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StudentiMarzo 2012

Dalla formazione che riceviamo o diamo dipende il presente e il futuro della nostra vita e della nostra missione.
Senza una formazione adeguata il rischio di ripeterci, di fermarci e di perdere il senso di ciò che siamo e di ciò che facciamo

La formazione, chiave della vita consacrata

 

 

Nella 77a Assemblea semestrale dei Superiori maggiori (USG) che si è tenuta a Roma lo scorso  mese di novembre, un posto importante ha avuto la relazione di Fr. José Rodríguez Carballo, ofm, sul tema della formazione per la vita consacrata in un cammino epocale. È un argomento su cui molto si è parlato negli anni recenti, ma che non deve essere ritenuto ormai esaurito. Alla base c’è infatti la convinzione assodata che «dalla formazione che riceviamo o diamo dipende il presente e il futuro della nostra vita e della nostra missione». In effetti, – ha sottolineato Fr. Carballo in apertura della sua relazione, «la formazione è la chiave che ci apre la porta a una vita e missione significative. Senza una formazione adeguata alle esigenze di oggi, il rischio di ripeterci, di fermarci e di perdere il senso di ciò che siamo e di ciò che facciamo è più di una semplice ipotesi di lavoro». Il tema, così come è stato sviluppato, si presta bene anche per una profonda revisione di vita, nel periodo ormai imminente dell’anno liturgico dedicato alla Quaresima, poiché si tratta di “cercare all’essenziale” della nostra vita consacrata, senza perderci in cose secondarie, come alle volte capita. Dall’intervento di Fr. Carballo ricaviamo gli aspetti centrali, partendo da alcune “convinzioni previe”, da lui sottolineate, importanti quando si parla di formazione. La prima è che la formazione, «è un percorso, un cammino che dura tutta la vita». Essa, pertanto non si riferisce solo, come dice espressamente l’Istruzione Ripartire da Cristo, agli anni in cui uno si prepara alla prima professione o alla consacrazione definitiva. Formarsi non è questo, ma qualcosa che non finisce mai o, meglio ancora, inizia con la prima chiamata del Signore e termina con la visita di “sorella morte corporale”. Proprio per questo bisogna parlare di “formazione mai terminata”». Una seconda convinzione «è che la formazione consiste fondamentalmente nel lasciarsi trasformare e configurare a immagine del Maestro, nel lasciare che lo Spirito ci vada con-formando a lui... è convertirsi “al Verbo di Dio”, è cambiare atteggiamento per accogliere meglio la parola di Dio, per lasciare che la nostra vita si conformi sempre di più a quella di Cristo». E questo deve portare «ad assumere la radicalità di vita come un’esigenza normale nel seguire Cristo. Se la vita religiosa consiste nel “riprodurre” e “seguire più da vicino” la vita di Gesù, il radicalismo evangelico non è un optional, ma un’opzione di vita. La teologia della formazione ha superato il modello di “imitazione”, ha approfondito il modello del “seguire” e si sta forgiando sul modello di “identificazione” con i sentimenti di Cristo. Ciò comporta, tanto nella formazione permanente quanto in quella iniziale, simultaneamente una formazione profondamente umana ed evangelicamente esigente».
Un’ulteriore convinzione, «è che la formazione si realizza soprattutto nella vita di ogni giorno, nelle situazioni che vive la propria comunità, assumendo le cose di sempre – anche la gioia, la stanchezza e il dolore, i successi e i fallimenti – come luoghi privilegiati che il Signore ci offre per trasformare la nostra vita. Nella formazione non si possono disdegnare le mediazioni più ordinarie in cui il Signore può manifestarsi. Formarsi e formare significa prendere la vita come formazione di per sé, in modo che ogni atteggiamento o gesto, nei momenti importanti e nelle circostanze ordinarie della vita, abbia a rivelarne la piena e gioiosa appartenenza a Dio». Essa, inoltre – è importante ricordarlo – deve «essere formazione di tutta la persona», formazione integrale, cioè che tenga conto della persona nella sua totalità perché sviluppi in modo armonico le sue doti fisiche, psichiche, morali e intellettuali, e si inserisca attivamente nella vita sociale e comunitaria». Nel processo di formazione, infatti « si tratta di alimentare l’intera vita, non solo una dimensione, per importante che sia. Perciò si deve fare attenzione alla dimensione umana, cristiana e carismatica, e perciò si devono “toccare” i quattro centri vitali della persona: la mente (sono importanti i concetti), il cuore (si tratta di assimilare e personalizzare i concetti e perciò sono fondamentali i sentimenti), le mani (la formazione deve essere pratica) e i piedi (la formazione parte dalla vita e sfocia nella vita, perché vive in chiave di missione)».
E tutto, sottolinea Fr. Carballo, «deve calarsi in un Progetto di formazione o Ratio formationis, che può essere provinciale o generale. Compito urgente della formazione è “cercare l’essenziale”. «Oggi più che mai ci si impone di tornare al cuore stesso della nostra scelta cristiana e religiosa, tralasciando gli aspetti periferici». Pertanto, il gran lavoro di fronte al quale si trova oggi la vita religiosa consiste in questo: «identificare gli elementi irrinunciabili di questo progetto di vita. E in questo, negli elementi irrinunciabili, deve incentrarsi e concentrarsi la formazione, tanto permanente che iniziale». Ma quali sono gli ambiti, si è chiesto Fr. Carballo, su cui deve insistere in questo momento storico la formazione. Sono quelli indicati sia dal Congresso internazionale della vita consacrata (2004) sia dal recente Seminario sulla teologia della vita religiosa (febbraio 2011: la spiritualità, la vita fraterna in comunità e la missione).

La dimensione spirituale della vita religiosa
Questo è il primo fondamento teologale della vita religiosa. Su di esso si deve rifondare e ristabilizzare la vita consacrata. Dio è l’unico veramente necessario, veramente primordiale nella vita di un religioso. La vita religiosa non si comprende se non dall’esperienza di esser chiamati, conquistati, attratti dal Dio vivente e vero, e dal seguire Cristo in modo radicale «in una comunità di discepoli per servire e realizzare un ministero nel suo nome» La sua missione non è altro che affermare, con la propria vita, la supremazia assoluta di Dio, e la sua forza e fecondità apostoliche si radicano nell’intima unione con Cristo e nella configurazione con lui, espressa e realizzata mediante la professione dei consigli evangelici. Leggiamo nella Vita consecrata: «Quanto più si vive in Cristo, tanto meglio lo si può servire negli altri, spingendosi fino agli avamposti della missione, e assumendo i più grandi rischi» Questa configurazione con Cristo fa sì che la vita religiosa sia «memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù [...], tradizione della vita e del messaggio del Salvatore».
«Nella formazione si deve perciò prestare particolare attenzione all’esperienza di Dio, in modo tale  da poter sviluppare la capacità e la sensibilità per captare il linguaggio di Dio, sentire la sua presenza e il suo lavoro amoroso nella vita quotidiana. È l’esperienza di Dio che ci porterà a dire con Giobbe: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto” (Gb 42,5). Non si può confondere l’esperienza di Dio con il consumo di orazioni ed esercizi di pietà, anche se tutto iò è necessario. L’esperienza consumata genera attitudini, comportamenti e, in definitiva, una nuova vita, una vita di chi si sente discepolo e vive di conseguenza. L’esperienza di Dio, più di qualsiasi altra, forgia la propria esistenza, perché la trasforma in “icona” del Signore».

Formarci per formare nel primato di Dio
«In tempi di inverno, di uragani e tormente, come quelli che stiamo vivendo, urge tornare a fondare o rifondare la vita religiosa sulla roccia che è Cristo, sulla roccia ferma della fede radicale, sull’esperienza di Dio... Questa esperienza suppone, in primo luogo, il formarci e il formare a una fede radicale, nell’esperienza dell’assoluto che relativizza tutto il resto. È la fede radicale o esperienza teologale quella che dà senso e sapore al progetto di vita di un religioso. Questa fede radicale è quella che porta il credente, il religioso, a una resa fiduciosa alla provvidenza di Dio, anche prima di tradursi in pratiche religiose o in compromessi storici. La fede radicale è quella che ci introduce nella dimensione contemplativa e che si alimenta di essa; è quella che coinvolge tutta la persona e si converte in fonte di vera gioia, di speranza che non delude, e di testimonianza nel mondo». «È chiaro, quindi, che la fede radicale non si confonde con la mera conoscenza o riflessione teologica, ripetizione di formule, sistema ideologico o convinzione volontarista; né si confonde con il mero sentimento religioso o si esaurisce nel mondo dell’affettività. Né ha molto a che vedere con una esperienza emozionale dei momenti di preghiera. La fede radicale di cui stiamo parlando non si riduce nemmeno ai momenti di preghiera propriamente detti, anche se si nutre di essi. La fede radicale è una scoperta, un’accettazione graduale e viva della realtà di Dio e dell’uomo alla luce di Gesù Cristo. La fede radicale è soprattutto un’esperienza di fiducia nel Signore come quella di Pietro quando afferma: “sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5). Una fiducia che va oltre ogni ragione, di totale garanzia umana, e che supera le nostre forze, le nostre ragioni, le nostre luci. Questa fiducia è quella che sostiene la fedeltà, anche nei momenti di maggior prova. La fede radicale è quella che immette sulla via della sequela fino “ad avere gli stessi sentimenti di Cristo” (Fil 2,5)».
Fr. Carballo sottolinea: «Per fare questa esperienza non basta tornare a una mera regolare osservanza o aumentare il tempo dedicato alla preghiera e alla meditazione,o moltiplicare le celebrazioni liturgiche e le pratiche devozionali proprie di ogni famiglia religiosa. Per fare questa esperienza bisogna andare oltre il semplice rituale e la semplice osservanza. Bisogna richiederla con insistenza, accoglierla con mansuetudine (poiché si tratta di un dono dello Spirito), esercitarla con costanza attraverso un’intensa preghiera personale, attraverso l’ascolto quotidiano della parola di Dio e la celebrazione dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione».

Mediazioni formative per l’esperienza di Dio
Ma per fare esperienza di Dio, afferma Fr. Carballo, sono necessarie delle mediazioni. La prima è «la necessità di maestri dello spirito e di un vero accompagnamento spirituale. Nella formazione iniziale ciò richiede la presenza di formatori che stiano sviluppando detto processo, persone credibili per la loro vita di fede, veri maestri dello spirito. Per quanto riguarda la formazione permanente, sono necessari gli stessi maestri che, avendo soddisfatto la propria sete di Dio, come la samaritana, si trasformino in testimoni e in maestri alla ricerca dell’acqua della vita (cf. Gv 4,1ss.)». Inoltre, occorre «favorire un ambiente di silenzio abitato, di intensa preghiera, di profondi interscambi spirituali, di ambienti in cui, senza paura, si verifichi incessantemente la fede. Solo così i giovani nella formazione iniziale e gli adulti nella formazione permanente potranno testimoniare con la loro stessa ricerca che Dio vive, che Gesù è il Signore, che lo Spirito è la forza che li anima. E quindi le fraternità/comunità saranno luoghi di illuminazione della fede, luoghi di preghiera e di riferimento evangelico per gli stessi religiosi e per gli uomini e le donne che cercano un senso alla loro vita». Si sente pertanto «la necessità di case di formazione che siano “scuole di preghiera”. Questa è una risposta che molti laici aspettano da noi religiosi: formare comunità in cui la vita di preghiera sia vissuta come priorità manifesta. Questo è un mezzo di evangelizzazione che non possiamo dimenticare, se vogliamo rispondere adeguatamente a tante aspettative che ci arrivano dalla nostra società profondamente secolarizzata, ma anche alla ricerca di un senso». Ci sono poi altre mediazioni formative per favorire l’esperienza di Dio, che Fr. Carballo riassume così: la formazione a un autentico spirito liturgico, l’introduzione allo studio e alla lettura orante della parola di Dio, la coltivazione dell’autentica devozione mariana, esperienze di ritiro e di eremitaggio. Allo stesso modo è importante un’adeguata educazione/formazione che renda possibile la lettura della propria vita e della propria storia con gli occhi della fede, la contemplazione di Cristo nel povero e la gerarchizzazione evangelica di valori e attività, così come un adeguato uso del tempo tenendo conto delle esigenze della vita fraterna in comunità, dei bisognosi e della missione, e dell’uso dei mezzi di comunicazione con la dovuta discrezione».

Vita fraterna in comunità
Il secondo elemento fondamentale e irrinunciabile per la formazione è la vita fraterna in comunità. L’esigenza è di passare «dalla vita in comune alla comunione di vita». «I modi di viverla – sottolinea fr. Carballo – cambiano secondo il carisma, possono essere secondari i modelli sociologici di comunità religiosa, le forme di organizzazione e i ritmi comunitari, però l’essenziale rimane: una vita fraterna in comunità che mostra al mondo in cosa consiste l’amore cristiano; una vita fraterna in comunità che arriva a essere una vera “famiglia unita in Cristo”, dove ognuno manifesta all’altro i propri bisogni e dove tutti i membri possono raggiungere la piena maturità umana, cristiana e religiosa». «La vita fraterna in comunità è, di fatto, uno dei segni più forti dell’amore dell’Eterno, ma anche il luogo in cui si decide e si rende più credibile il rinnovamento della vita religiosa... La vita fraterna in comunità oggi ha un grande valore di testimonianza per i nostri contemporanei, perché mostra la cosa più essenziale della vita cristiana, l’amore fraterno, e proprio per questo è di per sé annuncio del Vangelo. Per molti è la prima forma di evangelizzazione».
È importante quindi «formarci per formare a una vita fraterna in comunità che sia significativa». Si può aggiungere che «la vita fraterna in comunità è un elemento non solo essenziale nella vita religiosa, ma anche uno dei più attraenti per molti giovani che vi si avvicinano, che nella vita fraterna in comunità cercano uno spazio in cui si condividono e si celebrano comunitariamente la fede e la parola di Dio; uno spazio che ponga al centro la persona, moltiplicando i momenti d’incontro e non tanto le strutture; un ambito vitale in cui operi la comunità di beni e di servizi, così come la missione condivisa; uno spazio in cui si viva la riconciliazione e la correzione fraterna e in cui ogni fratello accompagni il cammino di fedeltà degli altri fratelli; uno spazio, infine, caratterizzato da uno stile semplice di vita e aperto alla condivisione con la gente, specialmente con i più poveri». «In questo contesto, possiamo dire che una fraternità o comunità che desideri definirsi formativa deve sentirsi chiamata a dare una risposta alle summenzionate esigenze e, al tempo stesso, deve sforzarsi di cercare costantemente i mezzi adeguati per ricreare la comunione, l’intercomunicazione, il calore e la verità nelle relazioni reciproche dei membri. Una fraternità o comunità che voglia essere formativa deve essere anche profetica, una fraternità-simbolo, che sappia leggere i segni dei tempi e incarnare il Vangelo in modo concreto e comprensibile per la cultura attuale. Una fraternità chiamata a formare deve sapersi e sentirsi in continua formazione, cercando tutti insieme ciò che piace al Signore, accettandosi reciprocamente, limitando la propria libertà per quella degli altri, sottomettendosi alle esigenze della vita comunitaria e alle strutture indispensabili della fraternità. Una fraternità formativa deve essere, in definitiva, sacramento della trascendenza e al tempo stesso profondamente umana e umanizzante. Per questo devono essere coltivati valori come l’amicizia reciproca, la cortesia, lo spirito gioviale, in maniera tale che sia uno stimolo permanente di pace e letizia, mettendo sempre Cristo al centro».

Alcune mediazioni
Come nel caso della spiritualità, anche per la vita fraterna in comunità sono necessarie delle “mediazioni formative”. Tra le principali, fr. Carballo pone in primo luogo la vita ordinaria: «sono la quotidianità, la vita dei giorni feriali e la normalità il vero segreto della formazione e ciò che la rende permanente. Fuggire da tutto ciò sarebbe puerile e procurerebbe al religioso una frustrazione permanente, forse una ricerca di pretesti permanenti». Un’altra mediazione importantissima è quella del conflitto. «Apparentemente può sembrare una contraddizione, tuttavia il conflitto affrontato con maturità, lucidità e autenticità può essere un importante elemento formativo. Di fronte ai conflitti, la formazione deve aiutare i giovani e gli adulti a non avere una reazione di fuga, di accomodamento e di competizione, ma una reazione di collaborazione. Quest’ultima è quella di chi non si sottrae al conflitto, ma lo affronta mettendoci la faccia e, al tempo stesso, grazie al suo atteggiamento fondamentalmente solidale, rispetta posizioni opposte alle sue, sa dialogare e collaborare, cercando con onestà una soluzione al conflitto, mettendo in questione le proprie ragioni». Per imparare a reagire così «bisogna avere un’attitudine al dialogo, in quanto cammino di luce: uno illumina l’altro, interscambiando piccole briciole di verità...». Importante, inoltre, e molto, «è anche la comunicazione interpersonale. È il primo passo per progredire nella costruzione di un’autentica vita fraterna in comunità». Questa, se vuole essere uno strumento al servizio della costruzione della vita fraterna in comunità, «deve avvenire a tre livelli: ciò che uno fa, ciò che uno pensa e ciò che uno sente». Perciò, «la comunicazione è più di un semplice interscambio di idee o di notizie. Una comunicazione qualitativamente profonda costituisce un momento d’incontro tra persone. Comunicare significa entrare in relazione diretta con “un altro” che posso chiamare definitivamente “tu”. È incontrarmi con un “tu”, che mi rende più “io”». Per una comunicazione matura, un aspetto non secondario, secondo Fr. Carballo, «è l’esistenza di comunità eterogenee, in cui la comunicazione non finisce per essere una trappola per creare membri somiglianti tra loro o membri che si auto-selezionano. Una casa di formazione dovrebbe riflettere, per quanto possibile, l’ambiente familiare dove ci sono anziani, adulti, giovani e bambini. Bisogna saper convivere e crescere con “l’altro”, con “il diverso” già dall’inizio della vita consacrata. In questo senso sono molto importanti le comunità internazionali o multiculturali, in cui si è obbligati a confrontarsi quotidianamente con l’internazionalità, con l’interculturalità e con il carattere missionario».
Sempre in tema di comunicazione, Fr. Carballo, richiama l’attenzione su una tentazione da evitare: «Malgrado i molti mezzi di comunicazione di cui dispongono i religiosi – afferma – ho l’impressione che oggi si è penalizzata molto la comunicazione interpersonale. Incontriamo sempre più degli interconnessi e meno persone che comunicano, sempre più comunità e tuttavia siamo sempre più soli. Questo può portare a tragiche conseguenze in relazione alla vocazione. In questo contesto mi sembra importante segnalare la necessità di lavorare nella formazione per la vita fraterna in comunità nella dimensione dell’affettività, in quanto capacità di relazione. Da una sana affettività dipende in gran parte l’ambiente formativo di una fraternità o comunità». Importante, inoltre, nella formazione alla vita fraterna in comunità è creare interdipendenza, ossia «capacità di collaborare in un progetto comune e di procedere insieme fino a raggiungere lo stesso obiettivo; camminare insieme, perché in ciò sento che mi gioco l’autorealizzazione e la felicità. Grazie all’interdipendenza e alla collaborazione, il gruppo sparisce per trasformarsi in famiglia, costituita, come abbiamo detto, da persone eterogenee e da ricchezza di ruoli; famiglia in cui si sviluppano regole di condotta comuni e si stabilisce una forma soddisfacente di leadership». Infine una mediazione altrettanto importante, tanto nella formazione permanente quanto in quella iniziale, è il Progetto fraterno di vita e missione. «In tale progetto non bisogna preoccuparsi dell’efficacia operativa che dia impulso alla sua elaborazione, ma della necessità d’integrare armonicamente l’insieme della nostra vita e di stabilire in essa criteri che guidino la vita e la missione. Tra le priorità del carisma e della missione evangelizzatrice, anche durante la formazione iniziale, deve esserci una dinamica circolare di retroalimentazione  nella quale si iscrivono i progetti, sia personali che comunitari».

La missione
Il terzo elemento basilare della formazione, ha afferma to Fr. Carballo, è la missione, quale fattore essenziale della vita religiosa. Ha citato il discorso di Benedetto XVI ai superiori generali nell’udienza del 26 novembre 2010, in cui ha detto: «La missione è il modo di essere della Chiesa e, con essa, della vita consacrata; è parte della vostra identità». Ora, ha sottolineato Fr. Carballo, «non si può intendere la missione del religioso senza un riferimento essenziale a Cristo». Pertanto, «la missione del religioso non può ridursi a un volontariato, né spiegarsi semplicemente con i paradigmi del pensiero contemporaneo. Non si può separare la “apostolicità” del religioso dal suo significato cristologico, con tutto ciò che comporta. Perché chi è chiamato da Cristo lo è per essere mandato da lui, poiché la vera vocazione ha la missione di annunciare Cristo».
Tuttavia, quest’aspetto non basta: «Nella missione, il religioso è chiamato a confrontarsi costantemente con il processo della post-modernità e con tutto ciò che comporta. Come conseguenza, una sfida importante che si prospetta al religioso in relazione alla missione è quella di essere consapevole della complessità del momento attuale, che più che post-cristiano è pre-cristiano. Il mondo per ogni consacrato racchiude un profondo significato teologico. Poiché non è qualcosa che si deve sopportare o che si deve evitare, ma una realtà che deve essere contemplata con gli occhi di Dio, amata come la ama il Padre. Una realtà che è un’opportunità per seguire più da vicino Cristo. In questo senso possiamo dire che nella realtà dell’uomo e della donna di oggi seguire Cristo non è semplicemente facoltativo, tanto meno per i religiosi, ma un ingrediente caratterizzante, perché ci configuriamo come discepoli che partecipano al ministero della persona e alla missione del Figlio di Dio». È necessario formarci per formare nella e per la missione. Per questo, occorre tenere presente un principio fondamentale: «Essendo la missione un elemento costitutivo della vita religiosa, è necessario che la formazione, sia la permanente che l’iniziale, aiuti a scoprire la vita come missione, come l’ha vissuta Gesù: l‘intera vita affidata all’annuncio della Buona Novella... Se vogliamo essere “missionari” e “apostoli”, dobbiamo frequentare la scuola di Gesù e da questa scuola imparare a guardare il nostro mondo».
È un mondo in cui «la situazione attuale si distingue, tra gli altri elementi, per la sua complessità. Ciò fa sì che chi voglia essere portatore del dono del Vangelo qui e adesso deve acquisire la necessaria saggezza e avere coraggio sufficiente per vivere la complessità, senza rinunciare con questo alla ricerca dell’esperienza fondante o essenziale, la ricerca dell’unum necessarium». Carballo cita a quieto riguardo Giovanni Paolo II il quale afferma: «La formazione è un processo vitale attraverso il quale la persona si converte al Verbo di Dio fin nelle profondità del suo essere e, nello stesso tempo, impara l’arte di ricercare i segni di Dio nelle realtà del mondo. Il mondo, la storia, l’economia, la politica, le diverse arti, la vita della gente che ci circonda, la nostra..., tutto è disseminato di tracce della presenza di Dio. Oggi non si può pensare a una formazione per la vita religiosa che ci ponga o che ponga i nostri fratelli da formare nella condizione degli abitanti di una città assediata». Inoltre, prosegue Carballo, «se la missione deve essere sempre inter-gentes, allora la formazione, sia permanente che iniziale, deve portare a un dialogo permanente con la realtà, a un atteggiamento di ascolto rispettoso di quanto ci arriva dalla situazione complessa che sta attraversando il nostro mondo, senza per questo sospendere il giudizio critico che si ha di esso. Una formazione sulla difensiva o, ancor peggio, carica di negatività in relazione al mondo di oggi, avrebbe conseguenze tragiche nella missione evangelizzatrice cui siamo chiamati noi religiosi, poiché impedirebbe un dialogo fecondo con la cultura attuale e, di conseguenza, impedirebbe la restituzione del dono del Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo. Una formazione sulla difensiva e carica di negatività ci estranierebbe dal nostro mondo e ci porterebbe a presentare un Dio estraneo alla storia dell’umanità, con il rischio di contribuire alla costruzione di un mondo senza Dio».
Inoltre, «per la vita religiosa apostolica, si richiede una formazione inserita, ben accompagnata, vicina alle gioie e ai dolori dei nostri fratelli, gli uomini e le donne di oggi. Una formazione che permetta di porci come discepoli e missionari “in una realtà che cambia con un ritmo spesso frenetico”. Una formazione adeguata per seguire con la mano sull’aratro, per valutare la durezza della terra e l’inclemenza del tempo; una formazione proprio per questo tempo in cui il cammino da percorrere si può presentare troppo lungo (1Re 19). Una formazione che risponda non solo ad un’epoca di cambiamenti, come tante altre della storia colme di novità, ma a un cambiamento d’epoca, in un momento storico in cui le trasformazioni sono tanto accelerate e complesse che si ha facilmente la sensazione di non sapere cosa fare. Una formazione piena di simpatia ed empatia per il mondo, che Dio ama e critica al contempo, perché non sempre è il mondo amato da Dio (cf. Gv 17,9). Un visione che non tralasci di proiettare una visione positiva, evangelica, sui contesti e le culture in cui siamo immersi, scoprendo le opportunità inedite di grazia che il Signore ci offre. Una formazione che aiuti a «prendere il largo», ad addentrarsi senza paura nei nuovi areopaghi e ad andare, secondo le parole di Benedetto XVI, agli avamposti della fede». In una parola, «non si può vivere voltando le spalle alla realtà che ci circonda e che, in un modo o nell’altro, entra a far parte di noi stessi». Di qui appunto l’esigenza di  una formazione in grado di «stare molto attenta alla lettura dei segni dei tempi e dei luoghi, fatti di vita che segnano una determinata epoca della storia e attraverso i quali il religioso deve sentirsi interpellato da Dio e chiamato a dare una risposta attraverso il Vangelo; lampi di luce nella notte oscura delle nostre vite e della vita della nostra gente, fari forieri di speranza che bisogna saper discernere e interpretare (cf. Lc 12,56)». Tra le sfide che si pongono c’è quella del linguaggio. Occorre, cioè, afferma Carballo, «optare per un nuovo linguaggio par farsi capire dall’uomo e dalla donna di oggi ». Si tratta di «un’esigenza dalla quale non si può prescindere nella missione», per cui «oggi più che mai si rende necessario aprire la gabbia del linguaggio perché la comunicazione del Vangelo sia più efficace e feconda». E quest’esigenza «deve essere un impegno concreto nella formazione permanente e si deve tener presente dalla formazione iniziale, se vogliamo che l’evangelizzazione sia realmente nuova». Infine, determinante per formazione alla missione «è la passione per la verità». Senza questa passione, «l’evangelizzazione cadrebbe nella pura retorica e diventerebbe insignificante, con il rischio di cadere nel relativismo. La passione per la verità è fondamentale se non vogliamo essere «fanciulli in balia delle onde, trasportati da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore» (Ef 4,14)». Tra le mediazioni per questa formazione, Carballo pone al primo posto: una fraternità/comunità che si senta in missione; ma «non una fraternità/comunità carciofo, chiusa su se stessa, bensì aperta agli altri». In effetti, «una fraternità/comunità che voglia formare per la missione dovrà essere sempre meno ripiegata e concentrata su se stessa e sempre più attenta agli spazi che potrebbero aprirsi nella testimonianza e nell’annuncio del Vangelo come buona novella di fraternità tra tutti gli uomini, in particolare per gli ultimi e gli esclusi, poiché essi sono i primi destinatari dell’Evangelo (cf. Lc 4,18ss)». Conclude Fr. Carballo: «La formazione permanente e iniziale è la chiave che ci apre al presente con passione e a un futuro di speranza e di conseguenza a una vita religiosa significativa».

(Antonio Dall’Osto, su Testimoni 3 del 2012)