Stampa
Visite: 5499

camaldoliMarzo 2012

Non succede spesso che una fondazione religiosa raggiunga il millennio di vita.
Il carisma di san Romualdo ha sfidato i secoli
e alimenta ancora oggi una famiglia monastica di grande rilievo in Italia

Il millennio di Camaldoli

 

I monasteri hanno nel mondo una funzione molto preziosa, direi indispensabile. Se nel medioevo essi sono stati centri di bonifica dei territori paludosi, oggi servono a “bonificare” l’ambiente in un altro senso: a volte, infatti, il clima che si respira nelle nostre società non è salubre, è inquinato da una mentalità che non è cristiana, e nemmeno umana, perché dominata dagli interessi economici, preoccupata soltanto delle cose terrene e carente di una dimensione spirituale. In questo clima non solo si emargina Dio, ma anche il prossimo, e non ci si impegna per il bene comune. Il monastero invece è modello di una società che pone al centro Dio e la relazione fraterna». Le parole di Benedetto XVI in occasione della sua visita alla Certosa di Serra San Bruno (Catanzaro, 9 ottobre 2011) possono introdurre la presentazione del millennio di fondazione del sacro Eremo di Camaldoli (e del vicino monastero), che la tradizione fissa nel 1012 con la traslazione all’eremo del corpo di san Romualdo.

Su ispirazione dello Spirito Santo
Rodolfo I, priore dell’eremo dal 1074 al 1088, scrive nelle prime costituzioni: «Vi rendiamo dunque noto, fratelli carissimi, che l’eremo di Camaldoli fu edificato dal santo padre eremita Romualdo per ispirazione dello Spirito Santo e su preghiera del religiosissimo vescovo aretino Teodaldo, insieme a una chiesa che il suddetto vescovo consacrò nel nome del santo Salvatore nell’anno mille e ventisette della sua incarnazione. Costruite lì cinque celle, il santo vi stabilì cinque suoi confratelli, cioè Pietro e un altro Pietro, Benedetto, Giso e Teuzo. Tra questi scelse Pietro, detto Dagnino, uomo accorto e devoto, lo pose a capo degli altri quattro fratelli e dette loro la regola di digiunare, tacere e restare in cella. Fatto ciò, trovò più in basso un luogo, chiamato Fonte Buono, e lì costruì una dimora, stabilendovi un monaco con tre conversi per l’accoglienza degli ospiti, per rispondere loro con dolcezza e provvedere con carità. […] Che altro?
All’ultimo il beato Romualdo esortò tutti con premura, li baciò tra le lacrime e partì per Val di Castro. Lì costruì un altro monastero e rese l’anima al Signore». Una fondazione che cresce sullo smisurato desiderio di Dio di Romualdo che Bruno di Querfurt così sintetizza: «Siediti nella tua cella come in paradiso; scaccia dalla memoria il mondo intero e gettalo dietro le spalle, vigila sui tuoi pensieri come il buon pescatore vigila sui pesci. […] Poniti innanzitutto alla presenza di Dio in timore e tremore, come chi sta al cospetto dell’imperatore; annullati totalmente e siedi come un bambino contento solo della grazia di Dio e incapace, se non è la madre stessa a donargli il nutrimento, di sentire il sapore del cibo e anche di procurarsene». Nella lettera ai fratelli e sorelle camaldolesi dell’attuale abate, Alessandro Barban (cf. l’intervista a seguire) del 17 gennaio 2012 si legge: «La ricchezza monastica della tradizione romualdino-camaldolese è rimasta viva fino a noi attraverso generazioni di monaci e monache che l’hanno vissuta fedelmente giorno dopo giorno nel silenzio, nel nascondimento e nella preghiera. Ma dobbiamo richiamare l’attenzione anche su figure esemplari che l’hanno arricchita con la loro personalità e la loro ricerca spirituale: da san Pier Damiani a Rodolfo I e II, dal Traversari al Delfino, dal beato Paolo Giustiniani a fra Mauro, dal Grandì a Costadoni e Mittarelli, fino al papa Gregorio XVI. Ogni epoca ha avuto le sue testimonianze di rilievo. Anche nel XX secolo il carisma camaldoleseha chiamato alla vita monastica persone come Anselmo Giabbani, Benedetto Calati e madre Ildegarde; altre volte si è intrecciato con cammini teologici come quellodi Cipriano Vagaggini, con ricerche spirituali e interreligiose come quelle di Beda Griffiths, o itinerari ascetici come quello vissuto da suor Nazarena. E una personalità ricca come quella di Thomas Merton ci ha onorato della sua amicizia e ci ha invitato a portare la nostra tradizione spirituale negli Stati Uniti».

L’umanesimo cristiano
I secoli fra l’XI e il XIV vedono una enorme espansione della congregazione camaldolese. Fra le 150 case, alcune famose abbazie benedettine passano all’obbedienza camaldolese, come sant’Apollinare in Classe (Ravenna), san Silvestro al monte Subasio (Assisi), santa Maria della Vangatizza (Badia Polesine). Camaldoli fu considerata un baluardo della osservanza monastica e fulcro della necessaria riforma. Nella seconda metà del XIV secolo si registra una progressiva stanchezza con l’estendersi degli abati commendatari (non residenti), volonterosamente ed efficacemente contrastata dagli abati A. Traversari e P. Delfino. Una promettente ripresa avviene un secolo dopo dove nasce anche una seconda congregazione camaldolese (Monte Corona). All’inizio del XVII sec. il ceppo camaldolese si divide: Camaldoli, San Michele di Murano (Venezia) e Monte Corona. Un lungo cammino parallelo che vede oggi la presenza della congregazione di Camaldoli e di Monte Corona. Del lungo tragitto storico, intessuto di santità (sono una ventina i santi canonizzati e un centinaio gli asceti considerati tali nella tradizione interna) si possono accennare due momenti di particolare rilievo: il passaggio dell’umanesimo e la ripresa dell’elaborazione storico-spirituale nel periodo centrale del ‘900. Con il generalato di Mariotto Allegri (1460 ca.) il monastero aprì le porte al sodalizio fiorentino di Lorenzo de’ Medici. Fu un momento di altissima ricerca intellettuale e spirituale che coinvolse Lorenzo e Giuliano de’ Medici, Cristoforo e Gerardo Landino, Ambrogio Traversari, Alamanno Rinuccini, Pietro e Donato Acciaioli, Marco Parenti, Antonio Canigiani, Leon Battista Alberti e Marsilio Ficino. Da questi incontri uscirono, grazie alla penna di Cristoforo Landino, le Disputationes Camaldulenses apparse tra gli anni 1474 e 1475, stampate a Firenze nel 1480. Frutto di quella stagione è l’avvio di una stamperia nei locali del monastero da cui uscì la Regula vite eremitice di Paolo Giustiniani, la Vita Romualdi di Pier Damiani e la Vita Basilii, attribuita al nipote di Basilio I, l’imperatore Costantino VII Porfirogenito.

In lingua italiana
Il ritorno ai monaci del monastero (soppresso per le leggi del 1866) avvenuta nel 1934, permise la riapertura della foresteria i cui locali furono inaugurati il 22 luglio 1934 dal card. Elia Della Costa e dalla presenza della prime settimane teologiche dei laureati cattolici. A questo gruppo si aggiunse poi la Federazione italiana degli universitari cattolici (FUCI). La riflessione evangelica e le problematiche della società italiana videro nascere nel luglio del 1943 un testo che ebbe poi grande rilievo per i padri costituenti, il Codice di Camaldoli. Fra le personalità che animarono quella stagione vi furono Aldo Moro, Giorgio La Pira, Giulio Andreotti, Vittore Branca, Giuseppe Capograssi, mons. Adriano Bernareggi, Guido Gonnella, Giuseppe Medici, Paolo Emilio Taviani, Pasquale Saraceno, Sergio Paronetto e, soprattutto, mons. Giovanni Battista Montini. Una stagione che ha permesso ai monaci di sintonizzarsi rapidamente con l’evento del Vaticano II, riformulando sia i testi giuridici come l’insieme della liturgia monastica. Momento di grande creatività, ma anche di grande tensione. «Per quanto riguarda la teologia delle ore la svolta decisiva si ebbe nella Settimana santa del 1968, quando la comunità decise, non senza sacrificio, di celebrare tutto l’ufficio divino in lingua italiana» (Matteo Ferrari), obbligandosi a un lungo lavoro di invenzione musicale, opera in particolare di Thomas Matus. Oggi i monaci sono un centinaio e altrettante le monache. La presenza dei primi, oltre all’eremo e al monastero di Camaldoli, si registra a san Gregorio al Celio a Roma, all’eremo di san Giorgio (Garda – Verona), all’eremo di Monte Giove (Fano – Pesaro e Urbino), a san Biagio e Romualdo (Fabriano – Ancona) a Big Sur e Berkeley (California – USA), a Mogi das Cruzes (Brasile), a Tamil Nadu (India) e a Mafinga (Tanzania). Gli oblati a Montebelluna (TV) e a Mosciano (FI). Le monache sono a Roma, Contra (Arezzo), Valledacqua (Ascoli Piceno), Poppi (Arezzo), Pratovecchio (Arezzo), a Faenza, a La Seyne-sur-Mer (Francia); hanno tre monasteri in Tanzania, uno negli USA, due in Polonia, uno in Brasile, tre in India. Si devono aggiungere i dati della congregazione di Monte Corona: una sessantina di eremiti, presenti a Tuscolano (Frascati), a Pascelupo (Perugia), a Torreglia (Padova), in due fondazioni in Polonia e una in Spagna, USA, Colombia e Venezuela. Il millennio, avviato il 7 febbraio con un metro di neve all’eremo di Camaldoli, conoscerà una dozzina di appuntamenti religiosi e altrettanti di tipo culturale a Camaldoli fra il 2012 e il 2013. Ma una quindicina di altri eventi si svolgeranno presso luoghi camaldolesi e no in tutta Italia.

(Lorenzo Prezzi su Testimoni 4 del 2012)