ISTRUZIONE SULLO STUDIO DEI PADRI DELLA CHIESA NELLA FORMAZIONE SACERDOTALE


INTRODUZIONE

1. In considerazione delle particolari necessità odierne degli studi teologici negli Istituti di formazione sacerdotale, questa Congregazione, dopo essersi occupata a suo tempo dello studio dei Padri della Chiesa nella sua globalità,[1]ora desidera dedicare la presente Istruzione ad alcuni problemi concernenti tale argomento. L'invito a coltivare più intensamente la patristica nei Seminari e nelle Facoltà teologiche potrebbe forse sorprendere qualcuno. Perché, infatti, - ci si potrebbe chiedere - si invitano professori e studenti a rivolgersi verso il passato quando oggi, nella Chiesa e nella società, ci sono così tanti e gravi problemi che esigono di essere urgentemente risolti? Si può trovare una risposta convincente a questo interrogativo se si dà uno sguardo globale alla storia della teologia, se si considerano attentamente alcune caratteristiche dell'odierno clima culturale, e se si presta attenzione alle necessità profonde e ai nuovi orientamenti della spiritualità e della pastorale.

2. La rivisitazione delle varie tappe della storia della teologia rivela che mai la riflessione teologica ha rinunciato alla presenza rassicurante ed orientatrice dei Padri. Al contrario, essa ha sempre la viva coscienza che nei Padri vi è qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido che continua a vivere e resiste alla fugacità del tempo. Come si è espresso a tale proposito il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, «della vita attinta ai suoi Padri la Chiesa ancora oggi vive; sulle strutture poste dai suoi primi costruttori ancora oggi viene edificata, nella gioia e nella pena del suo cammino e del suo travaglio quotidiano».[2]

3. La considerazione dell'attuale clima culturale fa poi emergere le molte analogie che legano il tempo presente con l'epoca patristica nonostante le evidenti differenze. Come allora, anche oggi un mondo tramonta mentre un altro sta nascendo. Come allora, anche oggi la Chiesa sta compiendo un delicato discernimento dei valori spirituali e culturali, in un processo di assimilazione e di purificazione, che le permette di mantenere la sua identità e di offrire, nel complesso panorama culturale di oggi, le ricchezze che la espressività umana della fede può e deve dare al nostro mondo.[3] Tutto ciò costituisce una sfida per la vita dell'intera Chiesa e in modo particolare per la Teologia la quale, per assolvere adeguatamente i suoi compiti, non può non attingere dalle opere dei Padri, come analogamente attinge alla Sacra Scrittura.

4. L'osservazione dell'odierna realtà ecclesiale, infine, mostra come le esigenze della pastorale generale della Chiesa e, in modo particolare, le nuove correnti di spiritualità reclamano alimento solido e fonti sicure di ispirazione. Di fronte alla sterilità di tanti sforzi torna spontaneo pensare a quel fresco soffio di vera sapienza ed autenticità cristiana, che promana dalle opere patristiche. È un soffio che ha già contribuito, anche recentemente, ad approfondire numerose problematiche liturgiche, ecumeniche, missionarie e pastorali, le quali, recepite dal Concilio Vaticano II, sono considerate per la Chiesa di oggi fonte di incoraggiamento e di luce. I Padri, quindi, dimostrano tuttora la loro vitalità e tuttora hanno molte cose da dire a chi studia o insegna teologia. È per questa ragione che la Congregazione per l'Educazione Cattoli­ca si rivolge ora ai Responsabili della formazione sacerdotale per proporre loro alcune utili riflessioni sull'odierna situazione degli studi patristici (I), sulle loro più profonde motivazioni (II), sui loro metodi (III), sulla loro concreta programmazione (IV).

ASPETTI DELLA SITUAZIONE ATTUALE

Ogni discorso sui temi suindicati suppone, come suo punto di partenza, la conoscenza della situazione in cui si trovano oggi gli studi patristici. Ci si domanda, pertanto, quale posto venga oggi riservato ad essi nella preparazione dei futuri sacer­doti e quali siano a tale riguardo le direttive della Chiesa.

1. I PADRI NEGLI STUDI TEOLOGICI DI OGGI

5. Lo stato attuale della patristica negli Istituti di formazione sacerdotale è strettamente connesso con le condizioni generali dell'insegnamento teologico: con la sua impostazione, struttura ed ispirazione fondamentale; con la qualità e la preparazione specifica dei docenti, con il livello intellettuale e spirituale degli alunni, con lo stato delle biblioteche e, in genere, con la disponibilità dei mezzi didattici. La sua situazione non è pertanto dappertutto uguale; essa differisce non soltanto da un paese all'altro, ma è diversa anche nelle varie diocesi delle singole nazioni. Tuttavia, si possono individuare, a tale riguardo, a livello della Chiesa universale, sia aspetti positivi, che certe situazioni e tendenze che pongono talvolta per gli studi ecclesiastici dei problemi.

6. a) L'inserimento della dimensione storica nel lavoro scientifico dei teologi, avvenuto agli inizi del nostro secolo, ha richiamato l'attenzione, tra l'altro, anche sui Padri della Chiesa. Ciò si è dimostrato straordinariamente proficuo e fecondo, non solo perché ha reso possibile una migliore conoscenza delle origini cristiane, della genesi e dell'evoluzione storica di varie questioni e dottrine, ma anche perché lo studio dei Padri ha tro­vato alcuni cultori veramente eruditi ed intelligenti, i quali hanno saputo mettere in evidenza il nesso vitale che vige tra la tra­dizione ed i problemi più urgenti del momento presente. Gra­zie ad un tale accesso alle fonti, i lunghi e faticosi lavori della ricerca storica non sono rimasti fissati in una mera investiga­zione del passato, ma hanno influito sugli orientamenti spiri­tuali e pastorali della Chiesa odierna, indicando il cammino verso il futuro. È naturale che ad approfittarne maggiormente sia stata la teologia.

7. b) Tale interesse per i Padri continua anche oggi, sia pure in condizioni un po' diverse. Nonostante un notevole decadimento generale della cultura umanistica, si nota qua e là un risveglio nel campo patristico, che coinvolge non soltanto insigni studiosi del clero religioso e diocesano, ma anche numerosi rappresentanti del laicato. In questi ultimi tempi vanno moltiplicandosi pubblicazioni di ottime collane patristiche e di monografie scientifiche, le quali sono l'indice forse più evidente di una vera fame di patrimonio spirituale dei Padri, un fenomeno consolante che non manca di riflettersi positivamente anche nelle Facoltà teologiche e nei Seminari. Tuttavia, l'evoluzione verificatasi in campo teologico e culturale in genere, mette sotto gli occhi certe insufficienze e vari ostacoli alla serietà del lavoro che non devono essere ignorati.

8. c) Non mancano oggi concezioni o tendenze teologiche le quali, contrariamente alle indicazioni del Decr. «Optatam totius» (n. 16), dedicano scarsa attenzione alle testimonianze dei Padri e, in genere, della Tradizione ecclesiastica, limitandosi al confronto diretto dei dati biblici con la realtà sociale e con i problemi concreti della vita, analizzati con l'aiuto delle scienze umane. Si tratta di correnti teologiche, che prescindono dalla dimensione storica dei dogmi e per le quali gli immensi sforzi dell'epoca patristica e del medio evo non sembrano avere alcuna vera importanza. In tali casi lo studio dei Padri viene ridotto al minimo e coinvolto praticamente nel rifiuto globale del passato. Come si vede sull'esempio di varie teologie del nostro tempo, staccate dall'alveo della Tradizione, in questi casi l'attività teo­logica o viene ridotta ad un puro «biblicismo», o diventa pri­gioniera del proprio orizzonte storico, adattandosi alle varie filosofie ed ideologie di moda. Il teologo, abbandonato praticamente a se stesso, credendo di fare teologia, non fa in realtà che storicismo, sociologismo, ecc. appiattendo i contenuti del Credo ad una dimensione puramente terrena.

9. d) Si riflette negativamente sugli studi patristici anche una certa unilateralità, che si avverte oggi in vari casi nei metodi esegetici. L'esegesi moderna, che s'avvale degli aiuti della critica storica e letteraria, getta un'ombra sui contributi esegetici dei Padri, i quali vengono ritenuti semplicistici e, in sostanza, inutili per una conoscenza approfondita della Sacra Scrittura. Tali orientamenti, mentre impoveriscono e snaturano la stessa esegesi, rompendone la naturale unità con la Tradizione, diminuiscono indubbiamente la stima e l'interesse per le opere patristiche. L'esegesi dei Padri, invece, potrebbe aprirci gli occhi ad altre dimensioni dell'esegesi spirituale e dell'ermeneutica che completerebbero quella storico - critica, arricchendola di intuizioni profondamente teologiche.

10. e) Oltre alle difficoltà provenienti da certi orientamenti esegetici, bisogna menzionare anche quelle che nascono da concezioni distorte della Tradizione. In alcuni casi, infatti, al posto della concezione di una Tradizione viva, che progredisce e si sviluppa con l'avanzare della storia, se ne ha un'altra troppo rigida, detta a volte «integrista», che riduce la Tradizione alla ripetizione di modelli passati e ne fa un blocco monolitico e fisso, che non lascia alcun posto al legittimo sviluppo e alla necessità della fede di rispondere alle nuove situazioni. In tal modo si creano facilmente pregiudizi nei confronti della Tradizione come tale, i quali non favoriscono un accesso sereno ai Padri della Chiesa. Paradossalmente, si ripercuote in modo sfavorevole sull'apprezzamento dell'epoca patristica la stessa concezione della tradizione ecclesiastica viva, quando i teologi nell'insistere sull'uguale valore di tutti i momenti storici, non tengono suf­ficientemente conto della specificità del contributo fornito dai Padri al patrimonio comune della Tradizione.

11. f) Inoltre, molti odierni studenti di teologia, provenienti da scuole di tipo tecnico, non dispongono di quella conoscenza delle lingue classiche, che si richiede per un accostamento serio alle opere dei Padri. Di conseguenza lo stato della patristica negli Istituti di formazione sacerdotale risente notevolmente degli attuali cambiamenti culturali, caratterizzati da un crescente spirito scientifico e tecnologico, che privilegia quasi esclusiva­mente gli studi delle scienze naturali ed umane, trascurando la cultura umanistica.

12. g) Infine, in vari Istituti di formazione sacerdotale i programmi di studio sono talmente sovraccaricati di varie nuove discipline ritenute più necessarie e più «attuali», che non rimane spazio sufficiente per la patristica. Questa, di conseguenza, deve accontentarsi di poche ore settimanali, o di soluzioni di ripiego nel quadro della Storia della Chiesa antica. A tali difficoltà si aggiunge spesso la mancanza nelle biblioteche di collezioni patristiche e di appropriati sussidi, bibliografici.

I PADRI NELLE DIRETTIVE DELLA CHIESA

Il discorso sullo stato attuale degli studi patristici non sareb­be completo, se non venissero menzionate le relative norme uf­ficiali della Chiesa. Esse, come si vedrà, mettono in chiara luce i valori teologici, spirituali e pastorali contenuti nelle opere dei Padri, nell'intento di renderli fruttuosi per la preparazione dei futuri sacerdoti.

13. a) Tra queste direttive occupano il primo posto le indica­zioni del Concilio Vaticano II concernenti il metodo dell'insegnamento teologico ed il ruolo della Tradizione nell'interpretazione e nella trasmissione della Sacra Scrittura. Nel n. 16 del Decreto «Optatam totius» viene prescritto per l'insegnamento della dogmatica il metodo genetico, tutt'altro che in contrasto con la necessità di approfondire i misteri della teologia e di «vederne il nesso per mezzo della speculazione, avendo S. Tommaso come maestro» (ib.): metodo che nella sua seconda tappa contempla l'illustrazione del contributo che hanno fornito i Padri della Chiesa Orientale ed Occidentale per la «fedele trasmissione ed enucleazione delle singole verità rivelate». Detto metodo, tanto importante per la comprensione del progresso dogmatico, è stato nuovamente confermato dal re­cente Sinodo straordinario dei Vescovi del 1985 (cfr. Relatio finalis II, B, n. 4).

14. L'importanza che hanno i Padri per la teologia e, in modo particolare, per la comprensione della Sacra Scrittura, risulta, inoltre, con grande chiarezza da alcune dichiarazioni della Co­stituzione «Dei verbum» sul valore e sul ruolo della Tradizione: «La Sacra Tradizione dunque e la Sacra Scrittura sono stret­tamente tra loro congiunte e comunicanti... la Sacra Tradizione trasmette integralmente la parola di Dio, affidata da Cristo Si­gnore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, ai loro successori... accade così che la Chiesa attinga la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura. Perciò l'una e l'altra devono essere accettate con pari sentimento di pietà e di riverenza» (n. 9). Come si vede, la Sacra Scrittura, che deve essere «l'anima della teologia» e «suo fondamento perenne» (n. 24), forma un'u­nità inscindibile con la Sacra Tradizione, «un solo deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa... da non poter indipendente­mente sussistere» (n. 10). E sono appunto «le asserzioni dei Santi Padri» che «attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e prega» (n. 8). Pertanto, anche oggi, nonostante gli innegabili progressi compiuti dall'esegesi mo­derna, la Chiesa «che si preoccupa di raggiungere una intelli­genza sempre più profonda della Sacra Scrittura, per poter nutrire di continuo i suoi tigli con le divine parole... a ragione favorisce anche lo studio dei Santi Padri dell'Oriente e dell'Occidente e delle Sacre Liturgie» (n. 23).

15. b) La Congregazione per l'Educazione Cattolica, nella «Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis» e nel documento su «La formazione teologica dei futuri sacerdoti» ribadisce le surriferite prescrizioni del Concilio Vaticano II, mettendone in luce alcuni importanti aspetti. Di fronte a certe tendenze riduttive in teologia dogmatica, si insiste sull'integrità e sulla completezza del metodo genetico,[4] illustrandone la validità, i valori didattici,[5] come anche le condizioni che si richiedono per una sua retta applicazione;[6] a tale proposito viene fatto un esplicito riferimento alla tappa patristico‑storica.[7] Secondo la «Ratio fundamentalis»,[8] i professori e gli alun­ni devono aderire con piena fedeltà alla parola di Dio nella Sa­cra Scrittura e nella Tradizione, attingendone il vivo senso «anzitutto dalle opere dei Santi Padri». Essi meritano una gran­de stima, perché «la loro opera appartiene alla tradizione vi­vente della Chiesa, alla quale, per disposizione provvidenziale, hanno portato contributi di valore duraturo in epoche più fa­vorevoli alla sintesi di fede e di ragione».[9] Un maggiore acco­stamento ai Padri può, pertanto, considerarsi il mezzo più efficace per scoprire la forza vitale della formazione teologica[10] e, so­prattutto, per inserirsi nel dinamismo della Tradizione, «che preserva da un esagerato individualismo garantendo oggettività del pensiero».[11] Perché tali esortazioni non rimanessero lettera morta, sono state impartite nel succitato documento su «La formazione teo­logica dei futuri sacerdoti» alcune norme per lo studio siste­matico della patristica (nn. 85‑88).

16. c) Gli impulsi conferiti allo studio dei Padri dal Concilio e dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica sono stati accentuati in questi ultimi decenni in varie occasioni dai Sommi Pontefici. I loro interventi, come quelli dei loro Predecessori, si distinguono per la varietà di argomenti e l'incisività sull'attuale situazione teologica e spirituale: «Lo studio dei Padri, di grande utilità per tutti, è di necessità imperiosa per coloro che hanno a cuore il rinnovamento teologico, pastorale, spirituale promosso dal Concilio e vi vogliono cooperare. In loro, infatti, ci sono delle costanti che sono alla base di ogni autentico rinnovamento».[12] Il pensiero patristico è cristocentrico;[13] è esempio di una teologia unificata, viva, maturata a contatto con i problemi del ministero pastorale;[14] è un ottimo modello della catechesi,[15] fonte per la conoscenza della Sacra Scrittura e della Tradizione,[16] come pure dell'uomo to­tale e della vera identità cristiana.[17] I Padri, «infatti, sono una struttura stabile della Chiesa, e per la Chiesa di tutti i secoli adempiono a una funzione perenne. Cosicché ogni annuncio e magistero successivo, se vuole essere autentico, deve confron­tarsi con il loro annuncio e il loro magistero; ogni carisma e ogni ministero deve attingere alla sorgente vitale della loro pa­ternità e ogni pietra nuova aggiunta all'edificio... deve collo­carsi nelle strutture già da loro poste, e con esse saldarsi e connettersi».[18] Gli incitamenti allo studio più intenso della patristica, dun­que, non mancano. Essi sono numerosi e ben motivati. Ora, per rendere tali sollecitazioni ancora più esplicite, si ritiene utile esporne qui di seguito alcune ragioni.

II. PERCHE' STUDIARE I PADRI

17. È ovvio che gli studi patristici potranno raggiungere il dovuto livello scientifico e portare i frutti sperati soltanto a condizione che siano coltivati con serietà e con amore. L'esperienza, infatti, insegna che i Padri schiudono le loro ricchezze dottrinali e spirituali soltanto a chi si sforza di entrare nelle loro profondità attraverso una continua ed assidua familiarità con essi. Ci vuole, pertanto, da parte dei docenti e degli alunni un vero impegno, per i seguenti principali motivi:

1) I Padri sono testimoni privilegiati dalla Tradizione;

2) Essi ci hanno tramandato un metodo teologico che è insieme luminoso e sicuro; 3) I loro scritti offrono una ricchezza cul­turale, spirituale ed apostolica che ne fa grandi maestri della Chiesa di ieri e di oggi.

1. TESTIMONI PRIVILEGIATI DELLA TRADIZIONE

18. Tra le varie qualifiche ed i vari ruoli, che i documenti del Magistero attribuiscono ai Padri, figura in primo luogo quello di testimoni privilegiati della Tradizione. Nel flusso della Tradizione viva, che dagli inizi del cristianesimo continua attraverso i secoli fino ai nostri giorni, essi occupano una posizione del tutto speciale, che li rende inconfondibili rispetto agli altri protagonisti della storia della Chiesa. Sono essi, infatti, che hanno espresso le prime strutture portanti della Chiesa insieme ad atteggiamenti dottrinali e pastorali che rimangono validi per tutti i tempi.

19. a) Nella nostra coscienza cristiana, i Padri appaiono sempre legati alla Tradizione, essendone stati contemporaneamente pro­tagonisti e testimoni. Essi sono più vicini alla freschezza delle origini; alcuni di loro sono stati testimoni della Tradizione apostolica, fonte da cui la Tradizione stessa trae origine; special­mente quelli dei primi secoli possono considerarsi autori ed esponenti di una tradizione «costitutiva», della quale nei tempi posteriori si avrà la conservazione e la continua esplicazione. In ogni caso, i Padri hanno trasmesso ciò che hanno ricevuto, «hanno insegnato alla Chiesa ciò che hanno imparato nella Chiesa»;[19] «ciò che hanno trovato nella Chiesa hanno tenuto; ciò che hanno imparato hanno insegnato; ciò che hanno rice­vuto dai Padri hanno trasmesso al figli».[20]

20. b) Storicamente, l'epoca dei Padri è il periodo di alcune importanti primizie dell'ordinamento ecclesiale. Sono stati essi a fissare «l'intero canone dei Libri Sacri»,[21] a comporre le professioni basilari della fede («regulae fidei»), a precisare il deposito della fede nei confronti delle eresie e della cultura contemporanea, dando così origine alla teologia. Inoltre, sono ancora essi, che hanno gettato le basi della disciplina canonica («statuta patrum», «traditiones patrum»), e creato le prime forme della liturgia, che rimangono un punto di riferimento obbligatorio per tutte le riforme liturgiche posteriori. I Padri hanno dato in tal modo la prima risposta consapevole e riflessa alla Sacra Scrittura, formulandola non tanto come una teoria astratta, ma come quotidiana prassi pastorale di esperienza e di insegnamento nel cuore delle assemblee liturgiche riunite per professare la fede e per celebrare il culto del Signore risorto. Sono stati così gli autori della prima grande catechesi cristiana.

21. c) La Tradizione, di cui i Padri sono testimoni, è una Tradizione viva che dimostra l'unità nella varietà e la continuità nel progresso. Ciò si vede nella pluralità di famiglie liturgiche, di tradizioni spirituali, disciplinari ed esegetico‑teologiche esistenti nei primi secoli (ad es. le scuole di Alessandria e di Antiochia); tradizioni diverse ma unite e radicate tutte nel fermo ed im­mutabile fondamento comune della fede.

22. d) La Tradizione dunque qual è stata conosciuta e vissuta dai Padri non è come un masso monolitico, immobile e scle­rotizzato, ma come un organismo pluriforme e pulsante di vita. È una prassi di vita e di dottrina che conosce, da una parte, anche incertezze, tensioni, ricerche fatte a tentoni, e dall'altra, decisioni tempestive e coraggiose rivelatesi di grande origina­lità e di importanza decisiva. Seguire la Tradizione viva dei Pa­dri non significa aggrapparsi al passato come tale, ma aderire con senso di sicurezza e libertà di slancio alla linea della fede mantenendo un orientamento costante verso il fondamento: ciò che è essenziale, ciò che dura e non cambia. Si tratta di una fedeltà assoluta, in tanti casi portata e provata «usque ad sanguinis effusionem», verso il dogma e quei principi morali e disciplinari che dimostrano la loro funzione insostituibile e la loro fecondità proprio nei momenti in cui si stanno facendo strada cose nuove.

23. e) I Padri sono quindi testimoni e garanti di un'autentica Tradizione cattolica, e perciò la loro autorità nelle questioni teologiche è stata e rimane sempre grande. Quando era neces­sario denunziare la deviazione di determinate correnti di pen­siero, la Chiesa si è sempre richiamata ai Padri come garanzia di verità. Vari Concili, per es. quelli di Calcedonia e di Trento, iniziano le loro dichiarazioni solenni con richiamo alla Tradizione patristica, usando la formula: «Seguendo i Santi Padri... ecc». Ad essi vengono fatti riferimenti anche nei casi in cui la questione è già stata di per sé risolta col ricorso alla Sacra Scrittura. Nel Concilio Tridentino[22] e nel Vaticano I[23] è stato enunziato esplicitamente il principio che l'unanime consenso dei Padri costituisce regola certa d'interpretazione della Scrittura, principio, questo, che è stato sempre vissuto e praticato nella storia della Chiesa e che si identifica con quello della normatività della Tradizione formulata da Vincenzo di Lerino[24] e prima ancora da S. Agostino.

24. f) Gli esempi e gli insegnamenti dei Padri, testimoni della Tradizione, sono stati particolarmente valutati e valorizzati nel Concilio Vaticano II, che proprio grazie ad essi ha potuto prendere una coscienza più viva che ha la Chiesa di se stessa e individuare la strada sicura particolarmente per il rinnovamento liturgico, per un fruttuoso dialogo ecumenico e per l'incontro con le religioni non cristiane, facendo fruttificare nelle odierne circostanze l'antico principio dell'unità nella diversità e del progresso nella continuità della Tradizione.

2. METODO TEOLOGICO

25. Il delicato processo di innesto del cristianesimo nel mondo della cultura antica, e la necessità di definire i contenuti del mistero cristiano nei confronti della cultura pagana e delle eresie, stimolarono i Padri ad approfondire e ad illustrare razionalmente la fede con l'aiuto delle categorie di pensiero meglio elaborate nelle filosofie del loro tempo, specialmente nella raffinata filosofia ellenistica. Uno dei loro compiti storici più importanti fu di dare vita alla scienza teologica e di stabilire al suo servizio alcune coordinate e norme di procedimento rivelatesi valevoli e fruttuose anche per i secoli futuri, come avrebbe dimostrato nella sua opera San Tommaso d'Aquino, fedelissimo alla dottrina dei Padri. In questa attività di teologi si delineano nei Padri alcuni particolari atteggiamenti e momenti, che sono di grande interesse e che bisogna tenere presenti anche oggi negli studi sacri:

a) il ricorso continuo alla Sacra Scrittura e il senso della Tra­dizione;

b) la consapevolezza dell'originalità cristiana pur nel rico­noscimento delle verità contenute nella cultura pagana;

c) la difesa della fede come bene supremo e l'approfondimento continuo del contenuto della Rivelazione;

d) il senso del mistero e l'esperienza del divino.


a) Ricorso alla Sacra Scrittura, senso della Tradizione

26. 1. I Padri sono in primo luogo ed essenzialmente dei commentatori della Sacra Scrittura: «divinorum librorum tractatores».[25] In questo lavoro è vero che dal nostro odierno punto di vista il loro metodo presenta certi innegabili limiti. Essi non conoscevano e non potevano conoscere le risorse di ordine filologico, storico, antropologico‑culturale né le tematiche di ricerca, di documentazione, di elaborazione scientifica che sono a disposizione dell'esegesi moderna, e perciò una parte del loro lavoro esegetico è da considerarsi caduca. Ma, ciò nonostante, i loro meriti per una migliore comprensione dei Libri Sacri sono incalcolabili. Essi rimangono per noi maestri veri e si può dire superiori, sotto tanti aspetti, agli esegeti del medio evo e dell'età moderna per «una specie di soave intuizione delle cose celesti, per un'ammirabile penetrazione di spirito, grazie alle quali vanno più avanti nelle profondità della parola divina».[26] L'esempio dei Padri può, infatti, insegnare agli esegeti moderni un approccio veramente religioso della Sacra Scrittura, come anche un'interpretazione che s'attiene costantemente al criterio di comunione con l'esperienza della Chiesa, la quale cammina attraverso la storia sotto la guida dello Spirito Santo. Quando questi due principi interpretativi, religioso e specifi­camente cattolico, vengono disattesi o dimenticati, gli studi ese­getici moderni risultano spesso impoveriti e distorti. La Sacra Scrittura era per i Padri oggetto di incondizionata venerazione, fondamento della fede, argomento costante della predicazione, alimento della pietà, anima della teologia. Ne hanno sempre sostenuto l'origine divina, l'inerranza, la nor­matività, la inesauribile ricchezza di vigore per la spiritualità e dottrina. Basti ricordare qui ciò che scriveva Sant'Ireneo sulle Scritture: esse «sono perfette, perché dettate dal Verbo di Dio e dal suo Spirito»,[27] e i quattro Vangeli sono «il fondamento e la colonna della nostra fede».[28]

27. 2. La Teologia è nata dall'attività esegetica dei Padri, «in medio Ecclesiae», e specialmente nelle assemblee liturgiche, a contatto con le necessità spirituali del Popolo di Dio. Quella esegesi, nella quale la vita spirituale si fonde con la riflessione razionale teologica, mira sempre all'essenziale pur nella fedeltà a tutto il sacro deposito della fede. Essa è incentrata interamente nel mistero di Cristo, al quale riporta tutte le verità particolari in una mirabile sintesi. Anziché disperdersi in numerose problematiche marginali, i Padri cercano di abbracciare la totalità del mistero cristiano, seguendo il movimento fondamentale della Rivelazione e dell'economia della salvezza, che va da Dio, attraverso il Cristo, alla Chiesa, sacramento dell'unione con Dio e dispensatrice della grazia divina, per ritornare a Dio. Grazie a questo intuito, dovuto al loro vivo senso della comunione ecclesiale, alla loro vicinanza alle origini cristiane e alla familiarità con la Scrittura, i Padri guardano tutto nel suo centro, rendendo questo tutto presente in ciascuna delle sue parti, e ricollegando con esso ogni questione periferica. Pertanto, seguire i Padri in questo loro itinerario teologico significa cogliere più facilmente il nucleo essenziale della nostra fede e lo «specificum» della nostra identità cristiana.

28. 3. La venerazione e la fedeltà dei Padri nei confronti dei Libri Sacri va di pari passo con la loro venerazione e fedeltà verso la Tradizione. Essi si considerano non padroni ma servitori delle Sacre Scritture, ricevendole dalla Chiesa, leggendole e commentandole nella Chiesa e per la Chiesa, secondo la regola della fede proposta ed illustrata dalla Tradizione ecclesiastica ed apostolica. Il sopraccitato Sant'Ireneo, grande amatore e cultore dei Libri Sacri, sostiene che chi vuol conoscere la verità deve guardare alla Tradizione degli Apostoli,[29]ed aggiunge che, anche se questi non ci avessero lasciato le Scritture, sarebbe bastata per la nostra istruzione e salvezza, la Tradizione.[30]Lo stesso Origene, che studiò con tanto amore e passione le Scritture e tanto operò per la loro intelligenza, dichiara apertamente che devono essere credute come verità di fede solo quelle che in nessun modo si allontanano dalla «Tradizione ecclesiastica ed apostolica»,[31]facendo con ciò della Tradizione la norma interpretativa della Scrittura. Sant'Agostino, poi, che poneva le sue «delizie» nella meditazione delle Scritture,[32]enunzia questo principio mirabilmente limpido e convinto, che si richiama ancora alla Tradizione: «Non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l'autorità della Chiesa cattolica».[33]

29. 4. Pertanto il Concilio Vaticano II, quando dichiarò che «la Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa»,[34]non ha fatto altro che confermare un antico principio teologico, praticato e professato dai Padri. Questo principio, che ha illuminato e diretto la loro intera attività esegetica e pastorale, certamente rimane valido anche per i teologi e per i pastori d'anime di oggi. Ne consegue in modo concreto che il ritorno alla Sacra Scrittura, che è una delle caratteristiche maggiori dell'attuale vita della Chiesa, deve essere accompagnato dal ritorno alla Tra­dizione attestata dagli scritti patristici, se si vuole che produca i frutti sperati.

b) Originalità cristiana e inculturazione

30. 1. Altra caratteristica importante e attualissima del metodo teologico dei Padri è che esso offre la luce per comprendere «meglio secondo quali criteri la fede, tenendo conto della filosofia e del sapere dei popoli, può incontrarsi con la ragione».[35] Essi, infatti, dalla Scrittura e dalla Tradizione hanno attinto la chiara consapevolezza dell'originalità cristiana, cioè la ferma convinzione che l'insegnamento cristiano contiene un nucleo essenziale di verità rivelate, che costituiscono la norma per giudicare della sapienza umana e per distinguere la verità dall'errore. Se una tale convinzione ha portato alcuni di loro a respingere l'apporto di questa sapienza e a considerare i filosofi quasi dei «patriarchi degli eretici», non ha impedito alla massima parte di accogliere questo contributo con interesse e con riconoscenza, come procedente dall'unica fonte della sapienza, che è il Verbo. Basti ricordare a tale proposito S. Giustino Martire, Clemente Alessandrino, Origene, S. Gregorio Nisseno e, in modo particolare, S. Agostino, il quale nella sua opera «De doctrina christiana» ha tracciato per tale attività un programma: «Se coloro che sono chiamati filosofi hanno detto cose vere e consone alla nostra fede... non solo non devono incutere motivo di timore, ma... devono essere reclamate a nostro uso... Non è questo appunto che hanno fatto molti dei nostri buoni fedeli?... Cipriano... Lattanzio... Vittorino... Ottato, Ilario, per non parlare che dei morti, e una quantità innumerevole dei Greci?».[36]

31. 2. A questo studio di assimilazione si aggiunge l'altro, non meno importante e da esso inseparabile, che potremmo chiamare della disassimilazione. Ancorati alla norma della fede, i Padri hanno accolto molti apporti della filosofia greco‑romana, ma ne hanno respinto i gravi errori, evitando in modo particolare il pericolo del sincretismo così diffuso nella cultura ellenistica allora dominante, come anche del razionalismo che minacciava di ridurre la fede ai soli aspetti accettabili per la razionalità ellenica. «Contro i loro grandi errori - scrive S. Agostino - occorre difendere la dottrina cristiana».[37]

32. 3. Grazie a tale oculato discernimento dei valori e dei limiti nascosti nelle varie forme di cultura antica, sono state aperte nuove vie verso la verità e nuove possibilità per l'annunzio del Vangelo. Istruita dai Padri greci, latini, siriaci... la Chiesa, infatti, «fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio del Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; e inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi, allo scopo, cioè, di adattare, quando conveniva, il Vangelo sia alla capacità di tutti, sia alle esigenze dei sapienti».[38] In altre parole, i Padri, consapevoli del valore universale della rivelazione, hanno iniziato la grande opera di inculturazione cristiana, come si suole chiamarla oggi. Sono diventati l'esempio di un incontro fecondo tra fede e cultura, tra fede e ragione, rimanendo una guida per la Chiesa di tutti i tempi, impegnata a predicare il Vangelo a uomini di culture tanto diverse e ad operare in mezzo ad esse. Come si vede, grazie a tali atteggiamenti dei Padri, la Chiesa si rivela sin dai suoi inizi «per sua natura missionaria»,[39]an­che al livello del pensiero e della cultura, e perciò il Concilio Vaticano II prescrive che «tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere legge di ogni evangelizza­zione».[40]

c) Difesa della fede, progresso dogmatico

33. 1. All'interno della Chiesa, l'incontro della ragione con la fede ha dato occasione a molte e lunghe controversie che hanno interessato i grandi temi del dogma trinitario, cristologico, ecclesiologico, antropologico, escatologico. In tali occasioni i Padri, nel difendere le verità che toccano la stessa essenza della fede, furono gli autori di un grande avanzamento nell'intelligenza dei contenuti dogmatici, rendendo un valido servizio al progresso della teologia. Il loro munus apologetico, esercitato con una consapevole sollecitudine pastorale per il bene spirituale dei fedeli, è stato un mezzo provvidenziale per far maturare l'intero corpo della Chiesa. Come diceva S. Agostino di fronte al moltiplicarsi degli eretici: «Dio ha permesso la loro diffusione, affinché non ci nutrissimo del solo latte e non rimanessimo in stato di rude infanzia»,[41]in quanto «molte questioni riguardanti la fede quando, con astuta inquietudine, vengono sollevate dagli eretici, per poterle difendere contro di loro vengono esaminate più diligentemente, capite più chiaramente, predicate più insistentemente di modo che la questione mossa dall'avversario diventi l'occasione d'imparare».[42]

34. 2. Così i Padri sono diventati gli iniziatori del procedimento razionale applicato ai dati della Rivelazione, i promotori illuminati di quell'«intellectus fidei» che appartiene all'essenza di ogni autentica teologia. È stato loro compito provvidenziale non solo difendere il cristianesimo, ma anche ripensarlo nell'ambiente culturale greco‑romano; trovare formule nuove per esprimere una dottrina antica, formule non bibliche per una dottrina biblica; presentare, in una parola, la fede in forma di un discorso umano, pienamente cattolico e capace di esprimere il contenuto divino della rivelazione, salvaguardandone sempre l'identità e la trascendenza. Numerosi concetti introdotti da essi nella teologia trinitaria e cristologica (per es. ousia, hypostasis, physis, agenesia, genesis, ekporeusis, ecc.) hanno svolto un ruolo determinante nella storia dei Concili e sono entrati nelle for­mule dogmatiche, diventando componente del nostro corrente strumentario teologico.

35. 3. Il progresso dogmatico, che è stato realizzato dai Padri non come progetto astratto puramente intellettuale, ma il più delle volte nelle omelie, in mezzo alle attività liturgiche e pa­storali, costituisce un ottimo esempio di rinnovamento nella continuità della Tradizione. Per essi «la fede cattolica prove­niente dalla dottrina degli apostoli... e ricevuta attraverso una serie di successioni» era «da trasmettere sana ai discendenti».[43] Perciò è stata da loro trattata con il massimo rispetto, con piena fedeltà al suo fondamento biblico, e in pari tempo con una giu­sta apertura di spirito verso nuove necessità e nuove circostanze culturali: le due caratteristiche proprie della tradizione viva della chiesa.

36. 4. Questi primi abbozzi di teologia tramandatici dai Padri mettono in evidenza alcuni loro tipici atteggiamenti fondamen­tali verso i dati rivelati, che possono considerarsi di valore per­manente e quindi valevoli anche per la Chiesa di oggi. Si tratta di una base posta una volta per sempre, alla quale ogni teologia posteriore deve fare riferimento e, all'occorrenza, ritornare. Si tratta di un patrimonio che non è esclusivo a nessuna Chiesa particolare, ma è molto caro a tutti i cristiani. Esso, infatti, ri­sale ai tempi antecedenti la rottura tra l'Oriente e l'Occidente cristiano, trasmettendo tesori comuni di spiritualità e di dot­trina; una mensa ricca alla quale i teologi di varie confessioni si possono sempre incontrare. I Padri sono, infatti, Padri sia dell'Ortodossia Orientale, sia della teologia latina cattolica, o della teologia dei protestanti e degli anglicani, oggetto comune di studio e di venerazione.

d) Senso del mistero, esperienza del divino

37. 1. Se i Padri hanno dato in tante occasioni prova della loro responsabilità di pensatori e ricercatori nei confronti della Rivelazione, seguendo, si può dire, il programma del «credo ut intelligam» e dell'«intelligo ut credam», lo hanno fatto sempre da autentici uomini di Chiesa veramente credenti, senza compromettere minimamente la purezza o, come si esprime Sant'Agostino, la «verginità»,[44]della fede. Essi, infatti, come «teologi» non facevano leva esclusivamente sulle risorse della ragione, ma anche su quelle più propriamente religiose, offerte dalla conoscenza di carattere affettivo ed esistenziale, ancorata nell'unione intima con Cristo, alimentata dalla preghiera e sostenuta dalla grazia e dai doni dello Spirito Santo. Nei loro atteggiamenti di teologi e di pastori si manifestava in grado altissimo il senso profondo del mistero e l'esperienza del divino, che li proteggeva contro le tentazioni sempre ricorrenti sia del razionalismo troppo spinto sia di un fideismo piatto e rassegnato.

38. 2. La prima cosa che colpisce nella loro teologia è il senso vivo della trascendenza della Verità divina contenuta nella Rivelazione. A differenza di non pochi altri pensatori antichi e moderni, essi danno prova di una grande umiltà di fronte al mistero di Dio, contenuto nelle Sacre Scritture, delle quali essi, nella loro modestia, preferiscono essere dei semplici commentatori, attenti a non aggiungervi nulla che possa alterarne l'autenticità. Si può dire che questo atteggiamento di rispetto e di umiltà non è altro che la viva consapevolezza degli invalicabili limiti che l'intelletto umano prova di fronte alla trascendenza divina. Basti qui ricordare, oltre alle omelie di San Giovanni Crisostomo Sull'incomprensibilità di Dio, ciò che scrive testualmente San Cirillo vescovo di Gerusalemme, rivolto ai catecumeni: «Quando si tratta di Dio, è una grande scienza confessare l'ignoranza»,[45]come dopo di lui il vescovo di Ippona Sant'Agostino dirà sentenziosamente al suo popolo: «È preferibile una fedele ignoranza a una scienza temeraria».[46] Prima di loro Sant'Ireneo aveva affermato che la generazione del Verbo è ine­narrabile, e che coloro che pretendono spiegarla «hanno per­duto l'uso della ragione».[47]

39. 3. Dato questo vivo senso spirituale, l'immagine che i Padri ci offrono di se stessi è quella di uomini i quali non solo imparano ma anche, e soprattutto, sperimentano le cose divine, come diceva Dionigi detto Pseudo‑Areopagita del suo maestro Ieroteo: «Non solum discens sed et patiens divina».[48] Essi sono il più delle volte degli specialisti della vita soprannaturale, i quali comunicano ciò che hanno visto e gustato nella loro contemplazione delle cose divine; ciò che hanno conosciuto per la via dell'amore, «per quandam connaturalitatem», come avrebbe detto San Tommaso d'Aquino.[49] Nel loro modo di esprimersi è spesso percepibile il saporoso accento dei mistici che lascia trasparire una grande familiarità con Dio, un'esperienza vissuta del mistero del Cristo e della Chiesa e un contatto costante con tutte le genuine fonti della vita teologale considerato da essi come situazione fondamentale della vita cristiana. Si può dire che nella linea dell'agostiniano «intellectum valde ama»[50] i Padri certamente apprezzano l'utilità della speculazione, ma sanno che essa non basta. Nello stesso sforzo intellettuale per capire la propria fede, essi praticano l'amore, che rendendo amico il conoscente al conosciuto,[51]diventa per la sua stessa natura fonte di nuova intelligenza. Infatti «nessun bene è perfettamente conosciuto se non è perfettamente amato».[52]

40. 4.Questi principi metodologici, prima praticamente seguiti e vissuti che espressamente enunziati, sono stati anche oggetto di esplicite riflessioni dei Padri. Basta riferirsi, a tale proposito, a San Gregorio Nazianzeno, che nella prima delle cinque sue famose orazioni teologiche, dedicate al modo di far teologia, tratta della necessità della moderazione dell'umiltà, della purificazione interiore, della preghiera. Altrettanto fa Sant'Agostino, che ricorda il posto che ha la fede nella vita della Chiesa e parlando della funzione che vi svolgono i teologi, scrive che essi siano «piamente dotti e veramente spirituali».[53] Ne dà l'esempio egli stesso quando scrive il De Trinitate, diretto a rispondere «ai garruli ragionatori», i quali, «disprezzando gli umili inizi della fede, si lasciano fuorviare da un immaturo e perverso amore della ragione».[54] Per le ragioni addotte, si può dire che l'attività teologica dei Padri è per noi tuttora attuale. Essi restano maestri per i teologi, come rappresentanti di un momento importante, decisivo ed ineliminabile della teologia della Chiesa, come esemplari per il modo con cui hanno svolto la loro attività teologica, come fonti autorevoli e testimoni insostituibili per i contenuti che hanno saputo ricavare dalla loro riflessione e meditazione sul dato rivelato.

3. RICCHEZZA CULTURALE, SPIRITUALE ED APOSTOLICA

41. Gli scritti patristici si distinguono, oltre che per la profondità teologica, anche per i grandi valori culturali, spirituali e pastorali che contengono. Sotto questo aspetto, essi sono, dopo la Sacra Scrittura, come viene raccomandato nel decreto «Presbyterorum Ordinis» (n. 19), una delle principali fonti della formazione sacerdotale e un «fruttuoso alimento» che accompagni i presbiteri per tutta la vita.

42. a) I Padri latini, greci, siriaci, armeni oltre a contribuire al patrimonio letterario delle loro rispettive nazioni, sono - anche se ognuno in maniera e misura molto diverse - come i classici della cultura cristiana che, da essi fondata ed edificata, porta per sempre il segno indelebile della loro paternità. A differenza delle letterature nazionali, le quali esprimono e plasmano il genio dei singoli popoli, il patrimonio culturale dei Padri è veramente «cattolico», universale, perché insegna come diventare e come comportarsi da uomini retti e da autentici cristiani. Per il loro vivo senso del soprannaturale e per il loro discernimento dei valori umani in relazione alla specificità cristiana, le loro opere sono state nei secoli passati un eccellente strumento formativo per intere generazioni di presbiteri e restano indispensabili anche per la Chiesa di oggi.

43. b) Dal punto di vista culturale, è di grande rilievo il fatto che numerosi Padri hanno ricevuto un'ottima formazione nelle discipline dell'antica cultura greca e romana, dalla quale mu­tuarono le alte conquiste civili e spirituali, arricchendone i loro trattati, le loro catechesi e la loro predicazione. Essi, imprimendo all'antica «humanitas» classica il sigillo cristiano, sono stati i primi a gettare il ponte tra il Vangelo e la cultura profana, trac­ciando per la Chiesa un ricco ed impegnativo programma culturale, che ha profondamente influenzato i secoli successivi e, in modo particolare, l'intera vita spirituale, intellettuale e so­ciale del medio evo.[55] Grazie al loro magistero, molti cristiani dei primi secoli ebbero accesso alle varie sfere della vita pub­blica (scuole, amministrazione, politica) e il cristianesimo poté va­lorizzare ciò che di valido si trovava nel mondo antico, purificare ciò che vi era di meno perfetto e contribuire, dal canto suo, alla creazione di una nuova cultura e civiltà ispirata al Vangelo. Risalire alle opere dei Padri significa, pertanto, per i futuri pre­sbiteri alimentarsi alle stesse radici della cultura cristiana e com­prendere meglio i propri compiti culturali nel mondo di oggi.

44. e) Quanto alla spiritualità dei Padri, è gia stato rilevato nel paragrafo precedente, come tutta la loro teologia sia eminentemente religiosa, una vera «scienza sacra», la quale, mentre illumina la mente, edifica e riscalda il cuore. Qui, oltre agli elementi ed aspetti propriamente teologici, è bene dare risalto ad alcuni comportamenti e atteggiamenti di ordine morale risultanti dalle loro opere come coefficienti fondamentali della progressiva espansione, spesso silenziosa, del lievito evangelico nella società pagana, e rimasti poi per sempre impressi nella coscienza e sul volto stesso della Chiesa. Molti dei Padri erano dei «convertiti»; il senso della novità della vita cristiana si uni va in essi alla certezza della fede. Da ciò si sprigionava nelle comunità cristiane del loro tempo una «vitalità esplosiva», un fervore missionario, un clima di amore che ispirava le anime all'eroismo della vita quotidiana personale e sociale, specialmente con la pratica delle opere di misericordia, elemosina, cura degli infermi, delle vedove, degli orfani, stima della donna e di ogni persona umana, educazione dei figli, rispetto della vita nascente, fedeltà coniugale, rispetto e generosità nel trattamento degli schiavi, libertà e responsabilità di fronte ai poteri pubblici, difesa e sostegno dei poveri e degli oppressi, e con tutte le forme di testimonianza evangelica richieste dalle circostanze di luogo e di tempo, spinta, talvolta, fino al sacrificio supremo del martirio. Con la condotta ispirata agli insegnamenti dei Padri, i cristiani si distinguevano dal circostante mondo pagano, esprimendo la loro novità di vita scaturita dal Cristo con l'abbracciare gli ideali ascetici della verginità «propter regnum coelorum», del distacco dai beni terreni, della penitenza, della vita monastica eremitica o comunitaria, sulla linea dei «consigli evangelici» e in vigile attesa del Cristo che viene. Anche molte forme di pietà privata (come la preghiera in famiglia, le preghiere quotidiane, la pratica dei digiuni) e comunitaria (per es. la celebrazione della domenica e delle principali feste liturgiche come partecipazione agli eventi salvifici, la venerazione della SS.ma Vergine Maria, le veglie, le agapi, ecc.) risalgono all'epoca patristica e ricevono il loro preciso significato teologico‑spirituale dagli insegnamenti dei Padri. Perciò è chiaro che l'assidua familiarità dei seminaristi con le opere dei Padri non potrà non irrobustire la loro vita spi­rituale e liturgica, gettando una particolare luce sulla loro vo­cazione, radicandola nella millenaria tradizione della Chiesa e mettendola in diretta comunicazione con la ricchezza e pu­rezza delle origini. Nello stesso tempo li aiuterà a scoprire l'uomo nella sua unità e totalità: a riconoscere e seguire quell'ideale superiore di umanità unificata e integrata nell'armonioso sviluppo dei valori naturali e soprannaturali, che è il modello dell'antropologia cristiana.

45. d) Un'altra ragione del fascino e dell'interesse delle opere dei Padri, è che esse sono nettamente pastorali: composte, cioè, per scopi di apostolato. I loro scritti sono o catechesi ed omelie, o confutazioni di eresie, o risposte a consultazioni, o esortazioni spirituali o manuali destinati all'istruzione dei fedeli. Da ciò si vede come i Padri si sentivano coinvolti nei problemi pastorali dei loro tempi. Essi esercitavano l'ufficio di maestri e di pastori, cercando in primo luogo di mantenere unito il Popolo di Dio nella fede, nel culto divino, nella morale e nella disciplina. Molte volte procedevano in modo collegiale, scambiandosi vicendevolmente lettere di carattere dottrinale e pastorale, al fine di promuovere una comune linea di condotta. Essi si preoccupavano del bene spirituale non soltanto delle loro Chiese particolari, ma di tutta la Chiesa. Alcuni di essi divennero difensori dell'ortodossia e punti di riferimento per gli altri vescovi dell'orbe cattolico (per es. Atanasio nelle lotte antiariane, Agostino in quelle antipelagiane), impersonando in qualche modo la coscienza viva della Chiesa.

46. e) Né si può lasciare in ombra il fatto che nella loro azione pastorale i Padri, pur offrendo agli osservatori un ricco panorama delle più svariate problematiche culturali e sociali loro contemporanee, tuttavia essi le inquadrano sempre, per dir così, in coordinate nettamente soprannaturali. A loro interessa l'integrità della fede, fondamento della giustificazione, perché fiorisca nella carità, vincolo della perfezione, e perché la carità crei l'uomo nuovo e la storia nuova. Tutto, nella loro azione pastorale e nel loro insegnamento, è ricondotto alla carità e la carità a Cristo, via universale di salvezza.[56] Essi tutto rife­riscono al Cristo, ricapitolazione di tutte le cose (Ireneo), deificatore degli uomini (Atanasio), fondatore e re della città di Dio, che è la società degli eletti (Agostino). Nella loro prospet­tiva storica, teologica ed escatologica, la Chiesa è il Christus totus, che «corre, e, correndo compie il suo pellegrinaggio, tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, dal tempo di Abele, il primo giusto ucciso dall'empio fratello, fino alla consumazione dei secoli».[57]

47. Se vogliamo ora riassumere le ragioni che inducono a studiare le opere dei Padri, possiamo dire che essi sono stati, dopo gli Apostoli, come ha detto giustamente Sant'Agostino, i piantatori, gli irrigatori, gli edificatori, i pastori, i nutritori della Chiesa, la quale ha potuto crescere per la loro azione vigile e indefessa.[58] Perché la Chiesa continui a crescere è indispensabile conoscere a fondo la loro dottrina e la loro opera che si distingue per essere nello stesso tempo pastorale e teologica, catechetica e culturale, spirituale e sociale, in un modo eccellente e si può dire unico per rapporto a quanto è avvenuto in altre epoche della storia. È proprio questa organica unità dei vari aspetti della vita e della missione della Chiesa che rende i Padri così attuali e fecondi anche per noi.

III. COME STUDIARE I PADRI

48. Dalle precedenti riflessioni sulla situazione attuale e sulle ragioni più profonde degli studi patristici sorge spontaneamente la domanda circa la loro natura, i loro obiettivi e il metodo da seguire per promuoverne la qualità. Sia per i docenti che per gli studenti si pongono a tale riguardo numerosi compiti, che hanno bisogno di essere maggiormente chiariti ed esplicitati, perché possa essere compiuta un'opera formativa solida e ri­spondente alle istanze dell'auspicato rinnovamento promosso in base alle direttive del Concilio Vaticano II.

1. LA NATURA DEGLI STUDI PATRISTICI ED I LORO OBIETTIVI

49. a) È molto importante che questo settore di studi ecclesia­stici venga chiaramente delimitato in conformità con la sua na­tura e le sue finalità ed inserito organicamente nel contesto delle discipline teologiche. Esso si articola in due sfere intercomu­nicanti, che si interessano del medesimo oggetto sotto aspetti diversi: da una parte la Patristica, che si occupa del pensiero teologico dei Padri, e dall'altra la Patrologia che ha per oggetto la vita e gli scritti dei medesimi. Mentre la prima è di carattere propriamente dottrinale ed ha molti rapporti con la dogmatica (ma anche con la teologia morale e la teologia spirituale, la Sa­cra Scrittura e la Liturgia), la seconda si muove piuttosto al livello dell'indagine storica e dell'informazione biografica e letteraria, ed ha una naturale connessione con la Storia della Chiesa antica. Per il loro carattere teologico, la Patristica e la Patro­logia si distinguono dalla Letteratura cristiana antica, disciplina non teologica e, si può dire, letteraria, che studia gli aspetti sti­listici e filologici degli scrittori cristiani antichi.

50. b) Nell'affrontare gli studi patristici bisogna rendersi conto prima di tutto dell'autonomia della Patristica - Patrologia, come disciplina a sé, con il suo metodo, nell'ambito del corpus di discipline, che è oggetto dell'insegnamento teologico. La sua autonomia, come settore della teologia, nel quale si applicano rigorosamente i principi del metodo storico‑critico, è un ele­mento acquisito e, come tale, deve essere percepito dallo stu­dente.

51. c) In particolare, dalla Patrologia si attende che presenti una buona panoramica dei Padri e delle loro opere, con le loro caratteristiche individuali, situando nel contesto storico la loro attività letteraria e pastorale. Dato il suo carattere informativo storico, nulla impedisce che essa possa avvalersi della collaborazione del professore di Storia ecclesiastica, quando ciò viene richiesto dalle esigenze di una migliore economia del tempo disponibile o dalla scarsità di personale docente. All'occorrenza, si può anche riservare un maggior spazio allo studio privato degli alunni, rimandandoli alla consultazione di buoni manuali, di dizionari e di altri sussidi bibliografici.

52. d) La Patristica, dal canto suo, per assolvere in modo soddisfacente i sui compiti, deve figurare come disciplina a sé, coltivando una stretta collaborazione con la dogmatica. Infatti, entrambe le discipline sono chiamate dal Decreto Optatam totius (n. 16) ad aiutarsi e ad arricchirsi vicendevolmente, a condizione, però, che rimangano autonome e fedeli ai loro specifici metodi. Il dogma svolge soprattutto un servizio di unità. Come a tutte le discipline teologiche anche alla patristica esso offre la prospettiva unificante della fede, aiutandola a sistematizzare i risultati parziali ed indicando la strada alle ricerche e all'attività didattica dell'insegnante. Il servizio della patristica alla dogmatica consiste nel delineare e precisare l'opera di mediazione della rivelazione di Dio svolta dai Padri nella Chiesa e nel mondo del loro tempo. Si tratta di descrivere, con pieno rispetto della specificità del metodo storico‑critico, il quadro della teologia e della vita cristiana dell'epoca patristica nella sua realtà storica. Per questa ragione l'insegnamento della Patristica, come si esprime il documento su «La formazione teologica dei futuri sacerdoti», deve tendere, tra l'altro, «a dare il senso sia della continuità del discorso teologico, che risponde ai dati fonda­mentali, sia della sua relatività, che corrisponde agli aspetti e alle applicazioni particolari» (n. 87).

2. IL METODO

53. a) Lo studio della Patrologia e della Patristica, nella sua prima fase informativa, suppone il ricorso ai manuali e ad altri sussidi bibliografici, ma quando passa a trattare i delicati e complessi problemi della teologia patristica, nessuno di tali sussidi può sostituire il ricorso diretto ai testi dei Padri. È, infatti, attraverso il contatto diretto del docente e dello studente con le fonti che la Patristica deve essere insegnata ed appresa soprattutto a livello accademico e nei corsi speciali. Tuttavia, date le difficoltà in cui spesso s'imbattono gli studenti, sarà bene mettere a loro disposizione testi bilingui delle edizioni note per la loro serietà scientifica.

54. b) Lo studio scientifico dei testi va affrontato con il metodo storico‑critico, in modo analogo come lo si applica nelle scienze bibliche. È però necessario che nell'uso di tale metodo siano indicati anche i suoi limiti e che esso sia integrato, con prudenza, dai metodi della moderna analisi letteraria e dell'ermeneutica, con adeguata «manuductio» dello studente a capirli, a valutarli e a servirsene. Trattandosi di una disciplina teologica, che in tutte le sue fasi procede «ad lumen fidei», la libertà di ricerca non deve ridurre il suo oggetto di indagine entro la sfera della pura filologia o della critica storica. Infatti, la teologia positiva deve riconoscere, come primo presupposto, il carattere soprannaturale del suo oggetto e la necessità di fare riferimento al Magistero. Gli studenti devono, pertanto, diventare consapevoli che il rigore del metodo indispensabile per la validità oggettiva di ogni ricerca patristica, non esclude una preventivata direzione di marcia, né impedisce una partecipazione attiva del ricercatore credente che, conformemente al suo «sen­sus fidei», si colloca e procede in un clima di fede.

55. c) La purezza del metodo suddetto richiede, inoltre, che sia il ricercatore sia lo studente siano liberi da pregiudizi e preconcetti, che nel campo della patristica si manifestano di solito in due tendenze: quella di legarsi materialmente agli scritti dei Padri, disprezzando la tradizione viva della Chiesa e considerando la Chiesa postpatristica fino ad oggi in progressiva decadenza; e quella di strumentalizzare il dato storico in una attualizzazione arbitraria, che non tiene conto del legittimo progresso e dell'oggettività della situazione.

56. d) Motivi scientifici ed anche pratici, come per es. un impiego più razionale di tempo, suggeriscono la convenienza della collaborazione tra le discipline interessate più direttamente ai Padri. Il contatto interdisciplinare ha il suo locus primario nella dogmatica, dove si opera la sintesi, ma possono beneficiarne anche altre numerose discipline (teologia morale, teologia spirituale, liturgia e, in modo particolare, Sacra Scrittura) che hanno bisogno di arricchirsi e di rinnovarsi mediante il ricorso alle fonti patristiche. I modi concreti di tale collaborazione varieranno secondo le circostanze; altre possibilità ed esigenze si hanno, a tale riguardo, a livello dei corsi istituzionali ed altre nei corsi accademici di specializzazione.

3. ESPOSIZIONE DELLA MATERIA

57. a) La materia, oggetto del corso di Patristica‑Patrologia, è quella codificata dalla prassi scolastica e trattata dai classici libri di testo: la vita, gli scritti e la dottrina dei Padri e degli scrittori ecclesiastici dell'antichità cristiana; o, in altre parole, il profilo biografico dei Padri e l'esposizione letteraria, storica e dottrinale dei loro scritti. La vastità della materia impone però, a tale riguardo, la necessità di limitarne l'ampiezza, ricorrendo a certe scelte.

58. b) Il docente dovrà innanzitutto trasmettere agli alunni l'amore dei Padri e non solo la conoscenza. Per fare questo non sarà tanto necessario insistere nelle notizie bibliografiche, quanto nel contatto con le fonti. A questo scopo, si dovrà operare una scelta tra i diversi modi di presentare la materia, che sostanzialmente sono i quattro seguenti:

1. quello analitico, che comporta lo studio dei singoli Padri: modo, questo, pressoché impossibile, dato il numero di essi e il tempo necessariamente ristretto riservato a questo insegnamento;

2. quello panoramico, che si propone di dare uno sguardo generale sull'epoca patristica ed i suoi rappresentanti: modo utile per una introduzione iniziale ma non per un contatto con le fonti e un approfondimento di esse;

3. quello monografico che insiste su qualcuno dei Padri tra i più rappresentativi, particolarmente adatto per insegnare in concreto il metodo di avvicinarli e di approfondirne il pensiero;

4. finalmente quello tematico che prende in esame qualche argomento fondamentale e ne segue lo sviluppo attraverso le opere patristiche.

59. c) Fatta questa prima scelta occorrerà farne un'altra, quella dei testi da leggere, esaminare, spiegare. È preferibile che la scelta cada in un primo tempo su testi che trattano prevalentemente questioni teologiche, spirituali o pastorali o catechetiche o sociali, che sono, in genere, i più attraenti e i più facili, lasciando quelli dottrinali che sono i più difficili, per un secondo momento. Essi saranno studiati accuratamente nell'incontro continuo tra docente e studente, nelle lezioni, nei colloqui, nei seminari, nelle informazioni. Nascerà così quella familiarità con i Padri che è il frutto migliore dell'insegnamento. Il vero coronamento dell'opera formativa si raggiunge, però, soltanto se lo studente arriva a farsi qualche amico tra i Padri e ad assimilarne lo spirito.

60. d) Gli studi patristici non possono fare a meno di una solida conoscenza della storia della Chiesa che rende possibile una visione unitaria dei problemi, degli avvenimenti, delle esperienze, delle acquisizioni dottrinali, spirituali, pastorali e sociali nelle varie epoche. In tal modo, ci si rende conto del fatto che il pensiero cristiano, se comincia con i Padri, non finisce con loro. Ne segue che lo studio della patristica e della patrologia non può prescindere dalla tradizione posteriore, compresa quella scolastica, in particolare per ciò che riguarda la presenza dei Padri in questa tradizione. Solo in questo modo si può vedere l'unità e lo sviluppo che vi sono in essa ed anche comprendere il senso del ricorso al passato. Esso, infatti, apparirà non come un inutile archeologismo, ma come uno studio creativo che ci aiuta a conoscere meglio i nostri tempi ed a preparare il futuro.

IV. DISPOSIZIONI PRATICHE

Come risulta da quanto è stato esposto sopra, gli studi pa­tristici costituiscono una componente essenziale e una tematica stimolante dell'insegnamento teologico e dell'intera formazione sacerdotale. Si rende, pertanto, necessario prendere gli opportuni provvedimenti per promuoverli, affinché possano occupare nei Seminari e nelle Facoltà teologiche un posto rispondente alla loro importanza.

61. 1. Toccando, questi studi, direttamente il fine dell'insegnamento teologico, essi devono essere considerati come disciplina principale da insegnarsi a parte con il loro metodo e con la materia che è loro propria. Salvo restando quanto è stato detto sopra a proposito della «Patrologia» (n. 51), questa materia non si può identificare né con la Storia della Chiesa, né con la storia del dogma o, meno ancora, con la letteratura cristiana antica.

62. 2. Si dedichi alla Patrologia‑Patristica la dovuta attenzione nelle «Ratio institutionis sacerdotalis» e nei relativi programmi di studi, definendone accuratamente i contenuti ed i metodi ed assegnandole un sufficiente numero di ore settimanali. Non sembra eccessivo un insegnamento che si estenda, come minimo, per almeno tre semestri con due ore settimanali.

63. 3. Nelle Facoltà teologiche, oltre ai normali corsi istituzio­nali del I Ciclo, vengano organizzati seminari con opportune esercitazioni e promossi lavori scritti su temi patristici. Nel II Ciclo di specializzazione si abbia la cura di stimolare l'interesse scientifico degli studenti mediante corsi speciali ed esercitazioni, mediante cui essi possano acquisire un'approfondita conoscenza dei vari argomenti metodologici e dottrinali e prepararsi per il futuro ufficio d'insegnamento. Tali qualifiche potranno es­sere ulteriormente perfezionate nel III Ciclo con la preparazione delle tesi su argomenti patristici.

64. 4. Negli Istituti di formazione sacerdotale, all'insegnamento della Patrologia‑Patristica dovrà essere assegnato chi abbia conseguito la specializzazione in questa materia presso Istituti eretti a tale scopo, come per es., a Roma, l'Istituto Patristico «Augustinianum» e il Pontificio Istituto Superiore di Latinità (Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche). Conviene, infatti, che il docente abbia la capacità di accedere direttamente alle fonti con un giusto metodo in vista di una esposizione completa ed equilibrata del pensiero dei Padri, e di poter giudicare con criterio maturo le opere dei colleghi in materia, e sia in possesso delle qualità umane e religiose quale frutto della sua familiarità con i Padri da comunicare agli altri.

65. 5. V'è da notare che questa specializzazione non ha valore solo per l'insegnamento della Patrologia‑Patristica, ma è molto utile anche per l'insegnamento della teologia dogmatica, per svolgere con efficacia l'azione catechistica, spirituale e liturgica improntata alla sapienza e all'equilibrio etico‑spirituale dei Padri.

66. 6. È chiaro che lo studio dei Padri richiede altresì strumenti e sussidi adeguati, come per es. una biblioteca ben attrezzata dal punto di vista patristico (collezioni, monografie, riviste, dizionari), come anche la conoscenza delle lingue classiche e moderne. Date le note deficienze degli studi umanistici nelle scuole odierne, bisognerà fare il possibile per rafforzare nei nostri Istituti di formazione lo studio del greco e del latino.

CONCLUSIONE

67. Questa Congregazione, facendosi eco della voce del Concilio e dei Sommi Pontefici, ha voluto richiamare l'attenzione degli Ecc.mi Vescovi e dei Superiori Religiosi su un argomento di grande importanza per la solida formazione dei sacerdoti, la serietà degli studi teologici, l'efficacia dell'azione pastorale nel mondo contemporaneo. Alla loro consapevole responsabilità e al loro grande amore alla Chiesa affida le considerazioni fatte e le disposizioni prese perché si tenda, per quanto è possibile, a realizzare l'ideale della formazione adatta ai presbiteri del nostro tempo, anche sotto questo aspetto. Infine, formula il voto che un più attento studio dei Padri porti tutti ad una maggiore assimilazione della Parola di Dio e ad una rinnovata giovinezza della Chiesa, che ebbe ed ha in essi i suoi maestri e i suoi modelli.

Roma, dal Palazzo delle Congregazioni, il 10 novembre 1989, nella festa di San Leone Magno.


WILLIAM Card. W. BAUM

Prefetto

† J0SÉ SARAIVA MARTINS

Arciv. tit. di Tuburnica

Segretario


APPENDICE


DECRETO SULLA FORMAZIONE SACERDOTALE
PAOLO VESCOVO SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO A PERPETUA MEMORIA


INTRODUZIONE

Il Sacro Concilio, ben consapevole che l'auspicato rinnovamento di tutta la Chiesa in gran parte dipende dal ministero sacerdotale animato dallo spirito di Cristo,[59] afferma solennemente l'importanza somma della formazione sacerdotale, ne delinea alcuni principi fondamentali diretti a confermare le leggi già collaudate dall'esperienza dei secoli, e ad inserirvi elementi nuovi rispondenti al tenore dei Decreti e alle Costituzioni di questo Sacro Concilio e alle mutate condizioni dei tempi. Questa formazione sacerdotale, a motivo della stessa unità del sacerdozio cattolico, è necessaria a tutti i sacerdoti del clero secolare e regolare e di ogni rito; perciò le seguenti norme, che riguardano direttamente la formazione del clero diocesano, devono essere adattate, con le dovute proporzioni, a tutti.

I. REGOLAMENTO DI FORMAZIONE SACERDOTALE DA FARSI IN OGNI NAZIONE

1. In tanta diversità di popoli e di regioni non essendo possi­bile sancire leggi se non di carattere generale, si elabori in ogni nazione e in ogni rito un particolare «Regolamento di for­mazione sacerdotale», che dovrà essere stabilito dalle Conferenze Episcopali,[60] riveduto periodicamente ed approvato dalla Sede Apostolica; con tale regolamento le leggi generali vengano adattate alle particolari circostanze di tempo e di luogo, in modo che la formazione sacerdotale risulti sempre conforme alle necessità pastorali delle regioni in cui dovrà esercitarsi il ministero.

II. NECESSITÀ DI FAVORIRE PIÙ ISTANTEMENTE: LE VOCAZIONI SACERDOTALI

2. Il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali[61] spetta a tutta la comunità cristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una vita pienamente cristiana; a tale riguardo il massimo contributo viene offerto tanto dalle famiglie le quali, se animate da spirito di fede, di carità e di pietà, costituiscono come il primo seminario, quanto dalle par­rocchie, della cui vita fiorente partecipano gli stessi adolescenti. I maestri e tutti coloro che in qualche maniera curano l'educazione dei fanciulli e dei giovani, specialmente le Associazioni cattoliche, cerchino di coltivare gli adolescenti loro affidati in maniera che essi siano in grado di scoprire la vocazione divina e di seguirla con generosità. Tutti i sacerdoti dimostrino il loro zelo apostolico massimamente nel favorire le vocazioni, e con la loro vita umile, operosa, vissuta con interiore gioia, come pure con l'esempio della loro scambievole carità sacerdotale e della loro fraterna collaborazione, attirino verso il sacerdo­zio l'animo degli adolescenti. Ai Vescovi, però, appartiene stimolare il proprio gregge a favorire le vocazioni e curare, a questo scopo, lo stretto colle­gamento di tutte le energie e di tutte le iniziative; inoltre, si comporteranno come padri nell'aiutare senza risparmio di sacrifici coloro che essi giudicheranno chiamati da Dio. Questa fattiva partecipazione di tutto il popolo di Dio nel coltivare le vocazioni corrisponde all'azione della Provvidenza Divina, che elargisce le qualità necessarie ed aiuta con la sua grazia coloro che sono stati scelti da Dio a partecipare al Sa­cerdozio gerarchico di Cristo; e nello stesso tempo affida ai legittimi ministri della Chiesa il compito di chiamare i candi­dati che aspirino a così grande ufficio con retta intenzione e piena libertà, dopo averne riconosciuta e provata l'idoneità, e di consacrarli col sigillo dello Spirito Santo al culto di Dio e al servizio della Chiesa.[62] Il Sacro Concilio in primo luogo raccomanda i mezzi tra­dizionali di questa comune cooperazione, quali la fervente preghiera, la cristiana penitenza, nonché una istruzione cristiana sempre più profonda dei fedeli da impartirsi sia con la predi­cazione e la catechesi, sia anche coi vari mezzi di comunica­zione sociale; istruzione che deve tendere a mettere in luce la necessità, la natura e l'eccellenza della vocazione sacerdotale. Inoltre, il Concilio stabilisce che le Opere delle vocazioni, già erette o da erigersi nelle singole diocesi, regioni o nazioni, a norma delle direttive pontificie, debbano dirigere in maniera metodica e armonica tutta l'azione pastorale per le vocazioni, senza trascurare nessuna utile indicazione offerta dalla moderna scienza psicologica e sociologica, e con pari discrezione e zelo la promuovano.[63] È necessario, poi, che l'Opera delle vocazioni si apra con lar­ghezza di vedute oltre i confini delle singole diocesi, nazioni, famiglie religiose e riti, e guardando alle necessità della Chiesa universale, arrechi aiuto specialmente a quelle regioni, dove più urgente è la richiesta di operai per la vigna del Signore.

3. Nei Seminari Minori, eretti allo scopo di coltivare i germi della vocazione, gli alunni, per mezzo di una speciale formazione reli­giosa e soprattutto di una appropriata direzione spirituale, si pre­parino a seguire Cristo Redentore con animo generoso e cuore puro. Sotto la guida paterna dei Superiori, coadiuvati opportuna­mente dai genitori, conducano un tenore di vita conveniente all'età, allo spirito e allo sviluppo degli adolescenti, e in piena armo­nia con le norme della sana psicologia, senza trascurare una con­grua esperienza delle cose umane e i rapporti con la propria famiglia.[64] Inoltre, si adattino anche al Seminario Minore, per quan­to lo consentono le sue finalità e la sua natura, le norme che in seguito vengono sancite per i Seminari Maggiori. L'ordinamento degli studi deve essere tale da permettere agli alunni di proseguirli altrove senza danno, qualora intendessero abbracciare un altro stato di vita. Con pari premura si coltivino, altresì, i germi della vocazione degli adolescenti o dei giovani in quegli Istituti speciali che, in varie regioni, servono anche agli scopi dei Seminari Minori, nonché di coloro che vengono formati o in altre scuole o con altri metodi di educazione; e si abbia ben cura di promuovere Istituti o altre iniziative per le vocazioni adulte.

III. ORDINAMENTO DEI SEMINARI MAGGIORI

4. I Seminari Maggiori sono necessari per la formazione sacer­dotale. In essi tutta l'educazione degli alunni deve tendere allo scopo di formarli veri pastori d'anime, sull'esempio di Nostro Signore Gesù Cristo Maestro, Sacerdote e Pastore.[65] Gli alunni perciò vengano preparati: al ministero della parola, in modo da penetrare sempre meglio la parola di Dio rivelata, render­sela propria con la meditazione e saperla esprimere con la pa­rola e con la vita; al ministero del culto e della santificazione, in modo che, pregando e celebrando le azioni liturgiche, sap­piano esercitare il ministero della salvezza per mezzo del Sa­crificio Eucaristico e dei Sacramenti; all'ufficio di Pastore, per essere in grado di rappresentare in mezzo agli uomini Cristo, il quale non «venne per essere servito, ma per servire e dare la sua vita a redenzione di molti» (Mc 10, 45; cfr. Gv 13, 12‑17) e di guadagnare molti, facendosi servi di tutti (cfr. 1 Cor 9, 19). Pertanto, tutti gli aspetti della formazione sacerdotale: spi­rituale, intellettuale, disciplinare, siano con piena armonia in­dirizzati a questo fine pastorale, per raggiungere il quale tutti i superiori e i maestri devono adoperarsi con diligenza e con azione concorde, nel fedele ossequio all'autorità del Vescovo.

5. Poiché l'educazione degli alunni dipende e dalla sapienza delle leggi e soprattutto dalla idoneità degli educatori, i Supe­riori e i professori dei Seminari devono essere scelti fra gli ele­menti migliori[66] e diligentemente preparati con un corredo di soda dottrina, di conveniente esperienza pastorale e di una spe­ciale formazione spirituale e pedagogica. Bisogna perciò che a questo fine si organizzino appositi istituti o almeno dei corsi con programmi organici, nonché convegni di Superiori di Se­minario da tenersi periodicamente. I Superiori e i professori abbiano viva la consapevolezza di quanto possa dipendere dal loro modo di pensare e di agire la formazione degli alunni; sotto la guida del Rettore siano in strettissima unità di spirito e di azione, e fra loro e con gli alunni formino una famiglia tale da tradurre in pratica la preghiera del Signore: «Che siano una cosa sola» (cfr. Gv 17,11) e da alimentare negli alunni la gioia della propria vocazione. Il Ve­scovo con continua e premurosa predilezione incoraggi coloro che lavorano nel Seminario, e verso gli alunni si dimostri vero Padre in Cristo. Tutti i sacerdoti, infine, considerino il Semi­nario come il cuore della diocesi e ad esso volentieri diano il proprio aiuto.[67]

6. Con vigile cura, proporzionata all'età dei singoli e al loro sviluppo, si indaghi sulla retta intenzione e la libera volontà dei candidati, sulla loro idoneità spirituale, morale e intellettuale, sulla necessaria salute fisica e psichica, considerando anche le eventuali inclinazioni ereditarie. Si ponderi, altresì, la capacità dei candidati a sopportare gli oneri sacerdotali e ad esercitare i doveri pastorali.[68] In tutta la selezione degli alunni e nel sottoporli a debita prova, sempre si abbia fermezza d'animo, anche nel caso doloroso di penuria di clero,[69] non essendo possibile che Dio permetta che la sua Chiesa manchi di ministri, se i degni vengono promossi e i non idonei sono tempestivamente e paternamente indirizzati verso altri compiti ed aiutati a dedicarsi all'apostolato laicale, nella consapevolezza della loro vocazione cristiana.

7. Là dove le singole diocesi non sono in grado di avere un proprio Seminario, si erigano e si favoriscano Seminari interdiocesani, o regionali o nazionali, in modo da provvedere più efficacemente ad una solida formazione degli alunni, la quale in questo campo è da considerarsi come norma suprema. Tali Seminari poi, se sono regionali o nazionali, si reggano secondo le norme stabilite dai Vescovi interessati[70] ed approvate dalla Sede Apostolica. Nei Seminari però, dove numerosi sono gli alunni, conservando l'unità della direzione e dell'insegnamento, essi vengano distribuiti, con sistemi adeguati, in piccoli gruppi, affinché si possa provvedere meglio alla formazione personale dei singoli.

IV. NECESSITÀ DI MAGGIOR IMPEGNO NELLA FORMAZIONE SPIRITUALE

8. La formazione spirituale deve essere strettamente collegata con quella dottrinale e pastorale, e, specialmente con l'aiuto del direttore spirituale,[71] sia impartita in modo tale che gli alunni imparino a vivere in intima comunione e familiarità col Padre per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo. Destinati a configurarsi a Cristo Sacerdote per mezzo della sa­cra ordinazione, si abituino anche a vivere intimamente uniti a Lui, come amici, in tutta la loro vita.[72] Vivano il Mistero Pa­squale di Cristo in modo da sapervi iniziare un giorno il po­polo che sarà loro affidato. Si insegni loro a cercare Cristo nella fedele meditazione della parola di Dio, nell'attiva partecipazione ai Misteri sacrosanti della Chiesa, soprattutto nell'Eucaristia e, nell'ufficio divino;[73] nel Vescovo che li manda e negli uomini ai quali sono inviati, specialmente nei poveri, piccoli, infer­mi, peccatori e increduli. Con fiducia filiale amino e venerino la Beatissima Vergine Maria che fu data come Madre da Gesù Cri­sto morente in croce al suo discepolo. Siano vivamente inculcati gli esercizi di pietà raccomandati dalla veneranda tradizione della Chiesa; bisogna curare però che la formazione spirituale non consista solo in questi esercizi, né si diriga al solo sentimento religioso. Gli alunni imparino piuttosto a vivere secondo il Vangelo, a radicarsi nella fede, nella speranza e nella carità, in modo che attraverso l'esercizio di queste virtù possano acquistare lo spirito di preghiera,[74]ottengano forza e difesa per la loro vocazione, rinvigoriscano le altre virtù e cresca­no nello zelo di guadagnare tutti gli uomini a Cristo.

9. Gli alunni siano penetrati del mistero della Chiesa, che questo Sacro Concilio ha principalmente illustrato, in maniera che, uniti in umile e filiale amore al Vicario di Cristo, e domani come sacerdoti aderendo al proprio Vescovo come fedeli collaboratori ed aiutando i propri confratelli, sappiano dare testimonianza di quella unità con cui gli uomini vengono attirati a Cristo.[75] Con gran cuore imparino a partecipare alla vita di tutta la Chiesa secondo l'espressione di S. Agostino: «Ognuno possiede lo Spirito Santo tanto quanto ama la Chiesa di Cristo».[76] In modo ben chiaro gli alunni sappiano di non essere destinati né al dominio, né agli onori, ma di dover mettersi a completo servizio di Dio e del ministero pastorale. Con particolare sollecitudine vengano educati all'obbedienza sacerdotale, ad un tenore di vita povera, allo spirito di abnegazione,[77] in modo da abituarsi a vivere in conformità con Cristo crocifisso e a rinunziare prontamente anche alle cose per sé lecite, ma non convenienti. Gli stessi alunni siano resi consapevoli degli oneri che do­vranno assumere senza nascondere loro nessuna difficoltà della vita sacerdotale; tuttavia, nel lavoro futuro non devono consi­derare quasi unicamente il pericolo, ma siano formati ad una vita spirituale che sappia trarre più che mai vigore dalla stessa loro attività pastorale.

10. Gli alunni che secondo le leggi sante e salde del proprio rito seguono la veneranda tradizione del celibato sacerdotale, siano diligentemente educati a questo stato, nel quale, rinunziando alla vita coniugale per il regno dei cieli (cfr. Mt 19,12), possono aderire a Dio con un amore indiviso,[78] rispondente intimamen­te alla nuova Alleanza, danno testimonianza della futura resurre­zione (cfr. Lc 20,36),[79] e ricevono un aiuto grandissimo per l'e­sercizio continuo di quella perfetta carità che li renderà capaci nel ministero sacerdotale di farsi tutto a tutti.[80] Sentano profonda­mente con quanta gratitudine debba essere abbracciato questo stato, non soltanto in quanto comandato dalla legge ecclesia­stica, ma come prezioso dono di Dio da impetrarsi umilmente ed al quale essi, stimolati e aiutati dalla grazia dello Spirito Santo, devono affrettarsi a corrispondere liberamente e generosamente. Gli alunni abbiano una conveniente conoscenza dei doveri e della dignità del matrimonio cristiano che rappresenta l'unione di Cristo con la Chiesa (cfr. Ef 5, 32 s.); ma sappiano comprendere la superiorità della verginità consacrata a Cristo,[81] in modo da fare a Dio la donazione completa del corpo e dell'anima, per mezzo di una scelta operata con matura deliberazione e magnanimità. Siano avvertiti circa i pericoli ai quali particolarmente nella società di oggi è esposta la loro castità;[82] aiutandosi con mezzi divini e umani adatti, imparino ad integrare nella loro persona la rinunzia al matrimonio in maniera tale che la loro vita e la loro attività non abbiano in alcun modo a patire danno dal celibato, ma essi piuttosto acquistino un più perfetto dominio sul corpo e sull'anima ed una più completa maturità, e possano meglio gustare la beatitudine del Vangelo.

11. Si osservino religiosamente le norme dell'educazione cristiana, e queste siano convenientemente perfezionate coi dati recenti della sana psicologia e pedagogia. Pertanto, per mezzo di una formazione sapientemente organizzata, negli alunni si coltivi anche la necessaria maturità umana, particolarmente comprovata in una certa fermezza d'animo, nel saper prendere decisioni ponderate e nel retto modo di giudicare uomini ed eventi. Gli alunni si abituino a perfezionare come si deve la propria indole; siano formati alla fortezza d'animo, e in generale imparino a stimare quelle virtù che sono tenute in gran conto fra gli uomini e rendono accetto il ministro di Cristo,[83] quali sono la sincerità d'animo, il rispetto costante della giustizia, la fedeltà alla parola data, la gentilezza del tratto, la discrezione e la carità nel conversare. La disciplina della vita di seminario deve considerarsi non solo come un sostegno della vita comune e della carità, ma anche come un elemento integrativo di tutta la formazione, necessario per acquistare il dominio di sé, per assicurare il pieno sviluppo della personalità e per formare quelle altre disposizioni di animo che giovano moltissimo a rendere bene ordinata e fruttuosa l'attività della Chiesa. Tale disciplina, tuttavia, deve praticarsi in maniera da formare nell'animo degli alunni l'attitudine di accogliere l'autorità dei superiori per intima convinzione, cioè per dovere di coscienza (cfr. Rom 13,5) e per motivi soprannaturali. Le norme disciplinari poi devono applicarsi in modo conforme all'età degli alunni, cosicché essi, men­tre si abituano gradualmente al dominio di sé, imparino nello stesso tempo a fare retto uso della libertà, a sviluppare lo spiri­to di iniziativa[84] e a collaborare coi confratelli e coi laici. Tutta la vita di Seminario, compenetrata di pietà, di amore al silenzio e di sollecitudine per aiutarsi scambievolmente, deve essere ordinata in maniera tale da essere come una iniziazione alla futura vita sacerdotale.

12. Affinché la formazione spirituale abbia basi più solide e gli alunni abbraccino la vocazione con una scelta scaturita da ma­tura deliberazione, sarà compito dei Vescovi stabilire un con­gruo intervallo di tempo da dedicare a un tirocinio spirituale più intenso. Sarà, altresì, loro compito considerare l'opportunità di stabilire una qualche interruzione degli studi o un conve­niente tirocinio pastorale per provare meglio i candidati al sa­cerdozio. Secondo le particolarità delle singole regioni, spetterà pure ai Vescovi di decidere se protrarre o meno l'età canonica richiesta dal diritto comune per i sacri ordini, e anche decidere sulla opportunità che gli alunni, al termine del corso teologico, per un certo periodo di tempo esercitino l'ordine del diaco­nato, prima di essere promossi al sacerdozio.

V. REVISIONE DEGLI STUDI ECCLESIASTICI

13. Gli alunni del Seminario, prima di iniziare gli studi ecclesiastici propriamente detti, devono acquistare quella cultura umanistica e scientifica che in ciascuna nazione dà diritto ad accedere agli studi superiori; inoltre, devono acquistare quella conoscenza della lingua latina che è necessaria per comprendere i documenti della Chiesa e le fonti di tante scienze, e per potersene servire.[85] È da considerarsi necessario, altresì, lo studio della lingua liturgica propria a ciascun rito, e si promuova di molto una congrua cono­scenza delle lingue della Sacra Scrittura e della Tradizione.

14. Nel riordinamento degli studi ecclesiastici si abbia cura in primo luogo di disporre meglio le varie discipline filosofiche e teologiche e di farle convergere concordemente alla progres­siva apertura delle menti degli alunni verso il Mistero di Cri­sto, il quale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella Chiesa ed opera principalmente attraverso il ministero sacerdotale.[86] Affinché questa visione venga data agli alunni fin dall'inizio, gli studi ecclesiastici incomincino con un corso introduttivo da protrarsi per un certo periodo di tempo. In questa inizia­zione agli studi il Mistero della salvezza sia proposto in modo che gli alunni possano percepire il significato degli studi eccle­siastici, la loro struttura e il loro fine pastorale, e insieme siano aiutati a far della fede il fondamento e l'anima di tutta la loro vita, e vengano consolidati ad abbracciare la loro vocazione con dedizione personale e con lieto animo.

15. Le discipline filosofiche siano insegnate in maniera che gli alun­ni siano anzitutto guidati all'acquisto di una solida e armonica co­noscenza dell'uomo, del mondo e di Dio, basandosi sul patrimo­nio filosofico perennemente valido,[87] tenuto conto anche delle correnti filosofiche moderne, specialmente di quelle che esercitano maggiore influsso nella loro nazione, come pure del progresso del­le scienze moderne, in modo che, provvisti di una adeguata co­noscenza della mentalità moderna, essi possano opportunamente prepararsi al dialogo con gli uomini del loro tempo.[88] L'insegnamento della storia della filosofia si svolga in modo che gli alunni, mentre apprendono i principi fondamentali dei vari sistemi, siano in grado di ritenere ciò che vi è di vero, di scoprire le radici degli errori e di confutarli. Il modo stesso di insegnare svegli negli alunni il desiderio di cercare rigorosamente la verità, di penetrarla e di dimostrarla, insieme all'onesto riconoscimento dei limiti dell'umana cono­scenza. Si presti molta attenzione ai rapporti tra la filosofia e i veri problemi della vita, nonché alle questioni che assillano la mente degli alunni; gli alunni stessi siano aiutati a cogliere il nesso tra gli argomenti filosofici e i misteri della salvezza che vengono studiati in teologia alla luce superiore della fede.

16. Le discipline teologiche, alla luce della fede e sotto la guida del Magistero della Chiesa,[89] siano insegnate in maniera che gli alunni possano attingere accuratamente la dottrina dalla di­vina Rivelazione, la studino profondamente, la rendano alimento della propria vita spirituale,[90] e siano in grado di annunziarla, esporla e difenderla nel ministero sacerdotale. Con particolare diligenza si curi la formazione degli alunni nello studio della Sacra Scrittura, che deve essere come l'anima di tutta la teologia;[91] premessa una appropriata introduzione, essi vengano iniziati accuratamente al metodo dell'esegesi, ap­prendano i massimi temi della divina Rivelazione, e ricevano incitamento e nutrimento per la loro quotidiana lettura e me­ditazione dei Libri Santi.[92] Nell'insegnamento della teologia dogmatica, prima vengano proposti i temi biblici; si illustri, poi, agli alunni il contributo dei Padri della Chiesa Orientale ed Occidentale nella fedele tra­smissione ed enucleazione delle singole verità rivelate, nonché l'ulteriore storia del dogma, considerando anche i rapporti di questa con la storia generale della Chiesa.[93] Inoltre, per illu­strare quanto più possibile integralmente i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e a vederne il nesso per mezzo della speculazione, avendo S. Tommaso per maestro;[94] si insegni loro a riconoscerli presenti ed operanti sempre nelle azioni liturgiche[95] e in tutta la vita della Chiesa; ed essi im­parino a cercare la soluzione dei problemi umani alla luce della Rivelazione, ad applicare le verità eterne alle mutevoli condi­zioni di questo mondo e comunicarle in modo appropriato agli uomini contemporanei.[96] Parimenti tutte le altre discipline teologiche vengano rinnova­te per mezzo di un contatto più vivo col Mistero di Cristo e con la storia della salvezza. Si ponga speciale cura nel perfezionare la Teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, mag­giormente alimentata dalla Sacra Scrittura, illustri l'altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo. Così pure nella esposizione del Diritto Canonico e nell'insegnamento della Storia ecclesiastica si tenga presente il Mistero della Chiesa, secondo la Costituzione dogmatica «De Ecclesia» promulgata da questo Sacro Concilio. La Sacra Liturgia, che è da ritenersi la prima e necessaria sorgen­te di vero spirito cristiano, si insegni come è prescritto negli arti­coli 15 e 16 della Costituzione sulla Sacra Liturgia.[97] Tenendo opportuno conto delle condizioni nelle varie re­gioni, gli alunni vengano indirizzati a meglio conoscere le Chiese e Comunità ecclesiali separate dalla Sede Apostolica Romana, affinché possano contribuire al ristabilimento dell'unità tra i cristiani, secondo le prescrizioni di questo Sacro Concilio.[98] Vengano anche introdotti alla conoscenza delle altre religioni più diffuse nelle singole regioni, affinché meglio riconoscano ciò che, per disposizione di Dio, vi è in esse di buono e di vero, imparino a confutarne gli errori e siano in grado di comuni­care la pienezza della verità a coloro che non la possiedono.

17. Poiché l'insegnamento dottrinale non deve tendere ad una semplice comunicazione di nozioni, ma ad una vera formazione interiore, siano riveduti i metodi didattici per quanto riguarda le lezioni, i colloqui e le esercitazioni, nonché l'interessamento allo studio da parte degli alunni sia in privato sia in gruppi. Si curi diligentemente l'unità e la sodezza di tutto l'insegna­mento, evitando l'eccessivo numero di materie e di lezioni, e omettendo quelle questioni che non hanno più alcuna impor­tanza o che devono lasciarsi agli studi accademici superiori.

18. Sarà cura dei Vescovi provvedere a che i giovani capaci per indole, virtù e ingegno vengano inviati in speciali Istituti, Fa­coltà o Università, affinché nelle scienze sacre o in altre che sembrino opportune, si preparino sacerdoti muniti di una for­mazione scientifica più profonda, i quali siano in grado di sod­disfare alle varie esigenze dell'apostolato; in nessun modo, però, venga trascurata la loro formazione spirituale e pastorale, so­prattutto se ancora non hanno ricevuto il sacerdozio.

VI. NORME PER UNA FORMAZIONE STRETTAMENTE PASTORALE

19. La preoccupazione pastorale che deve permeare l'intera for­mazione degli alunni,[99] richiede anche una diligente loro istru­zione nelle cose che riguardano in modo speciale il sacro mini­stero, specialmente nella catechesi e nella predicazione, nel culto liturgico e nell'amministrazione dei sacramenti, nelle opere di carità, nel dovere di andare incontro agli erranti e agli increduli, e negli altri uffici pastorali. Si insegni loro accuratamente l'arte di dirigere le anime, per mezzo della quale possano dare a tutti i figli della Chiesa quella formazione che li porti ad una vita cristiana pienamente consapevole ed apostolica e all'adempimento dei do­veri del proprio stato; con pari premura essi imparino ad aiutare i religiosi e le religiose a perseverare nella grazia della propria vocazione e a progredire secondo lo spirito dei vari Istituti.[100] In generale si coltivino negli alunni quelle particolari atti­tudini che contribuiscono moltissimo a stabilire un dialogo con gli uomini, quali sono la capacità di ascoltare gli altri e di aprire l'animo in spirito di carità ai vari aspetti della umana convi­venza.[101]

20. Si insegni anche a fare uso degli aiuti che possono essere offerti dalle discipline sia pedagogiche sia psicologiche sia sociologiche,[102] secondo i giusti metodi e le norme dell'Autorità Ecclesiastica. Parimenti gli alunni vengano accuratamente istruiti circa il modo di suscitare e favorire l'azione apostolica dei laici,[103] nonché di promuovere le varie forme di apostolato più efficaci; e siano penetrati di quello spirito veramente cattolico che li abitui a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti nel loro animo a predicare dovunque il Vangelo.[104]

21. Poiché è necessario che gli alunni imparino l'arte dell'apostolato non solo teoricamente ma anche praticamente e si rendano atti ad agire con responsabilità propria e in collaborazione con altri, gli stessi, già durante il tempo degli studi, nel periodo anche delle ferie, siano a ciò iniziati attraverso opportune esercitazioni; queste poi, proporzionatamente all'età degli alunni e alle condizioni locali, secondo il giudizio prudente dei Vescovi, devono svolgersi metodicamente e sotto la guida di persone esperte nel campo pastorale, sempre tenendo presente la superiore efficacia dei mezzi soprannaturali.[105]

VII. PERFEZIONAMENTO DELLA FORMAZIONE DOPO IL PERIODO DEGLI STUDI

22. Poiché è necessario proseguire e perfezionare la formazione sacerdotale, a motivo soprattutto delle circostanze della società moderna, anche dopo che è terminato il corso di studi nei Seminari,[106] sarà cura delle Conferenze Episcopali nelle singole nazioni studiare i mezzi più adatti, quali potrebbero essere Istituti pastorali in collaborazione con parrocchie opportunamente scelte, convegni periodici, appropriate esercitazioni, in modo che il giovane clero sotto l'aspetto spirituale, intellettuale e pastorale venga introdotto gradualmente nella vita sacerdotale e nell'attività apostolica, e sia in grado sempre più di rinnovare e perfezionare l'una e l'altra.

CONCLUSIONE

I Padri di questo Sacro Concilio, proseguendo l'opera ini­ziata dal Concilio Tridentino, mentre con fiducia affidano ai Superiori e maestri del Seminario il compito di formare i futuri sacerdoti di Cristo secondo lo spirito di rinnovamento pro­mosso dal Sacro Concilio stesso, esortano vivamente coloro che si preparano al ministero sacerdotale, affinché abbiano piena consapevolezza che la speranza della Chiesa e la salvezza delle anime sono affidate in mano loro, ed accogliendo volenterosamente le disposizioni di questo Decreto, possano così appor­tare frutti abbondantissimi e duraturi.

Le cose tutte e singole stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, con la potestà Apostolica con­feritaCi da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, decretiamo e stabiliamo, e ciò che è stato così dal Concilio stabilito ordiniamo che sia promulgato a gloria di Dio.

Roma, presso S. Pietro, il giorno 28 del mese di ottobre dell'anno 1965.

Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica.

(Seguono le firme dei Padri)


II COSTITUZIONE APOSTOLICA SAPIENTIA CHRISTIANA CIRCA LE UNIVERSITÀ E LE FACOLTÀ CCLESIASTICHE

NORME APPLICATIVE DELLA SACRA CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA PER LA FEDELE ESECUZIONE DELLA COSTITUZIONE APOSTOLICA SAPIENTIA CHRISTIANA

GIOVANNI PAOLO VESCOVO SERVO DEI SERVI DI DIO
A PERPETUA MEMORIA

PROEMIO

I

La Sapienza Cristiana, che la Chiesa insegna per mandato divino, è di continuo incitamento ai fedeli perché si sforzino di raccogliere le vicende e le attività umane in un'unica sintesi vitale insieme con i valori religiosi, sotto la cui direzione tutte le cose sono tra loro coordinate per la gloria di Dio e per l'integrale sviluppo dell'uomo, sviluppo che comprende i beni del corpo e quelli dello spirito.[107]

Difatti, la missione dell'evangelizzazione, che è propria della Chiesa, esige non soltanto che il Vangelo sia predicato in fasce geografiche sempre più vaste ed a moltitudini umane sempre più grandi, ma che siano anche permeati della virtù dello stesso Vangelo i modi di pen­sare, i criteri di giudizio, le norme d'azione; in una parola, è neces­sario che tutta la cultura dell'uomo sia penetrata dal Vangelo.[108]

L'ambiente culturale, infatti, nel quale l'uomo vive, esercita un notevole influsso sul suo modo di pensare, e conseguentemente sul suo modo di agire; perciò il distacco tra fede e cultura costituisce un grave impedimento all'evangelizzazione, mentre al contrario la cultura informata da spirito cristiano è un valido strumento per la diffusione del Vangelo.

Inoltre, il Vangelo di Cristo, che è diretto a tutti i popoli di ogni età e regione, non è legato in modo esclusivo ad alcuna cultura par­ticolare, ma è capace di permeare tutte le culture, così da illuminarle con la luce della Rivelazione divina, e purificare e rinnovare in Cri­sto i costumi degli uomini.

È questa la ragione per cui la Chiesa di Cristo cerca di portare la Buona Novella a tutti i ceti dell'umanità, in modo da poter con­vertire la coscienza personale e quella collettiva degli uomini e pe­netrare con la luce del Vangelo le loro opere e le loro iniziative, tutta la loro vita, come pure l'intero contesto sociale nel quale essi sono impegnati. In questo modo la Chiesa, promovendo anche l'umana civiltà, adempie la sua missione evangelizzatrice.[109]

II

In questa azione della Chiesa nei riguardi della cultura, partico­lare importanza hanno avuto ed hanno tuttora le Università Catto­liche, che, per loro natura, tendono ad «attuare una presenza, per così dire, pubblica, stabile, ed universale del pensiero cristiano, in tutto lo sforzo diretto a promuovere la cultura superiore».[110]

Nella Chiesa, infatti - come ben ricorda il Mio Predecessore Pio XI, di felice memoria, nel proemio della Costituzione Apostolica Deus scientiarum Dominus[111] - sorsero, fin dalla sua prima età, i di­dascaleia, con lo scopo di insegnare la sapienza cristiana, che avrebbe dovuto plasmare vita e costumi. A questi centri di cristiana sapienza attinsero la loro scienza i più illustri Padri e Dottori della Chiesa, i Maestri e gli Scrittori ecclesiastici.

Col passare dei secoli, grazie specialmente al solerte impegno dei Vescovi e dei monaci, furono fondate, vicino alle chiese cattedrali e ai conventi dei monaci, le scuole, le quali promuovevano sia la dottrina ecclesiastica, sia la cultura profana, rendendole come un tutt'uno. Da tali scuole derivarono le Università, la gloriosa istituzione del Medioevo, la quale nella sua origine ebbe la Chiesa come madre liberalissima e protettrice.

Quando poi le Autorità civili, sollecite del bene comune, comin­ciarono a fondare ed a promuovere proprie Università, la Chiesa, conforme alla sua natura, non cessò di erigere e di favorire questi centri di sapienza e istituti di insegnamento, come dimostrano le non poche Università Cattoliche erette, anche in questi ultimi tempi, in quasi tutte le parti del mondo. Difatti la Chiesa, consapevole della sua missione di salvezza a dimensione mondiale, fa del tutto per te­nersi particolarmente vicini questi centri di istruzione superiore, e vuole che essi siano dappertutto fiorenti ed operino efficacemente per rendere presente e far progredire l'autentico messaggio di Cristo nel campo della cultura umana.

Perché le Università Cattoliche conseguissero meglio questo scopo, il Mio Predecessore Pio XII cercò di stimolare la loro mutua colla­borazione, allorquando, con Breve Apostolico in data 27 luglio 1949, costituì formalmente la Federazione delle Università Cattoliche, «perché possa raccogliere gli Atenei che la Santa Sede ha essa stessa ca­nonicamente eretto o erigerà in futuro nel mondo, oppure avrà esplicitamente riconosciuto come diretti secondo la norma dell'educazione cattolica e ad essa del tutto conformi».[112]

Perciò il Concilio Vaticano II non ha esitato ad affermare che «la Chiesa Cattolica segue con molta attenzione queste Scuole di grado superiore»; ed ha vivamente esortato perché le Università Cat­toliche «siano sviluppate e convenientemente distribuite nelle diverse parti del mondo», e perché in esse «gli studenti siano formati come uomini veramente insigni per sapere, pronti a svolgere compiti im­pegnativi nella società ed a testimoniare la loro fede di fronte al mondo».[113] Sa bene, infatti, la Chiesa che «l'avvenire della società e della stessa Chiesa è intimamente connesso allo sviluppo intellet­tuale dei giovani che compiono gli studi superiori».[114]

III

Non fa meraviglia, tuttavia, che tra le Università Cattoliche la Chiesa abbia promosso sempre con speciale impegno le Facoltà e le Università Ecclesiastiche, cioè quelle che si occupano particolarmente della Rivelazione cristiana e di quelle discipline che ad essa sono con­nesse, e che, perciò, più strettamente si ricollegano alla sua stessa missione evangelizzatrice.

A queste Facoltà essa ha affidato, innanzitutto, l'ufficio di pre­parare con particolare cura i propri aspiranti al ministero sacerdo­tale, all'insegnamento delle scienze sacre, ai compiti più difficili dell'apostolato. È ufficio, inoltre, di queste Facoltà «approfondire i diversi settori delle scienze sacre, in modo che si abbia una cogni­zione sempre più piena della sacra Rivelazione, sia meglio esplorato il patrimonio della sapienza cristiana trasmesso dalle generazioni passate, sia favorito il dialogo con i fratelli separati e con i non cri­stiani, e si risponda alle questioni emergenti dal progresso cultu­rale».[115]

Difatti, le nuove scienze e i nuovi ritrovati pongono nuovi pro­blemi, che interpellano le discipline sacre e le sollecitano a rispon­dere. È necessario, quindi, che i cultori delle scienze sacre, mentre adempiono il loro dovere fondamentale di conseguire, mediante la ricerca teologica, una più profonda conoscenza della verità rivelata, si tengano in relazione con gli studiosi delle altre discipline, siano essi credenti o non credenti, e cerchino di ben intendere e valutare le loro affermazioni, e di giudicarle alla luce della verità rivelata.[116]

Da questo assiduo contatto con la realtà stessa, anche i teologi sono incitati a ricercare il metodo più adatto per comunicare la dot­trina agli uomini del proprio tempo, nella varietà delle culture; in­fatt15 «una cosa è il deposito stesso della fede, ossia le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altra cosa è il modo con cui esse vengono formulate, conservando, tuttavia, lo stesso senso e lo stesso significato».[117]

Tutto ciò sarà di grande utilità perché nel popolo di Dio la pra­tica religiosa e la dirittura morale procedano di pari passo col pro­gresso della scienza e della tecnica, e perché nella cura pastorale i fedeli siano condotti gradatamente a una vita di fede più pura e più matura.

La possibilità di un collegamento con la missione evangelizzatrice esiste anche nelle Facoltà di quelle scienze che, pur non avendo una particolare connessione con la Rivelazione cristiana, possono tutta­via giovare molto all'opera dell'evangelizzazione, e proprio sotto que­sto aspetto dalla Chiesa sono considerate e vengono erette come Facoltà Ecclesiastiche, ed hanno, quindi, un rapporto del tutto par­ticolare con la Sacra Gerarchia.

La Sede Apostolica, pertanto, per adempiere la sua missione, av­verte chiaramente il suo diritto e dovere di erigere e promuovere Facoltà Ecclesiastiche che da essa dipendono - sia come entità a sé stanti, sia inserite nelle Università - destinate agli ecclesiastici ed ai laici; e desidera vivamente che tutto il popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori, collabori perché questi centri di sapienza contribuiscano efficacemente all'incremento della fede e della vita cristiana.

IV

Le Facoltà Ecclesiastiche - le quali sono ordinate al bene co­mune della Chiesa e costituiscono perciò qualcosa di prezioso per tutta la comunità ecclesiale - devono avere coscienza della propria importanza nella Chiesa e della partecipazione al suo ministero. Le Facoltà, poi, che più da vicino trattano della rivelazione cristiana, ricordino sempre il mandato che Cristo, Maestro supremo, ha dato alla Chiesa riguardo a questo ministero, con le parole: «Andate, dun­que, istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt. 28, 19‑20). Da queste considerazioni de­riva l'assoluta adesione che queste Facoltà devono avere a tutta la dottrina di Cristo, il cui custode e interprete autentico è sempre stato, nel corso dei secoli, il Magistero della Chiesa.

Le Conferenze Episcopali esistenti nelle singole nazioni o regioni abbiano sollecita cura di queste Facoltà, promuovano costantemente il loro progresso, insieme con la fedeltà alla dottrina della Chiesa, in modo che diano testimonianza a tutta la comunità dei fedeli di una piena dedizione al mandato di Cristo ora ricordato. Questa testimonianza devono sempre renderla sia le Facoltà in quanto tali, sia tutti e singoli i membri che le costituiscono. Infatti, le Università e Facoltà Ecclesiastiche sono istituite nella Chiesa per l'edificazione e il profitto dei cristiani, e questo esse devono tenere presente come costante criterio di tutta la loro attività. In particolare i Docenti, che hanno una maggiore responsabilità in quanto esercitano lo speciale ministero della Parola di Dio e sono per gli studenti maestri della fede, devono essere per loro e per tutti i cristiani testimoni viventi della verità evangelica e modelli di fedeltà alla Chiesa. Giova a questo proposito richiamare le gravi parole del Papa Paolo VI: «L'ufficio del Teologo deve essere esercitato per l'edificazione della comunità ecclesiale, affinché il popolo di Dio cresca nell'esperienza della fede».[118]

V

Per raggiungere i propri scopi, occorre che le Facoltà Ecclesiasti­che siano organizzate in modo da rispondere adeguatamente alle nuove esigenze del tempo presente; perciò, il Concilio stesso stabilì che le loro leggi dovessero essere oggetto di revisione.[119]

Infatti, la Costituzione Apostolica Deus scientiarum Dominus, pro­mulgata dal Mio Predecessore Pio XI in data 24 maggio 1931, a suo tempo contribuì notevolmente al rinnovamento degli studi ecclesia­stici superiori; tuttavia, a causa delle nuove condizioni di vita, essa richiede opportuni adattamenti ed innovazioni.

In realtà, nel corso di quasi cinquant'anni, sono intervenuti grandi mutamenti, non soltanto nella società civile, ma anche nella stessa Chiesa. Si sono verificati, infatti, importanti avvenimenti - come, in primo luogo, il Concilio Vaticano II - i quali hanno interessato sia la vita interna della Chiesa, sia i suoi rapporti con l'esterno, tanto con i cristiani di altre Chiese, quanto con i non cristiani e i non cre­denti, ed anche con quanti sono fautori di una civiltà più umana.

A ciò va aggiunto il fatto che alle scienze teologiche si rivolge sempre più l'attenzione non solo degli ecclesiastici, ma anche dei laici i quali sempre più numerosi frequentano le scuole teologiche, che di conseguenza, negli anni più recenti, si sono grandemente moltiplicate.

Infine, si sta affacciando una nuova mentalità che tocca la strut­tura stessa dell'Università e della Facoltà, sia civile che ecclesiastica, a causa del giusto desiderio di una vita universitaria aperta a mag­giore partecipazione, desiderio da cui sono animati quanti in qualsiasi modo ne fanno parte.

Né va trascurata la grande evoluzione che si è avuta nei metodi pedagogici e didattici, i quali esigono nuovi criteri nell'ordinamento degli studi; come pure la più stretta connessione che sempre più si avverte tra le varie scienze e discipline, nonché il desiderio di una maggiore collaborazione nell'intero mondo universitario.

Al fine di soddisfare a queste nuove esigenze, la Sacra Congre­gazione per l'Educazione Cattolica, in ottemperanza al mandato ri­cevuto dal Concilio, affrontò fin dall'anno 1967 la questione del rinnovamento secondo la linea conciliare; ed in data 20 maggio 1968 furono da essa promulgate «alcune Norme per la revisione della Co­stituzione Apostolica Deus scientiarum Dominus circa gli studi ac­cademici ecclesiastici», norme che durante questi anni hanno esercitato una benefica influenza.

VI

Ora occorre, però, completare e terminare l'opera con una nuova legge, la quale - abrogando la Costituzione Apostolica Deus scien­tiarum Dominus insieme con le annesse Norme applicative e con le Norme pubblicate il 20 maggio 1968 dalla stessa Sacra Congre­gazione - riprenda gli elementi che in quei documenti risultano an­cora validi e stabilisca le nuove norme secondo cui si possa sviluppare e completare il rinnovamento, gia felicemente avviato.

A nessuno, certo, sfuggono le difficoltà che sembrano ostacolare la promulgazione di una nuova Costituzione Apostolica. C'è, anzi­tutto, il veloce «correre del tempo», che comporta mutamenti così rapidi da far apparire non attuabile la statuizione di qualcosa di de­finitivo e duraturo; c'è, inoltre, la «diversità dei luoghi», che sem­bra esigere un tale pluralismo da far apparire quasi impossibile l'emanazione di norme comuni, valevoli per il mondo intero.

Tuttavia, poiché in tutto il mondo esistono Facoltà Ecclesiasti­che erette o approvate dalla Santa Sede, le quali conferiscono titoli accademici a nome della stessa Sede Apostolica, è necessario che sia rispettata una certa unità sostanziale, e che siano determinati chia­ramente ed abbiano dappertutto valore i requisiti per il consegui­mento dei gradi accademici. Si deve procurare, invero, che siano stabilite per legge quelle cose che sono necessarie e che si prevede saranno abbastanza stabili e, al tempo stesso, che sia lasciata una giu­sta libertà per poter introdurre negli Statuti propri delle singole Fa­coltà ulteriori specificazioni, tenuto conto delle diverse circostanze locali e degli usi universitari vigenti in ciascuna regione. In questo modo, non e né impedito né coartato il legittimo progresso degli studi accademici, ma piuttosto esso è indirizzato sulla retta via, per­ché possa ottenere frutti più copiosi; insieme, però, nella legittima differenziazione delle Facoltà, apparirà a tutti chiara l'unità della Chiesa Cattolica anche in questi centri di istruzione superiore.

Pertanto, la Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica, die­tro mandato del Mio Predecessore Paolo VI, ha consultato, innan­zitutto, le stesse Università e Facoltà Ecclesiastiche, nonché i Dicasteri della Curia Romana ed altri enti a ciò interessati; successivamente, ha costituito una commissione di esperti, i quali, sotto la direzione della medesima Congregazione, hanno attentamente riveduto la le­gislazione relativa agli studi accademici ecclesiastici.

Dopo che tutto questo era stato felicemente portato a termine, Paolo VI già stava per promulgare la nuova Costituzione Aposto­lica, come ardentemente desiderava, quando ne sopravvenne la morte; e parimenti un inatteso decesso impedì a Giovanni Paolo I di compierne la promulgazione. Perciò Io, dopo averle nuovamente e di­ligentemente considerate, con la Mia autorità apostolica decreto e stabilisco le seguenti leggi e norme.

PARTE PRIMA: NORME COMUNI

Titolo I: NATURA E FINALITÀ DELLE UNIVERSITÀ E FACOLTÀ ECCLESIASTICHE

Art.1. La Chiesa, per compiere la missione evangelizzatrice af­fidatale da Cristo, ha il diritto e il dovere di erigere e promuovere Università e Facoltà, che da essa dipendono.

Art. 2. Nella presente Costituzione, Università e Facoltà Eccle­siastiche sono dette quelle che, canonicamente erette o approvate dalla Sede Apostolica, coltivano ed insegnano la dottrina sacra e le scienze con essa collegate, fruendo del diritto di conferire i gradi accademici per autorità della Santa Sede.

Art. 3. Le finalità delle Facoltà Ecclesiastiche sono:

§ 1. coltivare e promuovere, mediante la ricerca scientifica, le proprie discipline, ed anzitutto approfondire la conoscenza della Rivelazione cristiana e di ciò che con essa è collegato, enucleare si­stematicamente le verità in essa contenute, considerare alla loro luce i nuovi problemi che sorgono, e presentarle agli uomini del proprio tempo nel modo adatto alle diverse culture;

§ 2. formare ad un livello di alta qualificazione gli studenti nelle proprie discipline secondo la dottrina cattolica, prepararli con­venientemente ad affrontare i loro compiti, e promuovere la for­mazione continua, o permanente, nei ministri della Chiesa;

§ 3. aiutare attivamente, secondo la propria natura e in stretta comunione con la Gerarchia, sia le Chiese particolari sia quella uni­versale, in tutta l'opera dell'evangelizzazione.

Art. 4. È compito delle Conferenze Episcopali interessarsi alacre­mente della vita e del progresso delle Università e Facoltà Ecclesia­stiche, a motivo della loro particolare importanza ecclesiale.

Art. 5. L'erezione o l'approvazione canonica delle Università e delle Facoltà Ecclesiastiche è riservata alla Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica, che ad esse sovrintende a norma del diritto.[120]

Art. 6. Alle sole Università e Facoltà canonicamente erette o ap­provate dalla Santa Sede, ed ordinate a norma di questa Costituzione, compete il diritto di conferire i gradi accademici aventi valore ca­nonico, salvo restando il diritto particolare della Pontificia Com­missione Biblica.[121]

Art. 7. Gli Statuti di ciascuna Università o Facoltà, da redigere a norma della presente Costituzione, devono essere approvati dalla Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica.

Art. 8. Le Facoltà Ecclesiastiche erette o approvate dalla Santa Sede in Università non ecclesiastiche, le quali conferiscano gradi ac­cademici sia canonici che civili, devono osservare le prescrizioni di questa Costituzione, tenuto conto delle convenzioni stipulate dalla Santa Sede con le diverse Nazioni o con le stesse Università.

Art. 9. § l. Le Facoltà, che non sono state erette o approvate canonicamente dalla Santa Sede, non possono conferire gradi acca­demici aventi valore canonico.

§ 2. I gradi accademici conferiti da queste Facoltà, per conse­guire alcuni determinati effetti canonici, hanno bisogno del ricono­scimento della Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica.

§ 3. Per tale riconoscimento, da concedersi per motivi parti­colari a gradi singoli, devono essere adempiute le condizioni stabilite dalla stessa Sacra Congregazione.

Art. 10. Per dare la dovuta esecuzione alla presente Costituzione, si devono osservare le Norme applicative emanate dalla Sacra Con­gregazione per l'Educazione Cattolica.

Titolo II: LA COMUNITÀ ACCADEMICA ED IL SUO GOVERNO

Art. 11. § l. Poiché l'Università o la Facoltà costituisce in certo qual modo una comunità, tutte le persone che ne fanno parte, sia singolarmente prese che raccolte in consigli, devono sentirsi, ciascuna secondo la propria condizione, corresponsabili del bene comune e devono sollecitamente contribuire al conseguimento del fine della comunità medesima.

§ 2. Perciò, devono essere esattamente determinati i loro di­ritti e doveri nell'ambito della comunità accademica, affinché siano convenientemente esercitati i limiti precisati.

Art. 12. Il Gran Cancelliere rappresenta la Santa Sede presso l'Università o la Facoltà e così pure questa presso la Santa Sede, ne promuove la conservazione e il progresso, ne favorisce la comunione con la Chiesa sia particolare che universale.

Art. 13. § l. Il Gran Cancelliere è il Prelato Ordinario da cui l'Università o la Facoltà dipendono giuridicamente, a meno che la Sede Apostolica non abbia stabilito diversamente.

§ 2. Qualora le circostanze lo suggeriscano, si può avere anche un Vice Gran Cancelliere, la cui autorità deve essere determinata negli Statuti.

Art. 14. Se il Gran Cancelliere è diverso dall'Ordinario del luogo, si stabiliscano norme, in base alle quali ambedue possano adempiere al proprio compito in modo concorde.

Art. 15. Le Autorità accademiche sono personali e collegiali. Sono Autorità personali, in primo luogo, il Rettore o il Preside, e il De­cano. Sono Autorità collegiali i diversi Organi direttivi, o Consigli, sia di Università che di Facoltà.

Art. 16. Gli Statuti dell'Università o della Facoltà devono fissare con precisione i nomi e gli uffici delle Autorità accademiche, le mo­dalità della loro designazione e la loro durata in carica, tenuto conto sia della natura canonica dell'Università o Facoltà, sia della prassi universitaria della propria regione.

Art. 17. Le Autorità accademiche siano scelte tra persone vera­mente esperte della vita universitaria e, di regola, tra i docenti di qualche Facoltà.

Art. 18. Il Rettore e il Preside sono nominati, o almeno confer­mati, dalla Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica.

Art. 19. § l. Gli Statuti stabiliscano in qual modo debbano col­laborare tra loro le Autorità personali e quelle collegiali, di modo che, pur rispettando scrupolosamente il principio di collegialità so­prattutto nelle questioni più importanti e, segnatamente, in quelle accademiche, le Autorità personali godano di quel potere che effet­tivamente conviene al loro ufficio.

§ 2. Ciò vale anzitutto per il Rettore, il quale ha il compito di dirigere l'intera Università e di promuoverne nei modi convenienti l'unità, la collaborazione, il progresso.

Art. 20. § l. Quando le Facoltà sono parte di un'Università Ec­clesiastica, negli Statuti si deve provvedere a coordinare opportuna­mente il loro governo con quello dell'intera Università, in modo da promuovere convenientemente il bene sia delle singole Facoltà che dell'Università, e da favorire la collaborazione di tutte le Facoltà tra di loro.

§ 2. Le esigenze canoniche delle Facoltà Ecclesiastiche devono essere salvaguardate anche quando queste sono inserite in un'Università non ecclesiastica.

Art. 21. Se la Facoltà è congiunta con un Seminario o con un Collegio, fatta salva la dovuta collaborazione in tutto ciò che attiene al bene degli studenti, gli Statuti devono con chiarezza ed efficacia provvedere a che la direzione accademica e l'amministrazione della Facoltà siano debitamente distinte dal governo e dall'amministrazione del Seminario o del Collegio.

Titolo III: I DOCENTI

Art. 22. In ciascuna Facoltà deve esserci un numero di docenti, soprattutto stabili, che corrisponda all'importanza ed allo sviluppo delle singole discipline, come anche alla debita assistenza ed al pro­fitto degli studenti.

Art. 23. Devono esserci diversi ordini di docenti, da determinare negli Statuti secondo il grado di preparazione, di inserimento, di sta­bilità e di responsabilità nella Facoltà, tenendo conto opportuna­mente della prassi seguita nelle Università della regione.

Art. 24. Gli Statuti devono precisare a quali Autorità competano la cooptazione, la nomina, la promozione dei docenti, soprattutto quando si tratti di conferire loro stabilmente l'ufficio.

Art. 25. § l. Perché uno sia legittimamente cooptato tra i docenti stabili di una Facoltà, si richiede che egli:

1° si distingua per ricchezza di dottrina, per testimonianza di vita, per senso di responsabilità;

2° sia fornito del congruo dottorato o di titolo equipollente, o di meriti scientifici del tutto singolari;

3° si sia dimostrato idoneo alla ricerca scientifica con documenti probanti, in particolare con la pubblicazione di dissertazioni;

4° dimostri di possedere capacità pedagogica all'insegnamento.

§ 2. Questi requisiti per l'assunzione dei docenti stabili deb­bono essere applicati, fatte le debite proporzioni, ai docenti non stabili.

§ 3. I requisiti scientifici per la cooptazione dei docenti in vi­gore nella prassi universitaria della regione dovranno essere tenuti opportunamente in conto.

Art. 26. § 1. Tutti i docenti, di qualsiasi categoria, devono sem­pre distinguersi per onestà di vita, integrità di dottrina, dedizione al dovere, così da poter efficacemente contribuire al raggiungimento del fine proprio di una Facoltà Ecclesiastica.

§ 2. Coloro, poi, che insegnano materie concernenti la fede e la morale, occorre che siano consapevoli che tale compito deve es­sere svolto in piena comunione col Magistero autentico della Chiesa e, in particolare, del Romano Pontefice.[122]

Art. 27. § l. Coloro che insegnano discipline concernenti la fede e la morale devono ricevere, dopo aver emesso la professione di fede, la missione canonica dal Gran Cancelliere o da un suo delegato; essi, infatti, non insegnano per autorità propria, ma in forza della missione ricevuta dalla Chiesa. Gli altri docenti, invece, devono ricevere l'autorizzazione ad insegnare dal Gran Cancelliere o dal suo delegato.

§ 2. Tutti i docenti, prima che sia loro conferita la nomina a stabili o siano promossi al più alto ordine didattico, o in ambedue i casi, a seconda di quanto è precisato negli Statuti, hanno bisogno del «nulla‑osta» della Santa Sede.

Art. 28. La promozione agli ordini superiori avviene dopo un con­veniente intervallo di tempo, in rapporto alla capacità di insegna­mento, alle ricerche svolte, ai lavori scientifici pubblicati, allo spirito di collaborazione nell'insegnamento e nella ricerca, all'impegno di dedizione alla Facoltà.

Art. 29. I docenti, per poter assolvere al loro ufficio, siano liberi da altre incombenze, incompatibili con i loro compiti di ricerca e di insegnamento, secondo che è richiesto negli Statuti dai singoli or­dini di docenti.

Art. 30. Gli Statuti devono determinare:

a) quando ed a quali condizioni i docenti cessino dal loro ufficio;

b) per quali motivi e con quale procedura essi possano essere so­spesi dall'ufficio o anche privati di esso, in modo da provvedere con­venientemente alla tutela dei diritti sia del docente, sia della Facoltà od Università, in primo luogo dei suoi studenti, sia anche della stessa comunità ecclesiale.

Titolo IV: GLI STUDENTI

Art. 31. Le Facoltà Ecclesiastiche sono aperte a tutti coloro che, sia ecclesiastici sia laici, forniti di regolare attestato, siano idonei per la condotta morale e per i precedenti studi compiuti, ad esservi iscritti.

Art. 32. § 1. Perché uno possa iscriversi alla Facoltà per il con­seguimento dei gradi accademici, deve presentare il titolo di studio richiesto per l'ammissione all'Università civile della propria nazione, o della regione nella quale la Facoltà si trova.

§ 2. La Facoltà provveda a determinare negli Statuti gli altri eventuali requisiti, oltre a quello stabilito al § 1, necessari per intra­prendere il proprio curricolo di studi, anche per quel che riguarda la conoscenza delle lingue sia antiche che moderne.

Art. 33. Gli studenti devono osservare fedelmente le norme della Facoltà circa l'ordinamento generale e la disciplina - in primo luogo circa i programmi degli studi, la frequenza, gli esami -, come anche tutte le altre disposizioni concernenti la vita della Facoltà.

Art. 34. Gli Statuti devono definire in qual modo gli studenti, sia singolarmente presi che associati, partecipino alla vita della co­munità universitaria in quelle cose nelle quali essi possono contri­buire al bene comune della Facoltà o dell'Università.

Art. 35. Gli Statuti devono parimenti determinare in qual modo gli studenti, per gravi motivi, possano essere sospesi da certi diritti, o esserne privati, o essere addirittura esclusi dalla Facoltà, così che si provveda opportunamente alla tutela dei diritti sia dello studente che della Facoltà od Università, come anche a quelli della stessa co­munità ecclesiale.

Titolo V: GLI OFFICIALI ED IL PERSONALE AUSILIARIO

Art. 36. § 1. Nel governo e nell'amministrazione dell'Università o della Facoltà le Autorità siano coadiuvate da Officiali, debitamente competenti nelle loro funzioni.

§ 2. Gli Officiali sono in primo luogo il Segretario, il Biblio­tecario, l'Economo.

Art. 37. Vi sia pure il Personale Ausiliario, addetto alla vigilanza, alla tutela dell'ordine ed alle altre incombenze, secondo le esigenze dell'Università o della Facoltà.

Titolo VI: L'ORDINAMENTO DEGLI STUDI

Art. 38. § l. Nel predisporre l'ordinamento degli studi si osser­vino diligentemente i principi e le norme che secondo la diversità della materia sono contenute nei documenti ecclesiastici, soprattutto in quelli del Concilio Vaticano II; si tenga, però, conto nello stesso tempo delle acquisizioni sicure, che derivano dal progresso scienti­fico e che contribuiscono peculiarmente a risolvere le questioni oggi in discussione.

§ 2. Nelle singole Facoltà si adotti il metodo scientifico rispon­dente alle esigenze proprie delle singole scienze. Si applichino pure opportunamente i recenti metodi didattici e pedagogici, atti a meglio promuovere l'impegno personale degli studenti e la loro partecipazione attiva agli studi.

Art. 39. § 1. A norma del Concilio Vaticano II, in base all'indole propria delle singole Facoltà:

1° sia riconosciuta una giusta libertà[123] di ricerca e di insegna­mento, perché si possa avere un autentico progresso nella conoscenza e nella comprensione della verità divina;

2° al tempo stesso appaia:

a) che la vera libertà di insegnamento è contenuta necessaria­mente entro i confini della Parola di Dio, così com'essa è costante­mente insegnata dal Magistero vivo della Chiesa;

b) che parimenti la vera libertà di ricerca poggia necessaria­mente sulla ferma adesione alla Parola di Dio e su un atteggiamento d'ossequio verso il Magistero della Chiesa, al quale è stato affidato il compito di interpretare autenticamente la Parola di Dio.

§ 2. Perciò, in materia tanto importante e delicata, si deve pro­cedere con fiducia e senza sospetto, ma anche con prudenza e senza temerarietà, soprattutto nell'insegnamento; si devono, inoltre, ar­monizzare con cura le esigenze scientifiche con le necessità pastorali del popolo di Dio.

Art. 40. In ogni Facoltà si ordini convenientemente il curricolo degli studi attraverso diversi gradi o cicli, da adattare secondo le esi­genze della materia, così che solitamente:

a) dapprima sia data una informazione generale, mediante l'esposizione coordinata di tutte le discipline, insieme con l'introduzione all'uso del metodo scientifico;

b) successivamente si intraprenda lo studio approfondito di un particolare settore delle discipline e, contemporaneamente, si eserci­tino più compiutamente gli studenti nell'uso del metodo della ricerca scientifica;

c) infine, si arrivi progressivamente alla maturità scientifica, so­prattutto mediante un lavoro scritto, che contribuisca effettivamente all'avanzamento della scienza.

Art. 41. § l. Si determinino le discipline che si richiedono ne­cessariamente per il raggiungimento del fine specifico della Facoltà, e quelle che, in diverso modo, servono al raggiungimento di tale fine, così da classificarle opportunamente.

§ 2. Nelle singole Facoltà le discipline siano ordinate in modo tale da formare un corpo organico, servire alla solida ed armonica formazione degli studenti, rendere più facile la mutua collaborazione dei docenti.

Art. 42. Le lezioni, soprattutto nel ciclo istituzionale, si devono tenere obbligatoriamente e devono essere frequentate dagli studenti secondo le norme che gli Statuti provvederanno a determinare.

Art. 43. Le esercitazioni e i seminari, soprattutto nel ciclo di spe­cializzazione, devono essere condotti con assiduità sotto la guida dei docenti e devono essere, di continuo, integrati mediante lo studio privato ed il frequente colloquio con i docenti.

Art. 44. Gli Statuti della Facoltà definiscano quali esami o prove equivalenti debbano essere sostenute dagli studenti, sia per iscritto sia oralmente, alla fine del semestre o dell'anno, e soprattutto del ciclo, perché sia possibile verificare il loro profitto in ordine alla prosecuzione degli studi nella Facoltà ed al conseguimento dei gradi ac­cademici.

Art. 45. Gli Statuti devono parimenti determinare quale conto si debba fare degli studi compiuti altrove, in rapporto soprattutto alla concessione di dispense per alcune discipline o esami, o anche alla riduzione dello stesso curricolo degli studi, rispettando, peraltro, le disposizioni della Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica.

Titolo VII: I GRADI ACCADEMICI

Art. 46. § 1. Al termine dei singoli cicli del curricolo degli studi, può essere conferito un conveniente grado accademico che deve es­sere stabilito per le singole Facoltà, tenuto conto sia della durata del ciclo, sia delle discipline in esso insegnate.

§ 2. Perciò, negli Statuti delle singole Facoltà devono essere determinati con cura, secondo le norme comuni e particolari della presente Costituzione, tutti i gradi che siano conferiti ed a quali con­dizioni.

Art. 47. § l. I gradi accademici, che si conferiscono in una Fa­coltà Ecclesiastica, sono: il Baccalaureato, la Licenza, il Dottorato.

§ 2. A questi gradi possono essere aggiunte peculiari qualifi­cazioni, secondo la diversità delle Facoltà e l'ordinamento degli studi nelle singole Facoltà.

Art. 48. I gradi accademici, negli Statuti delle singole Facoltà, Pos­sono essere espressi anche con altri nomi, tenuto conto della prassi universitaria della regione, purché sia indicata con chiarezza la loro equivalenza con i gradi accademici sopra menzionati e sia salvaguar­data l'uniformità tra le Facoltà Ecclesiastiche della stessa regione.

Art. 49. § l. Nessuno può conseguire un grado accademico se non sia stato iscritto regolarmente alla Facoltà, non abbia terminato il curricolo degli studi prescritto dagli Statuti e superato i relativi esami o esperimenti.

§ 2. Nessuno sia ammesso al Dottorato se non abbia conse­guito la Licenza.

§ 3. Per conseguire il Dottorato si richiede, inoltre, una disser­tazione dottorale che contribuisca effettivamente al progresso della scienza, sia stata elaborata sotto la guida di un docente, pubblica­mente discussa, approvata collegialmente e, almeno nella sua parte principale, pubblicata.

Art. 50. § l. Il Dottorato è il grado accademico che abilita all'insegnamento in una Facoltà, ed è perciò richiesto a tale fine; la Licenza è il grado accademico che abilita all'insegnamento in un Se­minario maggiore o in una scuola equivalente ed è perciò richiesto a tale fine.

§ 2. I gradi accademici, richiesti per ricoprire i diversi uffici ecclesiastici, sono stabiliti dalla competente Autorità Ecclesiastica.

Art. 51. Il Dottorato «ad honorem» può essere conferito per spe­ciali meriti, scientifici o culturali, acquistati nel promuovere le scienze ecclesiastiche.

Titolo VIII: I SUSSIDI DIDATTICI

Art. 52. Per il raggiungimento dei propri fini specifici, soprattutto per il compimento delle ricerche scientifiche, in ciascuna Università o Facoltà deve esserci una biblioteca adeguata, rispondente ai biso­gni dei docenti e degli studenti, ordinata convenientemente e fornita degli opportuni cataloghi.

Art. 53. Mediante lo stanziamento annuale di una congrua somma di denaro, la biblioteca sia costantemente arricchita di libri, antichi e recenti, e delle principali riviste, così che essa possa efficacemente servire tanto all'approfondimento e all'insegnamento delle discipline, quanto al loro apprendimento, come anche alle esercitazioni e ai se­minari.

Art. 54. Alla biblioteca deve essere preposto un esperto in ma­teria, il quale sarà aiutato da un adeguato Consiglio e parteciperà in modo opportuno ai Consigli dell'Università o Facoltà.

Art. 55. § l. La Facoltà deve disporre, altresì, dei sussidi tecnici, audiovisivi ecc., che siano di aiuto alla didattica.

§ 2. In rapporto alla particolare natura e finalità dell'Università e della Facoltà, vi siano pure istituti di ricerca e laboratori scientifici, come anche altri sussidi necessari al raggiungimento del fine, che è suo proprio.

Titolo IX: L'AMMINISTRAZIONE ECONOMICA

Art. 56. L'Università o la Facoltà deve disporre dei mezzi eco­nomici necessari per il conveniente raggiungimento della sua speci­fica finalità. Dev'essere esattamente compilato il quadro dello stato patrimoniale e dei diritti di proprietà.

Art. 57. Gli Statuti determinino, secondo le norme della retta eco­nomia, la funzione dell'Economo, come anche le competenze del Rettore o del Preside e dei Consigli nella gestione economica dell'Università o della Facoltà, così che sia assicurata una sana amministrazione.

Art. 58. Ai docenti, agli officiali ed al personale ausiliario sia cor­risposta una congrua retribuzione, tenuto conto delle consuetudini vigenti nella regione, anche in rapporto alla previdenza ed alle as­sicurazioni sociali.

Art. 59. Gli Statuti, parimenti, determinino le norme generali circa i modi di partecipazione degli studenti alle spese dell'Università o della Facoltà, mediante il pagamento di tasse per l'ammissione, per l'iscrizione annuale, per gli esami e i diplomi.

Titolo X: LA PIANIFICAZIONE E LA COLLABORAZIONE DELLE FACOLTÀ

Art. 60. § l. Deve essere curata con diligenza la cosiddetta pia­unificazione, al fine di provvedere sia alla conservazione ed al pro­gresso delle Università e delle Facoltà, sia alla loro conveniente distribuzione nelle varie parti della terra.

§ 2. Per attuare quest'opera la Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica sarà aiutata dai suggerimenti delle Conferenze Episcopali e da una Commissione di esperti.

Art. 61. L'erezione o l'approvazione di una nuova Università o Facoltà viene decisa dalla Sacra Congregazione per l'Educazione Cat­tolica quando si abbiano tutti i requisiti, sentito anche il parere dell'Ordinario del luogo, della Conferenza Episcopale, nonché degli esperti, specialmente delle Facoltà più vicine.

Art. 62. § 1. L'affiliazione di un Istituto ad una Facoltà per il conseguimento del Baccalaureato, viene decretata dalla Sacra Con­gregazione per l'Educazione Cattolica dopo l'adempimento delle condizioni stabilite dalla stessa.

§ 2. È vivamente raccomandato che gli Studi Teologici, sia delle diocesi sia degli istituti religiosi, siano affiliati ad una Facoltà di Sacra Teologia.

Art. 63. L'aggregazione e l'incorporazione di un Istituto ad una Facoltà, per il conseguimento anche di gradi accademici superiori, sono decretate dalla Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica dopo l'adempimento delle condizioni stabilite dalla stessa.

Art. 64. La collaborazione tra le Facoltà sia di una stessa Univer­sità, sia di una stessa regione, sia anche di un più ampio territorio, deve essere diligentemente curata. Essa, infatti, è di grande giova­mento per promuovere la ricerca scientifica dei docenti e la migliore formazione degli studenti, come pure per sviluppare quella che vien detta solitamente «interdisciplinarietà» e che appare sempre più ne­cessaria; e, parimenti, per sviluppare la cosiddetta «complementa­rietà» tra le varie Facoltà; e, in generale, per realizzare la penetrazione della sapienza cristiana in tutta la cultura.

PARTE SECONDA: NORME SPECIALI

Art. 65. Oltre le norme comuni a tutte le Facoltà Ecclesiastiche, stabilite nella prima parte di questa Costituzione, sono qui proposte norme speciali per alcune Facoltà, attesa la loro particolare natura ed importanza nella Chiesa.

Titolo I: LA FACOLTÀ DI SACRA TEOLOGIA

Art. 66. La Facoltà di Sacra Teologia ha lo scopo di approfondire e di trattare sistematicamente, secondo il metodo scientifico ad essa proprio, la dottrina cattolica, attinta con la massima diligenza dalla divina Rivelazione; e quello, ancora, di ricercare accuratamente le soluzioni dei problemi umani alla luce della stessa Rivelazione.

Art. 67. § 1. Lo studio della Sacra Scrittura deve essere come l'anima della Sacra Teologia, la quale si basa, come su un perenne fondamento, sulla Parola scritta di Dio insieme con la viva Tradi­zione.[124]

§ 2. Le singole discipline teologiche devono essere insegnate in modo tale che dalle interne ragioni dell'oggetto proprio di cia­scuna ed in connessione con le altre discipline, anche filosofiche, non­ché con le scienze antropologiche, risulti ben chiara l'unità dell'intero insegnamento teologico, e tutte le discipline convergano verso la co­noscenza intima del mistero di Cristo, perché sia così annunciato con maggiore efficacia al Popolo di Dio ed a tutte le genti.

Art. 68. § l. La Verità rivelata deve essere considerata anche in connessione con le acquisizioni scientifiche dell'età che si evolve, per­ché si comprenda chiaramente «come la fede e la ragione si incon­trino nell'unica verità»,[125]e la sua esposizione sia tale che, senza mutamento della verità, sia adattata alla natura e all'indole di ciascuna cultura, tenendo conto particolarmente della filosofia e della sapienza dei popoli, esclusa, tuttavia, qualsiasi forma di sincretismo e di falso particolarismo.[126]

§ 2. Devono essere ricercati, scelti ed assunti con cura i valori positivi che si trovano nelle varie filosofie e culture; tuttavia, non sono da accettare sistemi e metodi che non si possono conciliare con la fede cristiana.

Art. 69. Le questioni ecumeniche devono essere accuratamente trattate, secondo le norme emanate dalla competente Autorità Ec­clesiastica:[127]anche le relazioni con le religioni non cristiane sono da considerare con attenzione, e saranno esaminati con scrupolosa diligenza i problemi che scaturiscono dall'ateismo contemporaneo.

Art. 70. Nello studio e nell'insegnamento della dottrina cattolica deve sempre aver rilievo la fedeltà al Magistero della Chiesa. Nell'adempiere l'ufficio didattico, specialmente nel ciclo istituzionale, siano anzitutto impartiti quegli insegnamenti che riguardano il patrimonio acquisito della Chiesa. Le opinioni probabili e perso­nali, che derivano dalle nuove ricerche, siano modestamente propo­ste come tali.

Art. 71. Nell'insegnamento si osservino le norme contenute nei documenti del Concilio Vaticano II,[128] come pure nei più recenti documenti della Sede Apostolica,[129] in quanto essi riguardano anche gli studi accademici.

Art. 72. Il curricolo degli studi della Facoltà di Sacra Teologia comprende:

a) il primo ciclo, istituzionale, che si protrae per un quinquen­nio o dieci semestri, oppure per un triennio, se prima di esso è ri­chiesto il biennio di filosofia. Oltre ad una solida formazione filosofica, il cui studio è neces­sariamente propedeutico alla teologia, le discipline teologiche devono essere insegnate in modo da presentare un'organica esposizione di tutta la dottrina cattolica, insieme con l'introduzione al metodo della ricerca scientifica. Il ciclo si conclude col grado accademico di Baccalaureato o di un altro conveniente, da precisarsi negli Statuti della Facoltà;

b) il secondo ciclo, di specializzazione, che si protrae per un biennio o quattro semestri. In esso sono insegnate discipline speciali, secondo la diversa in­dole della specializzazione, e si tengono seminari ed esercitazioni per acquistare l'esercizio della ricerca scientifica. Il ciclo si conclude col grado accademico di Licenza specializzata;

c) il terzo ciclo, nel quale per un congruo periodo di tempo si perfeziona la formazione scientifica, specialmente attraverso l'elaborazione della dissertazione dottorale. Il ciclo si conclude col grado accademico di Dottorato.

Art. 73. § 1. Perché uno possa iscriversi alla Facoltà di Sacra Teo­logia, è necessario che abbia compiuto gli studi prerequisiti, a norma dell'art. 32 di questa Costituzione.

§ 2. Laddove il primo ciclo della Facoltà è triennale, lo stu­dente deve presentare l'attestato del biennio filosofico regolarmente compiuto presso una Facoltà Filosofica o un Istituto approvati.

Art. 74. § l. È peculiare compito della Facoltà di Sacra Teologia di curare la formazione scientifica teologica di coloro che sono av­viati al presbiterato, o si preparano ad assolvere speciali incarichi ecclesiastici.

§ 2. A tal fine vi siano anche speciali discipline, adatte ai se­minaristi; può, anzi, essere opportunamente istituito dalla stessa Fa­coltà, per completare la formazione pastorale, l'«Anno pastorale», il quale è richiesto, dopo il compimento del quinquennio istituzio­nale, per il presbiterato, e può concludersi col conferimento di uno speciale Diploma.

Titolo II: LA FACOLTÀ DI DIRITTO CANONICO

Art. 75. La Facoltà di Diritto Canonico, Latino o Orientale, ha lo scopo di coltivare e promuovere le discipline canonistiche alla luce della legge evangelica, e istruire a fondo, nelle medesime, gli studenti, perché siano formati alla ricerca e all'insegnamento e siano, altresì, preparati ad assolvere speciali incarichi ecclesiastici.

Art. 76. Il curricolo degli studi nella Facoltà di Diritto Canonico comprende:

a) il primo ciclo, da protrarsi almeno per un anno o due se­mestri, durante il quale lo studio è dedicato alle istituzioni generali del Diritto Canonico ed a quelle discipline che sono richieste per una formazione giuridica superiore;

b) il secondo ciclo, da protrarsi per un biennio o quattro semestri, e che è dedicato allo studio approfondito dell'intero Codice di Diritto Canonico, unitamente allo studio delle discipline affini;

c) il terzo ciclo, da protrarsi almeno per un anno o due se­mestri; durante il quale si perfeziona la formazione giuridica e si ela­bora la dissertazione dottorale.

Art. 77. § l. Riguardo alle discipline prescritte nel primo ciclo, la Facoltà può avvalersi di corsi tenuti in altre Facoltà, che siano da essa stessa riconosciuti come rispondenti alle proprie esigenze.

§ 2. Il secondo ciclo si conclude con la Licenza, e il terzo con il Dottorato.

§ 3. Gli Statuti della Facoltà devono definire i particolari re­quisiti per il conseguimento dei singoli gradi accademici, tenuto conto delle prescrizioni della Sacra Congregazione per l'Educazione Cat­tolica.

Art. 78. Per l'iscrizione alla Facoltà di Diritto Canonico, è ne­cessario aver compiuto gli studi prerequisiti, a norma dell'art. 32 di questa Costituzione.

Titolo III: LA FACOLTÀ DI FILOSOFIA

Art. 79. § l. La Facoltà Ecclesiastica di Filosofia ha lo scopo di investigare metodicamente i problemi filosofici e, basandosi sul pa­trimonio filosofico perennemente valido,[130]di ricercare la loro solu­zione alla luce naturale della ragione, e di dimostrare, inoltre, la loro coerenza con la visione cristiana del mondo, dell'uomo e di Dio, mettendo in giusta evidenza le relazioni della filosofia con la teologia.

§ 2. Essa, poi, si propone di istruire gli studenti, in modo da renderli idonei all'insegnamento ed a svolgere altre congrue attività intellettuali, nonché a promuovere la cultura cristiana ed a stabilire un fruttuoso dialogo con gli uomini del loro tempo.

Art. 80. Nell'insegnamento della filosofia si devono osservare le norme che la riguardano e che sono contenute nei documenti del Concilio VaticanoII,[131]nonché nei più recenti documenti della Santa Sede,[132]in quanto si riferiscono anche agli studi accademici.

Art. 81. Il curricolo degli studi della Facoltà di Filosofia comprende:

a) il primo ciclo, istituzionale, durante il quale per un biennio o quattro semestri, si fa un'organica esposizione delle varie parti della filosofia che trattano del mondo, dell'uomo e di Dio, come pure della storia della filosofia, unitamente all'introduzione al metodo della ricerca scientifica;

b) il secondo ciclo, o di iniziata specializzazione, durante il quale, per un biennio o quattro semestri, mediante speciali discipline e se­minari, si imposta una più profonda riflessione filosofica in qualche settore della filosofia;

c) il terzo ciclo, nel quale, per un congruo periodo di tempo, si promuove la maturità filosofica, specialmente attraverso l'elaborazione della dissertazione dottorale.

Art. 82. Il primo ciclo si conclude col Baccalaureato, il secondo con la Licenza specializzata, il terzo col Dottorato.

Art. 83. Per l'iscrizione alla Facoltà di Filosofia, è necessario aver compiuto gli studi prerequisiti, a norma dell'art. 32 di questa Co­stituzione.

Titolo IV: ALTRE FACOLTÀ

Art. 84. Oltre alle Facoltà di Sacra Teologia, di Diritto Canonico e di Filosofia, altre Facoltà ecclesiastiche sono state canonicamente erette o possono essere erette, attese le necessità della Chiesa, per ottenere particolari scopi, quali sono:

a) un'approfondita indagine in alcune discipline di maggiore importanza tra le discipline teologiche, giuridiche, filosofiche;

b) la promozione di altre scienze, in primo luogo delle scienze umane, che siano più strettamente connesse con le discipline teologiche o con l'opera dell'evangelizzazione;

c) lo studio approfondito delle lettere, che in modo speciale aiutino sia a comprendere meglio la Rivelazione cristiana, sia a svolgere con maggiore efficacia l'opera dell'evangelizzazione;

d) infine, una più accurata preparazione sia degli ecclesiastici che dei laici, per assolvere degnamente alcuni speciali incarichi d'apostolato.

Art. 85. Per ottenere gli scopi esposti nel precedente articolo, sono già erette ed abilitate a conferire i gradi accademici per autorità della Santa Sede, le seguenti Facoltà, o Istituti «ad instar Facultatis»:

- di Archeologia cristiana,

- Biblico e dell'Oriente antico,

- di Diritto Canonico e civile («Utriusque Iuris»),

- di Lettere cristiane e classiche,

- di Liturgia,

- di Missiologia,

- di Musica sacra,

- di Psicologia,

- di Scienze dell'Educazione o di Pedagogia,

- di Scienze Religiose,

- di Scienze Sociali,

- di Storia Ecclesiastica,

- di Studi Arabici e Islamologia,

- di Studi Ecclesiastici Orientali,

- di Studi Medioevali.

Art. 86. Sarà compito della Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica emanare, secondo l'opportunità, speciali norme per queste Facoltà o Istituti, come è stato fatto ai Titoli precedenti per le Fa­coltà di Sacra Teologia, di Diritto Canonico e di Filosofia.

Art. 87. Anche le Facoltà e gli Istituti, per i quali non sono ancora state emanate norme speciali, devono redigere i propri Statuti, che siano conformi alle norme comuni stabilite nella prima Parte di que­sta Costituzione, e tengano conto della particolare natura e finalità loro proprie.

NORME TRANSITORIE

Art. 88. La presente Costituzione andrà in vigore il primo giorno dell'anno 1980‑1981, o dell'anno accademico 1981, secondo il Calen­dario scolastico delle varie regioni.

Art. 89. Le singole Università o Facoltà devono presentare i pro­pri Statuti, riveduti secondo questa Costituzione, alla Sacra Congre­gazione per l'Educazione Cattolica anteriormente al l° gennaio 1981; in caso contrario, resta sospeso «ipso facto» il loro diritto di con­ferire i gradi accademici.

Art. 90. Nelle singole Facoltà gli studi devono essere ordinati in modo che gli studenti possano conseguire i gradi accademici secondo le norme di questa Costituzione, non appena la Costituzione stessa andrà in vigore, salvi i diritti da essi precedentemente acquisiti.

Art. 91. Gli Statuti dovranno essere approvati «ad experimentum», così che, entro tre anni dall'approvazione, possano essere perfezionati al fine di ottenere l'approvazione definitiva.

Art. 92. Le Facoltà, che hanno un legame giuridico con l'Autorità civile, potranno avvalersi di un più lungo periodo di tempo per ri­vedere gli Statuti, con l'approvazione della Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica.

Art. 93. Sarà compito della Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica, quando col passare del tempo le circostanze lo richiede­ranno, proporre i cambiamenti da introdurre in questa Costituzione, affinché la Costituzione medesima sia di continuo adattata alle nuove esigenze delle Facoltà Ecclesiastiche.

Art. 94. Sono abrogate le leggi o le consuetudini, al presente in vigore, contrarie a questa Costituzione, siano esse universali o par­ticolari, anche se degne di specialissima e individuale menzione. Pa­rimenti, sono del tutto abrogati i privilegi concessi sino ad oggi dalla Santa Sede a persone sia fisiche che morali, e che siano in contrasto con le prescrizioni di questa stessa Costituzione.

Voglio, infine, che questa Costituzione sia sempre stabile, valida ed efficace, ottenga pienamente ed integralmente i suoi effetti e sia coscienziosamente osservata da tutti coloro a cui essa si riferisce, no­nostante qualsiasi disposizione in contrario. Se qualcuno poi, scientemente o a sua insaputa, agirà in maniera diversa da quanto è stato deciso, ordino che ciò sia considerato del tutto privo di qualsiasi valore.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il 15 aprile 1979, Solennità della Risurrezione di N.S. Gesù Cristo, anno primo del Pontificato.

JOANNES PAULUS P.P. II


NORME APPLICATIVE DELLA SACRA CONGREGAZIONE
PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA
PER LA FEDELE ESECUZIONE
DELLA COSTITUZIONE APOSTOLICA
SAPIENTIA CHRISTIANA

La Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica, a norma dell'art. 10 della Costituzione Apostolica Sapientia Christiana, pre­senta alle Università e alle Facoltà Ecclesiastiche le Norme Appli­cative che seguono, prescrivendo che siano fedelmente osservate.

PARTE PRIMA: NORME COMUNI

Titolo I: NATURA E FINALITÀ DELLE UNIVERSITÀ E FACOLTÀ ECCLESIASTICHE
(Cost. Apost. artt. 1-10)

Art.1. Col nome di Università o di Facoltà si intendono anche quegli Atenei, Istituti o altri Centri Accademici, che siano stati ca­nonicamente eretti od approvati dalla Santa Sede, col diritto di con­ferire i gradi accademici per autorità della medesima.

Art. 2. Allo scopo di favorire l'indagine scientifica sono grande­mente raccomandati i centri speciali di ricerca, le riviste e le colle­zioni scientifiche, come anche i congressi scientifici.

Art. 3. I compiti, ai quali gli studenti si preparano, possono essere propriamente scientifici, come la ricerca e l'insegnamento, oppure piuttosto pastorali. Di questa diversità va tenuto conto nell'ordinamento del curricolo degli studi e nella determinazione dei gradi accademici, salva sempre la scientificità della loro indole.

Art. 4. La partecipazione attiva al ministero dell'evangelizzazione riguarda l'azione della Chiesa nella pastorale, nell'ecumenismo e nelle Missioni, ed è diretta, in primo luogo, all'approfondimento, alla di­fesa ed alla diffusione della fede; si estende, poi, all'intero contesto della cultura e della società umana.

Art. 5. Le Conferenze Episcopali, anche in questo unite alla Santa Sede, vivamente interessandosi delle Università e Facoltà:

1° insieme con i Gran Cancellieri favoriscano il loro progresso e, salva l'autonomia della scienza, conforme al Concilio Vaticano II, siano particolarmente sollecite della loro condizione scientifica ed ecclesiale;

2° riguardo ai problemi comuni occorrenti nell'ambito della propria regione, aiutino, ispirino e coordinino la loro attività;

3° ne procurino l'esistenza in numero corrispondente alle ne­cessità della Chiesa ed al progresso culturale della propria regione;

4° per fare questo, costituiscano nel proprio seno una speciale Commissione, aiutata da un Comitato di periti.

Art. 6. Nella preparazione degli Statuti e dell'organizzazione de­gli studi si tengano presenti le Norme contenute nell'Appendice I di queste Norme Applicative.

Art. 7. § l. Il valore canonico di un grado accademico significa che quel grado abilita ad assumere gli uffici ecclesiastici, per i quali esso è richiesto; ciò vale in particolar modo per l'insegnamento delle scienze sacre nelle Facoltà, nei Seminari maggiori e nelle Scuole equipollenti.

§ 2. Le condizioni da soddisfare per il riconoscimento dei sin­goli gradi, di cui all'art. 9 della Costituzione, oltre il consenso dell'Autorità Ecclesiastica locale o regionale, riguarderanno in primo luogo il collegio dei docenti, il piano degli studi ed i sussidi scientifici.

§ 3. I gradi riconosciuti soltanto per alcuni effetti canonici non devono mai essere completamente equiparati ai gradi canonici.

Titolo II: LA COMUNITÀ ACCADEMICA ED IL SUO GOVERNO
(Cost. Apost. artt. 11-21)

Art. 8. Al Gran Cancelliere spetta di:

1° far progredire costantemente l'Università o la Facoltà; pro­muoverne l'impegno scientifico e procurare che la dottrina cattolica vi sia integralmente custodita e che siano osservati fedelmente gli Statuti e le Norme dettate dalla Santa Sede;

2° favorire l'unione fra tutti i membri della comunità accade­mica;

3° proporre alla Sacra Congregazione per l'Educazione Cat­tolica i nomi sia di chi deve esser nominato o confermato Rettore o Preside, sia dei docenti per i quali deve essere chiesto il «nulla‑osta».

4° ricevere la professione di fede del Rettore o del Preside;

5° conferire o revocare l'autorizzazione ad insegnare o la missione canonica ai docenti, secondo le norme della Costituzione;

6° informare la Sacra Congregazione per l'Educazione Catto­lica circa gli affari più importanti ed inviare ad essa, ogni tre anni, una relazione particolareggiata intorno alla situazione accademica, morale ed economica dell'Università o della Facoltà.

Art. 9. Qualora l'Università o la Facoltà dipendano da un'autorità collegiale (ad es. dalla Conferenza Episcopale), sia designato uno dei suoi componenti ad esercitare l'ufficio di Gran Cancelliere.

Art. 10. L'Ordinario del luogo che non sia Gran Cancelliere, avendo egli la responsabilità della vita pastorale nella sua diocesi, qua­lora venga a conoscenza che nell'Università o Facoltà si verificano fatti contrari alla dottrina, alla morale o alla disciplina ecclesiastica, deve avvertire il Gran Cancelliere, perché provveda; se il Gran Can­celliere non provvede, egli è libero di ricorrere alla Santa Sede, salvo l'obbligo di provvedere direttamente egli stesso nei casi più gravi o urgenti, che costituiscano un pericolo per la propria diocesi.

Art. 11. Quanto è stabilito all'art. 19 della Costituzione, dev'essere precisato negli Statuti dalle singole Facoltà, attribuendo, secondo i casi, maggior peso al governo collegiale o a quello personale, purché siano conservate ambedue le modalità, tenuto conto della prassi delle Università della regione in cui si trova la Facoltà, o dell'Istituto re­ligioso al quale la Facoltà stessa appartenga.

Art. 12. Oltre al Consiglio di Università (Senato Accademico) ed al Consiglio di Facoltà - che esistono dappertutto, anche se con nomi diversi - gli Statuti possono opportunamente costituire anche altri speciali Consigli o Commissioni per la direzione e promozione dei settori scientifico, pedagogico, disciplinare, economico ecc.

Art. 13. § l. Secondo la Costituzione, Rettore è colui che sta a capo dell'Università; Preside, colui che sta a capo di un Istituto o di una Facoltà «sui iuris»; Decano, colui che sta a capo di una Fa­coltà facente parte di un'Università.

§ 2. Negli Statuti va fissata la durata delle cariche (ad es. per un triennio), ed in qual modo e per quante volte sia possibile la con­ferma nelle stesse.

Art. 14. All'Ufficio di Rettore o di Preside compete di:

1° dirigere, promuovere e coordinare tutta l'attività della co­munità accademica;

2° rappresentare l'Università, l'Istituto o Facoltà «sui iuris»;

3° convocare i Consigli di Università, di Istituto o Facoltà «sui iuris», e presiederli a norma degli Statuti;

4° sorvegliare l'amministrazione economica;

5° riferire al Gran Cancelliere sugli affari più importanti;

6° inviare ogni anno alla Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica un sommario statistico, secondo lo schema fissato dalla stessa Sacra Congregazione.

Art. 15. Al Decano di Facoltà spetta di:

1° promuovere e coordinare tutta l'attività della Facoltà, spe­cialmente riguardo agli studi, e provvedere tempestivamente alle sue necessità;

2° convocare il Consiglio di Facoltà e presiederlo;

3° ammettere o dimettere, a nome del Rettore, gli studenti a norma degli Statuti;

4° riferire al Rettore ciò che vien fatto o proposto dalla Facoltà;

5° dare esecuzione a quanto è stabilito dalle Autorità superiori.

Titolo III: I DOCENTI
(Cost. Apost, artt. 22-30)

Art. 16. § 1. I Docenti stabilmente appartenenti alla Facoltà sono in primo luogo coloro che a pieno e definitivo titolo sono stati in essa assunti e vogliono essere designati col nome di Ordinari; a que­sti seguono gli Straordinari; possono aversene utilmente anche altri, secondo la prassi universitaria.

§ 2. Oltre ai Docenti stabili, se ne danno solitamente altri, va­riamente designati, in primo luogo gli invitati da altre Facoltà.

§ 3. È infine opportuna, per lo svolgimento di peculiari inca­richi accademici, la presenza di Assistenti, i quali devono possedere un titolo conveniente.

Art. 17. Per congruo Dottorato s'intende quello che concerne la disciplina da insegnare. Se si tratta di una disciplina sacra o con essa collegata, il Dottorato deve essere un grado canonico; se il Dotto­rato non è canonico, è richiesta ordinariamente almeno la Licenza canonica.

Art. 18. Ai Docenti acattolici, cooptati secondo le norme della competente Autorità Ecclesiastica,[133] l'autorizzazione ad insegnare viene data dal Gran Cancelliere.

Art. 19. § l. Gli Statuti devono stabilire quando viene conferito l'ufficio stabile, e ciò in rapporto alla dichiarazione di «nulla‑osta» da ottenere a norma dell'art. 27 della Costituzione.

§ 2. Il «nulla‑osta» della Santa Sede è la dichiarazione che, a norma della Costituzione e degli Statuti particolari, non esiste alcun impedimento alla nomina proposta. Se poi esiste un qualche impe­dimento, esso dev'essere comunicato al Gran Cancelliere, il quale ascolterà su ciò il Docente.

§ 3. Se particolari circostanze di tempo o di luogo impediscono di chiedere il «nulla‑osta» alla Santa Sede, il Gran Cancelliere si metta in contatto con la Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica al fine di trovare una soluzione opportuna.

§ 4. Le Facoltà, che si trovano sotto un particolare regime con­cordatario, seguano le norme in esso stabilite.

Art. 20. Lo spazio di tempo necessario per una promozione, che deve essere almeno di un triennio, sia fissato negli Statuti.

Art. 21. § l. I Docenti, in primo luogo quelli stabili, si impegnino a collaborare fra di loro. Si raccomanda la collaborazione anche con i Docenti di altre Facoltà, specialmente se si tratta di materie affini o mutuamente collegate.

§ 2. Non si può essere contemporaneamente Docenti stabili di due Facoltà.

Art. 22. § l. Sia definito con cura negli Statuti il modo di pro­cedere nei casi di sospensione o di allontanamento del Docente, specialmente per cause riguardanti la dottrina.

§ 2. Si deve cercare, anzitutto, di regolare privatamente la que­stione tra il Rettore, o il Preside o il Decano, ed il Docente stesso. Se non si giunge ad un accordo, la questione venga opportunamente trattata da un Consiglio o Commissione competente, in modo che il primo esame del caso sia fatto all'interno dell'Università o della Facoltà. Se ciò non è sufficiente, la questione sia deferita al Gran Cancelliere, il quale, insieme con persone esperte dell'Università, o della Facoltà, o a queste esterne, esamini la vertenza per provvedervi nel modo opportuno. Resta comunque aperta la possibilità del ri­corso alla Santa Sede per una definitiva soluzione del caso, avendo cura di sempre assicurare al Docente la facoltà di esporre e di difen­dere la propria causa.

§ 3. Tuttavia, nei casi più gravi o urgenti, al fine di provvedere al bene degli studenti e dei fedeli, il Gran Cancelliere sospenda «ad tempus» il Docente, finché non sia concluso il procedimento ordi­nario.

Art. 23. I Sacerdoti diocesani ed i Religiosi e loro equiparati, per diventare docenti in una Facoltà e per rimanervi, devono avere il consenso del proprio Ordinario diocesano o del Superiore, e si de­vono osservare le norme stabilite a questo riguardo dalla competente Autorità Ecclesiastica.

Titolo IV: GLI STUDENTI
(Cost. Apost, artt. 31-35)

Art. 24. § 1. Il regolare attestato disposto dall'art. 31 della Co­stituzione:

1° circa la condotta morale, per gli ecclesiastici ed i semina­risti, è rilasciato dall'Ordinario o dal suo delegato, per gli altri da una persona ecclesiastica;

2° circa gli studi prerequisiti, è il titolo di studio, richiesto a norma dell'art. 32 della Costituzione.

§ 2. Poiché differiscono tra di loro gli studi richiesti nelle di­verse nazioni per l'ingresso all'Università, la Facoltà ha il diritto ed il dovere di esaminare se, dall'attestato, appaiano regolarmente sod­disfatte tutte le discipline ritenute necessarie dalla Facoltà stessa.

§ 3. Nelle Facoltà di scienze sacre è richiesta una congrua co­noscenza della lingua latina, affinché gli studenti possano compren­dere ed usare le fonti di tali scienze ed i documenti della Chiesa.[134]

§ 4. Se una disciplina non è stata insegnata, oppure lo è stata in modo insufficiente, la Facoltà esiga che si supplisca in tempo op­portuno allo studio mancante e se ne sostenga l'esame.

Art. 25. § l. Oltre agli studenti ordinari, quelli cioè che tendono al conseguimento dei gradi accademici, possono essere ammessi a fre­quentare i corsi, secondo le norme stabilite negli Statuti, anche stu­denti straordinari.

§ 2. Lo studente può iscriversi come ordinario ad una sola Fa­coltà.

Art. 26. Il passaggio dello studente da una ad altra Facoltà può avvenire soltanto all'inizio dell'anno accademico o del semestre, e dopo che sia stata accuratamente esaminata la sua posizione accade­mica e disciplinare; di modo che nessuno possa essere ammesso a conseguire un grado accademico se non abbia prima soddisfatto a tutto ciò che è necessario al conseguimento di quel grado, secondo gli Statuti della Facoltà.

Art. 27. Nel determinare le norme per la sospensione o l'esclusione di uno studente dalla Facoltà, sia tutelato il suo diritto di difesa.

Titolo V: GLI OFFICIALI ED IL PERSONALE AUSILIARIO
(Cost. Apost., artt. 36-37)

Art. 28. Negli Statuti o in altro conveniente documento dell'Università o della Facoltà si provveda a determinare i diritti ed i doveri sia degli Officiali sia del Personale Ausiliario, e la loro par­tecipazione alla vita della comunità universitaria.

Titolo VI: L'ORDINAMENTO DEGLI STUDI
(Cost. Apost, artt. 38-45)

Art. 30. Parimenti gli Statuti stabiliscano le esercitazioni e i se­minari, ai quali gli studenti non soltanto devono essere presenti, ma anche partecipare attivamente, cooperando con i compagni e pre­parando propri elaborati.

Art. 31. Le lezioni e le esercitazioni siano distribuite opportuna­mente, di modo che siano sicuramente promossi lo studio privato ed il lavoro personale sotto la guida dei docenti.

Art.32. § 1. Gli Statuti provvedano anche a stabilire in qual modo gli esaminatori debbano esprimere il giudizio sui candidati.

§ 2. Nel giudizio finale sui candidati ai singoli gradi accade­mici, si tenga conto di tutti i risultati conseguiti nelle varie prove, sia scritte che orali, del medesimo ciclo.

§ 3. Negli esami per la concessione dei gradi, specialmente del Dottorato, si possono utilmente invitare anche docenti esterni.

Art. 33. Gli Statuti devono anche fissare i curricoli di quegli studi, che sono stati stabilmente istituiti nella Facoltà per scopi particolari, ed i diplomi che in essi sono conferiti.

Titolo VII: I GRADI ACCADEMICI
(Cost. Apost., artt. 46-51)

Art. 34. Nelle Università o Facoltà Ecclesiastiche, canonicamente erette o approvate, i gradi accademici vengono conferiti a nome del Sommo Pontefice.

Art. 35. Gli Statuti stabiliscano quali siano i requisiti necessari alla preparazione della dissertazione dottorale e le norme per la sua pubblica difesa ed edizione.

Art. 36. Un esemplare delle dissertazioni pubblicate dev'essere inviato alla Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica. Si rac­comanda di inviarne una copia anche alle Facoltà Ecclesiastiche, quelle almeno della propria regione, che si occupano delle medesime scienze.

Art. 37. I documenti autentici di conferimento dei gradi accade­mici siano sottoscritti dalle Autorità Accademiche, secondo gli Sta­tuti, ed inoltre dal Segretario dell'Università o della Facoltà e vi sia apposto il relativo sigillo.

Art. 38. Non si conferisca il Dottorato «ad honorem» senza il consenso del Gran Cancelliere, il quale deve prima ottenere il «nulla­osta» della Santa Sede e sentire il parere del Consiglio di Università o Facoltà.

Titolo VIII: I SUSSIDI DIDATTICI
(Cost. Apost., artt. 52-55)

Art. 39. L'Università o Facoltà deve possedere aule veramente funzionali e decorose, adeguate all'insegnamento delle varie discipline ed al numero degli studenti.

Art. 40. Sia a disposizione una biblioteca di consultazione nella quale si trovino le opere principali necessarie per il lavoro scienti­fico, sia dei docenti che degli studenti.

Art. 41. Siano stabilite delle norme per la biblioteca, in modo che l'accesso e l'uso siano particolarmente facilitati ai docenti e agli stu­denti.

Art. 42. Siano favoriti la collaborazione ed il coordinamento tra le biblioteche della stessa città o regione.

Titolo IX:L'AMMINISTRAZIONE ECONOMICA
(Cost. Apost, artt. 56-59)

Art. 43. Per il buon andamento dell'amministrazione, le Autorità non trascurino di informarsi, in tempi stabiliti, della situazione economica, e la sottopongano ad un periodico accurato controllo.

Art. 44. § l. Si provveda nei modi opportuni a che il pagamento delle tasse non impedisca l'accesso ai gradi accademici a quegli stu­denti, che per le doti intellettuali, di cui sono forniti, diano speranza di riuscire un giorno molto utili alla Chiesa.

§ 2. Perciò si abbia cura di istituire, per gli studenti, particolari sussidi economici, che, pur con nomi diversi (borse di studio, pen­sioni, stipendi, ecc.), abbiano lo scopo di aiutarli.

Titolo X: LA PIANIFICAZIONE E LA COLLABORAZIONE DELLE FACOLTÀ
(Cost. Apost., artt. 60-64)

Art. 45. § l. Dovendosi erigere una nuova Università o Facoltà, e necessario che:

a) se ne dimostri la necessità o la vera utilità, a cui non sia pos­sibile soddisfare mediante affiliazione o aggregazione o incorporazione;

b)esistano i requisiti necessari, dei quali i principali sono:

1° il numero dei docenti stabili e la loro qualifica, conforme­mente alla natura ed alle esigenze della Facoltà;

2° un congruo numero di studenti;

3° la biblioteca e gli altri sussidi scientifici, e le aule scolastiche;

4° risorse economiche realmente sufficienti all'Università o alla Facoltà;

c) siano esibiti gli Statuti, insieme col piano degli studi, che siano conformi alla presente Costituzione e relative Norme Applicative.

§ 2. La Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica - udito il parere sia della Conferenza Episcopale, principalmente sotto l'aspetto pastorale, sia degli esperti, in particolare di quelli delle Facoltà più vicine, piuttosto sotto l'aspetto scientifico - decide circa l'opportunità di procedere alla nuova erezione, la quale generalmente sarà concessa «ad experimentum», per un congruo periodo di tempo, prima di pas­sare alla conferma definitiva.

Art. 46. Quando invece si tratta dell'approvazione di una Uni­versità o Facoltà, è necessario che:

a) sia la Conferenza Episcopale sia l'Autorità diocesana abbiano dato il loro consenso;

b) siano adempite le condizioni stabilite nel precedente art. 45, § 1, b) e c).

Art. 47. Le condizioni per l'affiliazione riguardano soprattutto il numero e la qualità dei docenti, il piano degli studi, la biblioteca, e il dovere della Facoltà affiliante di assistere l'Istituto affiliato; per­ciò, occorre di solito che la Facoltà affiliante e l'Istituto affiliato si trovino nella stessa nazione o regione culturale.

Art. 48. § l. L'aggregazione è il collegamento con una Facoltà di un Istituto, che abbracci i soli primo e secondo ciclo, allo scopo di conseguire mediante la Facoltà i corrispondenti gradi accademici.

§ 2. L'incorporazione è l'inserimento nella Facoltà di un Isti­tuto, che abbracci il secondo o il terzo o entrambi i cicli, allo scopo di conseguire mediante la Facoltà i corrispondenti gradi accademici.

§ 3. L'aggregazione e l'incorporazione non si possono conce­dere, se l'Istituto non sia adeguatamente attrezzato per il consegui­mento di quei determinati gradi accademici, in modo che risulti ben fondata la speranza che, grazie alla connessione con la Facoltà, si consegua realmente il fine desiderato.

Art. 49. § l. È da favorire la collaborazione tra le stesse Facoltà Ecclesiastiche sia mediante lo scambio dei docenti, sia mediante la mutua comunicazione della propria attività scientifica, sia mediante la promozione di comuni ricerche per il bene del popolo di Dio.

§ 2. È da promuovere, parimenti, la collaborazione con altre Facoltà, anche non cattoliche, purché sia conservata con cura la pro­pria identità.

PARTE SECONDA: NORME SPECIALI

Titolo I: LA FACOLTÀ DI SACRA TEOLOGIA
(Cost. Apost., artt. 66-74)

Art. 50. Le discipline teologiche siano insegnate in modo che appaia chiaramente il loro nesso organico, e si mettano in luce i vari aspetti o dimensioni che appartengono intrinsecamente all'indole pro­pria della dottrina sacra, quali sono soprattutto quelle biblica, patri­stica, storica, liturgica e pastorale. Gli studenti, poi, devono esser condotti ad una profonda assimilazione della materia e insieme alla formazione di una sintesi personale ed all'acquisizione del metodo della ricerca scientifica, e diventino così idonei ad esporre adegua­tamente la sacra dottrina.

Art. 51. Le discipline obbligatorie sono:

1° Nel primo ciclo:

a) Le discipline filosofiche richieste per la Teologia, quali sono soprattutto la Filosofia sistematica, con le sue parti principali, e la sua evoluzione storica.

b) Le discipline teologiche, e cioè:

- la Sacra Scrittura: introduzione ed esegesi;

- la Teologia fondamentale, con riferimento anche alle questioni circa l'ecumenismo, le religioni non‑cristiane e l'ateismo;

- la Teologia dogmatica;

- la Teologia morale e spirituale;

- la Teologia pastorale;

- la Liturgia;

- la Storia della Chiesa, la Patrologia e l'Archeologia;

- il Diritto Canonico.

c) Le discipline ausiliarie, cioè alcune scienze umane e, oltre alla lingua latina, le lingue bibliche, nella misura in cui siano richieste per i cicli seguenti.

2° Nel secondo ciclo:

Le discipline speciali, che sono opportunamente istituite in varie sezioni secondo le diverse specializzazioni, con proprie esercitazioni e seminari, compresa una speciale dissertazione scritta.

3° Nel terzo ciclo:

Gli Statuti della Facoltà determinino se e quali discipline speciali debbano essere insegnate, con le relative esercitazioni e seminari.

Art. 52. Nel quinquennio istituzionale del primo ciclo occorre curare diligentemente che tutte le discipline siano trattate con tale ordine, ampiezza e metodo proprio, da concorrere armonicamente ed efficacemente a dare agli studenti una formazione solida, organica e completa in materia teologica, grazie alla quale diventino capaci sia di proseguire gli studi superiori nel secondo ciclo, sia di esercitare convenientemente determinati incarichi ecclesiastici.

Art. 53. Oltre agli esami o prove equipollenti sulle singole disci­pline, al termine del primo e del secondo ciclo si abbia o un esame comprensivo o una prova equipollente, con i quali lo studente dia prova di aver pienamente conseguito la formazione scientifica intesa dal ciclo rispettivo.

Art. 54. Spetta alla Facoltà precisare a quali condizioni gli stu­denti, che abbiano regolarmente completato il sessennio filosofico­-teologico in un Seminario o in un altro Istituto superiore approvato, possano essere ammessi al secondo ciclo, tenendo accuratamente conto degli studi già compiuti e, secondo il caso, prescrivendo anche corsi ed esami speciali.

Titolo II: LA FACOLTÀ DI DIRITTO CANONICO
(Cost. Apost, artt. 75-78)

Art. 55. Nella Facoltà di Diritto Canonico, Latino od Orientale, va curata l'esposizione scientifica sia della storia e dei testi delle leggi ecclesiastiche, sia della loro connessione e disposizione.

Art. 56. Le discipline obbligatorie sono:

1° Nel primo ciclo:

a) Le Istituzioni generali del Diritto Canonico;

b) Gli Elementi di Sacra Teologia (specialmente di Ecclesiologia e di Teologia sacramentaria) e di Filosofia (specialmente di Etica e Diritto naturale), che per natura loro si richiedono prima dello studio del Diritto Canonico; ad essi si potranno utilmente aggiungere elementi delle scienze antropologiche connesse con la scienza giuridica.

2° Nel secondo ciclo:

a) Il Codice di Diritto Canonico in tutte le sue parti, e le altre leggi canoniche;

b) Le discipline connesse, quali: la Filosofia del Diritto, il Diritto Pubblico Ecclesiastico, le Istituzioni di Diritto Romano, gli Elementi di Diritto Civile, la Storia del Diritto Canonico; comprese esercitazioni e seminari ed una speciale dissertazione scritta.

3° Nel terzo ciclo:

Gli Statuti della Facoltà determinino quali discipline speciali e quali esercitazioni e seminari, debbano essere prescritti, secondo la natura propria della Facoltà e le particolari necessità degli Studenti.

Art. 57. § l. Chi ha regolarmente completato il corso filosofico teologico in un Seminario o in un altro Istituto approvato, oppure dimostra di aver già regolarmente studiato le discipline del primo ciclo, può essere subito ammesso al secondo.

§ 2. Chi ha già conseguito il Dottorato in Diritto Civile, può ab­breviare il corso a giudizio della Facoltà, fermo restando l'obbligo di superare tutti gli esami e le prove, che sono richiesti per conse­guire i gradi accademici.

Art. 58. Oltre agli esami o prove equipollenti sulle singole disci­pline, al termine del secondo ciclo si abbia un esame comprensivo o prova equipollente, che dimostri che lo studente abbia pienamente conseguito la formazione scientifica intesa dal secondo, ciclo.

Titolo III: LA FACOLTÀ DI FILOSOFIA
(Cost. Apost, artt. 79-83)

Art. 59. § l. La Filosofia dev'essere insegnata in modo tale che gli studenti nel ciclo istituzionale raggiungano una solida e coerente sintesi dottrinale, imparino ad esaminare ed a giudicare i diversi si­stemi filosofici, e si abituino gradualmente ad una personale riflessione filosofica.

§ 2. Tutto ciò dev'essere poi perfezionato, nel ciclo di iniziata specializzazione, mediante il maggiore approfondimento di un og­getto di ricerca più ristretto e con il metodo rigorosamente filosofico.

Art. 60. Le discipline obbligatorie sono:

1° Nel primo ciclo:

a) La Filosofia sistematica (premessa un'introduzione generale) con le sue parti principali: la Filosofia della conoscenza, la Filosofia della natura, la Filosofia dell'uomo, la Filosofia dell'essere (compren­dente anche la Teologia naturale) e la Filosofia morale;

b) La Storia della Filosofia, soprattutto di quella moderna, con un accurato esame di quei sistemi, che hanno maggiore influsso;

c) Le discipline ausiliarie, cioè determinate scienze opportuna­mente scelte tra quelle di carattere antropologico e naturale.

2° Nel secondo ciclo:

Alcune discipline speciali, che saranno distribuite opportunamente nelle varie sezioni secondo le diverse specializzazioni, con le proprie esercitazioni e seminari, compresa una speciale dissertazione scritta.

3° Nel terzo ciclo:

Gli Statuti della Facoltà determineranno se e quali discipline spe­ciali debbano essere insegnate, con le loro esercitazioni e seminari.

Art. 61. Oltre agli esami e alle prove equipollenti nelle singole discipline, al termine del primo e del secondo ciclo deve esserci un esame comprensivo o prova equipollente, con cui lo studente di­mostri di aver pienamente raggiunto la formazione scientifica intesa dal ciclo rispettivo.

Art. 62. Spetta alla Facoltà definire a quali condizioni gli studenti, che abbiano regolarmente completato il biennio filosofico in un Istituto approvato o l'intero corso filosofico‑teologico in un Seminario, possano essere ammessi al secondo ciclo, tenendo accuratamente conto degli studi già fatti e, se è il caso, prescrivendo anche corsi ed esami speciali.

Titolo IV: ALTRE FACOLTÀ
(Cost. Apost., artt. 84-87)

Art. 63. A norma dell'art. 86 della Costituzione, la Sacra Con­gregazione per l'Educazione Cattolica emetterà gradatamente norme speciali per altre Facoltà, tenuto conto dell'esperienza già maturata nelle stesse Facoltà e Istituti.

Art. 64. Nel frattempo, nell'Appendice II è offerto un Elenco dei campi o Settori di studi ecclesiastici - oltre a quelli teologico, ca­nonistico, filosofico, di cui si tratta nei tre precedenti Titoli della Parte Seconda di queste Norme Applicative - indicando di ognuno le forme di strutturazione accademica (Facoltà, Istituto «ad instar», Sezione di Specializzazione), secondo le quali essi sono strutturati attualmente nella Chiesa. Questo elenco sarà opportunamente com­pletato dalla Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica, che indicherà, dei Settori medesimi, gli scopi specifici e le discipline più importanti da insegnarsi e da investigarsi.

Sua Santità Papa Giovanni Paolo II ha ratificato, confermato ed ordinato di pubblicare tutte e singole le presenti Norme Applicative, nonostante qualsiasi prescrizione in contrario.

Roma, dalla sede della Sacra Congregazione per l'Educazione Cat­tolica, il 29 aprile, memoria liturgica di Santa Caterina da Siena, Ver­gine e Dottore della Chiesa, dell'anno 1979.


GABRIEL‑MARIE Card. GARRONE

Prefetto

† ANTONIO M. JAVIERRE ORTAS

Arciv. tit. di Meta

Segretario


APPENDICE I all'art.6 delle Norme Applicative

NORME PER LA REDAZIONE DEGLI STATUTI DI UN'UNIVERSITÀ O DI UNA FACOLTÀ

Tenuto conto di ciò che è contenuto nella Costituzione Apostolica e nelle Norme Applicative annesse - e lasciando ai propri regolamenti in­terni ciò che è di indole più particolare e mutevole - gli Statuti di un'Università o di una Facoltà dovranno trattare precipuamente dei seguenti punti:

1. Il nome, la natura e il fine dell'Università o della Facoltà (con una breve informazione storica nel proemio).

2. Il governo - Il Gran Cancelliere; le Autorità accademiche personali e collegiali: quali i loro compiti precisi; quale il modo in cui debbano essere elette le Autorità personali e quale la durata della loro funzione; quale il modo dell'elezione delle Autorità collegiali cioè dei membri dei Consigli, e per quanto tempo debbano rimanere in carica.

3. I docenti - Quale debba essere il loro numero minimo in ogni singola Facoltà; in quali ordini si debbano distinguere sia i docenti stabili, sia i non stabili; di quali requisiti debbano essere forniti; come debbano essere coop­tati, nominati, promossi e cessare dalla loro funzione; i loro doveri e diritti.

4. Gli studenti - I requisiti per la loro iscrizione; i loro doveri e diritti.

5. Gli officiali ed il personale ausiliario - I loro doveri e diritti.

6. Il piano degli studi - Quale sia l'ordinamento degli studi in ogni sin­gola Facoltà; quali cicli si abbiano; quali discipline siano insegnate: la loro obbligatorietà e frequenza; quali seminari ed esercitazioni; quali esami o prove equipollenti.

7. I gradi accademici - Quali gradi saranno conferiti in ogni singola Facoltà ed a quali condizioni.

8. Sussidi didattici - La biblioteca: come provvedere alla sua conser­vazione e al suo incremento; gli altri sussidi didattici ed i laboratori scien­tifici, se necessari.

9. L'amministrazione economica - Il patrimonio dell'Università o della Facoltà e la sua amministrazione; le norme circa gli onorari per le autorità, i docenti, gli officiali e circa le tasse degli studenti, nonché i sussidi eco­nomici ad essi destinati.

10. I rapporti con le altre Facoltà, Istituti, ecc.


APPENDICE II: all'art.64. delle Norme Applicative

SETTORI DEGLI STUDI ECCLESIASTICI SECONDO IL LORO PRESENTE (A. 1979) ORDINAMENTO ACCADEMICO NELLA CHIESA

ELENCO

Avvertenza. I singoli Settori di studi, qui enumerati in ordine alfa­betico, riportano in parentesi la forma dell'organizzazione accademica (Fa­coltà, o Istituto «ad instar», o Sezione di Specializzazione), secondo la quale essi sono ora in vigore almeno in qualche Centro accademico ecclesiastico. Non sono recensiti gli studi teologici, canonistici e filosofici, dei quali si tratta negli artt. 51, 56, 60 delle presenti Norme Applicative.

1. Studi Arabo‑Islamici (Istituto «ad instar», Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).

2. Studi di Archeologia Cristiana (Istituto «ad instar»).

3. Studi dell'Ateismo (Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teolo­gica e/o Filosofica).

4. Studi Biblici (Facoltà di Scienze Bibliche, Sezione di Specializzazione nella Facoltà di Teologia).

5. Studi Catechetici (Sezione di Specializzazione nella Facoltà di Teo­logia o di Scienze dell'Educazione).

6. Studi Ecclesiastici Orienta1i (Facoltà di Scienze Ecclesiastiche Orientali).

7. Studi Ecumenici (Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).

8. Studi dell'Educazione (Facoltà di Scienze dell'Educazione).

9. Studi Canonistico‑Civili comparati (Facoltà di Diritto civile compa­rato).

10. Studi di Letteratura Classica e Cristiana (Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche).

11. Studi Liturgici (Facoltà, Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).

12. Studi Mariologici (Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).

13. Studi Medioevali (Istituto «ad instar», Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica, o di Diritto Canonico, o Filosofica).

14. Studi Missiologici (Facoltà di Missiologia, Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).

15. Studi Morali (Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).

16. Studi di Musica Sacra (Istituto «ad instar», Sezione di Specializza­zione nella Facoltà Teologica).

17. Studi Orientalistici (Facoltà dell'Antico Oriente, Sezione di Specia­lizzazione nella Facoltà Teologica o Filosofica).

18. Studi Pedagogici (Facoltà di Pedagogia, Sezione di Specializzazione nella Facoltà di Filosofia o di Scienze dell'Educazione).

19. Studi Pastorali (Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).

20. Studi Patristici (Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).

21. Studi Psicologici (Istituto «ad instar», Sezione di Specializzazione nella Facoltà Filosofica o Pedagogica o di Scienze dell'Educazione).

22. Studi delle Religioni e del Fenomeno Religioso (Sezione di Specializ­zazione nella Facoltà Teologica o Filosofica).

23. Studi Religiosi cattolici (Istituto Superiore di Scienze Religiose).

24. Studi Sociologici (Facoltà di Scienze Sociali, Sezione di Specializza­zione nella Facoltà di Scienze dell'Educazione).

25. Studi di Spiritualità (Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teo­logica).

26. Studi di Storia della Chiesa (Facoltà di Storia Ecclesiastica, Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).

27. Studi di Teologia della Vita Religiosa (Sezione di Specializzazione nella Facoltà Teologica).


Note

[1] Nel Documento La formazione teologica dei futuri sacerdoti, 22 febbraio 1976, nn. 85‑88.

[2] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Apost. Patres Ecclesiae, 2 genn. 1980: A.A.S. 72 (1980), p. 5.

[3] PAOLO VI, Lett. enc. Ecclesiam Suam, 6 ago. 1964. A.A.S. 56 (1964), pp. 627‑628.

[4] Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, n. 79.

[5] La formazione teologica dei futuri sacerdoti, nn. 89, 93.

[6] Ibid., nn. 90, 91.

[7] Ibid., n. 92, 4b.

[8] Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, n. 86.

[9] La formazione teologica dei futuri sacerdoti, n. 48.

[10] Ibid., n. 74.

[11] Ibid., n. 49.

[12] PAOLO VI, Lett. a Sua Em.za il Card. Michele Pellegrino per il centenario della morte di J.P. Migne, 10 maggio 1975: A.A.S. 67 (1975), p. 471.

[13] GIOVANNI PAOLO II, Alloc. Sono lieto, ai Professori ed alunni dell'Istituto Patristico «Augustinianum», 8 maggio 1982: A.A.S. 74 (1982), p. 798: «Mettersi dunque alla scuola dei Padri vuol dire imparare a conoscere meglio Cristo e a conoscere meglio l'uomo. Questa conoscenza, scientificamente documentata e provata, aiuterà enormemente la Chiesa nella missione di predicare a tutti, come fa senza stancarsi, che solo Cristo è la salvezza dell'uomo».

[14] PAOLO VI, Alloc. I Nostri passi, per l'inaugurazione dell'Istituto Patristico «Augustinianum», 4 maggio 1970: A.A.S. 62 (1970), p. 425: «Come pastori, poi, i Padri sentirono la necessità di adattare il messaggio evangelico alla mentalità contemporanea e di nutrire con l'alimento della verità della Fede se stessi e il popolo di Dio. Ciò fece sì che per essi catechesi, teologia, Sacra Scrittura, liturgia, vita spirituale e pastorale si congiungessero in una unità vitale, e che loro non parlassero soltanto all'intelletto, ma a tutto l'uomo, interessando il pensare, il volere, il sentire».

[15] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Catechesi tradendae, 16 ottobre 1979: A.A.S. 71 (1979), p. 1287, n. 12.

[16] GIOVANNI PAOLO II, Alloc. Sono lieto, ai professori ed alunni dell'Istituto Pa­tristico «Augustinianum», 8 maggio 1982: A.A.S. 74 (1 982), p. 796 s.

[17] Ibid., p. 797 s.

[18] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Apost. Patres Ecclesiae, 2 gennaio 1980: A.A.S. 72 (1980), p. 6.

[19] AGOSTINO, Opus imp. c. Iul. 1, 117: PL 45, 1125.

[20] Idem., Contra Iul. 2, 10, 34: PL 44, 698.

[21] CONC. VAT. II, Cost. Dei verbum, n. 8.

[22] C. Trid., ed. Goeressiana, V (Acta II) 91 ss.

[23] C. Vat. I, coll. Lac. 7, 251.

[24] Comm. primum 2, 10: PL 50, 639, 650.

[25] AGOSTINO, De lib. arb. III, 21, 59; De Trin. II, 1, 2: PL 32, 1300; 42, 845.

[26] Pio XII, Lett. Enc. Divino afflante Spiritu, 30 settembre 1943: A.A.S. 35 (1943), p. 312.

[27] Adv. haer, 2, 28, 2: PG 7, 805.

[28] Ibid, 3,1, 1: PG 7, 844.

[29] Ibid., 3, 3, 1: PG 7, 848.

[30] Ibid., 3, 4, 1: PG 7, 855.

[31] De principiis 1, praef. 1; cfr. In Mt comm. 46: PG 11, 116; cfr. 13, 1667.

[32] Confess. 11, 2, 3: PL 32, 809.

[33] Contra ep. fund. 5, 6: PL 42, 176.

[34] Cost. Dei verbum, n. 10.

[35] CONC. VAT. II, Decr. Ad gentes, n. 22.

[36] De doctr. chr, 2, 40, 60‑61: PL 34, 63.

[37] Retract. 1, 1, 4: PL 32, 587.

[38] CONC. VAT. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 44.

[39] CONC. VAT. II, Decr. Ad gentes, n. 2.

[40] CONC. VAT. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 44.

[41] AGOSTINO, Tract. in Ioh. 36, 6: PL 35, 1666.

[42] Idem, De civ. Dei, 16, 2, 1: PL 41, 477.

[43] Idem, Tract. in Ioh. 37, 6: PL 35, 1672.

[44] AGOSTINO, Serm. 93, 4; 341, 5; ecc.: PL 38, 574; 39, 1496.

[45] Catech. 6, 2: PG 33, 542.

[46] Serm. 27, 4, PL 38, 179.

[47] Adv. haer. 2, 28, 6.: PG 7, 809.

[48] De Divinis Nominibus, II, 9: PG 3, 674, cfr. 648; citato da S. Tommaso d'Aquino in S. Th. II-II, q 45, a. 2.

[49] S. Th. II-II, q. 45, a. 2.

[50] AGOSTINO, Ep. 120, 3, 13: PL 33, 459.

[51] CLEMENTE ALESS., Stromata 2, 9: PG 8, 975‑982.

[52] AGOSTINO, De divv. qq. LXXXIII, q. 35, 2: PL 40, 24.

[53] Ep. 118, 32: PL 33, 448.

[54] De Trin. 1, 1, 1: PL 42, 819.

[55] Un grande influsso esercitarono a tale riguardo soprattutto due opere di S. Agostino: De civitate Dei, e De doctrina christiana.

[56] AGOSTINO, De civ. Dei 10, 32, 1‑3: PL 41, 312 ss.

[57] Idem, De civ. Dei, 18, 51, 2: PL 41, 614; cfr. CONC. VAT. II, Cost. Lumen gentium, n. 8.

[58] Contra Iul. 2, 10, 34: PL 44, 698.

[59] Il progresso di tutto il popolo di Dio, per volontà di Cristo stesso, dipende emi­nentemente dal ministero dei sacerdoti: ciò risulta dalle parole con le quali il Signore ha costituito gli Apostoli, e i loro successori e collaboratori, araldi del Vangelo, capi del nuovo popolo eletto e dispensatori dei misteri di Dio; lo stesso è confermato dalle parole dei Padri e dei Santi e dai ripetuti documenti dei Sommi Pontefici. Cfr. so­prattutto: S. PIO X, Esortazione al Clero Haerent animo, 4 agosto 1908: S. PII X Acta IV, pp. 237‑264; PIO XI, Enc. Ad catholici Sacerdotii, 20 dicembre 1935: A.A.S. 28, (1936), specialmente pp. 37‑52; Pio XII, Esortaz. Apostolica Menti Nostrae, 23 settem­bre 1950: A.A.S. 42 (1950), pp. 657‑702; GIOVANNI XXIII, Enc. Sacerdoti Nostri pri­mordia, 1 agosto 1959: A.A.S. 51 (1959), pp. 545‑579; PAOLO VI, Lett. Apost. Summi Dei Verbum, 4 novembre 1963: A.A.S. 55 (1963), pp. 979‑995.

[60] Tutta la formazione sacerdotale, cioè l'ordinamento del Seminario, la formazione spirituale, il regime degli studi, la vita comune degli alunni e la disciplina degli alunni, le esercitazioni pastorali, devono essere adattati alle diverse situazioni locali. Questo adattamento, per ciò che riguarda i principi essenziali, dev'esser fatto, per il clero se­colare dalle Conferenze Episcopali, e convenientemente dai Superiori competenti per il clero regolare. (Cfr. S. Congr. dei Religiosi, Costit. Apost. Sedes Sapientiae e gli an­nessi Statuta Generalia, art. 19, 2a ed. Roma 1957, pp. 38 s.).

[61] Fra le principali tribolazioni da cui oggi è afflitta la Chiesa, domina quasi dap­pertutto la scarsità delle vocazioni. Cfr. Pio XII, Esort. Apost. Menti Nostrae: «... sa­cerdotum numerus cum in catholicorum regionibus, tum in missionalibus terris, impar plerumque increscentibus necessitatibus est» A.A.S. 42 (1950), p. 682; GIOVANNI XXIII: «Il problema delle vocazioni ecclesiastiche e religiose è quotidiana sollecitudine del Papa..., è sospiro della sua preghiera, aspirazione ardente della sua anima» (Allocuz. al I Congresso Internaz. sulle Vocazioni agli Stati di Perfezione, 16 dicembre 1961: A.A.S. 54 (1962), p. 33.

[62] Pio XII, Cost. Apost. Sedes Sapientiae, 31 maggio 1956: A.A.S. 48 (1956), p. 357; PAOLO VI, Lett. Apost. Summi Dei Verbum, 4 novembre 1963: A.A.S. 55 (1963), pp. 984 ss.

[63] Cfr. soprattutto: Pio XII, Motu proprio Cum nobis «sulla Pontificia Opera delle Vocazioni Sacerdotali da costituire presso la S. Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi», 4 novembre 1941: A.A.S. 33 (1941), p. 479; con gli annessi Statuti e Norme promulgate dalla stessa S. Congregazione l'8 settembre 1943. Il Motu proprio Cum supremae «sulla Pontificia Opera primaria delle vocazioni religiose», 11 febbraio 1955: A.A.S. 47 (1955), p. 266; con gli annessi Statuti e Norme promulgate dalla stessa S. Congregazione (ibid. pp. 298‑301); CONC. VAT. II, Decr. De accom­modata renovatione vitae religiosae, Perfectae Caritatis, n. 24; Decr. De Pastorali Epi­scoporum munere in Ecclesia, Christus Dominus n. 15.

[64] Cfr. Pio XII, Esort. apost. Menti Nostrae, 23 settembre 1950: A.A.S. 42 (1950), p. 685.

[65] Cfr. CONC. VAT. II, CoSt. dogm. de Ecclesia, Lumen gentium, n. 28: A.A.S. 57 (1965), p. 34.

[66] Cfr. Pio XI, Enc. Ad Catholici Sacerdotii, 20 dicembre 1935: A.A.S. 28 (1936), p. 37: «Diligens imprimis esto moderatorum magistrorumque delectus... Sacris eiusmodi conlegiis sacerdotes tribuite maxima virtute ornatos; neque gravemini eos e muneri­bus abstrahere, specie quidem maioris ponderis, quae tamen cum hac capitali re, cuius partes nulla alia susceperit, comparari nequeunt». Questo principio della scelta dei mi­gliori è inculcato di nuovo da Pio XII nella Lett. Apost. agli Ordinari del Brasile, 23 aprile 1947: Discorsi e Radiomessaggi, IX, pp. 579‑ 580.

[67] Sul dovere comune di aiutare i Seminari. Cfr. PAOLO VI, Lett. Apost. Summi Dei Verbum, 4 novembre 1963: A.A.S. 55 (1963), p. 984.

[68] Cfr. Pio XII, Esort. Apost. Menti Nostrae, 23 settembre 1950: A.A.S. 42 (1950),

[69] Cfr. Pio XI, Enc. Ad Catholici Sacerdotii, 20 dicembre 1935: A.A.S. 28 (1936), p. 41.

[70] È stabilito che alla determinazione degli Statuti dei Seminari regionali o na­zionali, devono partecipare tutti i Vescovi interessati, in deroga a quanto è prescritto dal can. 1357, § 4, del C.I.C.

[71] Cfr. Pio XII, Esort. Apost. Menti Nostrae, 23 settembre 1950: A.A.S. 42 (1950),

[72] Cfr. S. Pio X, Esortaz. al Clero, Haerent animo, 4 agosto 1908: S. PII X ACTA IV, pp. 242‑244; PIO XII, Esort. Apost. Menti Nostrae, 23 settembre 1950: A.A.S. 42 (1950), pp. 659‑661; GIOVANNI XXIII, Enc. Sacerdotii Nostri Primordia, 1 agosto 1959: A.A.S. 51 (1959), p. 550 s.

[73] Cfr. Pio XII, Enc. Mediator Dei, 20 novembre 1947: A.A.S. 39 (1947), pp. 547 ss. e 572 s.; GIOVANNI XXIII, Esortaz. Apost. Sacrae Laudis, 6 gennaio 1962: A.A.S. 54 (1962), p. 69; CONC. VAT. II, Costit. de Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, art. 16 e 17: A.A.S. 56 (1964), p. 104 s.; S. CONGREG. DEI RITI, Instructio ad exsecutionem Constitutionis de Sacra Liturgia recte ordinandam, 26 settembre 1964, nn. 14‑17: A.A.S. 56 (1964), p. 880 s.

[74] Cfr. GIOVANNI XXIII, Enc. Sacerdotii Nostri Primordia: A.A.S. 51 (1959), p. 599 S.

[75] Cfr. CONC. VAT. II, Cost. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, n. 28: A.A.S. 57 (1965), p. 35 s.

[76] S. AGOSTINO, In Ioannem tract. 32, 8: PL 35, 1646.

[77] Cfr. Pio XII, Esort. Apost. Menti Nostrae: A.A.S. 42 (1950), pp. 662 s., 685, 690; GIOVANNI XXIII, Enc. Sacerdotii Nostri Primordia: A.A.S. 51 (1959), pp. 551‑553; 556 S.; PAOLO VI, Enc. Ecclesiam Suam, 6 agosto 1964: A.A.S. 56 (1964), p. 634 s.; CONC. VAT. II, Cost. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, specialmente n. 8: A.A.S. 57 (1965), p. 12.

[78] Cfr. Pio XII, Enc. Sacra Virginitas, 25 marzo 1954: A.A.S. 46 (1954), pp. 165 ss.

[79] Cfr. S. CIPRIANO, De habitu virginum, 22: PL 4, 475; S. AMBROGIO, De virgi­nibus I, 8, 52: PL 16, 202 s.

[80] Cfr. Pio XII, Esortaz. Apost. Menti Nostrae: A.A.S. 42, (1950), p. 663.

[81] Cfr. Pio XII, Enc. Sacra Virginitas, l.c., pp. 170‑174.

[82] Cfr. Pio XII, Esortaz. Apost. Menti Nostrae, l.c., pp. 664 e 690 s.

[83] Cfr. PAOLO VI, Lett. Apost. Summi Dei Verbum, 4 novembre 1963: A.A.S. 55 (1963), p. 991.

[84] Cfr. Pio XII, Esortaz. Apost. Menti Nostrae, l.c., p. 686.

[85] Cfr. PAOLO VI, Lett. Apost. Summi Dei Verbum, l.c., p. 993.

[86] Cfr. CONC. VAT. II, Cost. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, nn. 7 e 8: A.A.S. 57 (1965), pp. 9‑11; 33.

[87] Cfr. Pio XII, Enc. Humani Generis, 12 agosto 1950: A.A.S. 42 (1950), pp. 571‑575.

[88] Cfr. PAOLO VI, Enc. Ecclesiam Suam, 6 agosto 1964: A.A.S. 56 (1964), pp. 637 ss.

[89] Cfr. Pio XII, Enc. Humani Generis, 12 agosto 1950: A.A. S. 42 (1950), pp., 567‑569; Allocuz. Si diligis, 31 maggio 1954: A.A.S. 46 (1954), p. 314 S.; PAOLO VI, Allocuz. nella Pont. Università Gregoriana, 19 marzo 1964: A.A.S. 56 (1964), p. 364 s.; CONC. VAT. II, Cost. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, n. 25: A.A.S. 57 (1965), pp. 29‑31.

[90] Cfr. S. BONAVENTURA, Itinerarium mentis in Deum, Prol., n. 4: «(Nemo) credat quod sibi sufficiat lectio sine unctione, speculatio sine devotione, investigatio sine ad­miratione, circumspectio sine exsultatione, industria sine pietate, scientia sine charitate, intelligentia sine humilitate, studium absque divina gratia, speculum absque sapientia divinitus inspirata» (S. BONAVENTURA, Opera omnia, V, Quaracchi 1891, p. 296).

[91] Cfr. LEONE XIII, Enc. Providentissimus Deus, 18 novembre 1893: A.A.S. 26 (1893‑94), p. 283.

[92] Cfr. PONTIFIC. COMMISSIONE BIBLICA, Instructio de Sacra Scriptura recte docenda, 13 maggio 1950: A.A.S. 42 (1950), p. 502.

[93] Cfr. Pio XII, Enc. Humani generis, 12 agosto 1950: A.A.S. 42 (1950), p. 568 s.: «... sacrorum fontium studio sacrae disciplinae semper iuvenescunt; dum contra spe­culatio quae ulteriorem sacri depositi inquisitionem neglegit, ut experiundo novimus, sterilis evadit».

[94] Cfr. Pio XII, Discorso ai Seminaristi, 24 giugno 1939: A.A.S. 31 (1939), p. 247: «Aemulatio... in veritate quaerenda et propaganda per commendationem doctrinae S. Thomae non supprimitur, sed excitatur potius ac tuto dirigitur». PAOLO VI, Allocuz. nella Pontif. Univ. Gregoriana, 12 marzo 1964: A.A.S. 56 (1964), p. 365: «(Ma­gistri)... vocem Ecclesiae Doctorum reverenter auscultent, inter quos Divus Aquinas praecipuum obtinet locum; Angelici enim Doctoris tanta est ingenii vis, tam sincerus veritatis amor, ac tanta sapientia in altissimis veritatibus pervestigandis, illustrandis aptissimoque unitatis nexu colligendis, ut ipsius doctrina efficacissimum sit instru­mentum non solum ad Fidei fundamenta in tuto collocanda, sed etiam ad sanae pro­gressionis fructus utiliter et secure percipiendos». Cfr. anche l'Allocuz. al VI Congresso Tomistico Internazionale, 10 settembre 1965: A.A.S. 57 (1965), pp. 788‑792.

[95] Cfr. CONC. VAT. II, Cost. de Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium nn. 7 e 16: A.A.S. 56 (1964), pp. 100 s. e 104 s.

[96] Cfr. PAOLO VI, Enc. Ecclesiam Suam, 6 agosto 1964: A.A.S. 56 (1964), p. 640 s.

[97] CONC. VAT. II, Cost. de Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 10, 14, 15, 16; S. CONGREG. DEI RITI, Instructio ad exsecutionem Constitutionis de Sacra Liturgia recte ordinandam, 26 settembre 1964, nn. 11 e 12: A.A.S. 56 (1964), p. 879 s.

[98] Cfr. CONC. VAT. II, Decr. De Oecumenismo Unitatis Redintegratio, nn. 1, 9, 10: A.A.S. 57 (1965), pp. 90 e 98 s.

[99] Il modello perfetto del pastore può ricavarsi dai documenti dei moderni Pontefici, che trattano distintamente della vita, delle qualità e della formazione sacerdotale, soprattutto: S. Pio X, Esortaz. al Clero Haerent animo, S. PII X Acta IV, pp. 237 ss; Pio XI, Enc. Ad Catholici Sacerdotii: A.A.S. 28 (1936), pp. 5 ss.; Pio XII, Esortaz. Apost. Menti Nostrae: A.A. S. 42 (1950), pp. 657 ss.; GIOVANNI XXIII, Enc. Sacerdotii Nostri Primordia: A.A.S. 51 (1959), pp. 545 ss.; PAOLO VI, Lett. Apost. Summi Dei Verbum: A.A.S. 55 (1963), pp. 979 ss.; Molte direttive sulla formazione pastorale si trovano anche nelle Encicliche Mystici Corporis (1943), Mediator Dei (1947), Evangelii Praecones (1951), Sacra Virginitas (1954), Musicae Sacrae Disciplina (1955), Princeps Pastorum (1959), e nella Costit. Apost. Sedes Sapientiae (1956) per i Religiosi. PIO XII, GIOVANNI XXIII e PAOLO VI hanno anche illustrato spesso il modello del buon pastore nei loro discorsi a seminaristi e a sacerdoti.

[100] Sull'importanza dello stato costituito dalla professione dei consigli evangelici cfr. CONC. VAT. II, Cost. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, cap. VI: A.A. S. 57 (1965), pp. 49‑53; Decr. De accommodata renovatione vitae religiosae, Perfectae caritatis: A.A.S. 58 (1966), pp. 702 s.

[101] Cfr. PAOLO VI, Enc. Ecclesiam Suam, 6 agosto 1964: A.A.S. 56 (1964), passim, e spec. pp. 635 s. e 640 ss.

[102] Cfr. soprattutto GIOVANNI XXIII, Enc. Mater et Magistra, 15 maggio 196 1: A.A.S. 53 (1961), pp. 401 ss.

[103] Cfr. principalmente CONC. VAT. II, Cost. dogm. de Ecclesia, Lumen gentium, n. 33: A.A.S. 57 (1965), p. 39.

[104] Cfr. CONC. VAT. II, Cost. dogm. de Ecclesia, Lumen gentium, n. 17: A.A.S. 57 (1965), p. 20 s.

[105] Molti documenti pontifici mettono in guardia contro il pericolo di trascurare, nell'azione pastorale, il fine soprannaturale e di sottovalutare, almeno in pratica, i soccorsi soprannaturali; cfr. specialmente i documenti citati nella nota 41.

[106] I più recenti documenti della S. Sede raccomandano con insistenza d'aver cura particolare dei neosacerdoti. Vanno citati principalmente: Pio XII, Motu proprio Quandoquidem, 2 aprile 1949: A.A.S. 41 (1949), pp. 165‑167; Esortaz. Apost. Menti Nostrae, 23 sett. 1950: A.A.S. 42 (1950); Costituz. Apost. (per i Religiosi) Sedes Sapientiae, 31 maggio 1956, e gli Statuti Generali annessi; Allocuz. ai sacerdoti dei «Convitto di Barcellona», 14 giugno 1957: Discorsi e Radiomessaggi, XIX, pp. 271‑273; PAOLO VI, Allocuz. ai sacerdoti dell'Istituto «Gian Matteo Giberti» della diocesi di Verona, 11 marzo 1964:L'Osservatore Romano,13 marzo 1964.

[107] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gau­dium et spes, nn. 43 ss.: A.A.S. 58 (1966), pp. 1061 ss.

[108] Cfr. Esort. Apost. Evangelii nuntiandi, nn. 19‑20: A.A.S. 68 (1976), pp. 18 s.

[109] Cfr. Ibid, n. 18: A.A.S. 68 (1976), pp. 17 s., e CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 58: A.A.S. 58 (1966), p. 1079.

[110] CONC. ECUM. VAT. II, Dichiar. sull'Educazione cristiana Gravissimum Educationis, n. 10: A.A.S. 58 (1966), p. 737.

[111] A.A.S. 23 (1931), p. 241.

[112] A.A.S. 42 (1950), p. 387.

[113] CONC. ECUM. VAT. II, Dichiar. sull'Educazione cristiana Gravissimum Educationis, n. 10: A.A.S. 58 (1966), p. 737.

[114] Ibid.

[115] Ibid, n. 11: A.A.S. 58 (1966), p. 738.

[116] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gau­dium et spes, n. 62: A.A.S. 58 (1966), p. 1083.

[117]Cfr. GIOVANNI XXIII, Discorso di apertura del Conc. Ecum. Vat. II A.A.S. 54 (1962), p. 792 e CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 62: A.A.S. 58 (1966), p. 1083.

[118] PAOLO VI, Lettera del 13 settembre 1975 al Magnifico Rettore dell'Università Catto­lica di Lovanio, in occasione del trasferimento di questa a Louvain‑la‑Neuve (L'Osservatore Romano, 22‑23 settembre 1975). Cfr. anche la Lettera Enciclica di GIOVANNI PAOLO II Re­demptor hominis, n. 19: A.A.S. 71 (1979), pp. 305 ss.

[119] CONC. ECUM. VAT. II, Dichiar. sull'Educazione cristiana Gravissimum Educationis, n. 11: A.A.S. 58 (1966), p. 738.

[120] Cfr. PAOLO VI, Cost. apost. Regimini Ecc1esiae universae, n. 78: A.A.S. 59 (1967), p. 914.

[121] Cfr. PAOLO VI, Motu proprio Sedula cura: A.A.S. 63 (1971), pp. 665 ss., e Decr. della Pont. Commissione Biblica Ratio periclitandae doctrinae: A.A.S. 67 (1975), pp. 153 ss.

[122] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 25: A.A.S. 57 (1965), pp. 29‑31.

[123] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gau­dium et spes, n. 59: A.A.S. 58 (1966), p. 1080.

[124] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, n. 24: A.A.S. 58 (1966), p. 827.

[125] CONC. ECUM. VAT. II, Dichiar. sull'Educazione cristiana Gravissimum Educationis, n. 10: A.A.S. 58 (1966), p. 737.

[126] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sull'Attività missionaria della Chiesa Ad Gentes, n. 22: A.A.S. 58 (1966), pp. 973 s.

[127] Cfr. Direttorio sull'ecumenismo, parte seconda: A.A.S. 62 (1970), pp. 705‑724.

[128] Cfr. specialmente CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei verbum: A.A.S. 58 (1966), pp. 817 ss.; e Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius: A.A.S. 58 (1966), pp. 713 s.

[129] Cfr. specialmente PAOLO VI, Epist. Apost. su S. Tommaso d'Aquino Lumen Ecclesiae, in data 20 nov. 1974: A.A.S. 66 (1974), pp. 673 ss., e le Circolari della S. C. per l'Educazione Cattolica: circa la formazione teologica, del 22 febbr. 1976; circa la formazione canonistica, del 1° marzo 1975; circa la formazione filosofica, del 20 genn. 1972.

[130] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius, n. 15: A.A.S. 58 (1966), p. 722.

[131] Cfr. specialmente CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius: A.A.S. 58 (1966), pp. 713 ss.; e Dichiar. sull'Educazione cristiana Gravissimum Educa­tionis: A.A.S. 58 (1966), pp. 728 ss.

[132] Cfr. specialmente PAOLO VI, Epist. Apost. su S. Tommmaso d'Aquino Lumen Ecclesiae, in data 20 nov. 1974: A.A.S. 66 (1974), pp. 673 ss., e la Circolare della S.C. per l'Educazione Cattolica circa la formazione filosofica, del 20 genn. 1972.

[133] Cfr. Direttorio sull'ecumenismo, parte seconda: A.A.S. 62 (1970), pp. 705‑724.

[134] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius, n. 13: A.A.S. 58 (1966), p. 721, ed il Chirografo del S. P. PAOLO VI Romani sermonis: A.A.S. 68 (1976), pp. 481 s.