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cristo-maestro3Giugno 2012

Chiamati a vivere le beatitudini

Cristo nostra vita e nostra regola

Le beatitudini esigono di modificare in profondità il nostro modo di esistere, di pensare e di amare, di comportarsi e di agire. Essendo il ritratto di Cristo e il compendio della sua vita, esse sono anche il ritratto e il compendio della vita del discepolo di Gesù.

L’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Vita consacrata scrive che «compito peculiare della vita consacrata è di tener viva nei battezzati la consapevolezza dei valori fondamentali del Vangelo, testimoniando “in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle Beatitudini » (33). E nell’enciclica Veritatis splendor, definisce le beatitudini «una specie di autoritratto di Cristo» (16).
Formarsi allo spirito delle beatitudini e darne testimonianza rappresenta quindi un compito fondamentale per tutte le persone consacrate, poiché in questione è la loro stessa autenticità evangelica. È il pensiero che fr. José Rodríguez Carballo, ministro generale, OFM, ha voluto richiamare nella lettera Ravviva il dono di Dio che è in te, scritta ai frati Under ten, ossia con meno di dieci anni di professione, in occasione del 4° Capitolo delle stuoie (Zapopan-Guadalupe, Messico, 2-10 giugno 2012) ricordando che le beatitudini costituiscono «una sfida importante per rivitalizzare la propria vita e missione e per evangelizzare la postmodernità».
Le sue riflessioni, pur avendo come destinatari immediati i frati dell’Ordine, si possono applicare a tutti i consacrati poiché toccano al cuore il significato profondo della loro stessa vocazione.

Un cambiamento radicale di mentalità
Che cosa comporta assumere le beatitudini nella propria vita? «Penso, afferma fr. Carballo, che comporti di modificare in profondità il nostro modo di esistere, di pensare e di amare, di comportarsi e di agire. Come battezzati, ancor di più come consacrati e frati minori, siamo chiamati, in Gesù, a diventare uomini nuovi, ad adottare uno spirito nuovo, ad avere un cuore nuovo. È una novità inaudita, sorprendente, sconcertante quella descritta dalle beatitudini: la felicità singolare dei poveri, la strana gioia degli afflitti, di quelli che piangono e sono perseguitati, perché Dio interviene a loro favore».
In effetti «dal momento che sono il ritratto di Cristo e compendio della sua vita, le beatitudini sono anche il ritratto e il compendio della vita del discepolo di Gesù». In questo senso, commenta fr. Carballo «le beatitudini sono una catechesi battesimale e un breviario di vita cristiana, un indicativo che diventa un imperativo per chi vuole seguire Gesù, chiamato ad incarnare gli atteggiamenti descritti nel discorso della Montagna. Ciò significa che, come Gesù, il discepolo è chiamato a essere nel suo ambiente segno vivo di contraddizione, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati sapienza di Dio» (cf. 1Cor 1,22-25).

Le beatitudini si potrebbero classificare in tre gruppi.

«Questi coincidono con tre tipi di raccomandazioni che Gesù rivolge ai suoi discepoli nell’inviarli in missione (cf. Lc 10,1-20). La prima riguarda l’atteggiamento di distacco e di povertà: non portate borsa, né sacca, né sandali. La seconda ha per oggetto la missione: missione di pace e di giustizia, in qualunque casa entriate prima dite: pace a questa casa. Infine, la terza è in vista della persecuzione: vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. Inoltre, il cantico del Magnificat (cf. Lc 1,46-55) e gli otto segni dello Spirito nella Lettera ai Galati (cf. Gal 5,22-25) offrono, ciascuno a suo modo, la stessa totalità delle beatitudini, che, sia in Matteo che in Luca, mostrano atteggiamenti paradossali che sono diametralmente opposti alla filosofia e ai costumi del mondo».
«Quanto si è detto del discepolo, osserva Fr. Carballo, viene applicato a ogni frate minore (e possiamo dire, a ogni persona consacrata) anche lui chiamato a seguire le orme di Gesù (cf. 1Pt 2,21) e ad avere i suoi sentimenti (cf. Fil 2,5). La sequela di Cristo nella nostra vita implica una conformazione reale e progressiva con lui. Inoltre, la nostra vita è una scelta fondamentale per Cristo e una ricerca appassionata del Regno che il Signore annuncia e promette nel discorso della Montagna.... La vita religiosa e, quindi, la vita francescana, sono impensabili senza le beatitudini, senza il loro radicalismo, senza il loro spirito. Per tale motivo già Paolo VI affermava che nella vita religiosa è necessaria “una vera iniziazione tendente a cristianizzare l’essere, fin nelle sue profondità, secondo le beatitudini evangeliche”(ET 36). Ciò implica vivere in permanente atteggiamento di conversione, che si esprimerà in un cambiamento di logica. Dalla logica “economica”, che domina la nostra società e che consiste nell’ottenere il massimo beneficio con il minimo sforzo e costo, si passa cioè alla logica del Regno, che è quella di raggiungere il massimo dell’amore, qualunque sia il costo, compresa la morte. È questa la logica contenuta nelle beatitudini: «si è più beati nel dare che nel ricevere » (At 20,35; cf. Lc 14,12-14). È la logica del dare a fondo perduto, senza interesse personale e senza cercare il modo per essere pagati o rimborsati».

Un annuncio di felicità
“Beati” è «la parola chiave, che si ripete all’inizio di ogni beatitudine e dà il titolo al discorso della Montagna o della Pianura. La parola greca makários può essere tradotta con beato, fortunato, felice, gioioso ed esprime la condizione dell’uomo su cui si è posata la benevolenza divina, giungendo così alla realizzazione delle sue aspirazioni più alte. Una simile persona è felice, perché si sente amata da un amore fedele e si rende conto che la sua condizione infelice, umanamente parlando, è stata finalmente apprezzata ed esaltata».
«Nelle beatitudini Gesù parla ad ogni candidato alla felicità, anche a ciascuno di noi. Il Maestro parla al nostro cuore inquieto, alla nostra sete di amore, alla nostra necessità di felicità, al bisogno, che risiede nell’intimo del nostro cuore, di essere riconosciuti nella nostra identità più vera, amati con affetto puro, totale, bello e che dura per sempre».
«Miei cari fratelli, vi invito a sostare, anche se per brevi momenti, ai piedi della montagna, dove Gesù sta parlando, secondo la versione di Matteo. Lì, molto vicino al lago di Galilea, la parola di Dio che risuonò sul Sinai per dare a Mosè la Legge scritta, si fa udire di nuovo attraverso Gesù sul “monte”, con una grande differenza: mentre la Legge antica è stata scritta sulla pietra, la Legge nuova è scritta nel cuore dell’uomo. Ascoltiamo, allora, cosa dice Gesù».

«Beati i poveri (cf. Mt 5,3; Lc 6,20), quelli che hanno lasciato tutto per Gesù (cf. Lc 5,11) e scelgono di non contare, di essere mendicanti di Dio e mendicanti di senso. Nella logica francescana la povertà radicale si esprime nel vivere sine proprio, vivere liberi da ogni legame: liberi nel rapporto con se stessi, sapendo che uno vale quanto vale davanti a Dio e non di più; liberi nella relazione con Dio, restituendo al Signore tutto quello che da lui riceve e si gloria solo delle sue ricchezze; liberi nella relazione con gli altri, senza esaltarsi maggiormente per quello che Dio dice e fa per mezzo di lui che per quello che dice e fa per mezzo degli altri, e non esige dagli altri ciò che non è disposto a dare lui stesso; liberi nella relazione con le cose, disprezzandole e mantenendosi liberi dai loro vincoli. Il ricco si considera fortunato perché può godere per i suoi possessi. I poveri, come Francesco di Assisi, attingono la felicità da altra fonte: nel Dio in cui confidano. Povero è chi, confidando in Dio, si abbandona nelle sue mani. Povero è chi è talmente povero, così povero, che ha solo Dio.

«Beati i miti (cf. Mt 5,4), coloro che vincono il male con il bene, gli umili di fronte a Dio, i pazienti e i benevoli con gli uomini (cf. Col 3,12-14). Questa è la vera mitezza. A differenza della durezza e all’autogiustificazione farisaica il mite è umile davanti a Dio, perché è cosciente del suo peccato; e per questo sostiene i pesi del prossimo con la sua dolcezza, sollievo e forza...

«Beati quelli che piangono (cf. Mt 5,5; Lc 6,21), quelli che condividono le gioie e i dolori, le angosce e le speranze dei nostri simili. Non solo condividono, ma anzi com-patiscono. Noi frati minori, sapendo che la nostra vocazione è seguire Cristo, a cui desideriamo ardentemente appartenere, vogliamo aprirci alle sofferenze e alle speranze degli uomini e del mondo, tra i quali si radica la nostra consacrazione evangelica per essere di consolazione a quelli che piangono (cf. Is 61,2; 40,1) e, così, essere segni particolari della presenza di Dio.

«Beati quelli cha hanno fame e sete (cf. Mt 5,6; Lc 6,21). Affamati e assetati di Dio, del Dio vivo e vero (1Ts 1,9)... affamati e assetati di giustizia per coloro che vedono violati i loro diritti a causa di una situazione sociale ingiusta. Affamati e assetati di una giustizia che non è quella dei farisei, intessuta di osservanze e adempimenti (cf. Mt 5,30), ma che consiste nell’amare i nemici, fare del bene a coloro che ci odiano, benedire quelli che ci maledicono, pregare per quelli che ci maltrattano (cf. Lc 6,27s), mostrando a tutti il nostro amore con le opere. Affamati e assetati di una giustizia che è fraternità universale, amore sconfinato per i nostri fratelli, comunque siano: amici o nemici, simili o stranieri, vicini o lontani, ricchi o poveri.

«Beati i misericordiosi (cf. Mt 5,7), coloro che hanno viscere di misericordia e tenerezza materna, come lo stesso Dio (cf. Lc 6,36); coloro che non si dolgono dell’ingiuria che subiscono; coloro che sempre perdonano, senza ergersi a giudici e non negano la misericordia a coloro che la chiedono e la offrono a quelli che non la chiedono; quelli che, sull’esempio di Cristo, (cf. At 4,15), non pongono nessuna condizione per simpatizzare con le debolezze degli altri. Da Cristo impariamo a essere misericordiosi.

«Beati i puri di cuore (cf. Mt 5,8), quelli che aderiscono interiormente e incondizionatamente alla volontà del Signore (cf. Sal 24,4); quelli che agiscono come Maria, che ascoltata la parola dell’Angelo, dice: «Eccomi, [...] avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38) o come Francesco che, ascoltato il vangelo sulla missione, subito lo mette in pratica. Sono puri di cuore quelli «che non ritornano al vomito della loro volontà», non si appropriano di essa, ma con la parola e l’esempio mettono in pratica la volontà del Signore; quanti non smettono di adorare «il Signore Dio, vivo e vero, con cuore e animo puro». Poiché abbiamo promesso di osservare fedelmente il Vangelo, noi frati minori possiamo dire che questa beatitudine sta alla base di tutte le altre.

«Beati gli operatori di pace (cf. Mt 5,9), quelli che costruiscono la fraternità; coloro che lavorano instancabilmente perché tutti si sentano e siano rispettati come fratelli; quelli che vivono pienamente riconciliati con se stessi, con gli altri e con Dio; quelli che ripongono la loro fiducia non nella guerra, ma nel dialogo, nel rispetto della giustizia e nel perdono incondizionato; coloro che si riconoscono e riconoscono gli altri come figli di un unico e medesimo Padre; coloro «che in tutte le cose che sopportano in questo mondo, per l’amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell’anima e nel corpo».

«Beati i perseguitati per causa della giustizia (cf. Mt 5,10; 1Pt 3,14; 4, 2-9), quelli che a causa del loro amore per il Padre e i fratelli, combattono il male in tutte le sue forme; coloro che sono perseguitati per la loro fede in Cristo e per la loro fedeltà a lui; quelli che non si voltano indietro dopo aver messo mano all’aratro». «Carissimi fratelli, conclude fr. Carballo, il nostro programma di vita è: fare di Cristo la nostra vita e la nostra regola. Questa è la buona notizia che ci ha portato Gesù e che i sapienti non possono capire, ma che lo Spirito concede di comprendere ai poveri e ai semplici (cf. Mt 11,25), come Francesco. Questo è il nostro modo di annunciare ciò che viviamo, come ha fatto la fraternità francescana fin dal suo inizio».

(Testimoni 11 del 2012)