ATTUALITÀ - Mondo Voc maggio 2011                                                           Torna al sommario

 

 

Più che di emergenza educativa è il caso di parlare di crisi dei modelli tradizionali di riferimento.


La crisi dell’adulto attuale


Oggi, più che i giovani, ad essere in crisi sono gli adulti. È necessario che si prenda coscienza che se c’è un’emergenza educativa questa riguarda prima di tutto gli adulti: essa è lo specchio dei nostri disorientamenti, delle nostre “dimissioni”, del basso profilo della nostra visione della vita. L’attuale crisi dell’educazione si affronta solo se la generazione adulta sarà disponibile a rimettersi in gioco e a rivedere il proprio progetto di vita.


di Sandro Perrone

 

Perrone_1_maggioAdulti che si comportano come eterni ragazzini

Vorrei spezzare una lancia, come si suol dire, in favore dei giovani. Si parla tanto di emergenza educativa e sarebbe sciocco volerla negare; tuttavia, ho l’impressione che la vera crisi sia quella dei modelli tradizionali di riferimento. In soldoni, più che i giovani, ad essere in crisi sono gli adulti.

Leggo su un sito web: “Su facebook vedi un sacco di ragazzi è vero, ma vedi 3 millioni di adulti che si comportano come i bambini. Mettono foto sceme, chiedono amicizie solo per gareggiare con altri adulti e si lamentano se un ragazzo ha più amici di loro. INSOMMA BASTA ADULTI CHE SI COMPORTANO DA BAMBINI”.


Con la scusa che l’adolescenza e la giovinezza si sono allungate, gli adulti, semplicemente si rifiutano di crescere. Sono convinti nell’intimo di poter prolungare l’adolescenza fino ai capelli bianchi e oltre. In Italia, questi adulti-bambini sono quasi dieci milioni.


Se ci poniamo la domanda quale sia la differenza con un adolescente, la risposta è: nessuna. Secondo l’Istat, più di un quarantenne su due usa il computer per mandare messaggi nelle chat. Per la precisione: il 52,9% di quella fascia d’età che va dai 35 ai 44 anni non esita ad ammettere di chattare con regolarità e uno su tre (il 29,1%) di usare i file sharing per scambiarsi musica e film. Non solo. Cosa fanno nel tempo libero i quarantenni? Vanno al cinema, è ovvio (il 58,2%). Ma più di uno su quattro (25,9%) ammette candidamente: vado in discoteca. Già, quando non allo stadio (il 41,3% dei maschi e il 20,9% delle donne). Sono gli eterni quarantenni, che da vent’anni hanno venti anni! Con uno strano passaparola, si ritrovano tutti insieme a fare le vacanze al mare, realizzando la più alta percentuale di single italiani quarantenni mai concentrata in uno stesso luogo alle isole Eolie o a quelle greche: sono i maschi quarantenni che non disdegnano di “farsi” vedere giovani con lo spinello che penzola dalle labbra.  Sono i maschi che, ben più delle femmine, vogliono vivere come eterni ragazzini. In fuga dal matrimonio. I numeri? I single maschi fino a 44 anni sono circa il doppio delle donne: il 9% contro il 5,4%. E di questi sono ben tre su quattro (il 73,4%) che non si sono mai sposati, contro il 26,5% di separati e lo 0,1% di vedovi: una generazione ancora alla ricerca di tutto.

 


Ogni generazione è figlia di quella precedente

Perrone_2_maggioLa generazione attuale è figlia di quella che l’ha preceduta, e che per comodità chiamiamo la “generazione del ‘68”. 

 

Nel ’68 s’invocava “la rivoluzione al potere”, “la fantasia, l’immaginazione al potere”. I giovani, cullati da belle speranze, erano veramente convinti di potercela fare, di realizzare finalmente un “mondo nuovo”. Non è stato così. Ma c’è di più: “quei giovani” sono diventati a poco a poco trentenni, quarantenni, cinquantenni e sessantenni, che non solo non hanno prodotto la “rivoluzione” culturale, sociale, politica ed economica che sognavano.

 


Tutto questo ha influito sulla generazione successiva, che si è trovata privata anche della spinta propulsiva che comunque il ’68 aveva.

 

 Nemmeno il 1989, con la caduta del muro di Berlino, il crollo delle ideologie, la fine dei blocchi est-ovest, lo spostamento degli interessi economici planetari dall’Europa all’Asia, il fenomeno delle correnti immigratorie, ecc, un mondo nuovo che d’incanto stava sorgendo – quello di prima non esisteva più – è servito a mutare sostanzialmente le cose. L’icona del periodo è, anzi, lo yuppie rampante, che abbraccia la comunità economica capitalista ed in essa trova realizzazione (che salto dall’hippie!).

 

Perrone_3_maggioImboccata ormai la china di uno sfacelo morale e di una decadenza sociale che sembrano inarrestabili, restava soltanto il rifugio nella corsa, anche’essa inarrestabile, verso il “privato” inteso come ricerca del benessere personale, disinteressato alle grandi utopie, nauseato dalla politica, immerso nella ricerca del piacere a tutti i costi. L’orizzonte si è ristretto e rimane unicamente la visuale del proprio interesse esclusivo ed individuale.


I cosiddetti “giovani” sono i figli di quella generazione, figli di quel “fallimento” mascherato da lustrini e paillettes. Negli anni ’80 c’era uno slogan:  “la Milano da bere”. Era il simbolo perfetto di quel “fallimento”: corsa ai “posti” migliori, corsa ai soldi, rincorsa del potere, del successo, dell’arrivismo, in una grande, colossata abbuffata o bevuta che dir si voglia. Non meraviglia che i figli assomiglino tanto ai padri.

 


Perrone_4_maggioEmergenza adulti: diventare un modello per le giovani generazioni

Dunque, se di “emergenza educativa” si deve parlare, questa tocca immediatamente il mondo degli adulti prima che quello dei giovani. Siamo noi adulti che dobbiamo prendere coscienza del precedente “fallimento” per cercare le opportune soluzioni. Non si può vivere in una permanente “contestazione del sistema”, il quale non meritava certo, ma che molti, troppi, hanno invece preferito continuare sterilmente a contestare, senza proporre soluzione alternative, senza costruire nulla in cambio.

 

È necessario cambiare registro e proporre con coraggio di “essere noi il cambiamento”, puntare su visioni più positive, più costruttive dal punto di vista delle scelte personali (e sociali), altrimenti si rischia di cadere (quando già non si è caduti) nel nichilismo culturale. Credo che l’approccio debba essere quello dell’empowerment, per usare una parola di derivazione manageriale, ossia dare forza e fiducia ai giovani, che facciano da soli le loro esperienze, che si creino le loro strade per realizzare quei valori positivi che, per esempio, sono stati lasciati dallo stesso ’68 e cioè i valori di giustizia, di solidarietà, di uguaglianza.

 

Per insegnare i valori non serve mettersi in cattedra ma è efficace dare l’esempio, diventare (sì, “diventare” più che presentarsi come) un modello per le giovani generazioni. Questo richiederebbe una vera rivoluzione antropologica, cioè un cambiamento radicale nel modo di essere, di pensare, di agire, che è prevalente e dominante oggi. È necessario comprendere che emergenza educativa significa prendere coscienza dei nostri disorientamenti, delle nostre “dimissioni” dal compito educativo, del basso profilo della nostra visione della vita.

 

Nella vita familiare, per esempio, è vero che la figura paterna sta attraversando una crisi sempre più profonda. I papà non possono più essere autoritari e impositivi come un tempo perchè i figli non accettano più questa modalità educativa. Sono sovrastati da mogli spesso più decise e dure di loro che ricoprono (o cercano di ricoprire) il ruolo normativo che era di loro competenza. Per differenza tendono a incarnare sempre più la parte del poliziotto buono diventando più materni delle madri. Il risultato è una figura che sembra scontentare tutti: i figli perchè non gradiscono un padre-mamma e una mamma-padre, le mogli che li trattano da smidollati, e se stessi per carenza di autostima. L’autorevolezza non si conquista con l’autoritarismo, ma con altre qualità, quali avvicinarsi di più ai figli, essere più calorosi, più affettivi, impegnati fattivamente nella loro vita quotidiana, essere padri affettuosi, essere regolatori dolci ma fermi. Occorre conquistare il rispetto e l’affetto dei propri figli. Ma chiedere rispetto significa contemporaneamente dare rispetto; questo ci conquista, a sua volta, non con la forza ma con comportamenti dignitosi, coraggiosi, intelligenti ed onesti. Se si riesce in questo compito, si miglioreranno le qualità umane dei figli, facendone a loro volta rispettabili e rispettosi delle regole.


Perrone_5_maggioIn questo modo, mentre si educano i figli, i giovani, gli adulti si auto-educano, in una presa di responsabilità che li rende davvero adulti, cioè maturi. Sfortunatamente, non sono molti gli adulti coscienti di questa responsabilità, a tutti i livelli: tanto in famiglia, quanto a scuola, nelle istituzioni religiose e in quelle civili, è tutto un “cercare complicità” con i giovani, alla ricerca di facili e momentanei successi, che sono presto dimenticati, lasciando i giovani disorientati (quando non peggio) e gli adulti infantili ed immaturi. Non c’è bisogno di fare esempi, che sono sotto gli occhi di tutti.

 


Conlusione

Ripeto: la difficoltà, la “crisi, l’emergenza educativa” non sta tanto nei giovani quanto negli adulti. Sono loro che fanno fatica ad educare, ad essere credibili, a testimoniare esperienze di vita e di impegno significative per i giovani. Parafrasando una celebre frase, educare stanca, diventa sempre più difficile dare ai ragazzi ragioni e regole, forse perché loro per primi non le hanno e non le osservano. Non c’è dubbio che le tradizionali agenzie educative (la famiglia, la scuola, la Chiesa) si trovino oggi ad affrontare la proposta educativa di quel contesto sociale (si pensi solo alla TV e a internet) dalla terribile capacità persuasiva; la tentazione più facile ed immediata è quella della fuga, di abbandonare ogni tentativo. L’emergenza educativa degli adulti è quella di mantenersi in formazione permanente. Forse un tempo era possibile educare ed insegnare quello che si era ricevuto nel passato, ma le situazioni oggi sono cambiate: regole e principi, in passato condivisi, oggi lo sono di meno e i valori di riferimento non sono più così uniformi e diffusi. È dunque necessario che la generazione adulta si rimetta in gioco e riveda il proprio progetto di vita, prima di pensare a trasmetterlo agli altri, ai giovani. Soltanto così sarà possibile affrontare – e superare – l’emergenza educativa.

 

 

 

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