è senz’altro la realtà più delicata da affrontare, ed «è principalmente nel contatto con un “anziano” che si può realizzare poiché l’esperienza spirituale si trasmette soprattutto in modo vivo e personale». Non è sufficiente il solo insegnamento dei principi teorici spirituali, lasciando poi che ciascuno faccia il suo cammino personale. «Lo scoraggiamento sopraggiunge presto e l’esperienza mostra che i fratelli hanno bisogno di essere regolarmente rilanciati. Non solo: bisogna vegliare affinché non si introducano pratiche più o meno marginali con il pretesto del fervore. A questo proposito, prevenire è più sicuro, e riprendere è spesso difficile o addirittura impossibile quando certi comportamenti si sono radicati». La formazione intellettuale deve essere integrata con il resto della formazione, per non farne un ambito a parte, disconnesso con il resto della vita.«L’armonia non è facile da realizzare ma, se non ci si tende, si rischia di avere sedicenti “intellettuali” che si servono della loro “scienza” per fuggire in particolare la vita comune, quelli che sono sempre pronti a fare mille chilometri per parlare della clausura!». Una formazione intellettuale di qualità permette di far fronte ai veri problemi senza che essi destabilizzino oltre misura; evita di lasciarsi impressionare dalle mode che passano e distingue ciò che è essenziale dal marginale. La formazione umana «è oggi più necessaria e senz’altro più delicata che in passato». Mancanza di un quadro di riferimento e personalità poco strutturate, spesso a causa di una vita familiare caotica, sono le caratteristiche più evidenti di coloro che oggi entrano nella vita monastica. Le aspettative poste sulla comunità, di conseguenza, possono essere superiori alla sua realistica possibilità di offrire delle risposte. «Il discernimento talvolta è lungo, si è tentati o di rinunciare a ricevere persone come queste – ma allora chi entrerà? – o di trasformarsi in dottori. La via di mezzo sovente è gravosa da assumere ma è l’unica possibile».Anche la formazione professionale è importante, secondo dom Olive, «poiché è nel lavoro che si verificano molti degli elementi costitutivi della vita dei monaci: attenzione agli altri, pazienza, senso di responsabilità; è lì che si vede in quale misura l’amore fraterno è un discorso o una  realtà». Offrire ai fratelli la possibilità di una competenza tecnica offre un notevole aiuto all’equilibrio generale della personalità.

Evitare battaglie di retroguardia
La vita di oggi pone questioni e problemi del tutto particolari, diversi da quelli anche solo di venti o quarant’anni fa, a cui non è facile dare risposte. Proprio per questo, «bisogna guardarsi dall’addestrare i giovani frati in battaglie di  retroguardia con cui hanno nulla a che fare e che non gli appartengono». Un’analisi della situazione richiede impegno e capacità di sfumature, ma è indispensabile per far fronte ai problemi che sono posti. A titolo esemplificativo, dom Olive identifica nella fragilità dei giovani d’oggi, nell’uso dei media e nelle differenze di generazione, d’origine e dicultura i tre punti tipici della società attuale. Paradossalmente, l’abate di Sept- Fons valuta la fragilità dei giovani d’oggi meno importante di quanto frequentemente si dica. «Di fronte a situazioni con le quali le nostre generazioni non si sono mai confrontate, trovo che (i giovani) non reagiscano poi tanto male. Li si considera immaturi, ma sono così informati, più aperti alle diverse realtà e più lucidi sulle debolezze del loro tempo di quanto non lo si sia stati prima di loro». Ciò non toglie che le condizioni familiari di provenienza siano notevolmente carenti rispetto alle principali esigenze della forma di vita monastica, a cui questi giovani si affacciano. Dom Olive cita, tra questi problemi familiari, il ruolo del padre, l’equilibrio dei sentimenti, il posto della sessualità, la gestione dei conflitti, e ritiene importante prendere coscienza di questi ostacoli, senza aumentarne il peso: «non dobbiamo assumere il ruolo dei sostituti paterni e ancor meno porci come compagni». Semmai, in un contesto simile, è doveroso interrogarsi fino a che punto accettare i loro limiti, imparare a gestire con gradualità l’evoluzione degli atteggiamenti e non lasciarsi impressionare al punto di calare le esigenze della vita monastica. «I giovani, ancorché feriti, non hanno nulla a che fare con una vita al ribasso che, invece di aiutarli a crescere, li manterrebbe nelle loro fragilità». L’uso dei media oggi, secondo dom Olive, obbliga a una seria riflessione e a scelte molto delicate in chiave formativa. «L’aspetto immediatamente accessibile dell’universo virtuale entra direttamente in collisione con il nostro modo di vivere che suppone un uso paziente del tempo e un senso del reale, baluardo contro le illusioni». Perciò non è prima di tutto per paura dei pericoli nell’uso di questi mezzi che bisogna reagire, ma per una scelta positiva di valori fragili che suppongono una distanza a proposito di ciò che li minaccia e potrebbe dissolverli. È bene misurare vantaggi e svantaggi – alcuni evidenti, altri più sfumati – nell’uso di questi media e tirare le conclusioni pratiche necessarie. È interessante notare che, annota dom Olive, spesso i giovani che entrano non si meravigliano delle riserve dei frati a questo proposito; è piuttosto il contrario che li meraviglierebbe, poiché a questo proposito essi non hanno quelle illusioni tipiche delle generazioni più anziane. Le differenze di generazione, d’origine e di cultura richiedono un’attenzione particolare oggi, tempo in cui gli incontri tra persone sono più numerosi e frequenti di altri tempi. Esse sono un’opportunità in una società che tende a radicalizzare le differenze e le opposizioni. Sono necessarie tuttavia, secondo dom Olive, alcune distinzioni: «la differenza generazionale è un fatto biologico le cui risonanze nella vita comune sono numerose. Vivere una certa “sinfonia delle generazioni” non è evidente e richiede una riflessione propria a ciascuna generazione:gli anziani per accettare il loro stato, i più giovani per relativizzare il loro. L’armonia non è data in anticipo e deve essere ricercata; bisogna diffidare – oggi come allora – di facili slogan: gli anziani sono incapaci di evolvere o i giovani devono ancora imparare tante cose da noi, ecc… La vera sfida è quella della trasmissione».

(Enzo Brena, su Testimoni 4 del 2012)