ORIENTARSI - Mondo Voc febbraio 2012                                                           Torna al sommario

 

 

 

QUANDO LA VOCAZIONE È DOC

Eliseo, profeta verace


Nella tipologia delle vocazioni il profeta Eliseo rappresenta quelli che sono stati scelti da Dio attraverso una mediazione umana, come normalmente avviene nella maggioranza dei casi. E nella mediazione umana della chiamata da parte di Dio, un grande ruolo ha il fattore testimoniale di chi già è stato chiamato, quasi un “contagio per trasmissione diretta”, che fa vedere il senso e la bellezza della vocazione.

di Amedeo Cencini

EliseoAi tempi della monarchia in Israele, c’erano molti profeti. Ma non tutti erano veri profeti, profeti dell’Altissimo, poiché non parlavano in nome suo né facevano profezie confermate poi dai fatti. Tanti erano i falsi profeti, o perché “inviati” di falsi dèi, o perché si erano attribuiti da se stessi il compito di parlare in nome del Dio dei nostri padri.
Evidentemente anche allora funzionavano le 4 categorie di chiamati di cui avrebbe poi parlato S.Girolamo: coloro che sono stati scelti da Dio senza alcuna mediazione umana (e sono una eccezione), quelli che sono stati scelti da Dio ma attraverso una mediazione umana (come è più normale, rappresentano infatti la maggioranza), coloro che non sono stati scelti da Dio ma solo dagli uomini (vedi discernimenti sbagliati o raggiri e raccomandazioni falsificanti), e infine quelli che si sono… scelti da soli, senza alcuna chiamata divina né umana (e sono i casi peggiori).
Eliseo rappresenta la seconda opzione, quella in effetti più frequente: è chiamato da Dio, ma attraverso la mediazione di Elia che lo ungerà profeta.

Il mantello di Elia
Elia, il profeta di fuoco, non esita a porre in atto quanto Dio gli ha chiesto e getta addosso a Eliseo il proprio mantello. Il mantello era simbolo della personalità e della vocazione stessa, diremmo noi, di chi lo indossava. Gettandolo su Eliseo, Elia lo accoglie come discepolo, anzi, come colui che continuerà la sua missione.
Mi pare un gesto molto suggestivo e molto umano insieme. Allude alla vocazione non come una questione del tutto privata tra Dio e l’uomo, che quest’ultimo interpreta a modo suo o accetta perché… gli piace o gli serve per i suoi scopi (fossero anche nobili), ma come una chiamata divina che ha comunque bisogno della verifica umana, e che soprattutto giunge al diretto interessato perché un altro gliela trasmette, uno che già la vive con passione e gliene fa vedere il senso e la bellezza, quasi la genera in lui. Si fa animazione vocazionale per contagio. Una volta ho sentito un vescovo dire, a riguardo della vocazione sacerdotale, che ogni prete dovrebbe “generare un figlio-prete”, almeno uno. Se non lo fa vuol dire che non vive bene la propria vocazione.
 

 

“Prese un paio di buoi e li uccise…”
Eliseo_2Eliseo non dubita un istante. Stava arando la terra con i buoi, non solo lascia lì tutto, ma uccide i buoi e distrugge i suoi attrezzi da lavoro per preparare il banchetto di commiato; ovvero manifesta la scelta di rinunciare al proprio lavoro e di lasciare la propria casa con i suoi affetti, per assumere pienamente e con slancio la nuova missione, da lui in realtà non programmata.
Il gesto così risoluto di Eliseo prefigura la pienezza di donazione che Gesù chiederà a tutti coloro che vorranno seguirlo, dai primi suoi discepoli a tutti i chiamati. Non come atto moralistico o che sa solo di rinuncia, ma come convinzione di aver intravisto un tesoro, per il quale vale la pena dire di no a tutto il resto: la gioia della scoperta dà la forza per la rinuncia. Al di là di ogni volontarismo o eroismo.
 

 

“Due terzi del tuo spirito siano in me”
Eliseo è davvero profeta verace se, dinanzi alla possibilità di chiedere quello che vuole, domanda una parte dello spirito del grande profeta Elia. Eliseo è vero con se stesso poiché chiede ciò che sente ed è più importante per lui; ma è anche umile, non presume essere come Elia; è discreto, non pretende tutto il suo spirito; è fedele a chi lo ha preceduto, se vuole agire come lui, con la sua stessa disposizione interiore.
La vocazione è questa storia ininterrotta di chiamati che si trasmettono fedelmente un’eredità spirituale preziosissima, come una generazione senza fine. Ed è in effetti molto bello pensarsi piccolo anello di questa catena, piccolo ma con la coscienza di avere tanto ricevuto e del tutto gratuitamente, e di voler dare, con la stessa gratuità. Così com’è ancora toccante il grido di Eliseo nel momento in cui Elia sale verso il cielo: “Padre mio, padre mio…”.
Triste sarebbe che questa catena si interrompesse, o da una parte (chi deve trasmettere passione e fascino della chiamata) o dall’altra (chi è chiamato).
 

 

Fermezza e rettitudine
Eliseo_3La vicenda di Eliseo è costellata di una serie notevole di interventi miracolosi (dalla moltiplicazione dell’olio della vedova, alla guarigione di Naaman, alla risurrezione del figlio della Sunammita), ma vissuti sempre da profeta, come colui che parla in nome di un altro. Non annuncia se stesso, né sfrutta la posizione per i propri interessi. Per questo quando si accorge che un suo servo, Giezi, ha agito in modo scorretto ed egoista (pretendendo denaro e altri beni da quel Naaman che Eliseo aveva guarito dalla lebbra, e poi mentendo sull’operato), interviene con durezza e lo punisce severamente. Perché? Non tanto per la menzogna e l’avarizia del soggetto, ma perché egli aveva usurpato, per trarne un vantaggio personale, l’autorità del profeta, negando o compromettendo sia la gratuità del beneficio divino della guarigione, sia la credibilità del profeta stesso, che non aveva voluto ricevere nulla per la guarigione miracolosamente da lui operata.
Giezi viene punito, per questo, addirittura con la lebbra, e non solo lui, ma pure la sua discendenza. Perché è peccato grave usare il dono di Dio e il proprio ruolo di chiamato per gli interessi personali. Sarebbe un autentico tradimento della vocazione, o come un’interruzione della catena generazionale vocazionale.

 

 

 

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