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mosaicoMarzo 2012

 

Rileggendo “Vita Consecrata” a distanza di 15 anni

 

È stata un grande dono!

 

 

 

Quindici anni fa, il 25 marzo 1996, Giovanni Paolo II firmava l’Esortazione apostolica Vita consecrata, un documento di sintesi dopo un periodo creativo e sofferto per gran parte degli Istituti della vita consacrata. Il documento, scaturito dal sinodo dei vescovi del 1994 ed emanato da Giovanni Paolo II due anni dopo, era atteso, anche se non ha soddisfatto tutte le attese, alcune piuttosto divergenti, altre eccessive. Tra le attese eccessive c’era la speranza di trovare delle formule per rilanciare il declino numerico della VC nell’occidente secolarizzato. Tra le attese deluse basta citare quelle posizioni teologiche che per diversi motivi auspicavano un profilo basso della VC, posizioni scaturite dal timore di creare o ripetere la suddivisione dei battezzati in categorie di più o meno perfetti. Tra le attese soddisfatte, la principale era quella di avere un documento chiarificatore: sulla dottrina o sulla teologia della VC, per “sapere chisiamo”, “qual è la nostra identità”, “che cosa pensare della valanga di interpretazioni del nostro genere di vita”, che hanno diviso le comunità e gli istituti, lasciando nell’incertezza e alimentando la conflittualità. Il documento ha fatto chiarezza, ma senza demonizzare chi aveva pensato diversamente, dal momento che ha cercato di fare tesoro del maggior numero di elementi positivi emersi dall’impegno del vivacissimo trentennio del rinnovamento postconciliare.

 

 

 

Una sintesi creativa

 

Vita consecrata sarebbe impensabile se venisse staccata dagli anni fervidi del postconcilio, impegnati come pochi altri nella storia della Chiesa, nelpensare e ripensare la vita consacrata. Anni resi possibili dall’alto numero di teologi e di esperti nei vari settori,
interessati a trovare equilibri diversi tra le varie componenti ecclesiali, a scoprire per la VC spazi nuovi nella nuova società, a illustrare aspetti mai esplorati sino allora, con uno sguardo proiettato ottimisticamente sul futuro, con una nutrita produzione editoriale, seguita con attenzione dalle religiose e dai religiosi, coinvolti direttamente nel rinnovamento “del pensiero, delle opere
e della vita”. Era naturale che in tanta dovizia di proposte, non sempre fosse facile trovare la retta via, o quanto meno la via più retta. Era però evidente che il materiale da costruzione prodotto era abbondante, con alte punte di qualità e quindi utilizzabile per una buona architettura. Architettura che ovviamente nonpoteva non basarsi sulla consolidata tradizione, cioè sull’apporto di pensiero e di proposte, frutto dell’azione incessante dello Spirito creatore che lungo i secoli ha profuso carismi, ispirazioni, vie di santità, spiritualità, forme di consacrazione a Dio nella sequela di Cristo. L’architettura è risultata possibile dal fatto che il coordinamento dei vari stili è avvenuto non tanto a livello teologico, quanto a livello teologale. Perché è a livello teologale che si incontrano le varie espressioni della VC e si spiega la stessa VC. E il livello teologale è quello ove avviene l’incontro con Cristo, ove l’amore si salda con la verità, la teologia con la vita. È infatti dalla contemplazione del mistero di Cristo che, nella luce e nella forza dello Spirito, riconduce il mondo al Padre, che ha origine e si articola l’edificio della Esortazione. Nel luminoso mistero trinitario, nel quale è avvolta la storia del cosmo e dell’umanità,viene inserita la vicenda della vita consacrata come intensa risposta a partecipare, nella Chiesa e con la Chiesa, a questa storia di salvezza, nella speciale sequela del Figlio che conquista e seduce, in forza dell’azione dello Spirito che realizza l’incontro e opera la trasformazione in lui. Il mistero trinitario viene contemplato come “luce e origine”, “fine e compimento” di quanto esiste, di quanto ha vita e conduce alla vita. Una contemplazione vitale nella quale trova il suo habitat naturale la vita consacrata, che con il suo esistere dice, dichiara, confessa il privilegio e la gioia d’essere consacrata dal Padre per ritornare al Padre. Lo Spirito poi suggerisce le risposte alle diverse necessità, immettendo nella storia, favorendo la creatività, impedendo il fissismo in nome dell’eterno, distribuendo nuovi carismi. Ecco la Confessio Trinitatis, titolodella prima parte, che tanto ha sorpreso. La speciale sequela si realizza nella “conformazione” alla forma di vita di Cristo, vergine, povero e obbediente, tutto dedito al Padre e ai fratelli. Ciò implica una più intima adesione a Cristo, attraverso una “tensione conformativa”, che traduce in atteggiamenti di vita che fluiscono dalla conformazione professata. Questo come provocazione per ogni cristiano, che nella “corsa” della VC verso l’unico essenziale, trova uno stimolo a camminare sollecito sulla via che conduce all’eterno. Una teologia dunque che nasce dalla contemplazione e sfocia nella vita, una teologia che si arricchisce dell’esperienza personale dei santi che sono stati maestri della ricerca di Dio e del servizio ai fratelli lungo i secoli. Una teologia quindi che non solo illumina la prassi, ma viene arricchita dalla prassi “spirituale”, cioè suggerita
dalla Spirito.


Un interrogativo e la risposta


Una parte cospicua della VC ha accolto favorevolmente, con punte di vero entusiasmo, l’impianto teologico complessivo del documento, trovandovi motivazioni e ispirazione per continuare, riprendere, accelerare il proprio cammino. Altri sono rimasti perplessi di fronte a una teologia “poetica”, tanto elevata da sembrare non essere in grado di mordere la realtà, una teologia tanto rarefatta da perdere di incisività. Quasi a dire: “ci vuol ben altro per la nostra società secolarizzata”. Con l’auspicio di avere una elaborazione più fondata antropologicamente, più attenta alla sensibilità contemporanea. A questo punto sorge l’interrogativo: dato per scontato che si debbano operare delle mediazioni di vario tipo, è possibile fondare la VC, senza una dimensione mistica? È possibile dedicare la propria vita al Signore e ai fratelli senza una pur minima esperienza del mistero di Dio? È il caso di riprendere qui una celebre affermazione di Karl Rahner: la vita cristiana (e tanto più quella consacrata) o sarà mistica o non sarà. Non si intende fare del misticismo aereo o degli svolazzi poetici, ma rendersi conto che nella desertificazione della città secolare, le oasi saranno possibili solo là dove scorre l’acqua viva che alimenta il contatto con Dio, con la sua Parola, con la Parola vivente il Verbo incarnato, dal quale scorrono i fiumi dello Spirito che fa fiorire il deserto. Di fronte alle non piccole difficoltà di far comprendere questa realtà ai giovani della nostra società, la via non è abbassare la meta, fare proposte più umanamente comprensibili, addolcire il cammino, perché tutto questo sarebbe illusorio, per il semplice fatto che la vita consacrata sta o cade con questo profilo alto. Tentare di dare un altro profilo vuol dire togliere al sale il suo sapore. La Chiesa non ha bisogno di un esercito di persone consacrate, ma di persone consacrate che vivono per Dio e per i fratelli, con dedizione e gioia. Forse il tempo di una VC, intesa come una manodopera a buon
mercato, da impegnare nelle opere apostoliche, volge al termine.

 

La chiesa locale e la teologia della VC


La valorizzazione della VC in chiave prevalentemente funzionale da parte di alcune chiese locali ha contribuito a provocare una lenta eutanasia della stessa VC, che vede che le sue attività possono essere svolte da altri e non raramente con maggior competenza, anche se non sempre con maggior carità, e che quindi è ritenuta intercambiabile. La valutazione della VC in base ai suoi servizi è riduttiva e pericolosa, perché, oltre che manifestare una scarsa o nulla attenzione alla sua dimensione “teologale” e teologica, ha contribuito alla incomprensione della VC, alla sua riduzione ad agente pastorale, alla sua illusoria sostituibilità da parte di altre componenti del corpo ecclesiale, alla dimenticanza della sua intrinseca forza testimoniale presso il popolo cristiano.
Che questa non sia una accusa gratuita e ingenerosa, lo dimostra il fatto della recente eliminazione anche del corso di teologia della vita consacrata nel programma degli studentati teologici italiani, quasi che un presbitero possa alimentare le vocazioni alla vita religiosa o sostenere la vita spirituale delle comunità religiose, avendo in pratica una visione soltanto giuridica, quando va bene, della VC. Ma i rilievi non si fermano qui: nei trattati di ecclesiologia siamo ben lungi non solo dal recepire la teologia
della Esortazione, ma anche quella della Lumen Gentium.


Non ci sentiamo così inutili


Nessun capitolo è tanto latitante nei manuali del trattato sulla Chiesa quanto il capitolo sesto sui religiosi. Se si riflette poi sul fatto che l’Esortazione Vita consecrata ha voluto rispondere alle domande insistenti di chiarificazione del sinodo, affermando che «la vita consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa come un suo elemento irrinunciabile e qualificante, in quanto espresso dalla sua natura» e che quindi «la concezione di una Chiesa composta unicamente da ministri sacri e da laici non corrisponde pertanto alle intenzioni del suo divino Fondatore quali ci risultano dai Vangeli e da altri testi neotestamentari» (VC 29), si vede la perdita di evangelicità di una trattazione, priva di un elemento che appartiene alla sua natura e che fa parte della sua struttura divina carismatica. Come se gli Apostoli fossero soltanto dei trasmettitori di poteri e non anche modelli di apostolica vivendi forma, e che questa appartenga alla buona volontà degli spirituali. E si potrebbe continuare, facendo ancora notare, come un recente documento di una Congregazione romana non consideri in pratica la VC, in quanto tale, tra i soggetti della nuova evangelizzazione. Anche se volessimo riconoscere le nostre manchevolezze fino alla feccia, non ci sentiamo tuttavia così inutili da essere nominati solo per essere richiamati al dovere, non solo per quello che abbiamo fatto in passato, ma anche per quello che la VC, pur con tutte le sue deficienze, rappresenta nel presente. L’Esortazione apostolica a quindici anni stimola in primo luogo noi persone consacrate a vivere una vita più “teologale”, ma stimola anche i teologi a non privarsi dei suoi apporti teologici. Come pure invita le chiese locali a uno sguardo più “penetrante” nel mistero della testimonianza dell’esserci della VC, senza la quale si assisterebbe a un impoverimento spirituale, conseguenza della mancanza della presenza di forme visibili, anche se imperfette, di radicalità cristiana.

 

(p. Piergiordano Cabra su Testimoni 3 del 2012)