ORIENTARSI - Mondo Voc aprile 2012                                                                Torna al sommario

 

 

La storia del popolo eletto non è storia di santi, né di un popolo obbediente e fedele. Per questo la possiamo leggere come anche la nostra storia.


FIGURA DI UNA VOCAZIONE MOLTO UMANA (2) 

 

Giosia e la memoria perduta e ritrovata d'Israele

 

La storia di Israele come la nostra storia. Piena di slanci e di abbandoni, di ricordi e di dimenticanze, di promesse e di tradimenti. La nostra dimenticanza di Dio e della sua Legge, diventa perdita di identità e smarrimento esistenziale. Allora Dio ci fa “ritrovare”, e la sua fedeltà che ci perdona, ci permette anche di iniziare una nuova storia, ci dona la possibilità di un nuovo inizio.

 

di Amedeo Cencini


Re_GiosiaUn altro re che la memoria d’Israele ha in benedizione è Giosia. Che succede a due re empi, non graditi al Signore perché avevano commesso ciò che è male ai suoi occhi. La storia del popolo eletto non è storia di santi, né di un popolo obbediente e fedele. Per questo la possiamo leggere come anche la nostra storia. Ma per questo, soprattutto, è la storia pure di un Dio ricco di misericordia, che si ricorda del suo popolo, ma anche si dimentica del suo peccato, e chiede a noi di fare altrettanto.

 

 

Il libro smarrito

Nella storia del re Giosia, e più precisamente nei primi anni del suo regno, accade un fatto inquietante: Israele, la cui fede nasce dall’ascolto della Parola e si esprime nell’osservanza della Legge, smarrisce proprio il “Libro della legge”. Fino a questo punto era arrivata l’infedeltà ormai generalizzata! Ed è sotto il regno di Giosia che, durante i lavori di restauro del tempio, dietro a un muro viene scoperto un rotolo. Si tratta proprio del libro del Deuteronomio, che il popolo ormai non sa più nemmeno leggere. Quando Giosia lo viene a sapere, si strappa le vesti “perché si era perduto e dimenticato proprio il libro che chiedeva di ricordare”[1], di ricordare quel che Dio aveva fatto per la sua gente (cf 2Re 22,3-20).


È una contraddizione che probabilmente ritroviamo anche nella nostra vita. E che nasce con l’esilio della Parola, questa sorta di insignificanza o di ignoranza della Parola di Dio, non abbastanza messa al centro della vita della Chiesa e della nostra stessa vita, al di là dell’apparenza liturgica ufficiale, e che finisce per causare una sostanziale dimenticanza di Dio. Ma cosa avviene nella storia d’Israele quando la Parola perde la sua centralità e va in esilio? Avviene che in esilio ci va anche Israele, come commentano e interpretano i grandi profeti. E in esilio Israele si dimentica anche della propria identità di popolo scelto da Dio, come cancellasse la propria storia.

 

 

Dio si dimentica…

Re_Giosia_MichelangeloMa la cosa davvero singolare è la reazione di Dio. Nell’esilio pure Dio si dimentica. Si dimentica dei peccati e perdona Israele (cf Ger 31,34). È come se la dimenticanza del popolo provocasse il medesimo fenomeno in Dio, ma se per Israele dimenticare è andare in esilio, lontano da Dio e da se stesso, per l’Onnipotente dimenticare è riconciliarsi col suo popolo, riavvicinarsi a lui. Colui che è capace di ricordare più di tutti, è anche colui che è capace di dimenticare. E meno male per noi. Se Dio fosse soltanto memoria incancellabile, lo sarebbe anche il mio peccato per lui, e io davanti a lui sarei solo peccatore, magari perdonato, ma sempre peccatore. Se invece Dio, quando perdona, dimentica, allora io sono innocente, come ristabilito in una nuova identità. Così “l’amnesia di Dio diventa l’amnistia d’Israele” (A.Schoekel)[2], e di chiunque sperimenta la straordinaria bontà creativa dell’Eterno.

 

 

Dio chiede a Israele di dimenticare

Torniamo al nostro re Giosia. Dopo il ritrovamento del Libro della legge (o della memoria), il coraggioso e fedele re organizza una vera e propria riforma religiosa, tutta basata, a ben vedere, sul binomio memoria-amnesia. L’una non esclude l’altra. Al contrario Israele deve anzitutto recuperare la propria memoria, la memoria della propria identità, in qualche modo “scritta” in quel Libro che era stato smarrito. E quella memoria gli ricorda che è il popolo scelto dal Signore, è sua sposa, di cui Lui continua a essere perdutamente innamorato. Per questo Giosia ordina di abbattere tutti gli idoli, destituisce i sacerdoti che si erano prostituiti ai culti pagani, brucia e distrugge ogni segno dell’infedeltà d’Israele: il popolo deve dimenticare tutto ciò, ed è possibile farlo perché Dio, colui che è fedele, per primo lo ha dimenticato.


E se il Dio d’Israele dimentica i peccati del suo popolo, non si può appartenergli se non si impara a fare la stessa cosa o ad avere il medesimo atteggiamento nei confronti dei peccati altrui. È un altro tipo di dimenticanza (stavolta nei confronti degli altri), ma è ancora una volta sempre lo stesso principio che funziona. Ovvero è sempre la solita coppia di opposti che deve assolutamente stare assieme: memoria e dimenticanza. Altrimenti è per noi impossibile perdonare. Il perdono è cosa divina, non umana. Solo Dio può perdonare assieme a coloro che hanno sperimentato il suo perdono, e lo ricordano bene.

 

 

Dimenticanza sbagliata

Re_Giosia_ascoltaEppure spesso succede che non sappiamo perdonare, e tanto meno sappiamo dimenticare. Forse questo capita quando funziona in noi la… dimenticanza sbagliata, ovvero ci dimentichiamo che Dio si è dimenticato dei nostri peccati; per questo ci ricordiamo bene, fin troppo bene, dei debiti degli altri nei nostri confronti. È solo la memoria di Dio, infatti, che può azzerare la memoria dell’offesa ricevuta dall’altro. Se, al contrario, noi ci dimentichiamo di Dio (e della sua misericordia verso di noi) non possiamo dimenticarci nemmeno dei nostri peccati, e continueremo a ricordarli come memoria che ci opprime, né a questo punto potremo dimenticare il peccato degli altri verso di noi. Detto diversamente: il non perdono (e la non dimenticanza) nei confronti degli altri è sempre conseguenza di una non riconciliazione interiore, ma entrambi gli atteggiamenti di non misericordia, verso di noi e gli altri, rimandano a una mancata esperienza o a una povera memoria del perdono di Dio nei nostri confronti, ovvero, a una dimenticanza sbagliata. Il non perdonare è sempre segno di una certa disperazione interiore, quasi sfogo di un disagio interiore, nel tentativo di scaricarlo addosso all’altro.


Ecco la riforma da attuare nella nostra vita se non vogliamo rassomigliare a Israele che smarrisce il libro della memoria e va in esilio, lontano da sé, dagli altri, da Dio!



[1] C.Pagazzi, Il prete oggi. Tracce di spiritualità, Bologna 2010, p.49. 

 2] Cf Ibidem, 49-50.

 

 

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